Comunicati stampa
25 ottobre 2024
Manovra 2025: per la sanità numeri fuorvianti, risorse insufficienti per le troppe misure. Per il 2025 solo € 1,3 miliardi in più e dopo il 2026 solo briciole per il fondo sanitario. Regioni al bivio: tagliare i servizi o aumentare le tasse. Personale sanitario e cittadini lasciati senza risposte, con la sanità pubblica in grande affanno
Secondo il DdL sulla Manovra 2025, il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) raggiungerà € 136.533 milioni nel 2025, € 140.595 milioni nel 2026 e € 141.131 milioni nel 2027 (figura 1). «Tuttavia - sottolinea Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE - le risorse, destinate principalmente ai rinnovi contrattuali del personale non consentiranno di attuare il piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri fortemente voluti dal Ministro Schillaci, né tantomeno di eliminare il tetto di spesa per il personale sanitario, contrariamente a quanto previsto dal DL Liste di attesa. Positivo l’aggiornamento delle tariffe delle prestazioni per acuti e post-acuti, ma solo a partire dal 2026, mentre le esigue risorse destinate all’aggiornamento dei LEA rischiano di ritardare ulteriormente l’esigibilità delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di protesica».
Di fronte alla girandola di numeri, spesso presentati ed interpretati in modo soggettivo o addirittura strumentalizzati, la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi indipendente sui finanziamenti destinati dalla Manovra alla sanità, al fine di fornire informazioni obiettive, trasparenti ed utili ad informare il confronto politico e il dibattito pubblico in vista della discussione parlamentare sulla Manovra.
FONDO SANITARIO NAZIONALE. Secondo la Legge di Bilancio 2025, il FSN nel 2025 crescerà di € 2.520 milioni (+1,9%), di cui € 1.302 milioni sono nuovi stanziamenti e € 1.218 milioni già assegnati dalla Manovra precedente. «Tuttavia le modalità con cui vengono presentati nell’art. 47 gli importi per gli anni successivi – spiega Cartabellotta – risultano fuorvianti: i € 5.078 milioni per il 2026, € 5.780 milioni per il 2027 e le cifre sino al 2030 indicano infatti l’incremento cumulativo del FSN e non gli stanziamenti specifici per ciascun anno». Gli aumenti effettivi previsti dalla Manovra sono: € 4.062 milioni nel 2026 (+3%), € 536 milioni nel 2027 (+0,4%), € 883 milioni nel 2028 (+0,6%), € 1.062 milioni nel 2029 (+0,7%) e € 1.173 milioni dal 2030 (+0,8%) (tabella 1). «Di conseguenza – commenta il Presidente – la Manovra, nonostante gli annunci, non prospetta alcun rilancio progressivo del FSN, lasciando il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con risorse insufficienti per affrontare le crescenti necessità di cittadini e professionisti». IL trend del FSN mantiene infatti l’andamento consolidato sino al 2026, per poi tornare a livelli del periodo pre-pandemia (figura 1).
Peraltro, una quota delle risorse incrementali, pari a € 883 milioni per il 2028, € 1.945 milioni per il 2029 e € 3.117 milioni a decorrere dall’anno 2030, dovrà essere accantonata per i rinnovi contrattuali relativi al periodo 2028-2030. Allo stesso modo, € 928 milioni per il 2026, € 478 milioni per il 2027 e € 528 milioni a decorrere dal 2028 sono destinati all’incremento delle risorse destinate al raggiungimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilevo nazionale.
MISURE PREVISTE (tabella 2). L’art. 47 sul “Rifinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale” individua 15 articoli con le misure da finanziare. «Tuttavia, se da un lato quasi tutte le misure previste dalla Manovra sono a valere sul FSN – spiega Cartabellotta – lascia molto perplessi il fatto che gli incrementi annuali del FSN non siano sufficienti a coprire tutte le misure previste. Di conseguenza le Regioni, per riuscire a realizzare tutti gli obiettivi previsti dalla Legge di Bilancio 2025 per la sanità, dovranno operare scelte drastiche: razionalizzare la spesa, tagliare altri servizi o aumentare l’addizionale IRPEF». Ad esempio nel 2026, a fronte di un aumento del FSN di € 4.062 milioni, sono previste misure per un totale di € 2.372,5 milioni, senza considerare il trattamento accessorio (art. 18) e il rifinanziamento del fondo per la contrattazione collettiva nazionale per il personale pubblico (art. 19).
La Manovra include anche altre misure che avranno un impatto economico sulle Regioni, ma che non sono contemplate nell’art. 47: la sperimentazione della riforma sulla disabilità (art. 38), il fondo nazionale per il contrasto alle dipendenze comportamentali dei giovani (art. 40), il fondo per gli accertamenti medico-legali e tossicologico-forensi (art. 41).
Misure per il personale sanitario. Dagli articoli sulle “Disposizioni in materia di trattamento accessorio” (art. 18) e sul “Rifinanziamento del fondo per la contrattazione collettiva nazionale per il personale pubblico” (art. 19) non è possibile stimare l’impatto economico, nemmeno analizzando la relazione tecnica. «Considerando solo i rinnovi contrattuali per il personale dipendente (dirigenza e comparto) e per i medici convenzionati – rileva Cartabellotta – e prendendo a riferimento gli oltre € 2.400 milioni stanziati dalla Legge di Bilancio 2024 per il triennio 2019-2021, le risorse dovrebbero coprire il contratto 2022-2024, già scaduto, e quelli relativi ai trienni 2025-2027 e 2028-2030, per un totale di oltre € 7 miliardi entro il 2030». Vengono incrementate le indennità di specificità: per la dirigenza medica e veterinaria (art. 61) di € 50 milioni per il 2025 e € 327 milioni a decorrere dal 2026; per la dirigenza sanitaria non medica (art. 62) di € 5,5 milioni a decorrere dal 2025; l’indennità di specificità infermieristica e quella per la tutela del malato e la promozione della salute (art. 63) riceveranno € 35 milioni nel 2025 e € 285 milioni dal 2026, a cui si aggiungeranno € 15 milioni nel 2025 e € 150 milioni dal 2026 per altre figure sanitarie. «È evidente – commenta il Presidente – che tutte queste indennità, salvo briciole, saranno concretamente esigibili dal personale solo a partire dal 2026». Viene infine aumentata l’indennità di pronto soccorso (art. 56) con € 50 milioni per il 2025 e € 100 milioni dal 2026 e migliorato il trattamento economico per i medici in formazione specialistica (art. 59), in particolare per le specializzazioni meno ambite. «In termini assoluti – chiosa Cartabellotta – si tratta di un aumento da € 26.000 euro annui a € 27.135 per tutte le specialità e a € 28.785 per quelle meno ambite: cifre irrisorie per convincere i giovani medici a scegliere specialità che oggi non risultano più attrattive».
Per l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza e degli importi tariffari (art. 51 c. 1), i € 50 milioni annui stanziati a partire dal 2025, sono secondo Cartabellotta «assolutamente insufficienti, aumentando il rischio concreto di ulteriori ritardi nell’esigibilità delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di protesica, ormai al palo da 8 anni». Al contrario, una quota significativa di risorse viene destinata all’aggiornamento delle tariffe per remunerazione delle prestazioni per acuti e post acuzie (art. 50). Nello specifico, spiega il Presidente, «nel 2025 sono previsti € 77 milioni per le prestazioni post-acuzie, mentre dal 2026 si stanzieranno€ 350 milioni per le prestazioni post-acuzie e € 650 milioni per quelle per acuti, per un totale di € 1 miliardo annuo».
Relativamente alle misure per abbattere le liste di attesa, è previsto un ulteriore aumento del tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati (art. 48), che crescerà dello 0,5% per il 2025 (€ 61,5 milioni) e dell’1% dal 2026 (€ 123 milioni). Inoltre sono introdotte premialità per le Regioni (art. 64) che rispettano i criteri sui Livelli Essenziali di Assistenza sulle liste d’attesa, con uno stanziamento di € 50 milioni nel 2025 e € 100 milioni dal 2026.
Altre disposizioni di spesa riguardano l’attuazione del Piano pandemico 2025-2029 (art. 52), che prevede € 50 milioni per il 2025, € 150 milioni per il 2026 e € 300 milioni annui dal 2027. Per le cure palliative (art. 58) è previsto un aumento di € 10 milioni annui a partire dal 2025, che si somma ai € 100 milioni del FSN. Le prestazioni sanitarie offerte da comunità terapeutiche in regime di mobilità interregionale (art. 65) riceveranno € 15 milioni annui a partire dal 2025 per sostenere le prestazioni a favore di cittadini con dipendenza da sostanze. Infine per le patologie da dipendenze (art. 66) sono previsti € 50 milioni annui dal 2025.
«Ancora una volta – conclude Cartabellotta – la Legge di Bilancio tradisce le legittime aspettative di professionisti sanitari e cittadini, oggi alle prese con un SSN in grande affanno nel rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Soprattutto per la progressiva carenza di personale, in particolare infermieristico, che vive una stagione di demotivazione e disaffezione per la sanità pubblica senza precedenti. Dall’analisi delle risorse assegnate alla sanità emergono quattro punti estremamente critici. Innanzitutto la “cosmesi” sul FSN per il 2025, che tradisce ampiamente i proclami dell’Esecutivo: l’incremento reale è di soli € 1,3 miliardi, rispetto ai € 3,5 miliardi annunciati, rendendo impossibile soddisfare le richieste dei professionisti sanitari, che infatti hanno già annunciato uno sciopero per il 20 novembre. In secondo luogo, l’unico reale incremento di risorse è previsto solo nel 2026, quando lo Stato potrà disporre delle liquidità derivanti dalla sospensione del credito di imposta delle banche. Terzo, le risorse si disperdono in troppi rivoli, senza una chiara visione di rilancio del SSN, con un numero eccessivo di misure rispetto alle risorse assegnate, a valere sul FSN: una (non) strategia che finirà per mettere le Regioni davanti a un bivio, costrette a scegliere da quale lato “tirare” una coperta troppo corta. Infine, non si intravede alcun rilancio progressivo del finanziamento pubblico che, dopo la “fiammata” del 2026, torna a cifre da manutenzione ordinaria dell’era pre-pandemica. Nonostante la sanità pubblica sia oggi la vera emergenza del Paese, le scelte politiche rimangono inesorabilmente in linea con quelle degli ultimi 15 anni: tutti i Governi hanno definanziato il SSN e nessuno è stato in grado di elaborare un piano di rilancio del finanziamento pubblico, accompagnato da una coraggiosa stagione di riforme per ammodernare e riorganizzare la più grande opera pubblica del Paese, quel SSN istituito per tutelare la salute di tutte le persone. Un tradimento dell’art. 32 della Costituzione e dell’universalismo, dell’uguaglianza e dell’equità, princìpi fondamentali del nostro insostituibile SSN».
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23 ottobre 2024
Disegno di Legge sulle prestazioni sanitarie: misure a costo zero e 7 decreti attuativi rischiano di lasciare irrisolto il problema delle liste d'attesa. Senza risorse in Legge di Bilancio 2025 il DdL rimane una scatola vuota. Audizione della Fondazione GIMBE al Senato
«Il Disegno di Legge sulle prestazioni sanitarie – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non prevede investimenti ad hoc e sarà necessario attendere il testo della manovra per capire se la norma diventerà operativa o rimarrà una scatola vuota. Si continua sulla strada di un approccio “a costo zero” che non risponde alle reali esigenze di potenziamento della sanità pubblica e rischia di compromettere l’efficacia delle azioni proposte, soprattutto in un contesto in cui il SSN soffre di un cronico sottofinanziamento». Questa la principale criticità emersa dall’analisi GIMBE del testo del DdL S. 1241 presentata ieri, insieme ad alcune proposte, in audizione presso la 10a Commissione del Senato.
CRITICITÀ RELATIVE ALL’IMPIANTO GENERALE DEL DdL
Misure previste. I tempi di attesa aumentano a causa dello squilibrio tra l’offerta e la domanda di prestazioni sanitarie, che non sempre soddisfa reali bisogni di salute. Infatti una quota di esami diagnostici e visite specialistiche è inappropriata: la loro esecuzione non apporta alcun beneficio in termini di salute e contribuisce ad “ingolfare” il sistema, lasciando indietro i pazienti più gravi. «Tuttavia le misure previste dal DdL – commenta Cartabellotta – sulla scia del DL “Liste di Attesa”, oltre a potenziare gli strumenti di governance centrale, prevedono solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta. Una strategia perdente: come dimostrano numerosi studi, infatti, una volta esaurito nel breve periodo il cosiddetto “effetto spugna”, l’incremento dell’offerta finisce per indurre un ulteriore aumento della domanda». In tal senso, è indispensabile definire criteri di appropriatezza di esami e visite specialistiche e un piano di formazione sui professionisti e d’informazione sui pazienti, al fine di arginare la domanda inappropriata di prestazioni.
Nello specifico, ha spiegato Cartabellotta «integrando le misure del DL liste di attesa, il nuovo provvedimento pone le basi per valutare l’appropriatezza delle prestazioni (Disposizioni in materia di prescrizione ed erogazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale), espande gli strumenti di governance nazionale (Istituzione e funzionamento del Sistema nazionale di governo delle liste di attesa) e di feedback degli utenti (Istituzione del registro delle segnalazioni e funzionalità dell’Osservatorio nazionale sulle liste di attesa). Tuttavia per aumentare l’offerta punta sugli specialisti ambulatoriali convenzionati, sul privato accreditato e sul lavoro flessibile». In particolare, prevede di investire € 100 milioni per il 2025 e per il 2026 (ma a valere sul FSN, ovvero senza risorse aggiuntive), aumentando il numero delle ore degli specialisti ambulatoriali: la previsione è di oltre 1 milione di ore aggiuntive per arrivare ad erogare più di 3 milioni di prestazioni. Inoltre, aumenta le soglie per acquisto di prestazioni dal privato accreditato, oltre quanto già previsto dalla Legge di Bilancio 2024, mettendo sul piatto ulteriori € 184,5 milioni per i prossimi due anni (Tabella 1). Tale incremento è destinato prioritariamente alle prestazioni erogate dalle strutture (n. 54) dotate di pronto soccorso e inserite nella rete dell’emergenza-urgenza. «Un criterio – ha commentato il Presidente – che favorisce prevalentemente Lombardia (n. 24 strutture) e Lazio (n. 13 strutture), così come già accaduto con l’aumento del tetto per l’acquisto di prestazioni dal privato accreditato disposto dalla Legge di Bilancio 2024, parametrato alla spesa del 2011».
Altra misura degna di rilievo è l’indennità di risultato (≥ 30%) per direttori generali, sanitari, amministrativi, e direttori di struttura complessa delle Aziende sanitarie. «Una strategia sicuramente efficace – ha spiegato Cartabellotta – ma nell’impossibilità di “aggiustare” statisticamente il dato sull’appropriatezza delle prestazioni c’è il rischio, ben documentato in letteratura, di comportamenti opportunistici al fine di ottenere l’indennità di risultato».
Decreti attuativi e tempi di attuazione. Il DdL prevede 7 decreti attuativi e per 2 di loro non sono nemmeno stabiliti i termini di pubblicazione. «Un numero così elevato di decreti attuativi – commenta Cartabellotta – lascia molte perplessità sui tempi di attuazione delle misure. I tempi previsti per la pubblicazione dei decreti attuativi, rispetto alle loro finalità, sono troppo stretti considerati anche i ritardi già accumulati da quelli previsti dal DL 74/2024, di cui 6 sono già scaduti». Questo aumenta l’incertezza sui tempi di attuazione delle misure, perché tra valutazioni tecniche, passaggi burocratici tra Ministeri e attriti politici, dei decreti attuativi si perdono spesso le tracce, rendendo impossibile applicare le misure previste.
Aspetti finanziari. Tutte le misure previste sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica. Delle disposizioni 8 sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica, 2 a valere su risorse già stanziate (es. Fondo Sanitario Nazionale) e 3 a valere su misure compensative. «In attesa del testo della Legge di Bilancio 2025 – commenta Cartabellotta – il testo del DdL conferma la decisione del Governo di non investire ulteriori risorse in sanità».
Le proposte della Fondazione GIMBE. È urgente investire sul personale sanitario, sia per incrementare l’attrattività della carriera nel SSN, aumentando i salari e migliorando le condizioni di lavoro, sia in termini di valorizzazione professionale. Attualmente, il SSN sta affrontando una crisi del capitale umano senza precedenti che riguarda non solo la carenza di medici e, soprattutto, di infermieri ed altri professionisti sanitari, ma anche la loro motivazione personale, fortemente in calo dopo la pandemia. «Un’ulteriore pressione sui professionisti in servizio – afferma Cartabellotta – senza un adeguato ricambio generazionale e incentivi appropriati, rischia di far aumentare i fenomeni di fuga dal SSN, già in preoccupante crescita».
È essenziale superare la “visione prestazionistica” del SSN, per riportare al centro delle attività dell’organizzazione i bisogni di salute e la presa in carico dei pazienti, in particolare quelli cronici. Per farlo, è necessaria una governance più snella e una leale collaborazione tra Stato e Regioni, superando i numerosi attriti che spesso rallentano l’implementazione delle politiche sanitarie.
«Il disegno di legge – ha concluso Cartabellotta – integra il DL liste di attesa offrendo diversi strumenti per la governance nazionale. Tuttavia la sua attuazione appare troppo macchinosa, con tempi medio-lunghi, ostaggio di numerosi decreti attuativi e che richiedono la stretta collaborazione di Regioni e Aziende sanitarie. Il DdL 1241, di fatto, non introduce interventi efficaci per ridurre la domanda inappropriata mentre, sul fronte del potenziamento dell’offerta, ad invarianza di risorse punta esclusivamente su specialisti ambulatoriali convenzionati e privato accreditato, oltre che su contratti flessibili. Scelta imposta dalla necessità di tamponare l’emergenza in assenza di investimenti mirati, per i quali sarà necessario attendere il testo della Legge di Bilancio 2025: senza risorse dedicate saremo ancora una volta di fronte a un’occasione mancata. Perché se aumentare le risorse senza riforme rischia di alimentare sprechi e inefficienze, le riforme senza risorse rimangono inevitabilmente scatole vuote».
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8 ottobre 2024
7° Rapporto GIMBE Sanità pubblica emergenza del paese: grave crisi del personale, frattura Nord-Sud, boom della spesa delle famiglie (+10,3%), 4,5 milioni di persone rinunciano alle cure, crolla la spesa per la prevenzione (-18,6%). Spesa sanitaria pubblica: gap di € 52,4 miliardi con la media dei paesi UE, ma la percentuale di Pil scende al 6,2% dal 2026. Da GIMBE il Piano di Rilancio del Servizio Sanitario Nazionale e la richiesta di un patto politico e sociale
«Il Rapporto che la Fondazione GIMBE pubblica periodicamente rappresenta un prezioso spaccato di analisi sulle condizioni e i problemi della sanità in Italia. L’edizione di quest’anno, dedicata alle criticità del sistema sanitario, acquisisce un interesse particolare, ponendosi come sollecitazione all’applicazione dei principi di universalità e uguaglianza sanciti dalla Costituzione. Il Servizio Sanitario Nazionale costituisce, infatti, una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto, naturalmente, delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni. Per garantire livelli sempre più elevati di qualità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, è necessaria la costante adozione di misure sinergiche da parte di tutti gli attori coinvolti». Lo afferma il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato in occasione della presentazione - presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica - del 7° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
«Dati, narrative e sondaggi di popolazione – esordisce Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio Sanitario Nazionale». Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di € 889 rispetto alla media dei paesi OCSE membri dell’Unione Europea, con un gap complessivo che sfiora i € 52,4 miliardi; la crisi motivazionale del personale che abbandona il SSN; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%); quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici; le inaccettabili diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati «dimostrano – continua Cartabellotta – che la tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno, che i princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate».
Definanziamento cronico. «La grave crisi di sostenibilità del SSN – afferma Cartabellotta – è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante: hanno scelto di ridurre il perimetro della tutela pubblica per aumentare i sussidi individuali, con l’obiettivo di mantenere il consenso elettorale, ignorando deliberatamente che qualche decina di euro in più in busta paga non compensano certo le centinaia di euro da sborsare per un accertamento diagnostico o una visita specialistica». Il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di € 28,4 miliardi, in media € 2 miliardi per anno (figura 1), ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre € 37 miliardi tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato di ben € 11,6 miliardi, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia COVID-19, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del SSN né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci. Per gli anni 2023-2024 il FSN è aumentato di € 8.653 milioni: tuttavia, nel 2023 € 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre € 2.400 milioni sono destinati ai doverosi rinnovi contrattuali del personale. Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità: infatti, secondo il Piano Strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Consiglio dei Ministri, il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027 (tabella 1). A fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Piano Strutturale di Bilancio stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo. «Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano il continuo e progressivo definanziamento del SSN che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei Governi precedenti».
Crescita del peso sulle famiglie. Rispetto al 2022, nel 2023 i dati ISTAT (tabella 2) documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+€ 4.286 milioni) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+€ 3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+€ 553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-€ 73 milioni). «Le persone – spiega Cartabellotta – sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari. Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del SSN solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura totale come quella offerta dal SSN». La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+€ 5.326 in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+€ 3.806 milioni) in un solo anno (figura 2). «Una cifra enorme – commenta il Presidente – e largamente sottostimata, in quanto arginata da vari fenomeni: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, la rinuncia alle cure». Infatti, secondo l’ISTAT nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.
Crolla la spesa per la prevenzione. Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben € 1.933 milioni (-18,6%). «Tenendo conto che la prevenzione – commenta Cartabellotta – è la “sorella povera” del SSN, al quale viene allocato circa il 6% del finanziamento pubblico, tale riduzione rappresenta un’ulteriore spia del sotto-finanziamento che, inevitabilmente, costringe Regioni e Aziende sanitarie a sottrarre risorse ad un settore sì fondamentale, ma considerato differibile. Ma tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo».
Crisi del personale sanitario. «La sanità pubblica – commenta Cartabellotta – sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti: inizialmente dovuta al definanziamento del SSN e ad errori di programmazione, oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il SSN. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno». I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del SSN: secondo la Fondazione ONAOSI, tra il 2019 e il 2022 il SSN ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e ANAAO-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti (figura 3), un dato superiore alla media OCSE (3,7), ma sta sperimentando il progressivo abbandono del SSN e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia. «Ma la vera crisi – continua il Presidente – riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al Corso di Laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati». Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti (figura 4), l’Italia è ben al di sotto della media OCSE (9,8), collocandosi tra i paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze Infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100.000 abitanti (figura 5), rispetto ad una media OCSE di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica prima solo del Lussemburgo e della Colombia. Per l’Anno Accademico 2024-2025 sono state presentate 21.250 domande per il Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche a fronte di 20.435 posti, un dato che dimostra la mancata attrattività di questa professione.
Livelli Essenziali di Assistenza e divario Nord-Sud. Rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket – nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud (figura 6): Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda. «Siamo di fronte – commenta Cartabellotta – ad una vera e propria frattura strutturale Nord-Sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute. A questo quadro si aggiunge la legge sull’autonomia differenziata, che affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone».
Mobilità sanitaria e conseguenze economiche. Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a € 10,96 miliardi (figura 7). «L'aumento della migrazione sanitaria ha effetti economici devastanti non solo sulle famiglie – aggiunge Cartabellotta – ma anche sui bilanci delle Regioni del Mezzogiorno, che risultano ulteriormente impoverite».
Stato di avanzamento del PNRR. Al 30 giugno 2024 sono stati raggiunti i target europei che condizionano il pagamento delle rate all’Italia. «Tuttavia, effettuata la “messa a terra” dei progetti – spiega il Presidente – la loro attuazione già risente delle diseguaglianze regionali, in particolare tra Nord e Sud del Paese». I risultati preliminari del 4° Monitoraggio Agenas sul DM 77/2022 documentano che, al 30 giugno 2024 sono stati dichiarati attivi dalle Regioni il 19% delle Case di Comunità (268 su 1.421) (tabella 3), il 59% delle Centrali Operative Territoriali (362 su 611) (tabella 4) e il 13% degli Ospedali di Comunità (56 su 429) (tabella 5), con ritardi particolarmente marcati nel Mezzogiorno. Il target intermedio sulla percentuale di over 65 in assistenza domiciliare è stato raggiunto a livello nazionale e in tutte le Regioni tranne che in tre Regioni del Sud. Al 31 luglio 2024 sono stati realizzati il 52% dei posti letto di terapia intensiva (figura 8) e il 50% di quelli di terapia sub-intensiva (figura 9), con nette differenze regionali. «La Missione Salute del PNRR – chiosa Cartabellotta - è una grande opportunità, che rischia di essere vanificata se non integrata in un piano di rafforzamento complessivo della sanità pubblica: non può e non deve diventare una costosa “stampella” per sorreggere un SSN claudicante. Peraltro, la legge sull’autonomia differenziata va “in direzione ostinata e contraria” agli obiettivi dell’intero PNRR che prevedono di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali. Così facendo, non solo si tradiscono le finalità del PNRR, ma si indebitano le future generazioni per aggravare ulteriormente le disparità nell’accesso alle cure tra Nord e Sud».
«Perdere il SSN – conclude Cartabellotta – non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. È per questo che la Fondazione GIMBE ha aggiornato il Piano di Rilancio del SSN: un programma chiaro in 13 punti che prescrive la terapia necessaria a salvare il nostro SSN “malato”. Un piano che ha come bussola l’articolo 32 della Costituzione e il rispetto dei princìpi fondanti del SSN e mette nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione GIMBE invoca un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi, riconoscendo nel SSN un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell’Italia. Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del SSN, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune».
Versione integrale del 7° Rapporto GIMBE: www.salviamo-ssn.it/7-rapporto
Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: www.salviamo-ssn.it/Messaggio_Presidente_Mattarella
Piano di Rilancio del SSN: www.salviamo-ssn.it/salviamo-ssn/piano-di-rilancio
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19 settembre 2024
Tempi di attesa per le prestazioni ambulatoriali: Regioni ben lontane dalla trasparenza. Analisi GIMBE: solo 6 al top, al Sud si distingue la Puglia. Servono dati più chiari per migliorare il rapporto tra cittadini e Servizio Sanitario Nazionale
Sono notevoli le differenze tra le Regioni nella rendicontazione dei tempi di attesa sulle prestazioni ambulatoriali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Soltanto 6 Regioni svettano per la trasparenza e completezza delle informazioni sui tempi di attesa per le prestazioni sanitarie e il Sud si rivela in difficoltà: la Puglia è l’unica Regione “promossa” nel Mezzogiorno. È il risultato di un’analisi della Fondazione GIMBE, presentata oggi a Bari in occasione del Forum Mediterraneo Sanità, su completezza e trasparenza delle informazioni presenti nei siti web di Regioni e Province autonome e sulla semplicità e accessibilità delle modalità di prenotazioni nei siti CUP regionali.
«I tempi di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono oggi il sintomo più grave ed evidente della crisi organizzativa e professionale del SSN. Questo crea pesanti disagi per i pazienti, peggiora gli esiti di salute e fa lievitare la spesa privata, che impoverisce le famiglie e può portare anche a rinunciare alle cure. Ma, paradossalmente, a fronte della rilevanza del problema, non esiste una rendicontazione pubblica completa e trasparente sui tempi di attesa».
Il recente DL Liste di attesa ha previsto l’istituzione, presso l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), della Piattaforma Nazionale per le Liste d’Attesa per monitorare in modo rigoroso, analitico e uniforme i tempi di attesa per le prestazioni sanitarie in tutte le Regioni italiane. «La piattaforma – spiega Cartabellotta – rappresenta l’unica vera novità del decreto, ma la sua realizzazione dipende strettamente dall’eterogeneità e dalla trasparenza delle piattaforme regionali sulle liste di attesa e, ancor prima, dalla pubblicazione di linee guida nazionali che devono ancora essere definite da un decreto attuativo».
Il Piano Nazionale di Gestione delle Liste di Attesa (PNGLA) 2019-2021 aveva già previsto che i siti web regionali e aziendali pubblicassero informazioni sui tempi di attesa. Tuttavia, solo il 25 gennaio 2024 è stato siglato l’accordo Stato-Regioni sulle linee di indirizzo “Requisiti e monitoraggio delle sezioni dedicate ai tempi e alle liste di attesa sui siti web di Regioni, Province Autonome e Aziende Sanitarie” che stabilisce le modalità per rendere queste informazioni accessibili ai cittadini.
«In attesa del monitoraggio ufficiale del Ministero della Salute – continua il Presidente – la Fondazione GIMBE ha scattato una prima istantanea sulla completezza e trasparenza dei dati pubblicati da Regioni e Province autonome relativi al monitoraggio ex-ante dei tempi di attesa, che rileva in un determinato periodo la differenza in giorni tra data di prenotazione e data assegnata per l’erogazione della prestazione. L’obiettivo dell’analisi non è quello di creare una “classifica” tra le Regioni, bensì di identificare le aree di miglioramento dei loro portali web con l’obiettivo di renderli davvero trasparenti e fruibili per i cittadini». È stata inoltre effettuata una mappatura dei portali regionali di prenotazione delle prestazioni, confrontando le opzioni di accesso fornite ai cittadini.
METODI. A partire dai requisiti elaborati dal Ministero della Salute sul monitoraggio ex-ante delle prestazioni, è stato definito un set standardizzato di indicatori e ne è stata verificata la disponibilità sui siti web di Regioni e Province autonome. I portali regionali unici sui tempi di attesa sono stati individuati navigando i siti delle Regioni e Province autonome e, in caso di mancato reperimento, è stata effettuata una verifica tramite motori di ricerca online. I portali CUP di prenotazione delle Regioni e Province autonome sono stati individuati tramite i motori di ricerca online e sono state analizzate le modalità di accesso per i cittadini riportando quelle che richiedono il minor numero di passaggi o autenticazioni. Tutte le valutazioni sono state effettuate da due osservatori indipendenti, risolvendo eventuali discordanze tramite consenso.
RISULTATI: Monitoraggio ex-ante. «La disponibilità di informazioni aggiornate e dettagliate sul monitoraggio ex-ante in un portale regionale unico – spiega Cartabellotta – è un elemento essenziale di trasparenza per cittadini e ricercatori». Diverse sono le dimensioni analizzate: modalità di visualizzazione dei dati (aggregati a livello regionale e/o per singola Azienda sanitaria), numero di prestazioni monitorate, tempo di attesa medio, percentuale di rispetto dei tempi previsti per ciascuna classe di priorità (Breve, Differibile, Programmata), possibilità di confrontare le performance tra Aziende sanitarie.
«La nostra analisi – continua il Presidente – restituisce un quadro molto eterogeneo dei dati pubblicati online. In particolare, solo 6 Regioni rispettano tutte le dimensioni oggetto di valutazione: Provincia autonoma di Bolzano, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto». In dettaglio, sono state escluse dall’analisi 7 Regioni:
- Basilicata, Campania e Lombardia perché non dispongono di un portale unico con i dati del monitoraggio ex-ante, ma rimandano ai siti delle singole Aziende sanitarie;
- Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento e Sicilia in quanto, pur avendo un portale regionale unico, per il monitoraggio ex-ante riportano solo il dato storico (antecedente al 31 dicembre 2023).
Per le 13 Regioni e la Provincia Autonoma di Bolzano che dispongono del portale unico è stata verificata la disponibilità dei seguenti indicatori (tabella 1):
- Visualizzazione dati (totale regionale e/o per singole Aziende sanitarie):
- Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, Umbria e Veneto riportano sia i dati aggregati a livello regionale che i valori per le singole Aziende sanitarie;
- Calabria, Piemonte e Toscana riportano i dati solo per le singole Aziende sanitarie senza i valori aggregati regionali;
- Marche e Sardegna riportano i dati solo come aggregati regionali senza riportare quelli delle singole Aziende sanitarie;
- Provincia Autonoma di Bolzano, Molise e Valle d’Aosta: non è applicabile il criterio di valutazione in quanto è presente una sola Azienda sanitaria.
La presenza della visualizzazione dati per singola Azienda sanitaria (con presenza o meno anche del dato aggregato a livello regionale) è stata valutata positivamente, mentre la disponibilità del solo dato aggregato regionale è stata giudicata insufficiente perchè non consente di conoscere i tempi di attesa per le singole Aziende sanitarie.
- Numero di prestazioni monitorate: tutte le Regioni, eccetto Calabria e Molise, riportano il numero di prestazioni monitorate sulle quali è stato calcolato il tempo di attesa (TDA) medio o mediano e/o la percentuale di rispetto del TDA.
- TDA medio (rapporto tra la somma dei singoli tempi di attesa e il n° di prestazioni monitorate) o mediano e percentuale di rispetto del TDA (n° di prestazioni che rispettano il TDA sul totale delle prestazioni monitorate):
- Molise, Provincia autonoma di Bolzano, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto riportano entrambi i dati;
- Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche e Piemonte riportano solo la percentuale di rispetto del TDA, ma non il TDA medio;
- la Calabria riporta solo il TDA medio e non la percentuale di rispetto del TDA.
- Classe di priorità: Solo Calabria, Emilia-Romagna e Molise non riportano il dato suddiviso per classe di priorità (Breve, Differibile, Programmata).
- Confronto tra le Aziende sanitarie: Calabria, Lazio e Marche non offrono la possibilità di confrontare le performance tra le Aziende sanitarie; per la Provincia autonoma di Bolzano, il Molise e la Valle d’Aosta non è applicabile il criterio di valutazione in quanto è presente una sola Azienda sanitaria.
RISULTATI: Modalità di accesso alla prenotazione. Per accedere ai portali di prenotazione le Regioni utilizzano diversi sistemi di autenticazione, come SPID, carta d'identità elettronica o tessera sanitaria e codice fiscale. Tuttavia, alcune Regioni, come il Friuli Venezia Giulia e la Basilicata, permettono di consultare i tempi di attesa senza necessità di autenticazione, semplificando ulteriormente l'accesso a questa informazione per i cittadini. La Regione Molise è l’unica a non disporre di un portale web regionale per la prenotazione, ma rende disponibile ai cittadini solo una app per smartphone. Complessivamente il quadro risulta molto variegato con opzioni differenti di accesso per cittadini e pazienti (tabella 2).
«La valutazione dei siti web delle Regioni sul monitoraggio ex-ante dei tempi di attesa – conclude Cartabellotta – evidenzia una situazione molto variegata con rilevanti margini di miglioramento. Su questo fronte, in attesa della Piattaforma Nazionale, per numerose Regioni la trasparenza è ancora un lontano miraggio: solo 6 su 21 offrono infatti tutte le informazioni oggetto di valutazione. Eppure la trasparenza è fondamentale per permettere ai cittadini di comprendere appieno la gestione della sanità nella propria Regione: dati chiari sui tempi di attesa, classi di priorità e confronti tra Aziende sanitarie sono elementi essenziali per facilitare scelte consapevoli e rafforzare la fiducia nei servizi offerti. I cittadini hanno il diritto di conoscere le prestazioni monitorate, i tempi medi di attesa e se la propria Regione rispetta gli standard stabiliti. Inoltre è fondamentale che le modalità di prenotazione siano semplici e accessibili. Solo con una totale trasparenza e una maggiore accessibilità si può migliorare il rapporto tra cittadini e servizio sanitario, garantendo un accesso rapido e informato alle cure».
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3 settembre 2024
Spesa sanitaria pubblica 2023: Italia al 6,2% del Pil, ben al di sotto della media OCSE del 6,9%. Per spesa pro-capite siamo solo al 16° posto in Europa con un gap di € 47,6 miliardi. Ultima posizione tra i paesi del G7. Verso la manovra 2025: la sanità pubblica è un’emergenza nazionale, il governo accolga gli appelli
Nel 2023 l’Italia per spesa sanitaria pubblica pro-capite si colloca solo al 16° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. La spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,2% del PIL, percentuale inferiore sia rispetto alla media OCSE del 6,9%, sia rispetto alla media europea del 6,8%.
«Il tema del finanziamento pubblico per la sanità – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – infiamma il dibattito politico da oltre un anno, coinvolgendo aule parlamentari e consigli regionali, vista l’enorme difficoltà di tutte le Regioni a garantire i livelli essenziali di assistenza e un’offerta adeguata di servizi e prestazioni sanitarie. E, secondo indagini e sondaggi condotti sulla popolazione, la sanità è diventata per tutti una priorità assoluta perché la vita quotidiana delle persone è sempre più gravata da vari problemi: interminabili tempi di attesa per visite ed esami, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure».
A fronte di un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) sempre più in affanno nel garantire il diritto alla tutela della salute si sono moltiplicati i segnali istituzionali: la Corte dei Conti, la Corte Costituzionale e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio rilevano continuamente il sottofinanziamento del SSN e ben 5 Regioni e successivamente anche le opposizioni hanno presentato disegni di legge per aumentare il finanziamento pubblico almeno al 7% del PIL. Anche lo stesso Ministro Schillaci ha recentemente dichiarato che il 7% del PIL è il livello minimo sul quale attestarsi per il finanziamento della sanità pubblica.
In vista della discussione sulla Legge di Bilancio 2025, la Fondazione GIMBE ha analizzato la spesa sanitaria pubblica 2023 nei paesi dell’OCSE al fine di fornire dati oggettivi per il confronto politico e il dibattito pubblico e prevenire ogni forma strumentalizzazione.
La fonte utilizzata è il dataset OECD Health Statistics, aggiornato al 23 luglio 2024, che riporta i dati 2023 per poco meno della metà dei paesi dell’area OCSE e quelli 2022 per i restanti paesi. Sono stati analizzati i dati relativi alla spesa sanitaria pubblica, sia in percentuale del PIL, che in $ pro-capite a prezzi correnti e parità di potere d’acquisto. Utile ricordare che la spesa sanitaria pubblica per ciascun paese include vari schemi di finanziamento, di cui uno di solito prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera).
Spesa sanitaria pubblica in percentuale del PIL. Nel 2023 in Italia la spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,2% del PIL, un valore ben al di sotto sia della media OCSE del 6,9% che della media europea del 6,8%. Sono 15 i paesi europei dell’area OCSE che investono una percentuale del PIL maggiore dell’Italia, con un gap che va dai +3,9 punti percentuali della Germania (10,1% del PIL) ai +0,6 della Norvegia (6,8% del PIL) (figura 1).
Spesa sanitaria pubblica pro-capite. In Italia nel 2023 la spesa sanitaria pubblica pro-capite è pari a $ 3.574, ben al di sotto sia della media OCSE ($ 4.174) con una differenza di $ 600, sia soprattutto della media dei paesi europei dell’area OCSE ($ 4.470) con una differenza di $ 896. In Europa ben 15 paesi investono più del nostro, con un gap che va dai +$ 410 della Repubblica Ceca ($ 3.984) ai +$ 3.825 della Norvegia ($ 7.399) (figura 2). «Di fatto in Europa – commenta il Presidente – siamo primi tra i paesi poveri, davanti solo a Spagna, Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est, esclusa la Repubblica Ceca». Dal 2010, per tagli e definanziamenti effettuati da tutti i Governi, la distanza con i paesi europei è progressivamente aumentata sino a raggiungere $ 623 nel 2019. Poi il gap si è ulteriormente ampliato, sia negli anni della pandemia quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia, sia nel 2023 perché di fatto la nostra spesa sanitaria è rimasta stabile (figura 3). «Al cambio corrente dollaro/euro – precisa Cartabellotta – il gap con la media dei paesi europei nel 2023 raggiunge € 807 pro-capite che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2024 di quasi 59 milioni di abitanti, si traduce nell’esorbitante cifra di oltre € 47,6 miliardi».
Spesa sanitaria pubblica pro-capite: confronto con i paesi del G7. «Il trend della spesa sanitaria pubblica pro-capite 2008-2023 – commenta Cartabellotta – restituisce un quadro impietoso: l’Italia è stata sempre ultima tra i paesi del G7; ma se nel 2008 le differenze con gli altri paesi erano modeste, con il costante definanziamento degli ultimi 15 anni sono divenute ormai incolmabili» (figura 4). Infatti, già nel 2008, quando tutti i Paesi del G7 avevano una spesa pubblica pro-capite compresa tra $ 2.250 e $ 3.500, l’Italia era fanalino di coda insieme al Giappone; nel 2023, mentre l’Italia rimane ultima con una spesa pro-capite di $ 3.574, la Germania l’ha più che doppiata raggiungendo i $ 7.253. Inoltre, commenta il Presidente «anche tra il 2019 e il 2023, quando tutti i Paesi del G7 hanno aumentato la spesa pubblica pro-capite per fronteggiare la pandemia, l’Italia ha investito molto meno, rimanendo penultima poco sopra il Giappone». Infatti, nel 2023 rispetto al 2019, la spesa sanitaria pubblica pro-capite italiana è cresciuta di soli $ 772 rispetto ai $ 1.280 della Francia, ai $ 1.329 del Regno Unito ed ai $ 1.511 della Germania (tabella 1). «Numeri – chiosa Cartabellotta – che rendono imbarazzante il confronto con gli altri paesi che siederanno al G7 Salute in programma ad Ancona, occasione irripetibile per avviare politiche più coraggiose per rilanciare la sanità pubblica. Ripartendo proprio dal divario attuale con i paesi europei e quelli del G7, conseguenza di 15 anni di tagli e investimenti insufficienti, che non hanno tenuto conto che il grado di salute e benessere della popolazione condiziona anche la crescita del PIL. Ovvero che la sanità pubblica è una priorità su cui investire continuamente e non un costo da tagliare ripetutamente».
«Considerato che dati, narrative e indagini di popolazione – conclude Cartabellotta – documentano all’unisono che oggi la sanità pubblica è la vera emergenza del Paese, la Fondazione GIMBE chiede all’Esecutivo un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico per la sanità, oltre che coraggiose riforme di sistema per garantire a tutti la tutela della salute, un diritto costituzionale fondamentale e inalienabile. La politica deve avere ben chiaro che la perdita di un SSN pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e fondato su princìpi di universalità, eguaglianza ed equità, determinerebbe un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti. E senza una rapida inversione di rotta, da tracciare nella Legge di Bilancio 2025, siamo destinati a rinunciare silenziosamente al diritto alla tutela della salute, già compromesso per le fasce socio-economiche più deboli, per anziani fragili e nel Mezzogiorno. E scivoleremo inesorabilmente da un Servizio Sanitario Nazionale fondato per garantire un diritto costituzionale a tutte le persone, a 21 Sistemi Sanitari Regionali regolati dalle leggi del libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative».
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25 2024
PNRR Missione Salute, al 2° trimestre 2024 raggiunta l’unica scadenza europea: 2.700 borse di studio per i MMG. Ma senza dati impossibile sapere se siano realmente aggiuntive rispetto alle borse ordinarie. Slitta il target nazionale sul Fascicolo Sanitario Elettronico
«Al 30 giugno 2024 – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’unica scadenza europea della missione Salute del PNRR, che condiziona il pagamento delle rate, è stata rispettata». Continua l’attività di monitoraggio indipendente dello status di avanzamento delle riforme dell’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale, che mira a fornire un quadro oggettivo sui risultati raggiunti, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche.
Il monitoraggio, oltre allo status di avanzamento, analizza le criticità conseguenti alla rimodulazione delle scadenze e all’esecuzione delle attività previste.
STATO DI AVANZAMENTO AL 30 GIUGNO 2024. Secondo i dati resi pubblici il 23 luglio 2024 sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:
- Milestone e target europei: al 30 giugno 2024 è stata raggiunta l’unica scadenza prevista, relativa all’assegnazione di 2.700 borse di studio aggiuntive per corsi specifici di medicina generale, che garantiranno il completamento di tre cicli di apprendimento triennali.
- Milestone e target nazionali: «Anche se non condizionano l’erogazione dei fondi del PNRR – spiega Cartabellotta – questi step intermedi richiedono un attento monitoraggio perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee». Al 30 giugno 2024 sono stati raggiunti tutti i target previsti nel 2021, 2022 e 2023, ad eccezione del target “Stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell’assistenza primaria” che era già stato differito dal 30 giugno 2023 al 31 dicembre 2024 (+ 18 mesi). Relativamente al 2024, il target “Realizzazione, implementazione e messa in funzione delle componenti architetturali che garantiscono l’interoperabilità nazionale di documenti e dati sanitari all’interno del Fascicolo sanitario elettronico” è slittato dal 30 giugno al 31 dicembre 2024 (+ 6 mesi). È stato invece stato raggiunto con un anticipo di 6 mesi il target “Pubblicazione di una procedura di selezione biennale per l'assegnazione di voucher per progetti PoC (Proof of Concept) e stipula di convenzioni, progetti di ricerca su tumori e malattie rare e progetti di ricerca ad alto impatto sulla salute” fissato al 31 dicembre 2024.
CRITICITÀ. «Sul raggiungimento del target europeo per l’assegnazione di 2.700 borse di studio aggiuntive per la medicina generale – segnala il Presidente – se è certo che 900 borse annuali finanziate dal PNRR sono state assegnate raggiungendo così il target, in assenza di una rendicontazione pubblica del totale delle borse di studio ordinarie è impossibile verificare se le borse PNRR siano realmente “aggiuntive”».
«Formalmente – conclude Cartabellotta – al 30 giugno 2024 le scadenze europee sul PNRR che condizionano il pagamento delle rate sono state tutte rispettate. Tuttavia, commenta il Presidente «effettuata la “messa a terra” della Missione Salute, il rispetto delle scadenze successive sarà condizionato soprattutto dalle criticità di attuazione del DM 77 nei 21 servizi sanitari regionali, legate sia alle figure chiave del personale sanitario coinvolte nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale, sia alle rilevanti differenze regionali di partenza. In tal senso, il primo banco di prova è al 31 dicembre 2024 quando dovranno essere “pienamente funzionanti” almeno 480 Centrali Operative Territoriali».
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18 2024
Cure essenziali 2022, le pagelle del Ministero della Salute: promosse solo 13 regioni. Emilia-Romagna in vetta, al sud passano solo Puglia e Basilicata. Peggiorano le performance in 10 regioni e aumentano i divari tra nord e sud del Paese. La legge sull’autonomia differenziata compromette l’uguaglianza in sanità
Nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: la Puglia e la Basilicata uniche promosse al Sud, ma in posizioni di coda. In 10 Regioni le performance peggiorano rispetto al 2021.
Sono i dati del Ministero della Salute che, come ogni anno, valuta l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero delle prestazioni sanitarie che tutte le Regioni e Province Autonome devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE– che identifica quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali bocciate (inadempienti)». Le Regioni inadempienti vengono sottoposte ai Piani di rientro, uno specifico affiancamento da parte del Ministero della Salute che nelle situazioni più critiche può arrivare sino al commissariamento della Regione.
Dal 2020 la “Griglia LEA” è stata sostituita da 22 indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. In ogni area le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree; invece, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area, la Regione risulta inadempiente. «Se nel 2020 e nel 2021, segnati dall’emergenza pandemica, il monitoraggio ha avuto solo un ruolo informativo – precisa il Presidente – nel 2022 per la prima volta i risultati degli indicatori CORE vengono utilizzati a scopo valutativo».
A seguito della recente pubblicazione della Relazione 2022 del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, «la Fondazione GIMBE – spiega il Presidente – ha effettuato alcune analisi per stimare l’entità dell’attuale frattura Nord-Sud nel garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute anche alla luce della recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata».
Adempimenti LEA 2022. Rispetto al 2021 le Regioni adempienti nel 2022 scendono da 14 a 13: Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2021 al 2022 nessuna Regione passa da inadempiente ad adempiente, mentre l’Abruzzo diventa inadempiente per il punteggio insufficiente nell’area della prevenzione. Rimangono inadempienti 7 Regioni: Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano con un punteggio insufficiente in una sola area; Calabria, Sardegna e Sicilia con un punteggio insufficiente in due aree; Valle D’Aosta insufficiente in tutte le tre aree (tabella 1).
«Nel 2022 – commenta il Presidente – aumenta il gap Nord-Sud, visto che solo Puglia e Basilicata si trovano tra le 13 Regioni adempienti, collocandosi rispettivamente in terzultima e in ultima posizione tra quelle “promosse”».
Considerato che il Ministero della Salute non sintetizza in un punteggio unico la valutazione degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province Autonome sommando gli score ottenuti nelle tre aree; i risultati sono riportati in ordine decrescente di punteggio totale e suddivisi in quartili.
«Rispetto al semplice status di adempiente o inadempiente – commenta Cartabellotta – il punteggio totale mostra ancora più chiaramente l’entità del gap Nord-Sud: infatti, ai primi 10 posti si trovano 6 Regioni del Nord, 4 del Centro e nessuna del Sud, mentre nelle ultime 7 posizioni – fatta eccezione per la Valle D’Aosta – si collocano solo Regioni del Mezzogiorno».
Variazioni 2021-2022. La Fondazione GIMBE ha analizzato le differenze tra gli adempimenti 2021 e quelli 2022, misurando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali sui tre macro-livelli assistenziali. Nel 2022 quasi la metà delle Regioni ha performance inferiori al 2021, seppure con gap di entità notevolmente diversa: Umbria (-0,03), Sardegna (-3,57), Campania (-4,47), Liguria (-6,86), Lazio (-8,06), Marche (-14,7), Molise (-17,48), Friuli Venezia Giulia (-23,13), Calabria (-24,74), Abruzzo (-30,86).
«Anche questo dato – commenta il Presidente – conferma l’aumento del divario Nord-Sud: infatti, fatta eccezione per Liguria e Friuli-Venezia Giulia, tutte le Regioni in cui si rilevano riduzioni dei punteggi totali si trovano al Centro o al Sud del Paese».
Nel 2022 a livello nazionale si rileva un miglioramento nell’area ospedaliera (+90 punti), un lieve peggioramento per l’area distrettuale (-12 punti) e un netto peggioramento nell’area della prevenzione (-146 punti); complessivamente le tre aree perdono 68 punti rispetto al 2021.
«Gli indicatori più critici dell’area prevenzione – spiega il Presidente – riguardano gli screening oncologici, in particolare nelle Regioni del Sud, e le coperture vaccinali in età pediatrica su cui potrebbe aver inciso il passaggio alla fonte informativa dell’Anagrafe Vaccinale Nazionale».
«Il monitoraggio del Ministero della Salute 2022 sulle cure essenziali – conclude Cartabellotta – conferma che la frattura strutturale tra Nord e Sud del Paese non solo non accenna a ridursi, ma addirittura si amplia sia con l’Abruzzo che diventa inadempiente, sia per riduzione dei punteggi LEA nella maggior parte delle Regioni del Mezzogiorno. Proprio nel momento in cui entra in vigore la legge sull’autonomia differenziata che in materia di salute non ha ritenuto necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in quanto esistono già i LEA. Considerato che i dati sull’esigibilità dei LEA, oltre a segnare un peggioramento complessivo rispetto al 2021, confermano anche per l’anno 2022 un enorme gap Nord-Sud, è evidente che senza definire, finanziare e garantire i LEP anche in sanità, le maggiori autonomie in sanità legittimeranno normativamente questa frattura, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto costituzionale alla tutela della salute».
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25 giugno 2024
Decreto Legge sulle liste d’attesa: nessun finanziamento aggiuntivo e tempi di realizzazione incerti. Ulteriore sovraccarico per il personale sanitario e nessuna misura per ridurre gli esami inutili. Audizione della Fondazione Gimbe al Senato.
«Il decreto legge sulle liste di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non prevede risorse aggiuntive e potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi con scadenze non sempre definite e tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici. Ancora, non include misure per ridurre la domanda inappropriata di esami diagnostici e visite specialistiche e punta, oltre che su attività ispettive e sanzioni, sul potenziamento dell’offerta di prestazioni sanitarie con ulteriore sovraccarico dei professionisti sanitari che hanno carichi di lavoro già inaccettabili». Queste le principali criticità emerse dall’analisi GIMBE del provvedimento dell’Esecutivo per la riduzione dei tempi d’attesa che, insieme ad azioni propositive, saranno illustrate in audizione oggi alle ore 14.30 presso la 10a Commissione del Senato.
CRITICITÀ RELATIVE ALL’IMPIANTO GENERALE DEL DL
Misure previste. I tempi di attesa aumentano a causa dello squilibrio tra l’offerta e la domanda di prestazioni sanitarie, di cui non tutte soddisfano reali bisogni di salute. Ovvero una quota di esami diagnostici e visite specialistiche è inappropriata: la loro esecuzione non apporta alcun beneficio in termini di salute e contribuisce ad “ingolfare” il sistema, lasciando indietro pazienti più gravi. «Tuttavia le misure previste dal DL – commenta Cartabellotta – prevedono solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta, una strategia perdente: come dimostrano numerosi studi, infatti, una volta esaurito il cosiddetto “effetto spugna” nel breve periodo, l’incremento dell’offerta induce sempre un ulteriore aumento della domanda». In tal senso, è indispensabile definire criteri di appropriatezza di esami e visite specialistiche e un piano di formazione sui professionisti e d’informazione sui pazienti, al fine di arginare la domanda inappropriata di prestazioni.
Decreti attuativi e tempi di attuazione. Il DL prevede almeno sette decreti attuativi e per quattro di loro (uno relativo alle “Disposizioni per l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie” e tre al “Superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario”) non sono nemmeno definiti i termini di pubblicazione. «Un numero così elevato di decreti attuativi – commenta Cartabellotta – oltre che in contrasto con il carattere di urgenza del provvedimento, lascia molte perplessità sui tempi di attuazione delle misure. Infatti, nonostante le rassicurazioni del Ministro Schillaci sul rispetto dei tempi, la storia insegna che, tra valutazioni tecniche, attriti politici e passaggi tra Camere e Ministeri, dei decreti attuativi si perdono spesso le tracce con la conseguente impossibilità di applicare le misure previste».
Aspetti finanziari. Il DL è frutto di un prolungato braccio di ferro tra il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze e tutte le misure previste sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto utilizzano risorse già stanziate, sottraendole ad altri capitoli di spesa. «È evidente – commenta Cartabellotta – che la versione definitiva del DL risente dell’impossibilità da parte del Governo di investire ulteriori risorse in sanità e che la scure del MEF ha fortemente ridimensionato gli obiettivi del Ministero della Salute, generando un provvedimento tanto perentorio nei termini e sovrabbondante nella forma, quanto povero di contenuti realmente efficaci per risolvere i problemi strutturali del SSN che generano il problema delle liste di attesa. D’altronde per superare il tetto di spesa per il personale sanitario sono necessarie risorse da investire e professionisti da assumere: le prime sono pari a zero e i secondi sono sempre meno. Anche se il DL pone le basi per conoscere meglio il fenomeno e prevede l’implementazione di varie misure, in larga parte già esistenti, la loro attuazione richiede tempo e soprattutto una stretta collaborazione di Regioni e Aziende sanitarie».
CRITICITÀ RELATIVE ALLE SINGOLE MISURE
Entrando nel merito delle misure previste dal DL, indubbiamente la Piattaforma Nazionale per le Liste d’Attesa permetterà di realizzare un monitoraggio rigoroso e analitico per le varie prestazioni sanitarie in tutte le Regioni con le stesse modalità. «Tale strumento – spiega Cartabellotta – rappresenta l’unica vera novità del DL, anche se la sua implementazione richiederà tempi medio-lunghi considerata l’estrema eterogeneità e la limitata trasparenza di numerosi sistemi informativi regionali sulle liste di attesa. Inoltre, al di là di una puntuale conoscenza di vari aspetti del fenomeno, il suo potenziale impatto sui tempi di attesa è difficilmente prevedibile, anche in considerazione dei poteri esclusivi delle Regioni sulla programmazione ed erogazione dei servizi sanitari».
«Lascia molto perplessi – continua il Presidente – l’istituzione di un Organismo di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria con l’obiettivo di rafforzare le attività del già esistente Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SIVeAS), a cui si aggiungono solo funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria che riconoscono all’Organismo la qualifica di agente di pubblica sicurezza». Tali perplessità derivano da almeno tre ragioni. Innanzitutto scientifiche: utilizzare strategie ispettive e sanzionatorie prevalenti rispetto a quelle premianti aumenta il rischio di effetto boomerang, come documentato dalla letteratura internazionale. In secondo luogo giuridiche: non è chiaro come applicare direttamente sanzioni e premialità nei confronti dei Direttori generali degli Assessorati regionali e delle Aziende sanitarie, viste le competenze esclusive delle Regioni in materia. Infine operative, visto che il volume delle segnalazioni di cittadini, enti locali e associazioni di categoria sarà indubbiamente enorme e i tempi di chiarimenti richiesti alle Regioni molto stretti. «Peraltro – chiosa Cartabellotta – tale Organismo avrà un costo di oltre € 2,65 milioni l’anno a carico del bilancio del Ministero della Salute».
«Potenzialmente molto rilevante – continua Cartabellotta – l’implementazione del sistema di prenotazione delle prestazioni sanitarie, visto che ad oggi non è nota la reale disponibilità di prestazioni sanitarie delle strutture pubbliche e private accreditate nelle singole Regioni. Si tratta, comunque, in larga parte di misure già previste da normative vigenti e mai implementate in maniera adeguata».
Il potenziamento dell’offerta di visite diagnostiche e specialistiche tramite l’estensione delle attività a sabato e domenica e prolungando le fasce orarie trova il principale ostacolo nella carenza di professionisti sanitari. «In particolare – chiosa il Presidente – se i professionisti sono sempre gli stessi e con carichi di lavoro già inaccettabili, come potranno mai erogare le prestazioni anche il sabato e la domenica, senza violare la direttiva UE sugli orari di riposo che prevede, oltre alle 11 ore al giorno, almeno un giorno intero (24 ore) di riposo a settimana?». Va peraltro ribadito che tale misura dispone di una copertura finanziaria solo per l’anno 2024, come previsto dall’ultima Legge di Bilancio.
Per incentivare tali attività viene introdotta un’aliquota unica al 15% sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario, ma è doveroso segnalare che tale defiscalizzazione viene interamente “scaricata” sul fabbisogno sanitario nazionale. «In particolare – precisa Cartabellotta – nel 2024 gli € 80 milioni necessari saranno recuperati dal fondo per i danneggiati da trasfusioni e vaccinazioni e da altri obiettivi nazionali. Dal 2025 gli oltre € 160 milioni verranno dalla corrispondente riduzione della spesa destinata al perseguimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale previsti dalla Legge di Bilancio 2024».
Il superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario viene rinviato al 2025 dopo la definizione da parte delle Regioni del fabbisogno di personale, secondo la nuova metodologia messa a punto da Agenas. «Peraltro il DL – precisa Cartabellotta – prevede almeno tre decreti attuativi senza definire alcuna scadenza temporale. Un accidentato percorso burocratico che rischia di generare ulteriori ritardi sulla priorità più urgente del SSN». Il DL salvaguarda comunque la retribuzione accessoria del personale sanitario preservando gli effetti del Decreto Calabria fino alla piena operatività della nuova metodologia di calcolo del fabbisogno.
Le misure per il potenziamento dell’offerta assistenziale e il rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale fanno riferimento a norme e finanziamenti già esistenti, ovvero quelli del Programma Nazionale Equità in Salute (PNES) che riguardano le Regioni del Mezzogiorno.
«Le interminabili liste d’attesa, fonte di grande disagio per cittadini e pazienti – conclude Cartabellotta –rappresentano il sintomo di un indebolimento organizzativo e soprattutto professionale che richiederebbero consistenti investimenti e coraggiose riforme. In tal senso, ricondurre tutti i problemi del SSN alle liste di attesa è estremamente semplicistico perché si continua a guardare al dito e non alla luna. Una sorta di “riduzione prestazionistica” del SSN dove l’importante è esigere/erogare una prestazione sanitaria in tempi brevi, e non importa se l’erogatore sia pubblico o privato. Dimenticando che quello che abbiamo perduto è la capacità del SSN di prendere in carico i pazienti, soprattutto quelli cronici, in primis quelli oncologici. Pazienti oggi costretti, come novelli Ulisse, a peregrinare tra diversi CUP, tra vari ospedali sino a Regioni diverse, nel disperato tentativo di prenotare una visita o un esame diagnostico, attività di cui un tempo si occupava il SSN seguendo il percorso diagnostico-terapeutico del malato. Ecco perché bisogna investire sul personale sanitario aumentando gli organici, e non stremare ulteriormente quello già in servizio, con il rischio di alimentare la fuga dei professionisti dal SSN».
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29 maggio 2024
Programma OMS “Scuole che Promuovono Salute”: in Italia hanno aderito solo 3 scuole su 5. Alfabetizzazione sanitaria: nessuna formazione al personale per quasi il 40% degli istituti scolastici. Nei programmi scolastici scarsa attenzione a salute mentale e prevenzione delle malattie infettive
La Fondazione GIMBE ha pubblicato il report “Scuole che Promuovono Salute: status di attuazione in Italia del programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” sulla partecipazione degli istituti scolastici italiani all’iniziativa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che mira a rendere la scuola un luogo che sostiene attivamente la salute e il benessere degli studenti. Lo studio è stato finanziato dalla Fondazione GIMBE con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” 2023 assegnata a Simone Salemme, medico neurologo dottorando presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
«In assenza di dati sistematici sull’attuazione del programma “Scuole che Promuovono Salute” (SPS) nelle scuole italiane, abbiamo realizzato una survey per raccogliere informazioni oggettive direttamente dai dirigenti scolastici» dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE.
METODI. Il questionario utilizzato dalla survey è stato tradotto e adattato dal manuale OMS per l’implementazione delle SPS, in collaborazione con la Fondazione ANP ETS. Tutti gli istituti scolastici italiani sono stati invitati a partecipare alla survey, che è stata realizzata da luglio a dicembre 2023.
RISULTATI. All’indagine hanno partecipato 493 scuole italiane, da 20 Regioni e 101 Province. Il campione è rappresentativo al livello nazionale con un margine di errore del ±4,4%. Delle 493 scuole rispondenti, il 51,7% sono istituti comprensivi, il 40,6% scuole secondarie di 2° grado, il 4,7% direzioni didattiche e il 3% scuole secondarie di 1° grado.
- Conoscenza del programma OMS “Scuole che Promuovono Salute”. La quasi totalità delle scuole (95,8%) afferma che il proprio programma scolastico promuove un consumo e un ambiente sostenibili, ma solo il 61,9% ha aderito al programma dell’OMS ovvero poco più di 3 scuole su 5. E tra queste il 25% circa, nonostante la formale adesione, non possiede o non è a conoscenza di un piano dedicato al programma stesso. «Ci sono ampi margini di miglioramento – afferma Cartabellotta – ed è essenziale che tutte le scuole sviluppino e implementino piani completi e ricevano il supporto necessario per creare ambienti di apprendimento sicuri e sostenibili. Solo così possiamo garantire un futuro migliore e più sano ai nostri studenti».
- Governance e leadership scolastica. Il 98% ha riportato di ricevere sostegno e promozione del programma da parte del dirigente e dei suoi collaboratori, «a dimostrazione del fatto – sottolinea il Presidente – che l’implementazione di successo del programma SPS è strettamente dipendente dal commitment dei dirigenti scolastici».
- Alfabetizzazione sanitaria. In quasi il 40% delle scuole non è prevista formazione del personale e supporto all’alfabetizzazione sanitaria: «L’assenza di investimenti – commenta Cartabellotta – per la formazione del personale scolastico sui temi dell’alfabetizzazione sanitaria rappresentano un ostacolo rilevante per l’implementazione delle SPS».
- Programma scolastico. La ricerca evidenzia che solo il 60,8% degli istituti monitora regolarmente l’attuazione del programma scolastico portato avanti con il fine di sostenere la salute e il benessere. Tra i temi più trattati da oltre il 70% delle scuole ci sono: prevenzione di violenza, bullismo e cyberbullismo, educazione alimentare, educazione fisica, life skills. In due scuole su tre viene approfondita anche la dipendenza da internet e videogame. «Da rilevare – puntualizza Cartabellotta – che tutti i temi sono risultati più frequentemente trattati negli istituti aderenti al programma SPS rispetto a quelli non aderenti. Ma alcuni argomenti rilevanti, quali salute mentale e prevenzione delle malattie infettive, sono trattati in meno di un istituto su 5».
- Ambiente scolastico. Il 76,9% delle scuole riporta investimenti e risorse adeguate per mantenere sicuri gli ambienti scolastici e l’86,2% monitora regolarmente la sicurezza dell’ambiente scolastico intraprendendo eventuali azioni correttive. «Questi dati – commenta Cartabellotta – dimostrano l'impegno costante delle nostre istituzioni educative verso la sicurezza e il benessere degli studenti e incoraggiano a continuare a investire per garantire ambienti di apprendimento sicuri e protetti».
- Collaborazione tra scuola e comunità. Il 59% degli istituti aderenti al programma SPS coinvolge attivamente studenti e familiari. «Questo dato – puntualizza Cartabellotta – rileva che l’attuazione del programma SPS, in 2 scuole su 5 avviene in maniera unidirezionale, senza coinvolgimento attivo di famiglie e studenti, indispensabile per la condivisione partecipata ed il successo del programma SPS».
- Governance e leadership scolastica. Il 98% degli istituti aderenti al programma SPS (n=299) riceve sostegno dai dirigenti scolastici per la promozione del valore e dell’etica dell’iniziativa dell’OMS.
Antonello Giannelli, Presidente della Fondazione ANP E.T.S., commenta i dati: «Dalla ricerca emergono importanti spunti di analisi sulla diffusione delle pratiche di alfabetizzazione sanitaria nelle scuole. Queste ultime, per via del loro impianto curricolare e degli spazi garantiti dall’autonomia, si confermano il luogo ideale per lo sviluppo di tematiche legate al benessere fisico e mentale di alunni e studenti per accompagnare il loro percorso di crescita. I dati, peraltro, attestano la fondamentale sinergia che le scuole hanno con il territorio, anche nell'ottica del civic center. Le figure del dirigente scolastico e dei suoi collaboratori risultano strategiche per il sostegno e la promozione del programma SPE: infatti, secondo la ricerca, ben il 98% del campione afferma di ricevere costantemente input in tal senso dalla leadership della scuola. In chiave di prevenzione, poi, la parte prevalente degli istituti riesce a garantire un ambiente sicuro, sia esso fisico che virtuale, a favore della comunità scolastica grazie a specifiche policy, investimenti, risorse e attività di monitoraggio. Sorprende, infine, come le scuole, proiettate in modo consistente verso il contrasto di fenomeni quali il bullismo e il cyberbullismo e verso disturbi tipici dell’età adolescenziale quali quelli alimentari, abbiano in parte perso di vista il contrasto del fenomeno delle dipendenze da fumo, alcol o altre sostanze, sebbene in Italia ciò rappresenti una vera e propria emergenza tra i nostri ragazzi. Intendiamo, quindi, continuare la collaborazione con la Fondazione GIMBE in quanto pienamente consapevoli del ruolo nodale dell’educazione alla salute».
«Alla luce dei risultati della survey – puntualizza Cartabellotta – emerge chiaramente la necessità da un lato che il programma SPS raggiunga il massimo grado di implementazione, dall’altro che vengano progettate di iniziative per supportare le scuole italiane nella promozione della salute pubblica e l’utilizzo consapevole dei servizi sanitari».
«Ecco perché in questo contesto, nel gennaio 2023 la Fondazione GIMBE ha dato il via a “La Salute Tiene Banco”– conclude Elena Cottafava, Segretaria Generale della Fondazione – iniziativa finalizzata a supportare le scuole italiane nella promozione della salute pubblica e nella conoscenza del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il progetto mira a promuovere tra i ragazzi l’alfabetizzazione sanitaria, una materia sulla quale non è fornito supporto al personale scolastico quasi in 2 scuole su 5. Per questo vogliamo estendere il programma “La Salute Tiene Banco” a tutte le scuole del Paese e abbiamo bisogno del supporto di tutti: insieme possiamo educare giovani cittadini consapevoli protagonisti attivi della propria salute e utenti consapevoli del SSN, al fine di contribuire alla sua sostenibilità».
Il report dell’Osservatorio GIMBE “Scuole che Promuovono Salute: status di attuazione in Italia del programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” è disponibile a: www.gimbe.org/report-sps
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21 maggio 2024
Carenza pediatri: ne mancano almeno 827, due su tre in Lombardia, Piemonte e Veneto. Oltre 1.000 bambini per pediatra in Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta e Bolzano. Entro il 2026 previsti oltre 1.700 pensionamenti, ma nessuna certezza sul ricambio generazionale
Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (PLS) – cd. pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un PLS per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). «L’allarme sulla carenza di PLS – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – oggi è sollevato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud. Le loro testimonianze evidenziano problemi burocratici, mancanza di risposte da parte delle ASL, pediatri con un numero eccessivo di assistiti e impossibilità di iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia, mettendo potenzialmente a rischio la salute, soprattutto dei più piccoli e dei più vulnerabili».
Per comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato dinamiche e criticità che regolano l’inserimento dei PLS nel SSN e stimato l’entità della carenza di PLS nelle Regioni italiane. «Due aspetti fondamentali – spiega Cartabellotta – devono essere precisati: innanzitutto, le stime sulle carenze dei PLS sono state effettuate a livello regionale, perché la loro reale necessità viene definita dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in relazione agli ambiti territoriali carenti; in secondo luogo, le stime sul ricambio generazionale sono ostacolate dall’impossibilità di sapere quanti nuovi specialisti in pediatria scelgono la carriera di PLS».
DINAMICHE E CRITICITÀ
Fasce di età. Sino al compimento del 6° anno di età i bambini devono essere assistiti per legge da un PLS, mentre dai 6 ai 13 anni inclusi i genitori possono scegliere tra PLS e medico di medicina generale (MMG). Al compimento dei 14 anni la revoca del PLS è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di PLS come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi sino al compimento dei 14 anni, dall’altro rappresentano un ostacolo rilevante per un’accurata programmazione del fabbisogno di PLS». Infatti, secondo i dati ISTAT al 1° gennaio 2023 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al PLS) include più di 2,5 milioni di bambini e quella 6-13 oltre 4,2 milioni, che potrebbero essere iscritti al PLS o al MMG in base alle preferenze dei genitori.
Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), il numero massimo di assistiti di un PLS è fissato a 880, con deroga nazionale di ulteriori 120 scelte temporanee (residenti in ambiti limitrofi, non residenti, extracomunitari). Tuttavia, esistono inoltre deroghe regionali e locali che portano a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad un PLS. «In realtà – commenta il Presidente – il numero di 1.000 assistiti non potrebbe essere superato in quanto la determinazione del massimale di scelte è stabilita dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), come previsto dalla L. 502/1992, e non è derogabile dalle Regioni o dalle singole ASL».
Ambiti territoriali carenti. I nuovi PLS vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione – o soggetto da questa individuato – degli ambiti territoriali carenti, dove bisogna colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi dei PLS. Attualmente, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 PLS ogni 600 bambini. «È del tutto evidente – chiosa il Presidente – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di PLS: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i PLS sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto i PLS assistono oltre l’81% di quelli della fascia 6-13 anni». Va segnalato che l’atto di indirizzo per la contrattazione in corso dispone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-13 anni, decurtati dagli assistiti di età ≥6 anni in carico ai MMG e di portare il massimale a 1.000 assistiti, eliminando la distinzione tra scelte ordinarie e deroghe.
Pensionamenti. Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici Pediatri (FIMP), tra il 2023 e il 2026 sono 1.738 i PLS che hanno compiuto/compiranno 70 anni, raggiungendo così l’età massima per la pensione, deroghe a parte: dai 236 PLS del Lazio a 1 PLS in Valle d’Aosta (figura 1).
Nuovi PLS. Il numero di borse di studio per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: da 496 nell’anno accademico 2017-2018 a 885 nel 2022-2023, raggiungendo un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021 (figura 2). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – considerato che gli specializzandi in pediatria possono scegliere anche la carriera ospedaliera, è impossibile prevedere quanti nuovi pediatri opteranno per la professione di PLS».
STIMA DELLE CARENZE ATTUALI E FUTURE
Trend 2019-2022. Secondo la “fotografia” scattata dal Ministero della Salute e riportata nell’Annuario Statistico del SSN 2022, in Italia i PLS nel 2022 in attività erano 6.962, ovvero 446 in meno rispetto al 2019 (-6%). Inoltre, i PLS con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 al 79% nel 2022. «Un dato – commenta Cartabellotta – che se da un lato documenta una crescente anzianità dei PLS in attività, dall’altro richiederebbe stime molto precise su quanti PLS potrà contare il SSN nei prossimi anni per garantire il ricambio generazionale evitando di creare un “baratro” dell’assistenza pediatrica territoriale».
Numero di assistiti per PLS. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2023 6.681 PLS avevano in carico quasi 6 milioni di iscritti, di cui il 42,5% (2,55 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,5% (3,45 milioni) della fascia 6-13 anni. Ovvero l’81,8% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2023 di età 6-13 anni risulta assistita dai PLS, con percentuali molto diverse tra le Regioni: dal 95,9% della Liguria al 60,3% della Sardegna (figura 3). In termini assoluti, la media nazionale è di 898 assistiti per PLS: superano la media di 880 assistiti (massimale di assistiti senza deroghe) 12 Regioni, di cui Piemonte (1.108), Valle d’Aosta (1.047), Provincia Autonoma di Bolzano (1.026) e Veneto (1.011) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per PLS (figura 4). «In realtà – spiega Cartabellotta – lo scenario è più critico di quanto lasciano trasparire i numeri, perché con un tale livello di saturazione non solo viene ostacolato il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di PLS sia nelle aree interne o disagiate, sia vicino casa nelle grandi città».
Stima della carenza di PLS al 1° gennaio 2023. «Tutte le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno di PLS a livello regionale, in quanto la necessità di ciascuna zona carente viene identificata dalle ASL in relazione a numerose variabili locali». Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, la distribuzione capillare in relazione alla densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e l’esercizio della libera scelta, non si può far riferimento al massimale con deroga delle scelte per stimare il fabbisogno di PLS. Di conseguenza la Fondazione GIMBE, ritenendo accettabile un rapporto di 1 PLS ogni 800 assistiti (valore medio tra il rapporto ottimale di 600 e il massimale con deroga di 1.000) e utilizzando le rilevazioni SISAC al 1° gennaio 2023, stima una carenza di 827 PLS, con notevoli differenze regionali. Infatti il 62% delle carenze si concentra in sole 3 grandi Regioni del Nord: Lombardia (244), Piemonte (136), Veneto (134); mentre in 4 Regioni (Lazio, Molise, Puglia e Umbria) non si rileva alcuna carenza visto che la media di assistiti per PLS è inferiore a 800 (figura 5).
Stima della carenza di PLS 2026. Conoscendo il numero dei pensionamenti attesi e il numero di borse di studio disponibili per la scuola di specializzazione in pediatria si potrebbe stimare la carenza di PLS al 2026, anno in cui dovrebbe “decollare” la riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR. «Tuttavia – commenta Cartabellotta – considerato che non è noto quanti specialisti pediatri intraprenderanno la carriera di PLS, è impossibile stimare se per i 1.738 PLS che tra il 2023 e il 2026 hanno compiuto/compiranno 70 anni ci sarà un adeguato ricambio generazionale e se questo sarà omogeneo nelle varie Regioni».
«La carenza di PLS – conclude Cartabellotta – oggi riguarda in particolare alcune grandi Regioni del Nord e deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. E, comunque, la distribuzione capillare sul territorio rimane sempre condizionata da variabili e scelte locali non sempre prevedibili. In tal senso, serve innanzitutto un’adeguata programmazione del fabbisogno che richiede tre elementi: ridefinire la fascia di età di esclusiva competenza dei PLS, disporre di stime accurate sul numero di pediatri che intraprendono la carriera di PLS e, nel medio e lungo periodo, considerare il fenomeno della denatalità. Servono inoltre l’adozione di modelli organizzativi che promuovano il lavoro in team, l’effettiva realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), accordi sindacali in linea con il ricambio generazionale e la distribuzione capillare dei PLS, come indicato negli stessi atti di indirizzo. Perché guardando ai pensionamenti attesi, non è affatto certo che nei prossimi anni i nuovi PLS saranno sufficienti a garantire il ricambio generazionale, con l’inevitabile acuirsi della carenza in alcune Regioni».
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14 maggio 2024
DdL per il sostegno finanziario della sanità pubblica: importante “iniezione” da € 4 miliardi all’anno, ma non basterà a ridurre il gap con l’Europa. Incognita sul reperimento delle risorse. Senza rilancio del finanziamento pubblico ulteriore indebolimento del personale sanitario, innovazioni inaccessibili e addio all’universalismo
La Fondazione GIMBE audita presso la XII Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
«Negli ultimi 15 anni – esordisce Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è bene ribadire che tutti i Governi, di ogni colore, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il SSN, portando il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica sia in percentuale del PIL, sia soprattutto pro-capite». Infatti, nel 2022 siamo davanti solo ai paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e a quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca» (figura 1). Il gap rispetto alla media dei paesi europei dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a $ 867, pari a quasi € 810 (figura 2), che, parametrato ad una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde ad una voragine di € 47,7 miliardi. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva alla cifra monstre di $ 363 miliardi, pari a circa € 336 miliardi (figura 3). «Una progressiva sottrazione di risorse pubbliche – continua Cartabellotta – che determinato l’inesorabile indebolimento del SSN nelle sue componenti strutturale, tecnologica, organizzativa e, soprattutto, professionale, con drammatiche conseguenze che oggi ricadono su 60 milioni di persone».
«I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – continua il Presidente – sono stati ampiamente traditi e la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli, è sempre più condizionata da esperienze che documentano la mancata esigibilità del diritto alla tutela della salute: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, enormi diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria».
«Conseguenze del fatto che a partire dal 2010 – commenta Cartabellotta – indipendentemente dalle cifre assolute, la sanità pubblica è continuamente definanziata, come documentato dall’inesorabile aumento del gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».
FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE (FSN) PASSATO E PRESENTE:
- Periodo 2010-2019: il FSN è aumentato di € 8,2 miliardi con una percentuale di crescita complessiva dello 0,9% rispetto all’1,2 % dell’inflazione. «Per 10 anni – chiosa il Presidente – Regioni, Aziende sanitarie e professionisti hanno lavorato in un contesto iso-risorse che ha progressivamente eroso la resilienza del SSN, poi travolto dalla pandemia quando già gravemente indebolito». (figura 4).
- Periodo 2020-2023: l’incremento del FSN è pari a € 15,1 miliardi che, spiega Cartabellotta «non hanno consentito alcun rinforzo strutturale del SSN, né hanno permesso alle Regioni – anche quelle più virtuose – di mantenere i conti in ordine senza tagliare i servizi o aumentare le imposte regionali». Sia perché le risorse sono state utilizzate in larga misura per fronteggiare l’emergenza pandemica, sia perché l’incremento del 2,9% nel 2022 e del 2,8% nel 2023 è stato pesantemente eroso dall’inflazione (8,1% nel 2022 e 5,7% nel 2023) (figura 5).
- Legge di Bilancio 2024. Il FSN viene incrementato di € 3 miliardi per il 2024, € 4 miliardi per il 2025 e € 4,2 miliardi per il 2026, salendo a € 134 miliardi per il 2024, € 135,4 miliardi per il 2025 e € 135,6 miliardi per il 2026. «Se in termini assoluti è ben evidente il netto incremento del FSN nel 2024 – spiega Cartabellotta – è bene rilevare da un lato che oltre l’80% è destinato al doveroso rinnovo dei contratti del personale dipendente e convenzionato, dall’altro che l’ultima Manovra non lascia intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico. Infatti, gli incrementi previsti nel 2025 (+1%) e nel 2026 (+0,15%) sono talmente esigui che non riusciranno a compensare l’inflazione, né l’aumento dei prezzi di beni e servizi».
«A parte piccole differenze – continua Cartabellotta – le proposte dei DdL in esame sull’aumento del FSN sono sì in linea con il Piano di Rilancio del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE, ma sono limitate ad un arco temporale di 5 anni con un finanziamento aggiuntivo di € 4 miliardi l’anno per un totale di € 20 miliardi. Al contrario, il Piano GIMBE suggerisce un incremento progressivo del finanziamento pubblico per allineare la spesa sanitaria pro-capite alla media dei paesi europei».
Dal punto di vista quantitativo, il recente paper dell’OCSE sulla sostenibilità fiscale dei sistemi sanitari entro il 2040 stima un aumento medio della spesa sanitaria nei paesi OCSE del 2,6%, ma prevede al contempo che le entrate attese, fiscali e non fiscali saranno pari all’1,3%, evidenziando dunque una possibile criticità nella sostenibilità della spesa sanitaria. Nelle stime OCSE l’Italia si trova al penultimo posto per incremento delle entrate attese (0,2%) e al terzultimo per l’aumento di spesa sanitaria (1,5%). «Una situazione – commenta Cartabellotta – che, in assenza di coraggiose scelte politiche, vede il rilancio del SSN pesantemente condizionato dalle difficoltà a reperire le risorse necessarie. In ogni caso, l’incremento del FSN di € 4 miliardi/anno proposto dai DdL in esame è superiore al 2,6% previsto dall’OCSE fino al 2035, salvo poi essere inferiore dal 2036 (figura 6): un’importante iniezione di denaro pubblico per il SSN, tuttavia non sufficiente recuperare l’enorme gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».
Quanto al reperimento delle risorse necessarie, i DdL in esame fanno riferimento a maggiori risorse derivanti dalla crescita economica, al recupero di risorse dall’evasione/elusione fiscale e alla revisione delle politiche contributive. «Se da un lato i tempi di attuazione di queste ultime misure non permettono di recuperare risorse a breve termine – commenta Cartabellotta – dall’altro è indifferibile rivedere le priorità di investimento del Paese per evitare il crollo imminente di un pilastro della nostra democrazia. Peraltro, con la difficoltà di recuperare risorse da sprechi e inefficienze in assenza di coraggiose riforme, le uniche ipotesi aperte rimangono quelle di una tassa di scopo (es. su alcool, fumo, gioco d’azzardo, bevande zuccherate) e/o una tassazione aggiuntiva e incrementale dei redditi più elevati».
«Il persistere del sotto-finanziamento pubblico – conclude Cartabellotta – avrà tre conseguenze fondamentali sul SSN. Innanzitutto, l’ulteriore demotivazione del personale sanitario con impoverimento del capitale umano che rischia di mettere definitivamente in ginocchio la sanità pubblica; in secondo luogo, la difficoltà sempre crescente nel garantire le innovazioni farmacologiche e tecnologiche; infine, l’addio all’universalismo con l’involuzione del SSN in una sanità a doppio binario, dove il diritto alla tutela della salute sarà condizionato della capacità di spesa delle persone. Tuttavia per rilanciare il SSN il progressivo incremento del finanziamento pubblico è condizione necessaria, ma non sufficiente: sono ormai inderogabili coraggiose riforme di sistema visto che, a fronte di varie transizioni (epidemiologica, demografica, digitale), le modalità di finanziamento, programmazione, erogazione e valutazione dei servizi sanitari “obbediscono” a leggi che risalgono a 25-30 anni fa. Ma ancor prima, serve una visione chiara su quale modello di SSN la politica vuole lasciare in eredità alle future generazioni, attraverso un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca nel modello del SSN un pilastro della nostra democrazia, una conquista irrinunciabile e una grande leva per lo sviluppo economico del Paese».
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30 aprile 2024
PNRR Missione Salute: al 1° trimestre 2024 rispettate tutte le scadenze europee. Assistenza domiciliare: sugli step intermedi arrancano Campania e Sardegna, Sicilia ferma all’1%. Rimodulazione al ribasso del PNRR: incognite su risorse e progetti che slittano dopo il 2026. 1.803 posti di terapia intensiva in cerca di fondi. Riforma assistenza territoriale e nodo infermieri: pochi e sottopagati
«Anche se al 31 marzo 2024 non erano previste scadenze europee sulla missione Salute del PNRR che condizionano il pagamento delle rate – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua l’attività del nostro Osservatorio sul Servizio Sanitario Nazionale di monitoraggio indipendente dello status di avanzamento delle riforme, al fine di fornire un quadro oggettivo sui risultati raggiunti, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche».
Il presente monitoraggio, oltre allo status di avanzamento, analizza nei dettagli la rimodulazione della Missione 6 secondo quanto riportato dalla Quarta Relazione sullo stato di avanzamento del PNRR e quanto disposto dal DL PNRR, approvato lo scorso 23 aprile.
STATO DI AVANZAMENTO AL 31 MARZO 2024. Secondo i dati resi pubblici il 20 aprile 2024 sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:
- Milestone e target europei: risultano tutti raggiunti in quanto al 31 marzo 2024 non erano previste nuove scadenze e tutte quelle relative agli anni 2021-2023 erano già state raggiunte al 31 dicembre 2023.
- Milestone e target nazionali: «Anche se non condizionano l’erogazione dei fondi del PNRR – spiega Cartabellotta – questi step intermedi richiedono un attento monitoraggio perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee». Entro le scadenze fissate sono stati raggiunti tutti quelli previsti nel 2021 e 2022. Relativamente al 2023, sono stati differiti tre target: due da giugno 2023 a giugno 2024, ovvero la “Stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria” e la “Stipula dei contratti per l'interconnessione aziendale” (tabella 1). L’ulteriore target “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (prima parte)” differito da marzo 2023 a marzo 2024 è stato raggiunto alla scadenza prevista, insieme a quello previsto per marzo 2024 “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (seconda parte)”.
«Raggiunti gli obiettivi per l’assistenza domiciliare integrata (ADI) negli over 65 – commenta Cartabellotta – i ritardi attuali sulle scadenze nazionali non sono particolarmente critici. Tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi nazionali sull’ADI è condizionato da rilevanti differenze regionali, conseguenti sia al “punto di partenza” delle Regioni del Mezzogiorno, sia alle loro capacità di recuperare il gap con l’avvio del PNRR». In dettaglio, secondo quanto previsto dal Decreto del Ministero della Salute del 13 marzo 2023 per assistere almeno il 10% della popolazione over 65 in ADI, il PNRR ha l’obiettivo di aumentare le persone prese in carico dagli oltre 640 mila del dicembre 2019 a poco meno di 1,5 milioni nel 2026, per un incremento totale di oltre 808 mila assistiti. Rispetto ai target intermedi per raggiungere tale numero, la recente relazione dell’Agenas documenta che nel 2023 il target nazionale di 526 mila, previsto dal DM 13 marzo 2023, è stato superato (+1%). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – il dato nazionale è distorto dai risultati estremamente differenti raggiunti dalle Regioni. Infatti, rispetto ad una media nazionale del 101%, alcune Regioni fanno registrare incrementi molto rilevanti: Provincia autonoma di Trento (235%), Umbria (206%), Puglia (145%), Toscana (144%). Risultati che “compensano” quelli di altre Regioni: in particolare Sardegna (77%), Campania (62%) e, soprattutto, Sicilia che rimane fanalino di coda all’1%».
RIMODULAZIONE DELLA MISSIONE 6 SALUTE. La “Quarta Relazione sullo stato di attuazione del PNRR”, pubblicata lo scorso 22 febbraio, riporta le variazioni rispetto al piano originale approvate dalla Commissione Europea il 24 novembre 2023, relative alla rimodulazione delle risorse tra le due Componenti della Missione Salute, alle variazioni quantitative dei progetti e ai differimenti temporali.
Risorse. La dotazione finanziaria della Missione 6 Salute, pari a circa € 15,6 miliardi, è rimasta invariata. La rimodulazione ha redistribuito € 750 milioni dalla Componente 2 alla Componente 1. In particolare, sono stati potenziati i nuovi progetti riferiti all’assistenza domiciliare (+ € 250 milioni) e alla telemedicina (+ € 500 milioni), con una riduzione (- € 750 milioni) che sarà compensata dalle risorse per progetti già in essere di edilizia sanitaria ex. art. 20.
Variazioni quantitative.
- Riduzione di Case della Comunità (-312), Centrali Operative Territoriali (-120) e Ospedali di Comunità (-93) e interventi di antisismica (-25) secondo criteri di distribuzione regionale al momento non noti. «Se, come previsto dal piano di rimodulazione presentato dall’Italia, saranno espunte le strutture da realizzare ex novo – spiega Cartabellotta – ad essere penalizzate saranno le Regioni del Mezzogiorno la cui dotazione iniziale era esigua». Per garantire la realizzazione di tutte le strutture e di tutti gli interventi inizialmente programmati, è previsto l’utilizzo di fondi alternativi: “risorse da Accordo di Programma ex art. 20 L. 67/1988 ed eventuali risorse alternative, nonché le risorse addizionali del Fondo Opere Indifferibili, istituito per fronteggiare l’eccezionale aumento dei costi dei materiali da costruzione negli appalti pubblici, e risorse derivanti dai bilanci regionali/provinciali”. «Senza entrare nel merito di tecnicismi contabili né dell’entità dei fondi alternativi citati – precisa il Presidente – l’unica certezza è che tutto quanto espunto dal piano di rimodulazione potrà essere realizzato solo dopo giugno del 2026, data di scadenza ultima delle opere del PNRR».
- Riduzione dei posti letto di terapia intensiva (-808) e semi-intensiva (-995), secondo criteri di distribuzione regionale al momento non noti. «Se da un lato il piano di rimodulazione indica la riduzione di 1.803 posti letto totali come “prudenziale” per l’aumento dei costi di realizzazione – spiega Cartabellotta – dall’altro non fa alcun riferimento alle risorse a cui attingere per realizzare i posti letto espunti, nonostante venga riportato che “Resta comunque ferma la programmazione definita dai Piani di riorganizzazione approvati dal Ministero con le Regioni e le Province Autonome”».
- Aumento degli over 65 da prendere in carico in assistenza domiciliare (da almeno 800 mila a 842 mila) e dei pazienti assistiti in telemedicina (da almeno 200 mila a 300 mila).
Differimenti temporali. Sono relativi a due target:
- Attivazione delle Centrali Operative Territoriali dal 30 giugno 2024 al 31 dicembre 2024 (+ 6 mesi).
- Installazione delle grandi apparecchiature dal 31 dicembre 2024 al 30 giugno 2026 (+ 18 mesi).
«Un differimento temporale – commenta il Presidente – motivato da criticità minori, quali lo smaltimento delle vecchie apparecchiature e l’adeguamento dei locali, che inevitabilmente condizionerà l’esigibilità delle prestazioni diagnostiche con apparecchiature più moderne ed efficienti, in un periodo storico caratterizzato da tempi di attesa già estremamente lunghi».
DL PNRR. L’art. 1 dirotta circa € 1,2 miliardi destinati all’ammodernamento degli ospedali dal Piano Nazionale per gli investimenti complementari – il co-finanziamento del PNRR garantito dall’Italia - ai fondi generici per l’edilizia sanitaria (ex. art. 20). «Anche se potrebbe sembrare solo una “mossa contabile” – commenta il Presidente – nei fatti lo spostamento di risorse non avviene tra “vasi comunicanti” e gli interventi espunti sono rimandati a data da destinarsi perché non dovranno più rispettare la scadenza del giugno 2026 fissate dal PNRR». In particolare, si tratta dell’investimento denominato “Verso un ospedale sicuro e sostenibile” che ha l’obiettivo di migliorare la sicurezza degli ospedali per adeguarli alle norme antisismiche, «tenendo conto – spiega Cartabellotta – del loro ruolo strategico in caso di disastro, visto che gli ospedali se da un lato svolgono la fondamentale funzione di soccorso, sono particolarmente a rischio in caso di evento sismico perché ospitano un elevato numero di persone la cui messa in sicurezza è condizionata dalle inabilità individuali».
«Dopo aver “messo a terra” – commenta il Presidente – la Missione Salute del PNRR, il rispetto delle scadenze future sarà condizionato dalle criticità di attuazione della riforma dell’assistenza territoriale nei 21 servizi sanitari regionali. In particolare, il ruolo dei medici di famiglia e la grave carenza infermieri, figure chiave nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oltre alle differenze regionali che non pongono tutte le Regioni sulla stessa linea di partenza per raggiungere gli obiettivi del PNRR e che, inevitabilmente, rischiano di essere amplificate dall’autonomia differenziata».
Riguardo l’imponente carenza di personale infermieristico utile riportare tre dati. Innanzitutto, nel 2021 il numero di infermieri in Italia è pari a 6,2 per 1.000 abitanti, rispetto ad una media OCSE di 9,9, con rilevanti differenze regionali. Una carenza che stride con il fabbisogno di infermieri di comunità/di famiglia stimato da Agenas per attuare la riforma dell’assistenza territoriale: tra 19.450 a 26.850. In secondo luogo, la scarsa attrattività della professione infermieristica conseguente a vari fattori: limitate prospettive di carriera, problemi organizzativi e di sicurezza sul lavoro e, ovviamente, aspetti economici, visto che la retribuzione dei nostri infermieri è ben al di sotto della media OCSE (€ 35.030 vs € 44.250 a dicembre 2021). Inoltre, negli ultimi 20 anni il potere di acquisto dei loro stipendi si è ridotto sia nel periodo 2000-2019 (-1,5%), sia nel periodo 2019-2021 (-1%), più che in ogni altro paese OCSE.
«La Missione Salute del PNRR – conclude Cartabellotta – è indubbiamente una grande opportunità per potenziare il SSN, ma solo nell’ambito di un rilancio complessivo della sanità pubblica. Ovvero, non può essere la “stampella” per sostenere un SSN claudicante. E, se da un lato la sua attuazione deve essere sostenuta da coraggiose azioni politiche, rinviare le scadenze e rimodulare al ribasso gli obiettivi del PNRR senza chiarire la distribuzione regionale dei “tagli”, l’entità e la disponibilità delle risorse necessarie e la definizione di nuove scadenze per quanto rimasto fuori dal piano di rimodulazione, indebolisce ulteriormente il potenziale impatto del PNRR sul rilancio del SSN».
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Pagina aggiornata il 22/06/2022