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12 febbraio 2025
Migrazione sanitaria: nel 2022 sfondato il tetto dei € 5 miliardi. Si aggrava lo squilibrio Nord-Sud: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto incassano il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo grava sul Centro-Sud. Il 54,4% delle prestazioni erogate fuori regione va al privato accreditato

Nel 2022, la mobilità sanitaria interregionale ha raggiunto la cifra record di € 5,04 miliardi, il livello più alto mai registrato e superiore del 18,6% a quello del 2021 (€ 4,25 miliardi). I dati elaborati dalla Fondazione GIMBE confermano anche il peggioramento dello squilibrio tra Nord e Sud, con un flusso enorme di pazienti e di risorse economiche in uscita dal Mezzogiorno verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che si confermano le Regioni più attrattive.

«Questi numeri – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – certificano che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali. Sempre più persone sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate, con costi economici, psicologici e sociali insostenibili».

Il Report GIMBE sulla mobilità sanitaria 2022 si basa su tre fonti dati: i dati economici aggregati dal Riparto 2024 sono stati utilizzati per analizzare mobilità attiva, passiva e saldi; i flussi dei Modelli M trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute, acquisiti tramite accesso civico generalizzato, hanno permesso di valutare la differente capacità di attrazione delle strutture pubbliche e private per le varie tipologie di prestazioni erogate in mobilità; infine, i dati del Report Agenas hanno consentito un approfondimento specifico su ricoveri e specialistica ambulatoriale.

Flussi economici e squilibri territoriali. Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto raccolgono da sole il 94,1% del saldo attivo della mobilità sanitaria, ovvero la differenza tra risorse ricevute per curare pazienti provenienti da altre Regioni e quelle versate per i propri cittadini che si sono spostati altrove. A pagare il prezzo più alto sono Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia, che insieme rappresentano il 78,8% del saldo passivo. «Il divario tra Nord e Sud non è più solo una criticità, ma una frattura strutturale del Servizio Sanitario Nazionale – avverte Cartabellotta – che rischia di aggravarsi con la recente approvazione della legge sull’autonomia differenziata. Una riforma che, senza adeguati correttivi, finirà per cristallizzare e legittimare le diseguaglianze, trasformando il diritto alla tutela della salute in un privilegio legato al CAP di residenza».

Regioni “attrattive” e pazienti “in fuga”. La mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti da altre Regioni, si concentra per oltre la metà in Lombardia (22,8%), Emilia-Romagna (17,1%) e Veneto (10,7%), seguite da Lazio (8,6%), Piemonte (6,1%) e Toscana (6,0%) (figura 1). Sul fronte opposto, a generare i maggiori debiti per cure ricevute dai propri residenti in altre Regioni, sono Lazio (11,8%), Campania (9,6%) e Lombardia (8,9%), che da sole rappresentano quasi un terzo della mobilità passiva, con un esborso superiore ai € 400 milioni ciascuna. Seguono Puglia, Calabria e Sicilia, che nel 2022 hanno visto il proprio saldo negativo aggravarsi ulteriormente, superando i 300 milioni di euro rispetto al 2021 (figura 2). «I dati della mobilità passiva mostrano un fenomeno ancora più complesso – spiega Cartabellotta – perché, oltre alla fuga di pazienti dal Sud, esiste anche una mobilità di prossimità. Regioni come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto pur essendo molto attrattive, registrano comunque una mobilità passiva rilevante. Questo dimostra l’elevata circolazione di pazienti verso Regioni vicine con offerta sanitaria di qualità elevata».

SALDI REGIONALI, i dati in dettaglio (figura 3):

  • Saldo positivo rilevante: Lombardia (€ 623,6 milioni), Emilia-Romagna (€ 525,4 milioni) e Veneto (€ 198,2 milioni)
  • Saldo positivo moderato: Toscana (€ 49,3 milioni) e Molise (€ 26,4 milioni)
  • Saldo positivo minimo: Provincia autonoma di Trento (€ 7,1 milioni), Provincia autonoma di Bolzano (€ 2,2 milioni)
  • Saldo negativo minimo: Piemonte (-€ 6,3 milioni), Friuli Venezia Giulia (-€ 11,8 milioni), Valle d’Aosta (-€ 11,9 milioni)
  • Saldo negativo moderato: Umbria (-€ 36,6 milioni), Marche (-€ 53,7 milioni), Liguria (-€ 74,6 milioni), Basilicata (-€ 80,8 milioni) e Sardegna (-€ 96,3 milioni),
  • Saldo negativo rilevante: Abruzzo (-€ 104,1 milioni), Lazio (-€ 193,4 milioni), Puglia (-€ 230,2 milioni), Sicilia (-€ 241,8 milioni), Calabria (-€ 304,8) e Campania (-€ 308,4 milioni).

«Questi valori – commenta il Presidente – confermano che tra Nord e Sud non c’è più solo un divario, ma un’enorme frattura strutturale. Le uniche Regioni con un saldo positivo superiore a € 100 milioni si trovano tutte al Nord, mentre quelle con un saldo negativo maggiore di € 100 milioni sono concentrate nel Mezzogiorno, con l’unica eccezione del Lazio. Peraltro, le nostre analisi dimostrano la stretta correlazione tra adempimenti LEA e saldi di mobilità sanitaria». Infatti, le prime cinque Regioni per punteggio totale LEA rientrano tra le prime sei per saldo di mobilità, mentre quasi tutte le Regioni con un punteggio totale LEA inferiore alla media nazionale registrano saldi di mobilità negativi. «Peraltro – spiega Cartabellotta – la mobilità sanitaria rappresenta solo la punta dell’iceberg delle diseguaglianze regionali: infatti, considerato che riguarda per oltre due terzi i ricoveri ospedalieri, non rende conto della qualità dell’assistenza territoriale e socio-sanitaria, ambiti in cui il divario Nord-Sud è ancora più marcato».

Il ruolo sempre più forte del privato. Oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche fuori Regione finisce nelle casse della sanità privata accreditata: € 1.879 milioni (54,4%), contro i € 1.573 milioni (45,6%) destinati alle strutture pubbliche. «La crescita del privato accreditato nella mobilità sanitaria – sottolinea Cartabellotta – è un indicatore sia dell’indebolimento del servizio pubblico, sia dell’offerta che della capacità attrattiva del privato, seppur molto diversa tra le varie Regioni». Infatti, le strutture private assorbono oltre il 60% della mobilità attiva in Molise (90,6%), Lombardia (71,4%), Puglia (70,7%) e Lazio (62,4%). In altre, invece, il privato ha una capacità attrattiva inferiore al 20%: Valle D’Aosta (16,9%), Umbria (15,5%), Liguria (11,9%), Provincia autonoma di Bolzano (9,9%) e Basilicata (8,9%) (figura 4).

Focus su ricoveri e specialistica ambulatoriale. Secondo i dati Agenas, il 78,5% della mobilità per ricoveri è classificato come effettiva (€ 2.108 milioni), ovvero dipende dalla scelta del paziente. Il 17,4% (€ 468 milioni) è invece legato a prestazioni in urgenza (mobilità casuale) e il 4,1% (€ 109 milioni) riguarda casi in cui il domicilio del paziente non coincide con la Regione di residenza (mobilità apparente). Della mobilità effettiva, solo il 6,5% riguarda ricoveri ordinari a rischio inappropriatezza (figura 5). Inoltre, considerando che una struttura è definita di prossimità se dista al massimo 50 km e/o il tempo di percorrenza non supera i 60 minuti, nel 2022 solo l’11,6% dei ricoveri in mobilità effettiva è avvenuto in strutture di prossimità (figura 6). «Questo dato – commenta il Presidente – dimostra che lo spostamento dei pazienti verso altre Regioni per ricevere cure in regime di ricovero è una necessità dettata dall’assenza di un’offerta sanitaria adeguata. Per molti cittadini, questo significa affrontare lunghi spostamenti, con disagi pesanti per chi è malato e costi significativi per le famiglie, sia in termini economici che di tempo e qualità di vita». Relativamente alla specialistica ambulatoriale erogata in mobilità, oltre il 93% è riconducibile a tre categorie: prestazioni terapeutiche (33,9%), diagnostica strumentale (31,6%) e prestazioni di laboratorio (27,9%) (figura 7).

«La mobilità sanitaria, che riflette solo in parte le diseguaglianze regionali, è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che evidenzia profonde disparità nel diritto alla tutela della salute. Rappresenta dunque un segnale di allarme, che impone interventi urgenti per riequilibrare i diritti delle persone» conclude Cartabellotta.  «Garantire il diritto alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale significa evitare che intere aree del Paese continuino a esportare pazienti e miliardi di euro, mentre altre consolidano i propri poli d’eccellenza, spesso rappresentati da strutture private accreditate. In assenza di investimenti mirati, coraggiose riforme, in particolare su Piani di rientro e commissariamenti, e politiche di riequilibrio, la mobilità sanitaria finirà per penalizzare sempre più i cittadini più fragili, minando alle fondamenta l’universalità del Servizio Sanitario Nazionale. Infine, senza adeguate misure correttive, l’autonomia differenziata affosserà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, con un effetto boomerang sulle Regioni del Nord più attrattive, che potrebbero trovarsi in difficoltà nel garantire un’adeguata erogazione dei LEA ai propri cittadini residenti».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2022” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita2022


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29 gennaio 2025
Decreto Legge sulle liste d’attesa in stallo: in sei mesi approvato solo 1 dei 6 decreti attuativi. Benefici ancora lontani per milioni di pazienti e tempistiche incerte

La Fondazione GIMBE esprime preoccupazione per i significativi ritardi nell’adozione dei decreti attuativi previsti dal DL 73/2024 sulle liste d’attesa convertito dalla L. 107/2024. Nonostante le dichiarazioni istituzionali sottolineino progressi nell’attuazione delle misure volte ad abbattere i tempi di attesa, l’analisi indipendente della Fondazione evidenzia una situazione ben diversa. Il tema delle liste d’attesa è centrale per la salute delle persone ed è stato richiamato anche dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno per le sue implicazioni sanitarie, sociali ed economiche: “Vi sono lunghe liste d’attesa per esami che, se tempestivi, possono salvare la vita. Numerose persone rinunciano alle cure e alle medicine perché prive dei mezzi necessari”.

I decreti attuativi rappresentano il motore delle riforme, ma a sei mesi esatti dalla conversione in legge del DL liste di attesa si registra uno stallo che paralizza l’attuazione delle misure previste dalla norma, ritardando un provvedimento cruciale per risolvere i problemi dei cittadini. «Per questo motivo – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo condotto un’analisi indipendente sullo stato di avanzamento della legge, con l’obiettivo di identificarne le criticità di attuazione e informare in maniera costruttiva il dibattito pubblico e politico. Questo per evitare aspettative irrealistiche e tracciare un confine netto tra realtà e propaganda».

STATO DI AVANZAMENTO DEI DECRETI ATTUATIVI. Il DL sulle liste d’attesa prevede almeno sei decreti attuativi (tabella 1). Già in occasione dell’audizione in 10a Commissione Affari sociali in Senato la Fondazione GIMBE  aveva evidenziato che un numero così elevato di decreti attuativi appariva in contrasto con il carattere di urgenza del DL, suscitando perplessità sui tempi di attuazione delle misure. «La storia parlamentare – spiega Nino Cartabellotta – insegna che dei decreti attuativi spesso si perdono le tracce nei passaggi tra valutazioni tecniche, attriti politici e iter burocratici tra Camere e Ministeri, rendendo di fatto impossibile applicare le misure previste».  Al 29 gennaio 2025, secondo quanto riportato dal Dipartimento per il Programma di Governo, risulta approvato un solo decreto attuativo. Degli altri, tre sono già scaduti (due da quasi 4 mesi e l’altro da quasi 5 mesi) e per due non è stata definita alcuna scadenza. In sintesi:  

Decreti attuativi pubblicati

  • Art 1, comma 4. Modalità con cui la Piattaforma nazionale delle liste di attesa opera in coerenza con il «Modello Nazionale di Classificazione e Stratificazione della popolazione». Pubblicato il 28 ottobre 2024

 

Decreti attuativi scaduti

  • Art 1, comma 3. Adozione dei criteri di realizzazione, di funzionamento e di interoperabilità tra la Piattaforma nazionale e le piattaforme regionali delle liste di attesa. Scaduto il 30 settembre 2024
  • Art 2, comma 6. Modalità e procedure per l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte dell'Organismo di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria. Scaduto il 31 agosto 2024
  • Art. 6, comma 1. Adozione di un piano d'azione finalizzato al rafforzamento della capacità di erogazione dei servizi sanitari e all'incremento dell'utilizzo dei servizi sanitari e sociosanitari sul territorio per le Regioni destinatarie del Programma nazionale equità nella salute 2021-2027. Scaduto il 30 settembre 2024

 

Decreti attuativi con scadenze non definite

  • Art 3, comma 5. Linee di indirizzo, a livello, nazionale, contenenti le indicazioni tecniche per gestire, da parte del CUP, un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e ottimizzazione delle agende di prenotazioni
  • Art. 5, comma 2 (primo periodo). Adozione di una metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del SSN (uno o più decreti)

 

COMUNICAZIONI ISTITUZIONALI. Lo stato di avanzamento dei decreti attuativi sulle liste d'attesa è stato oggetto di un question time alla Camera lo scorso 5 novembre, in cui il Ministro Schillaci ha dichiarato che “dal mese di febbraio del 2025 sarà disponibile il cruscotto con gli indicatori di monitoraggio delle liste d'attesa, con i dati relativi a tutte le Regioni e le Province autonome”. Tuttavia, nei fatti, le “Linee guida di realizzazione, funzionamento e interoperabilità della Piattaforma Nazionale Liste di Attesa” sono state inviate alle Regioni solo il 17 dicembre 2024 con uno schema di decreto attuativo, ma nella seduta del 18 dicembre le Regioni hanno chiesto il rinvio del parere per meglio esaminare il testo. E nella seduta del 23 gennaio non c’è alcuna traccia del parere. Peraltro, dopo l’entrata in vigore del provvedimento, le Regioni avranno 30 giorni per predisporre il progetto operativo per connettere le piattaforme regionali con quella nazionale, concordando con Agenas i tempi di realizzazione. «Di conseguenza – chiosa il Presidente – tra complessità tecniche e attuazione dei progetti, è utopistico pensare che la piattaforma sia operativa entro febbraio 2025».

Nel question time il Ministro Schillaci ha inoltre dichiarato che “sono prossimi all’adozione tutti i rimanenti decreti attuativi, quindi il processo di attuazione del decreto n. 73 del 2024 è in dirittura d'arrivo”. Tuttavia, l’analisi della Fondazione GIMBE dimostra che non è possibile prevedere con certezza i tempi di attuazione di tutti i decreti attuativi. In particolare, desta molte perplessità quello relativo al superamento del tetto di spesa per il personale sanitario: infatti, oltre alla mancanza di una scadenza definita, dopo la sperimentazione 2022-2024 la “nuova metodologia” Agenas per stimare il fabbisogno di personale non è ancora stata approvata. «Questo è uno step cruciale – sottolinea Cartabellotta – perché a cascata condiziona l’intero art. 5 del DL liste di attesa, quello di fatto più rilevante perché vincola l’assunzione di personale sanitario».

Nel frattempo i potenziali benefici previsti dal DL Liste di attesa rimangono un lontano miraggio: l’obbligo per le Regioni di creare un centro unico di prenotazione integrato con le agende delle strutture pubbliche e private accreditate; l’introduzione di un sistema di disdetta delle prenotazioni; il divieto di chiudere le agende; l’attivazione dei percorsi di garanzia (se il cittadino non ottiene una prestazione nei tempi previsti nel pubblico, questa deve essere erogata nel privato convenzionato o tramite l’attività intramuraria). E naturalmente anche i benefici volti a migliorare la governance delle liste di attesa: dalla piattaforma nazionale per uniformare la lettura dei dati sui tempi di attesa tra le Regioni, all’istituzione di un organismo di verifica e controllo che può esercitare i poteri sostitutivi nelle Regioni inadempienti.

«Le interminabili liste d’attesa – conclude Cartabellotta – sono il sintomo di un indebolimento tecnologico, organizzativo e soprattutto professionale del SSN. Affrontare questa criticità richiede consistenti investimenti sul personale sanitario e coraggiose riforme organizzative. Concentrarsi unicamente sul “sintomo” (i lunghi tempi di attesa), piuttosto che risolvere “le cause della malattia” è un approccio semplicistico che guarda al dito invece che alla luna. In tal senso, l’ambiziosa complessità del DL liste di attesa, sommata al giogo amministrativo di sei decreti attuativi, allunga le tempistiche perché si scontra con numerosi ostacoli: attriti istituzionali a livello centrale, diseguaglianze regionali nella completezza e trasparenza dei dati, modalità poco trasparenti nella gestione delle agende di prenotazione sia del pubblico che del privato convenzionato, impossibilità di assumere personale sanitario per gli stringenti vincoli economici imposti dal MEF. Inoltre, il tentativo di centralizzare dati, informazioni e decisioni, che da quasi 25 anni vedono le Regioni nel duplice ruolo di controllati e controllori, aggiunge ulteriori complessità non facilmente risolvibili. Questi fattori rallentano la pubblicazione dei decreti attuativi, rendono impossibile definire tempistiche certe e, da ultimo, allontanano i benefici attesi per milioni di cittadini e pazienti. In definitiva, le riforme annunciate restano un esercizio retorico se non tradotte in azioni concrete, mentre il raggiungimento di risultati parziali è solo una magra consolazione politica, priva di reali benefici per la società».


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24 gennaio 2025
PNRR Missione Salute, al 4° trimestre 2024 raggiunta l’unica scadenza europea sulle centrali operative territoriali, ma senza infermieri rischiano di diventare scatole vuote. Incognita Regioni: dati pubblici sull’attivazione delle COT ancora non disponibili

«Al 31 dicembre 2024 – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’unica scadenza europea della Missione Salute del PNRR che condiziona il pagamento delle rate, ovvero la realizzazione di almeno 480 Centrali Operative Territoriali, è stata rispettata».

L’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale prosegue la sua attività di monitoraggio indipendente, analizzando sia i risultati raggiunti che le criticità relative all’avanzamento delle riforme. L’obiettivo è fornire ai cittadini un quadro chiaro e oggettivo, al riparo da strumentalizzazioni politiche.

STATO DI AVANZAMENTO AL 31 DICEMBRE 2024. Secondo i dati pubblicati sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:

  • Milestone e target europei: è stata raggiunta la scadenza relativa all’entrata in funzione di almeno 480 Centrali Operative Territoriali (COT), strutture essenziali per il coordinamento della presa in carico dei pazienti e l’integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria. Le risorse assegnate a questo target ammontano a € 280 milioni. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ha confermato alla Camera che la rendicontazione di questo obiettivo è stata inviata alla Commissione Europea, avviando così la procedura per il versamento della settima rata da € 18,3 miliardi. Tuttavia, è importante ricordare che, a seguito della rimodulazione del PNRR, il target minimo di COT è stato ridotto da almeno 600 ad almeno 480 e la scadenza è stata posticipata dal 30 giugno al 31 dicembre 2024.
  • Milestone e target nazionali: «Anche se non condizionano l’erogazione dei fondi del PNRR – spiega Cartabellotta – questi step intermedi richiedono un attento monitoraggio perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee». Sono stati raggiunti tutti i target previsti per il periodo 2021-2024. In dettaglio, nell’ultimo trimestre sono stati raggiunti i seguenti risultati:
    • Pubblicazione di una procedura per l’assegnazione di voucher per progetti PoC (Proof of Concept) e ricerca su tumori e malattie rare. L’obiettivo programmato per fine dicembre era già stato centrato a giugno.
    • Interoperabilità del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE): realizzate le necessarie componenti architetturali. La scadenza di questo target, era stata prorogata dal 30 giugno al 31 dicembre 2024.
    • Completamento degli interventi per interconnessione aziendale: traguardo centrato con 6 mesi di ritardo rispetto alla scadenza originale del 30 giugno 2024.
    • Formazione sulle infezioni ospedaliere: la procedura di registrazione è stata raggiunta con un ritardo di oltre 3 mesi rispetto alla scadenza originale del 30 settembre 2024.

FOCUS SULLE CENTRALI OPERATIVE TERRITORIALI. Nell’ambito della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR, le COT sono state progettate come hub organizzativi per migliorare il coordinamento tra ospedali, medici di famiglia, assistenza domiciliare e servizi sociali. Pensate per garantire una presa in carico continua e personalizzata dei pazienti, rappresentano un elemento chiave per affrontare le sfide legate all’invecchiamento della popolazione e alla crescente prevalenza delle malattie croniche. «In occasione del raggiungimento del target EU sulle COT – spiega il Presidente – è opportuno fare il punto sullo status complessivo di attuazione di queste strutture che, insieme a Case di Comunità, Ospedali di Comunità, telemedicina e al potenziamento dell’assistenza domiciliare, configurano quella rivoluzione organizzativa dell’assistenza territoriale prevista dal DM 77 e finanziata dal PNRR». Relativamente allo stato di completamento delle COT è opportuno distinguere quelle “dichiarate attive” dalle Regioni e quelle “pienamente funzionanti”, ovvero quelle per le quali è stata elaborata la necessaria relazione da parte di un ingegnere indipendente e una dichiarazione firmata dal Direttore Generale dell’Azienda sanitaria che attesti l’entrata in funzione dell’opera e dei servizi correlati.

Rimodulazione target COT. Secondo la programmazione iniziale del PNRR, era previsto un rapporto di una COT ogni 100.000 abitanti, per un totale di almeno 600 strutture distribuite proporzionalmente tra le Regioni. Tuttavia, per l’aumento di costi di energetici e materie prime, la rimodulazione del PNRR approvata il 24 novembre 2023 dalla Commissione Europea, le ha ridotte del 20%, portando il target ad almeno 480 COT.  Tale rimodulazione, tuttavia, non modifica il numero originario di COT da attivare, ma riduce prudenzialmente il target EU per garantire l’erogazione delle risorse previste dal PNRR: di conseguenza, le ulteriori 120 COT dovranno essere realizzate con altri fondi non ancora ben definiti e senza vincoli legati alle scadenze del PNRR, ovvero senza tempistiche definite.  «In tal senso – commenta il Presidente – fino a quando non saranno pienamente funzionanti tutte le 611 COT previste originariamente, si registrerà un aumento del carico di lavoro per quelle attive, che si troveranno a gestire un bacino di utenza più ampio, rischiando di compromettere la qualità dei servizi».

Attivazione e funzionamento delle COT. «Sebbene sia stato raggiunto – evidenzia Cartabellotta – il target europeo di almeno 480 COT pienamente funzionanti, necessario per richiedere il versamento della settima rata, ad oggi non è disponibile pubblicamente la relativa distribuzione regionale delle COT pienamente funzionanti al 31 dicembre 2024, indispensabile per monitorare l’equità territoriale». Secondo l’ultimo dato reso pubblico dall’Agenas il 18 settembre 2024, al 30 giugno risultavano pienamente funzionanti 362 COT, pari al 59% del totale previsto prima della rimodulazione, ovvero 611 COT. «Infine – continua il Presidente – in un momento storico caratterizzato grave carenza di infermieri dal SSN, l’effettiva operatività delle COT rischia di essere compromessa, rendendole di fatto delle scatole vuote». In particolare, secondo le stime dell’Agenas per il funzionamento delle COT servirebbero da 2.400 a 3.600 unità di infermieri di famiglia e di comunità (IFoC), ovvero un coordinatore infermieristico, oltre a 3-5 IFoC per ciascuna COT, personale per il quale sono già stati stanziati € 480 milioni dal DL 34/2020.  Un fabbisogno che stride con sia con la carenza di personale infermieristico (nel 2022 6,5 per 1.000 abitanti, rispetto alla media OCSE di 9,8), sia con il basso numero di laureati (nel 2022 16,4 per 1.000 abitanti, rispetto alla media OCSE di 44,9), sia con la scarsa attrattività della professione visto per l’Anno Accademico 2023-2024 sono pervenute 23.627 domande per 20.058 posti disponibili e per il 2024-2025 21.250 domande per 20.435 posti. 

«Inevitabilmente – conclude Cartabellotta – la crisi del personale sanitario, in particolare quello infermieristico, si ripercuote a cascata sulla riforma dell’assistenza territoriale programmata dal PNRR che rischia di trasformarsi in una occasione mancata. È inaccettabile che, mentre si celebrano giustamente gli obiettivi raggiunti, si perda di vista che l’indebitamento del Paese rischia di non avere alcun beneficio per la salute delle persone. Ovvero, il fine ultimo del PNRR non può limitarsi al rispetto delle scadenze per incassare le rate: ma è cruciale garantire che queste riforme lascino un’eredità duratura per tutelare la salute di tutte le persone, riducendo le diseguaglianze regionali e territoriali e assicurando un’assistenza sanitaria equa e universale. Ecco perché il successo del PNRR è strettamente legato al rilancio del Servizio Sanitario Nazionale e in particolare delle politiche per rendere nuovamente attrattiva la carriera di tutti i professionisti nella sanità pubblica».


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9 gennaio 2025
Crisi senza precedenti del personale sanitario: persi oltre € 28 miliardi in 11 anni, più della metà solo nel 2020-2024. Nel 2023 raddoppia la spesa per i “gettonisti”. Paradosso delle Regioni in Piano di rientro: spesa media per il personale dipendente più alta delle altre. Urgente rilancio delle politiche per il personale sanitario per garantire diritto alla tutela della salute

«Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sta affrontando una crisi del personale sanitario senza precedenti, causata da errori di programmazione, dal definanziamento e dalle recenti dinamiche che hanno alimentato demotivazione e disaffezione dei professionisti verso il SSN. Senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale sanitario, l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni di salute delle persone, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute». Queste le criticità al centro dell’audizione di ieri della Fondazione GIMBE presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’“Indagine conoscitiva in materia di riordino delle professioni sanitarie”.

Il Presidente ha presentato in audizione diverse analisi mirate a rispondere su come affrontare carenze e criticità riscontrate in tema di personale sanitario. Per le analisi sulla spesa per il personale dipendente sono stati utilizzati i dati del recente Report “Il Monitoraggio della Spesa Sanitaria” della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) relativi all’anno 2023. Per le analisi sulle unità di personale dipendente sono stati invece utilizzati i dati aggiornati al 2022 del Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato (CA-RGS), che include esclusivamente il personale dipendente delle Pubbliche Amministrazioni a cui si applica il CCNL del comparto sanità, indipendentemente dalla professione e alla tipologia di ente in cui presta servizio. Si è inoltre fatto riferimento ai dati del report del Ministero della Salute, che include sia il personale dipendente del SSN e dell’Università che opera nelle Aziende e nelle strutture pubbliche o nelle strutture di ricovero equiparate alle pubbliche.

SPESA PER IL PERSONALE DIPENDENTE. «Nel periodo 2012-2023 – ha spiegato Cartabellotta – il capitolo di spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente è stato quello maggiormente sacrificato». In termini assoluti, dopo una progressiva contrazione da € 36,4 miliardi nel 2012 a € 34,7 miliardi nel 2017, la spesa ha iniziato a risalire raggiungendo € 40,8 miliardi nel 2022, per poi scendere a € 40,1 miliardi nel 2023 (figura 1). Tuttavia, in termini percentuali sulla spesa sanitaria totale, il trend rileva una lenta ma costante riduzione: se nel 2012 rappresentava il 33,5%, nel 2023 si è attestato al 30,6% (figura 2).  «Se la spesa per il personale dipendente si fosse mantenuta ai livelli del 2012, quando rappresentava circa un terzo della spesa sanitaria totale, negli ultimi 11 anni il personale dipendente non avrebbe perso € 28,1 miliardi, di cui € 15,5 miliardi solo tra il 2020 e il 2023, un dato che evidenzia il sacrificio economico imposto ai professionisti del SSN», ha commentato Cartabellotta.

UNITÀ DI PERSONALE DIPENDENTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. Per l’anno 2022, ultimo disponibile, la RGS riporta un totale di 681.855 unità di personale dipendente, pari ad una media nazionale di 11,6 unità per 1.000 abitanti con nette differenze regionali: da 8,5 unità per 1.000 abitanti in Lazio e Campania a 17,4 unità per 1.000 abitanti in Valle D’Aosta (figura 3). «Questi dati – ha osservato il Presidente – portano a due considerazioni generali. Nelle prime 5 posizioni si collocano tutte le Regioni e Province autonome a statuto speciale di più piccole dimensioni (Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Province autonome di Trento e Bolzano) oltre alla Liguria. Al contrario, al di sotto della media nazionale si trovano tutte le Regioni in Piano di rientro, tutte del Centro-Sud, oltre alla Lombardia».

SPESA PRO-CAPITE PER IL PERSONALE DIPENDENTE. Parametrando i dati RGS-CA sulla spesa sanitaria 2023 per il personale dipendente alla popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023 la spesa pro-capite per il personale dipendente nel 2023 è stata di € 672, con differenze significative tra le regioni: dai € 1.405 euro nella Provincia autonoma di Bolzano a € 559 in Campania (figura 4), con una “classifica” che riflette quella relativa alla distribuzione del personale dipendente per 1.000 abitanti (figura 3).

SPESA PER UNITÀ DI PERSONALE DIPENDENTE. Mettendo in correlazione, per l’anno 2022, le unità di personale dipendente con la spesa pubblica totale, la spesa per unità di personale a livello nazionale è pari a € 57.140, con un range che varia da € 49.838 del Veneto a € 81.139 della Provincia autonoma di Bolzano (figura 5), con tutte le Regioni in Piano di rientro che mostrano paradossalmente valori superiori alla media nazionale. «Quest’inedito indicatore– ha commentato Cartabellotta – dimostra che l’ottimizzazione della spesa pubblica per il personale sanitario è stata gestita in maniera molto differente tra le Regioni. Non a caso, quelle più virtuose nell’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni registrano una spesa per unità di personale dipendente più bassa. Un risultato verosimilmente dovuto sia alla riduzione delle posizioni apicali, sia ad un più elevato rapporto professioni sanitarie/medici, che consente di ridurre la spesa mantenendo una maggiore forza lavoro per garantire l’erogazione dell’assistenza sanitaria».

SPESA PER FORNITURA DI PERSONALE SANITARIO. «La carenza di personale sanitario – ha spiegato Cartabellotta – unita all’impossibilità per le Regioni di aumentare la spesa per il personale dipendente a causa dei tetti di spesa, negli anni ha alimentato il fenomeno dei “gettonisti”: medici, infermieri e altri professionisti sanitari reclutati tramite agenzie di somministrazione del lavoro e cooperative, con i relativi costi rendicontati come spese per beni e servizi». Secondo un report dell’Autorità Nazionale  Anticorruzione (ANAC), relativo al periodo gennaio 2019 – agosto 2023, il fenomeno era già molto evidente nel 2019, con una spesa complessiva di quasi € 580 milioni. Nel 2020 il valore è crollato a € 124,5 milioni, per poi risalire negli anni 2021-2022, fino a raggiungere, nel solo periodo gennaio-agosto 2023, € 476,4 milioni, un valore doppio rispetto all’anno precedente (figura 6).

PERSONALE DEL SSN E BENCHMARK INTERNAZIONALI. Per l’anno 2022 il report del Ministero della Salute riporta un totale di 727.169 unità di personale: 625.282 dipendenti del SSN (86%), 84.452 dipendenti delle strutture equiparate a quelle pubbliche (11,6%), 8.839 universitari (1,2%) e 8.596 con altro rapporto di lavoro (1,2%). Di queste unità, il 72% è rappresentato dal ruolo sanitario, il 17,6% dal ruolo tecnico, il 9,9% dal ruolo amministrativo, lo 0,2% dal ruolo professionale e lo 0,3% da qualifiche atipiche.

Medici. Nel 2022 i medici che lavoravano nelle strutture sanitarie erano 124.296: 101.827 come dipendenti del SSN e 22.469 come dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia da 1,80 della Campania a 2,64 della Sardegna. L’Italia si colloca sopra la media OCSE come numero di medici in servizio (4,2 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), ma con un gap rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN. Nel 2022, il numero di laureati in Medicina e Chirurgia è stato di 16,7 per 100.000 abitanti, un dato superiore alla media OCSE di 14,2. «Oltre ai medici di famiglia – commenta Cartabellotta – le carenze riguardano alcune specialità di fondamentale importanza per il funzionamento del SSN che non sembrano essere più di interesse per i giovani medici: medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia. Specialità per le quali la percentuale di assegnazione delle borse di studio per l’ultimo anno accademico è stata inferiore al 30%».

Infermieri. Nel 2022 il numero di infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie è di 302.841: 268.013 come dipendenti del SSN e 34.828 come dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 5,13 per 1.000 abitanti, con un range che varia da 3,83 della Campania a 7,01 della Liguria. L’Italia si colloca notevolmente al di sotto della media OCSE (6,5 vs 9,8 per 1.000 abitanti). Nel 2022, il numero di laureati in Scienze Infermieristiche è stato di 16,4 per 100.000 abitanti, un dato significativamente inferiore alla media OCSE di 44,9: difficilmente la situazione potrà migliorare, visto che per l’Anno Accademico 2024-2025 nel Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche sono state presentate solo 21.250 domande per 20.435 posti. «Questa grave carenza – commenta Cartabellotta – stride con il fabbisogno stimato da Agenas in 20-25 mila infermieri di famiglia e di comunità necessari per la riorganizzazione dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR».

Il Presidente ha quindi analizzato le dinamiche che hanno portato negli anni alla crisi del personale sanitario «I tagli al SSN e il sotto-finanziamento cronico hanno determinato una forte contrazione degli investimenti per il personale sanitario dipendente e convenzionato, attraverso misure come il blocco delle assunzioni, i mancati rinnovi contrattuali e un numero insufficiente di borse di studio per specialisti e medici di famiglia. Inoltre, l’assenza di una programmazione adeguata ha aggravato la progressiva carenza di professionisti sanitari, mentre l’emergenza COVID-19 ha poi slatentizzato una crisi motivazionale già in corso. Sempre più giovani disertano l’iscrizione a corsi di laurea come scienze infermieristiche e a specializzazioni mediche meno attrattive, come emergenza-urgenza), mentre numerosi professionisti abbandonano il SSN per lavorare nel privato o addirittura all’estero. A tutto ciò si aggiungono i pensionamenti previsti tra medici (ospedalieri e di famiglia), infermieri e altri professionisti sanitari, aggravati da burnout e demotivazione, che stanno riducendo sempre più la forza lavoro della sanità pubblica. Ciò ha inevitabilmente peggiorato la qualità e la sicurezza del lavoro per chi rimane, spesso costretto a turni massacranti in condizioni di carenza di organico. Inoltre, l’aumento dei casi di violenza fisica e verbale ai danni del personale sanitario, soprattutto nei pronto soccorso, ha ulteriormente compromesso la sicurezza e le condizioni di lavoro. Il peso della burocrazia e la scarsa digitalizzazione, infine, complicano il lavoro quotidiano dei professionisti sanitari, alimentando inefficienze e frustrazione».

«La crisi del personale sanitario – ha concluso Cartabellotta – non è solo una questione economica, ma una priorità cruciale per la sostenibilità del SSN. Liste di attesa interminabili, pronto soccorso affollati, impossibilità di trovare un medico di famiglia hanno un comune denominatore: la carenza di professionisti sanitari, la loro disaffezione e il progressivo abbandono del SSN. È urgente rilanciare le politiche sul capitale umano per valorizzare la colonna portante della sanità pubblica, rendendo nuovamente attrattiva la carriera nel SSN e innovando i processi di formazione e valutazione delle competenze professionali. Senza questi interventi, il SSN non sarà in grado di garantire universalmente il diritto alla tutela della salute, rendendo vano qualsiasi tentativo di arginare questa crisi».

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27 novembre 2024
Fascicolo Sanitario Elettronico: forti disparità regionali ostacolano la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. Lazio al vertice per completezza di documenti e servizi. Solo il 41% dei cittadini ha fornito il consenso: dall’89% dell’Emilia-Romagna all’1% di Abruzzo, Calabria, Campania e Molise. Servono misure per l’alfabetizzazione digitale e per infondere fiducia nella sicurezza dei dati personali

In occasione del 19° Forum Risk Management di Arezzo, la Fondazione GIMBE, per voce del Presidente Nino Cartabellotta, ha presentato i dati aggiornati sulla completezza e utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) nelle Regioni italiane. Questo strumento, cruciale per l’accessibilità ai servizi sanitari, evidenzia profonde disomogeneità regionali, che configurano vere e proprie “fratture digitali” sia in termini di servizi offerti che di utilizzo da parte di cittadini e professionisti sanitari.

«Il Fascicolo Sanitario Elettronico – dichiara Cartabellotta – non è solo uno strumento con cui il cittadino può tracciare e consultare la propria storia sanitaria, condividendola in maniera sicura ed efficiente con gli operatori sanitari, ma rappresenta una leva strategica per migliorare accessibilità, continuità delle cure e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. Il PNRR, grazie ad un investimento dedicato, mira ad arricchire e armonizzare i FSE, rendendoli interoperabili e connettendo tra loro le infrastrutture digitali. Tuttavia, ad oggi, persistono significative diseguaglianze regionali che privano molti cittadini delle stesse opportunità di accesso e utilizzo. Inoltre, la mancata armonizzazione del FSE rischia di lasciare i cittadini senza accesso a dati essenziali per la propria salute in caso di spostamento tra Regioni».

Infatti, i dati aggiornati al 31 agosto 2024 estratti ed elaborati dal portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 del Ministero della Salute e del Dipartimento per la Trasformazione Digitale evidenziano che la completezza di documenti e servizi disponibili nel FSE e il suo utilizzo variano significativamente tra Regioni.

COMPLETEZZA DEL FSE

Documenti. Il Decreto del Ministero della Salute del 7 settembre 2023 ha definito i contenuti del FSE 2.0, ma non tutte le Regioni rendono disponibili tutti i documenti (figura 1). «Ad oggi – spiega il Presidente – solo 7 tipologie di documenti sono accessibili su tutto il territorio nazionale: lettere di dimissione ospedaliera, prescrizioni farmaceutiche e specialistiche, referti di laboratorio, di radiologia e di specialistica ambulatoriale, verbali di pronto soccorso». A livello regionale è presente una forte disomogeneità nella disponibilità dei documenti nel FSE. Il profilo sanitario sintetico, il documento di erogazione delle prestazioni specialistiche e quello di erogazione dei farmaci e il referto di anatomia patologica sono disponibili in oltre l’80% delle Regioni. Il certificato vaccinale è presente in 16 Regioni e Province autonome (76%) mentre il taccuino personale dell’assistito e della scheda della singola vaccinazione si trovano nei FSE di 12 Regioni (57%). Solo 5 Regioni rendono disponibile la lettera di invito per screening vaccinazione e altri percorsi di prevenzione. La cartella clinica, invece, è disponibile esclusivamente in Lazio, Sardegna e Veneto (tabella 1).

 A livello nazionale sono messi a disposizione degli utenti il 79% dei documenti. Il Lazio è l’unica Regione che include nel FSE tutte le tipologie di documenti previsti dal decreto, mentre le altre Regioni presentano livelli di completezza variabili: dal 94% del Piemonte al 63% di Marche e Puglia (figura 2).

Servizi. Attualmente, nei FSE regionali sono disponibili 37 servizi (tabella 2), che permettono ai cittadini di svolgere varie attività fondamentali: dal pagamento di ticket e prestazioni alla prenotazione di visite ed esami, fino alla scelta del medico di medicina generale o alla consultazione delle liste d’attesa. La disponibilità di questi servizi varia significativamente tra le Regioni: solo Lazio (67%) e Toscana (64%) superano la soglia del 60%, offrendo un’ampia gamma di funzionalità. All’estremo opposto, in Abruzzo e Calabria, i servizi accessibili tramite il FSE si fermano all’8% (figura 3). «L’assenza di un’integrazione completa dei servizi, soprattutto nelle Regioni del Sud – commenta Cartabellotta – riduce il potenziale del FSE come strumento di innovazione e accessibilità ai servizi sanitari, limitando le opportunità per i cittadini di beneficiare di una sanità realmente digitale».

UTILIZZO DEL FSE

Consenso alla consultazione. Al 31 agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono al 31 marzo 2024), il 41% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sanitari da parte di medici e operatori del SSN, in linea con le finalità del DM 7 settembre 2023. Anche su questo fronte si rileva un’ampia variabilità regionale: l’adesione varia dall’1% in Abruzzo, Calabria, Campania e Molise all’89% in Emilia-Romagna. Tra le Regioni del Mezzogiorno, solo la Puglia con il 69% supera la media nazionale (figura 4). «La limitata espressione del consenso da parte dei cittadini – spiega il Presidente – soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, evidenzia l’urgenza di infondere una maggiore fiducia nella popolazione. È fondamentale rassicurare i cittadini sulla sicurezza dei dati personali e sull’utilità concreta del FSE. Senza un intervento mirato in questa direzione, gli sforzi compiuti dai servizi sanitari regionali rischiano di essere vanificati».

Utilizzo del FSE. Tra giugno e agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono gennaio-marzo 2024), solo il 18% dei cittadini ha consultato il proprio FSE almeno una volta, considerando coloro per cui nello stesso periodo è stato reso disponibile almeno un documento nel fascicolo. Tuttavia, le differenze tra le Regioni sono significative: si passa dall’1% di utilizzo nelle Marche e in Sicilia al 50% della Provincia autonoma di Trento (figura 5). Nelle Regioni del Mezzogiorno, il tasso di utilizzo è generalmente molto basso, con percentuali pari o inferiori al 3%, fatta salva la Sardegna che raggiunge il 10%. L’unica eccezione positiva è rappresentata dalla Campania, che con il 18% si allinea alla media nazionale. «Il limitato utilizzo del FSE da parte dei cittadini – commenta il Presidente – particolarmente evidente nelle Regioni del Sud, sottolinea l’urgenza di investire in alfabetizzazione digitale. Questa è una condizione imprescindibile per realizzare una trasformazione digitale efficace, che trova nell’utilizzo del FSE uno strumento fondamentale».

Utilizzo da parte di Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta. Tra giugno e agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono gennaio-marzo 2024), la quasi totalità (94%) di Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta ha effettuato almeno un accesso al FSE. 11 Regioni raggiungono il 100% di utilizzo: Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Molise, Provincia autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. Nelle altre Regioni il tasso di utilizzo rimane elevato ma di poco inferiore: Campania, Liguria e Provincia autonoma di Bolzano (99%), Friuli Venezia Giulia (97%), Calabria (94%). Al di sotto della media nazionale si collocano Sicilia e Marche (92%), Abruzzo (88%), Toscana (82%) e Lombardia (81%) (figura 6).

Utilizzo da parte di medici specialisti. Al 31 agosto 2024 (per il Friuli Venezia Giulia i dati sono al 31 marzo 2024), il 76% dei medici specialisti delle Aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione del FSE, con significative differenze regionali. Le percentuali oscillano tra lo 0% della Liguria e il 100% in Lombardia, Molise, Province autonome di Bolzano e Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Al di sotto della media nazionale si collocano Sicilia (73%), Lazio (59%), Abruzzo (28%), Calabria (25%), Marche (2%) e Umbria (1%). La Liguria rimane il fanalino di coda con una totale assenza di medici specialisti abilitati (0%) (figura 7).

A partire dal 2025, un’importante innovazione è destinata a incrementare ulteriormente l’uso del FSE: la dematerializzazione della ricetta bianca. Grazie a questa evoluzione, anche le prescrizioni non a carico del SSN saranno disponibili in formato elettronico e gestibili direttamente attraverso il FSE. «La ricetta bianca dematerializzata – commenta Cartabellotta – rappresenta un significativo passo avanti verso una sanità sempre più digitale e integrata. Sebbene rimanga per il paziente la possibilità di ricevere la ricetta via email, WhatsApp o di ritirare il farmaco direttamente in farmacia tramite il proprio codice fiscale, il FSE diventerà il fulcro di una gestione completa, sicura e trasparente delle prescrizioni mediche».

«Per ridurre le diseguaglianze – aggiunge Cartabellotta – è indispensabile un nuovo patto nazionale per la sanità digitale, che coinvolga il Governo e le amministrazioni regionali. Senza un piano di integrazione nazionale, rischiamo di generare nuove diseguaglianze in un sistema sanitario che già viaggia a velocità diverse, dove tecnologia e innovazione rimangono accessibili solo a una parte della popolazione. Questo finisce per escludere proprio le persone che più dovrebbero beneficiare della trasformazione digitale: anziani, persone sole, residenti in aree isolate o disagiate, di basso livello socio culturale».

In un contesto in cui il FSE rappresenta il pilastro della trasformazione digitale di una moderna sanità pubblica, la Fondazione GIMBE esorta le istituzioni ad adottare misure concrete volte a migliorare l’alfabetizzazione digitale di cittadini, pazienti, caregiver, familiari e professionisti sanitari, rafforzare le infrastrutture digitali, standardizzare le procedure di accesso al fine di garantire un’adozione uniforme del FSE su tutto il territorio nazionale. «Affinché il FSE diventi davvero uno strumento inclusivo, capace di rispondere alle esigenze di ogni cittadino – conclude Cartabellotta – è infine fondamentale superare con iniziative di formazione e sensibilizzazione la scarsa alfabetizzazione digitale di una parte significativa dei cittadini e i timori legati alla privacy dei dati personali, che oggi rappresentano ostacoli rilevanti ad un’adozione diffusa del FSE».


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4 novembre 2024
Manovra 2025, per la sanità i conti non tornano: rispetto alle misure previste, mancano € 19 miliardi da qui al 2030. Nel 2027 il finanziamento pubblico scende al 5,9% del PIL, minimo storico. L’incremento annuo del fondo sanitario rimane ben al di sotto del 2,6% raccomandato dall’OCSE. In commissioni bilancio riunite audizione della Fondazione GIMBE con le proposte sul rifinanziamento

«Il Disegno di Legge sulla Manovra 2025 – ha dichiarato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è molto lontano dalle necessità della sanità pubblica: le risorse stanziate non bastano a risollevare un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in grave affanno, sono ampiamente insufficienti per finanziare tutte le misure previste dalla Manovra e mancano all’appello priorità rilevanti per la tenuta della sanità pubblica». Queste le criticità principali emerse dall’audizione della Fondazione GIMBE presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, dove il Presidente ha invitato a non utilizzare la sanità come terreno di scontro politico ed ha avanzato proposte concrete per il rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale (FSN).

FONDO SANITARIO NAZIONALE. «Innanzitutto – ha spiegato Cartabellotta – il titolo dell’art. 47 “Rifinanziamento del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” e ancor più le modalità con cui vengono presentati gli importi sono fuorvianti: vengono riportati solo gli incrementi cumulativi del FSN, anziché le risorse aggiunte annualmente, con la relativa rideterminazione del FSN». Cartabellotta ha proposto di rinominare l’art. 47 in “Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” e di esplicitare per ciascun anno sia l’incremento in valore assoluto, sia l’importo rideterminato del FSN (tabella 1).

La Fondazione ha evidenziato come la crescita del FSN sia nettamente insufficiente rispetto alle difficoltà della sanità pubblica di garantire in maniera equa il diritto alla tutela della salute. «L’incremento di € 2,5 miliardi per il 2025, che porta “in dote” € 1,2 miliardi dalla Manovra 2024 – spiega Cartabellotta – aumenta il FSN a € 136,5 miliardi, di fatto solo dell’1% rispetto a quanto già fissato nel 2024». E negli anni successivi, eccezion fatta per il 2026 (+3%), gli incrementi percentuali del FSN sono risibili: +0,4% nel 2027, +0,6% nel 2028, +0,7% nel 2029 e +0,8% nel 2030.

«Ma soprattutto – ha rilevato il Presidente – emerge chiaramente la riduzione degli investimenti per la sanità rispetto alla ricchezza prodotta dal Paese, segno che il rafforzamento del SSN e la tutela della salute non sono una priorità nemmeno per l’attuale Governo». Infatti, in termini di percentuale di PIL, il FSN scende dal 6,12% del 2024 al 6,05% nel 2025 e 2026, per poi precipitare al 5,9% nel 2027, al 5,8% nel 2028 e al 5,7% nel 2029 (figura 1). «Questo trend – ha osservato Cartabellotta – riflette il continuo disinvestimento dalla sanità pubblica, avviato nel 2012 e perpetrato da tutti i Governi. L’aumento progressivo del FSN in valore assoluto, sempre più sbandierato come un grande traguardo, è in realtà una mera illusione: perché la quota di PIL destinata alla sanità cala inesorabilmente, fatta eccezione per gli anni della pandemia quando i finanziamenti straordinari per la gestione dell’emergenza e il calo del PIL nel 2020 hanno mascherato il problema. E con la Manovra 2025 si scende addirittura sotto la soglia psicologica del 6%, toccando il minimo storico» (figura 2).

MISURE PREVISTE. Il Presidente ha poi presentato l’analisi dettagliata delle misure previste dall’art. 47 della Manovra 2025, evidenziando un netto divario con le risorse stanziate. Nel periodo 2025-2030, il costo complessivo delle misure ammonta a € 21.365 milioni, a cui vanno aggiunti i rinnovi contrattuali del personale sanitario, non riportati dal testo della Manovra. Costi che la Fondazione GIMBE ha stimato in € 7.649 milioni: € 3.618 milioni per il triennio 2025-2027 e € 4.031 milioni per il 2028-2030. «Calcolatrice alla mano – ha chiosato Cartabellotta – le misure previste dalla Manovra per il periodo 2025-2030 hanno un impatto complessivo di oltre € 29 miliardi, mentre le risorse stanziate ammontano a circa € 10,2 miliardi. Con un divario che sfiora i € 19 miliardi e un SSN già in grave affanno, è ovvio che anche le Regioni più virtuose faticheranno a implementare le misure disposte dalla Manovra e dovranno tagliare i servizi e/o aumentare le imposte regionali». (tabella 2: gap tra misure previste e risorse stanziate 2025-2030; tabella 3: dettaglio misure previste art. 47)

MISURE NON PREVISTE «Dalla Manovra 2025 – ha rilevato Cartabellotta – restano escluse priorità cruciali per la tenuta del SSN. Innanzitutto, il piano straordinario di assunzione medici e infermieri, l’abolizione del tetto di spesa per il personale e risorse adeguate per restituire attrattività al SSN, visto che le indennità di specificità sono solo briciole. Mancano inoltre risorse per ridurre/abolire il payback sui dispositivi medici e per gestire il continuo sforamento del tetto di spesa della farmaceutica diretta, che pesa sempre di più sull’industria del farmaco». Infine, anche i “nuovi” LEA per le prestazioni specialistiche e protesiche, attesi da ben 8 anni, rischiano di slittare oltre il 1° gennaio 2025, per esiguità delle risorse stanziate.

IL RIFINANZIAMENTO DEL SSN. Secondo il report OCSE sulla sostenibilità fiscale dei servizi sanitari, pubblicato nel gennaio 2024, la spesa sanitaria crescerà “fisiologicamente” in media del 2,6% annuo fino al 2040, spinta dal costo crescente di farmaci e tecnologie sanitarie, invecchiamento della popolazione e inflazione. «Purtroppo – ha spiegato Cartabellotta – gli incrementi previsti dalla Manovra 2025, ben al di sotto di questa soglia, non saranno sufficienti a mantenere il passo, lasciando il nostro SSN sempre più indietro». Con il finanziamento assegnato dalla Legge di Bilancio 2025, infatti, dal 2026 ci allontaneremo dal tasso di crescita del 2,6% annuo, accumulando un gap di circa € 12 miliardi nel 2030 (figura 3).

PROPOSTE PER IL RIFINANZIAMENTO DEL SSN. «Se il nostro Paese intende davvero rilanciare il SSN – ha continuato il Presidente – è indispensabile avviare un rifinanziamento progressivo accompagnato da coraggiose riforme di sistema. Perché aggiungere fondi senza riforme riduce il valore della spesa sanitaria, mentre fare riforme “senza maggiori oneri per la finanza pubblica” crea solo “scatole vuote”, come il DL anziani, il DL liste di attesa e il DdL sulle prestazioni sanitarie. Nonostante la stagnante crescita economica, gli enormi interessi sul debito pubblico e l’entità dell’evasione fiscale, con un approccio scientifico e la giusta volontà politica è possibile pianificare un incremento percentuale annuo del FSN, al di sotto del quale non scendere, a prescindere dagli avvicendamenti dei Governi».

Seguendo le opzioni politiche suggerite dal report OCSE del gennaio 2024, la Fondazione GIMBE ha presentato in audizione proposte concrete per rifinanziare il SSN. Nell’impossibilità di aumentare la spesa pubblica totale visto l’inverosimile balzo del PIL nel breve-medio termine e i vincoli EU sul debito, occorre puntare sulla combinazione delle altre strategie proposte dall’OCSE. Innanzitutto, aumentare le risorse per la sanità, riallocandole da altri capitoli di spesa pubblica e/o introducendo tasse di scopo, in particolare su prodotti che danneggiano la salute (sin taxes): sigarette, alcool, gioco d’azzardo, bevande e prodotti zuccherati, e/o tassando i redditi milionari e/o gli extra-profitti di multinazionali. In secondo luogo, rivalutare i confini tra spesa pubblica e spesa privata: previo aggiornamento efficace dei Livelli Essenziali di Assistenza (le prestazioni che il SSN è tenuto a fornire a tutte le persone, gratuitamente o dietro pagamento di ticket), occorre attuare una “sana riforma” della sanità integrativa che permetta di coprire i bisogni di salute aumentando la spesa intermediata e riducendo quella pagata di tasca dai cittadini (out-of-pocket); rivedere le compartecipazioni alla spesa sanitaria; incentivare, previa definizione di una governance nazionale, le partnership pubblico-privato. Infine, attuare un Piano Nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze per aumentare il valore della spesa sanitaria.

«È ormai tempo di rimboccarsi le maniche – ha concluso Cartabellotta – abbandonando sia i proclami populisti del Governo sia le proposte irrealistiche di rifinanziamento delle forze di opposizione, evitando di fare della sanità un campo di battaglia politica. Perché senza un adeguato potenziamento del SSN con adeguate risorse e coraggiose riforme di sistema, non resterà che assistere impotenti al suo declino: vedremo dissolversi la sua funzione di tutela universale della salute, disattendendo il principio sancito dall’art. 32 della Costituzione. Di conseguenza, è indispensabile ripensare le politiche allocative del Paese per contrastare la progressiva demotivazione e fuga del personale sanitario dal SSN, le difficoltà di accesso alle innovazioni farmacologiche e tecnologiche, le diseguaglianze nell’accesso a servizi e prestazioni sanitarie, l’aumento della spesa privata e la rinuncia alle cure. Altrimenti, diremo definitivamente addio all’universalismo, all’uguaglianza e all’equità, princìpi fondanti del SSN».


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Pagina aggiornata il 22/06/2022