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Comunicati stampa

16 gennaio 2024
Nel 2021 cresce la migrazione sanitaria: un fiume da € 4,25 miliardi scorre verso le regioni del Nord. A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto il 93,3% del saldo attivo. Il 76,9% del saldo passivo grava sul Centro-Sud. Delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato. L’autonomia differenziata è uno schiaffo al meridione: il Sud sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord.

Nel 2021, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di € 4,25 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (€ 3,33 miliardi), con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla Regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – Regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. «La mobilità sanitaria – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale” destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute».

Ecco perché, in occasione dell’avvio della discussione in Aula al Senato del DdL Calderoli, continua Cartabellotta, «la Fondazione GIMBE ribadisce quanto già riferito nell’audizione in 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie». Numerose le motivazioni:

  • Il Servizio Sanitario Nazionale attraversa una gravissima crisi di sostenibilità e il sotto-finanziamento costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi e/o ad aumentare le imposte regionali. In altri termini non ci sono risorse da mettere in campo per colmare le diseguaglianze in sanità.
  • Il DdL Calderoli rimane molto vago sulle modalità di finanziamento, oltre che sugli strumenti per garantire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale.
  • Il gap in sanità tra Regioni del Nord e del Sud è sempre più ampio, come dimostrano i dati sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e quelli sulla mobilità sanitaria qui riportati.
  • Le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di queste Regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale. Un esempio fra tutti: una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose.
  • Le Regioni del Sud non avranno alcun vantaggio: essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o addirittura commissariate come Calabria e Molise, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità.
  • Il Paese, indebitando le future generazioni, ha sottoscritto il PNRR che ha come obiettivo trasversale a tutte le missioni proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali.

«In tal senso – chiosa Cartabellotta – risulta ai limiti del grottesco la posizione dei Presidenti delle Regioni meridionali governate dal Centro-Destra, favorevoli all’autonomia differenziata. Una posizione autolesionistica che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione».

Il Report sulla mobilità sanitaria 2021 elaborato dalla Fondazione GIMBE ha utilizzato i dati economici aggregati per analizzare mobilità attiva, passiva e saldi, e i flussi trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute per analizzare la differente capacità di attrazione delle strutture pubbliche e private di ogni Regione per le differenti tipologie di prestazioni erogate in mobilità.

Nel 2021 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.247,29 milioni, cifra ben più elevata del 2020 (€ 3.330,47 milioni), «anno in cui – spiega il Presidente – l’emergenza pandemica COVID-19 ha determinato una netta riduzione degli spostamenti delle persone e dell’offerta di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali».

Mobilità attiva. Lombardia (18,7%), Emilia-Romagna (17,4%), Veneto (12,7%) raccolgono quasi la metà della mobilità attiva, un ulteriore 25,6% viene attratto da Lazio (9,5%), Piemonte (6,8%), Toscana (4,9%) e Campania (4,4%). Il rimanente 25,6% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. «I dati della mobilità attiva – commenta il Presidente – documentano una forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord e, con la sola eccezione del Lazio, quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud» (figura 1).

Mobilità passiva. 3 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre € 300 milioni ciascuna: in testa Lazio (12%), Lombardia (10,9%) e Campania (9,3%), che insieme compongono quasi un terzo della mobilità passiva. Il restante 67,9% della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 18 Regioni e Province autonome. «I dati della mobilità passiva – commenta Cartabellotta – documentano differenze più sfumate tra Nord e Sud. In particolare, se quasi tutte le Regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in 4 grandi Regioni del Nord che presentano un’elevata mobilità attiva. Una conseguenza della cosiddetta mobilità di prossimità, determinata da pazienti che preferiscono spostarsi in Regioni vicine con elevata qualità dei servizi sanitari». In dettaglio: Lombardia (-€ 461,4 milioni), Veneto (-€ 270,3 milioni), Piemonte (-€ 253,7 milioni) ed Emilia-Romagna (-€ 239,5 milioni) (figura 2).

Saldi. «I dati – commenta il Presidente – confermano la “frattura strutturale” tra Nord e Sud, visto che le Regioni con saldo positivo superiore a € 200 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud». In dettaglio (figura 3):

  • Saldo positivo rilevante: Emilia-Romagna (€ 442 milioni), Lombardia (€ 271,1 milioni) e Veneto (€ 228,1 milioni)
  • Saldo positivo moderato: Molise (€ 43,9 milioni)
  • Saldo positivo minimo: Piemonte (€ 12,2 milioni), Toscana (€ 9,2 milioni), Provincia autonoma di Trento (€ 1,4 milioni), Provincia autonoma di Bolzano (€ 0,4 milioni)
  • Saldo negativo minimo: Friuli Venezia Giulia (-€ 7,6 milioni), Valle d’Aosta (-€13,6 milioni)
  • Saldo negativo moderato: Umbria (-€ 31,2 milioni), Marche (-€ 38,5 milioni), Sardegna (-€ 64,7 milioni), Liguria (-€ 69,5 milioni), Basilicata (-€ 83,5 milioni)
  • Saldo negativo rilevante: Abruzzo (-€ 108,1 milioni), Puglia (-€ 131,4 milioni), Lazio (-€ 139,7 milioni), Sicilia (-€ 177,4 milioni), Campania (-€ 220,9 milioni), Calabria (-€ 252,4).

Tipologie di prestazioni erogate in mobilità. Complessivamente, l’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).

Mobilità verso le strutture private. Oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato: esattamente € 1.727,5 milioni (54,6%), rispetto a € 1.433,4 milioni (45,4%) delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato € 1.426,2 milioni, mentre quelle pubbliche € 1.132,8 milioni. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di € 301,3 milioni, quello pubblico di € 300,6 milioni (figura 4). «Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private – spiega Cartabellotta – varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche». Infatti, accanto a Regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva – Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%) – ci sono Regioni dove le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità: Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%) (figura 5).

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale vengono erogate dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. Questi dati, insieme a quelli sull’esigibilità dei LEA, confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali. Ecco perché la Fondazione GIMBE, all’avvio della discussione in Senato del DdL Calderoli, ribadisce la richiesta di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Perché, se così non fosse, la conseguenza sarebbe la legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumenta la dipendenza delle Regioni meridionali dalla sanità del Nord e assesta il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2021” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita2021


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11 gennaio 2024
Società scientifiche al fianco del Servizio Sanitario Nazionale: ai nastri di partenza il protocollo d’intesa GIMBE-FISM

La Fondazione GIMBE e la Federazione delle Società Medico-Scientifiche Italiane (FISM) hanno siglato un Protocollo d'intesa col quale prendono il via numerose attività. GIMBE e FISM collaboreranno reciprocamente, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, con l’obiettivo di:

  • Fornire ai referenti FISM per le politiche sanitarie la conoscenza degli strumenti di finanziamento, programmazione e valutazione dei servizi sanitari.
  • Realizzare uno statement da presentare agli stati generali delle società scientifiche.
  • Pubblicare report indipendenti su temi di interesse comune: ricerca clinica, competence professionale, fabbisogno di specialisti, multidisciplinarietà.
  • Promuovere attività destinate ai giovani delle società scientifiche affiliate a FISM.
  • Collaborare con le società affiliate alla FISM per garantire:
    • formazione degli affiliati, grazie al programma GIMBEducation;
    • standard metodologici per l’elaborazione di linee guida e buone pratiche, secondo quanto previsto dal Sistema Nazionale Linee Guida;
    • nuove opportunità ai giovani professionisti sanitari, grazie al programma GIMBE4young.

«L'accordo tra FISM e GIMBE – commenta il Prof. Loreto Gesualdo, Presidente FISM – si concentrerà sulla cooperazione per sviluppare la conoscenza tra le società scientifiche degli strumenti di finanziamento, programmazione e valutazione dei servizi sanitari, finalizzati al miglioramento della qualità dell'assistenza. L'obiettivo è la creazione di report indipendenti su temi di reciproco interesse e la promozione di attività destinate in particolare a giovani specialisti. Inoltre, vogliamo facilitare iniziative multidisciplinari ed applicare standard metodologici per l'elaborazione di linee guida per la pratica clinica. Tutto ciò è finalizzato alla salvaguardia del Servizio Sanitario Nazionale e alla tutela della salute dei cittadini».

«Siamo fiduciosi – dichiara il Dott. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – che in un momento particolarmente critico per il Servizio Sanitario Nazionale, dalla collaborazione tra GIMBE e le società scientifiche affiliate a FISM possano emergere soluzioni innovative per rivalutare il ruolo della ricerca clinica, per definire gli standard assistenziali più appropriati tramite linee guida e buone pratiche, per mettere a punto strumenti per valutare la competence professionale e stimare il fabbisogno di specialisti».


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19 dicembre 2023
Fondazione GIMBE. Il Servizio Sanitario Nazionale compie 45 anni. GIMBE lancia la rete civica #SalviamoSSN e chiede al Presidente Mattarella un logo per il SSN. “Festa” di compleanno amara e con la mannaia dell'autonomia differenziata

Il 23 dicembre 1978 il Parlamento approvava a larghissima maggioranza la legge 833 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in attuazione dell’art. 32 della Costituzione. «Un radicale cambio di rotta nella tutela della salute delle persone – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – un modello di sanità pubblica ispirato da princìpi di equità e universalismo, finanziato dalla fiscalità generale, che ha permesso di ottenere eccellenti risultati di salute e che tutto il mondo continua ad invidiarci».

«Purtroppo il prossimo 23 dicembre – continua Cartabellotta – il SSN non spegnerà 45 candeline in un clima festoso, sotto il segno dell’universalità, dell’uguaglianza, dell’equità, i suoi princìpi fondanti ormai ampiamente traditi. Perché la vita quotidiana delle persone, in particolare quelle meno abbienti, è sempre più condizionata dalla mancata esigibilità di un diritto fondamentale, quello alla tutela della salute: interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, enormi diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria».

In occasione del 45° compleanno del SSN, la Fondazione GIMBE si impegna in due iniziative concrete. L’obiettivo è trasformare questa ricorrenza da semplice occasione celebrativa a un momento di svolta in cui ripartire per rilanciare il SSN a tutti i livelli.

La rete civica #SalviamoSSN. A dieci anni dall’avvio della campagna #SalviamoSSN, spiega il Presidente «la Fondazione GIMBE ha scelto di lanciare una rete civica nazionale con sezioni regionali. Riteniamo indispensabile diffondere a tutti i livelli il valore del SSN, come pilastro della nostra democrazia, strumento di equità e giustizia sociale, oltre che leva di sviluppo economico. L’obiettivo è coinvolgere sempre più persone nella tutela e nel rilancio del SSN, nonché promuovere un utilizzo informato di servizi e prestazioni sanitarie, al fine di arginare fenomeni consumistici. Perché, al di là delle difficoltà di accesso ai servizi, la maggior parte delle persone non ha ancora contezza del rischio imminente: quello di scivolare lentamente ma inesorabilmente, in assenza di una rapida inversione di rotta, da un Servizio Sanitario Nazionale fondato su princìpi di universalità, uguaglianza, equità per tutelare un diritto costituzionale, a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato». La rete, alla quale è già possibile aderire, opererà attraverso gruppi regionali di coordinamento, che fungeranno da hub locali per coordinare iniziative e attività della campagna #SalviamoSSN sul territorio. La rete sarà poi popolata di ambassador, impegnati nel promuovere attivamente la campagna a livello locale, e da cittadini che aderiranno alla causa. Anche le organizzazioni pubbliche e private potranno sostenere attivamente la campagna. In questo modo, la rete mira a coinvolgere tutto il Paese per difendere e rafforzare il SSN attraverso azioni coordinate e partecipazione attiva.

Un logo ufficiale per il SSN. Attualmente molte Regioni identificano il proprio servizio sanitario regionale (SSR) attraverso un logo, contribuendo così a consolidare la percezione pubblica dell’esistenza di 21 SSR distinti: al contrario, paradossalmente manca un logo identificativo del SSN. «Ritenendo fondamentale ribadire l’identità del SSN – spiega Cartabellotta – lo scorso 4 dicembre abbiamo inoltrato alla Presidenza della Repubblica, alle Alte Cariche dello Stato e al Ministero della Salute formale richiesta di istituire un logo ufficiale per il SSN. L’obiettivo è legittimare con un simbolo l’esistenza del SSN quale pilastro univoco di civiltà e democrazia, confermando a tutte le persone che la tutela della salute rimane un diritto costituzionale garantito dalla Repubblica».

Oggi la Fondazione GIMBE pubblica anche la monografia “Il Servizio Sanitario Nazionale compie 45 anni. Lunga vita al Servizio Sanitario Nazionale!” che propone la “terapia appropriata per il precario “stato di salute” del nostro SSN affetto da numerose “patologie”:

SOTTO-FINANZIAMENTO. «Per sedare le strumentalizzazioni politiche degli ultimi mesi – spiega il Presidente – è bene ribadire che negli ultimi 15 anni tutti i Governi, di ogni colore, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il SSN sino a portare il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica pro-capite». Infatti, nel 2022 siamo davanti solo ai paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca (figura 1). Con un gap rispetto alla media dei paesi europei che dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a $ 873 (pari a € 801) (figura 2), che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di € 47,3 miliardi. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva alla cifra monstre di $ 363 miliardi, ovvero circa 333 miliardi di euro. «Una progressiva sottrazione di risorse – continua Cartabellotta – che ha portato all’inesorabile indebolimento del SSN nelle sue componenti strutturale, tecnologica, organizzativa e, soprattutto, professionale».

CARENZA DI PERSONALE. «A pagare le spese del progressivo definanziamento – spiega Cartabellotta – è stato infatti soprattutto il personale sanitario. La persistenza del tetto di spesa riferito al lontano 2004 ha prima ridotto la quantità di medici e soprattutto di infermieri, poi li ha progressivamente demotivati tanto che oggi si moltiplicano pensionamenti anticipati, licenziamenti volontari, fughe verso il privato o all’estero. Il capitale umano che crede nel SSN oggi è costretto ad alzare la voce con ripetuti scioperi, per chiedere disperatamente di rilanciare le politiche del personale sanitario. Anche perché si sta facendo largo la scarsa attitudine dei giovani a intraprendere professioni (es. infermiere) e specialità (es. medico d’urgenza) poco attrattive, che a fronte di una bassa remunerazione presentano limitate prospettive di carriera, condizioni di lavoro inaccettabili, o addirittura rischio di aggressioni: uno scenario che, in assenza di decisi interventi da parte della politica, finirà per legittimare cooperative di servizi e gettonisti».

DISEGUAGLIANZE REGIONALI. A fronte di un SSN nato 45 anni fa sotto il segno dell’uguaglianza e dell’equità, commenta il Presidente «ci ritroviamo oggi con 21 servizi sanitari regionali profondamente diseguali, con una vera e propria “frattura strutturale” tra Nord e Sud, con i residenti nella maggior parte delle Regioni meridionali a cui non sono garantiti nemmeno i livelli essenziali di assistenza». Il monitoraggio 2021 dei LEA da parte del Ministero della Salute documenta infatti che delle 14 Regioni adempienti solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata), tutte a fondo classifica (figura 3). «E su questa frattura – chiosa il Presidente – pende la mannaia dell’autonomia differenziata, che senza definire e finanziare i Livelli Essenziali delle Prestazioni, non potrà che amplificare le diseguaglianze, legittimando normativamente il divario Nord-Sud e violando il principio di uguaglianza nel diritto alla tutela della salute e assestando il colpo di grazia al SSN».

MIGRAZIONE SANITARIA. E proprio la “frattura strutturale” Nord-Sud, spiega il Presidente «è la causa del triste fenomeno della mobilità sanitaria che nei dati definitivi del 2021 vale € 4,24 miliardi: risorse che scorrono prevalentemente dalle Regioni meridionali verso 3 regioni settentrionali dove si concentra il 93,3% dei saldi attivi. Proprio le stesse Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto) che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie». Nel 2021, infatti, le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte al Nord: Emilia-Romagna (€ 442 milioni), Lombardia (€ 271 milioni) e Veneto (€ 228 milioni); e quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte al Centro-Sud: Abruzzo (-€ 108 milioni), Puglia (-€ 131 milioni), Lazio (-€ 140 milioni), Sicilia (-€ 177 milioni), Campania (-€ 221 milioni), Calabria (-€ 252 milioni) (figura 4).

SPRECHI E INEFFICIENZE. «L’erogazione dell’assistenza sanitaria – spiega il Presidente – oggi risulta molto frammentata, troppo medico-centrica, dicotomizzata tra ospedale e territorio e scarsamente integrata con quella socio-sanitaria, generando sprechi e inefficienze, ridotta qualità dei servizi e disagi per i pazienti». Sicuramente ci sono margini di recupero su vari ambiti: eccesso di prestazioni da medicina difensiva, frodi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza, in particolare tra setting ospedalieri e territoriali. Ma per recuperare gli sprechi servono la visione di un nuovo SSN e coraggiose riforme sulle modalità di finanziamento, riparto delle risorse, programmazione, organizzazione e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. «Ovvero – chiosa Cartabellotta – sprechi e inefficienze sono parte integrante del sistema e pur attuando misure per la loro riduzione non avremo comunque risorse monetizzabili a breve termine».

ESPANSIONE DEL PRIVATO ACCREDITATO. Secondo quanto riportato dall’Annuario statistico del SSN 2021 del Ministero della Salute, il numero di strutture sanitarie private accreditate rappresentano quasi la metà di quelle che erogano l’assistenza ospedaliera (48,6%) e il 60,4% di quelle per la specialistica ambulatoriale. Sono invece prevalentemente gestite dal privato le strutture destinate all’assistenza residenziale (84%) e semiresidenziale (71,3%) e quelle riabilitative (78,2%) (figura 5). «Pur nella consapevolezza della qualità di numerose strutture private accreditate e della differente “densità” nelle varie Regioni – commenta Cartabellotta – è evidente che per soddisfare i bisogni di salute della popolazione diminuiscono le tutele pubbliche e aumenta l’offerta privata. Che dovrebbe essere invece una libera scelta e non una necessità obbligata dall’indebolimento del pubblico».

«In occasione del suo 45° compleanno – conclude Cartabellotta – con le nostre iniziative vogliamo ribadire alla popolazione il valore inestimabile del SSN e l’inderogabile necessità di un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca in quel modello di sanità un pilastro della nostra democrazia, una conquista irrinunciabile e una grande leva per lo sviluppo economico del Paese. Oltre che un’alleanza tra tutti gli attori della sanità finalizzata a rinunciare ai privilegi acquisiti per rilanciare questo prezioso bene comune nell’esclusivo interesse delle persone».


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5 dicembre 2023
Coronavirus: nelle ultime 3 settimane contagi settimanali quasi raddoppiati (+94,3%), crescono i ricoveri in area medica (+58,1%). In un mese 881 decessi, quasi tutti a carico degli over 80. Al palo campagna vaccinale per anziani e fragili, in particolare al Sud: coperto solo il 7,4% degli over 80

Dopo circa un mese di sostanziale stabilità del numero dei nuovi casi settimanali, da 3 settimane consecutive si rileva la progressiva ripresa della circolazione virale. Infatti, dalla settimana 2-8 novembre a quella 23-29 novembre il numero dei nuovi casi settimanali è aumentato da 26.855 a 52.175 (+94,3%), il tasso di positività dei tamponi dal 13,6% al 18,8% (figura 1), l’incidenza settimanale da 46 casi per 100 mila abitanti ha raggiunto 89 casi per 100 mila abitanti, la media mobile a 7 giorni da 3.469 casi/die il 2 novembre è salita a 7.454 casi/die il 29 novembre (figura 2).

«Rispetto all’effettiva circolazione virale – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il numero dei contagi è largamente sottostimato perché il sistema di monitoraggio, dopo l’abrogazione dell’obbligo di isolamento per i soggetti positivi, poggia in larga misura su base volontaria. Infatti, da un lato la prescrizione di tamponi nelle persone con sintomi respiratori è ormai residuale (undertesting), dall’altro con l’utilizzo diffuso dei test antigenici fai-da-te la positività viene comunicata ai servizi epidemiologici solo occasionalmente (under-reporting)».

Nella settimana 23-29 novembre l’incidenza dei nuovi casi oscilla da 1 caso per 100 mila abitanti della Sicilia a 183 del Veneto. Rispetto alla settimana precedente i nuovi casi aumentano in 15 Regioni: dal +3,7% del Veneto al +43,4% della Sardegna. In calo le restanti 6 Regioni: dal -3,5% della Provincia Autonoma di Trento al -32,3% dell’Umbria (tabella 1). In 80 Province si registra un aumento dei nuovi casi: dal +1,5% di Trieste al +60% di Matera. Nelle restanti 21 Province si rileva una diminuzione dei nuovi casi (dal -0,2% di Salerno al -50% di Messina); stabili le Province di Cagliari, Catanzaro, Enna, Oristano, Siracusa, Sud Sardegna con una variazione dello 0% (tabella 2).

Secondo l’ultimo Aggiornamento nazionale dei dati della Sorveglianza Integrata COVID-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, rispetto alla distribuzione per fasce di età, fatta eccezione per la fascia 0-9 anni in cui si registrano 20 casi per 100 mila abitanti, l’incidenza aumenta progressivamente con le decadi: da 16 casi per 100 mila abitanti nella fascia 10-19 anni a 177 per 100 mila abitanti nella fascia 80-89 anni, fino a 221 per 100 mila abitanti negli over 90. «Una distribuzione – spiega il Presidente – che riflette la maggiore attitudine al testing con l’aumentare dell’età, confermando la sottostima della circolazione virale».

Varianti. Tutte le varianti circolanti appartengono alla “famiglia” Omicron. Nell’ultimo report dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) del 1 dicembre 2023 non vengono segnalate “varianti di preoccupazione”, ma solo “varianti di interesse”. In Italia, l’ultima indagine rapida dell’ISS, effettuata su campioni notificati dal 13 al 19 novembre 2023, riporta come prevalente (52,1%) la variante EG.5 (cd. Eris) e rileva, analogamente a quanto segnalato da altri paesi, un aumento (dall’1,3% al 10,8%) della variante BA.2.86 (cd. Pirola). «Secondo i report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – spiega il Presidente – relativi ai profili di rischio delle due varianti, Eris e Pirola hanno una moderata capacità evasiva alla risposta immunitaria, da vaccinazione o infezione naturale, che ne favorisce la rapida diffusione. Per nessuna delle due varianti ci sono evidenze sul maggior rischio di malattia grave».

Reinfezioni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale di infezioni riportate in soggetti con almeno un’infezione pregressa (reinfezioni) è lievemente aumentata nelle ultime settimane, sino a raggiungere il 44%.

Ospedalizzazioni. Dopo un mese di stabilità, i posti letto occupati da pazienti COVID-19 dal 2 novembre al 29 novembre sono aumentati in area medica da 3.632 fino a 5.741 (+58,1%) e in terapia intensiva da 99 a 170 (+71,7%) (figura 3). Al 29 novembre il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti COVID è del 9,2% in area medica (dall’1,8% della Basilicata al 10,1% dell'Umbria) e dell’1,9% in area critica (dallo 0% di Basilicata, Marche, Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta al 2,8% dell’Emilia-Romagna) (figura 4). «Se in terapia intensiva – spiega il Presidente – i numeri sono esigui dimostrando che oggi l’infezione da SARS-CoV-2 solo raramente determina quadri severi, l’incremento dei posti letto occupati in area medica conferma che nelle persone anziane, fragili e con patologie multiple può aggravare lo stato di salute richiedendo ospedalizzazione e/o peggiorando la prognosi delle malattie concomitanti». Infatti, il tasso di ospedalizzazione in area medica cresce con l’aumentare dell’età: in particolare, passa da 39 per milione di abitanti nella fascia 60-69 anni a 112 per milione di abitanti nella fascia 70-79 anni, a 271 per milione di abitanti nella fascia 80-89 anni e a 421 per milione di abitanti negli over 90.

Decessi. Sono raddoppiati nelle ultime 4 settimane: da 148 nella settimana 26 ottobre-1 novembre a 291 nella settimana 23-29 novembre (figura 5), per un totale di 881 decessi. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i decessi risultano quasi esclusivamente a carico degli over 80. Infatti, a fronte di un tasso di mortalità di 3 decessi per milione di abitanti, sono 23 per milione di abitanti nella fascia 80-89 anni e 46 per milione di abitanti negli over 90.

Campagna vaccinale. Dal 20 novembre 2023 sulla dashboard del Ministero della Salute sono rendicontate esclusivamente le somministrazioni effettuate dal 26 settembre 2023, relative alla campagna vaccinale 2023-2024. L’ultimo aggiornamento della platea di riferimento rimane quello del 17 febbraio 2023, distinto solo per fasce di età e non per categoria vaccinale. Di conseguenza è possibile solo calcolare i tassi di copertura per le fasce 60-69 anni, 70-79 anni e per gli over 80.

Al 30 novembre sono state somministrate 1.042.541 dosi così suddivise: 190.467 (18,3% del totale) agli under 60 anni, 183.901 (17,6%) alla fascia 60-69 anni, 327.340 (31,4%) alla fascia 70-79 anni e 340.833 (32,7%) agli over 80 (figura 6). La media mobile a 7 giorni è pari a 23.854 somministrazioni al giorno, in calo rispetto alle 27.380 della settimana precedente (-12,9%) (figura 7). Facendo riferimento all’ultimo aggiornamento della platea ufficiale, il tasso di copertura nazionale per gli over 60 è del 4,9% (dallo 0% dell’Abruzzo al 12% della Toscana) (figura 8). Quello degli over 80, la fascia di età più suscettibile a ricoveri e decessi, del 7,4% (dallo 0% dell’Abruzzo al 17% della Toscana) (figura 9).

«Nonostante le raccomandazioni del Ministero della Salute – commenta il Presidente – i tassi di copertura negli over 60, ed in particolare negli over 80, rimangono molto bassi a livello nazionale e prossimi allo zero in quasi tutte le Regioni del Sud. Con un numero di somministrazioni che, invece di aumentare, si riduce. Purtroppo, al fenomeno della “stanchezza vaccinale” e alla continua disinformazione sull’efficacia e sicurezza dei vaccini, si sono aggiunti vari problemi logistico-organizzativi: ritardo nella consegna e distribuzione capillare dei vaccini, insufficiente e tardivo coinvolgimento di farmacie e medici di medicina generale, mancata attivazione della chiamata attiva dei pazienti a rischio, difficoltà tecniche dei portali web di prenotazione. Con la tragica conseguenza che l’attuale incremento della circolazione virale viene a coincidere con il progressivo declino della copertura immunitaria in un numero sempre più elevato di anziani e fragili, aumentando inesorabilmente ricoveri ordinari e decessi».

Le indicazioni per la campagna di vaccinazione anti-COVID-19 2023-2024 sono contenute nella Circolare del Ministero della Salute del 27 settembre che fa seguito quella del 14 agosto. «Viene raccomandato un richiamo annuale – spiega Cartabellotta – con la formulazione aggiornata monovalente XBB 1.5, già approvata da EMA. La somministrazione deve essere effettuata a distanza di almeno 6 mesi dall'ultimo richiamo (indipendentemente dal numero di richiami effettuati) o dall’ultima infezione diagnosticata». L’obiettivo è quello di prevenire mortalità, ospedalizzazioni e forme gravi di COVID-19 nelle persone anziane e con elevata fragilità, oltre a proteggere le donne in gravidanza e gli operatori sanitari. In dettaglio, le categorie a cui è raccomandato il richiamo sono:

  • Persone di età pari o superiore a 60 anni

  • Ospiti delle strutture per lungodegenti

  • Donne gravide e nel periodo post-partum, incluse le donne che allattano

  • Operatori sanitari e sociosanitari addetti all’assistenza negli ospedali, nel territorio e nelle strutture di lungodegenza; studenti di medicina, delle professioni sanitarie che effettuano tirocini in strutture assistenziali e tutto il personale sanitario e sociosanitario in formazione

  • Persone dai 6 mesi ai 59 anni di età, con elevata fragilità, in quanto affette da patologie o con condizioni che aumentano il rischio di COVID-19 grave identificate dalla circolare

La vaccinazione viene inoltre consigliata a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità e può essere richiesta anche dalle persone che non appartengono alle categorie di cui sopra.

«I dati – conclude Cartabellotta – confermano una progressiva ripresa della circolazione virale, peraltro largamente sottostimata, dovuta a fattori concomitanti: arrivo della stagione invernale, prevalenza di varianti immunoevasive, progressiva riduzione dell’immunità da vaccino o da infezione naturale, sostanziale assenza di misure di protezione individuale. D’altra parte i dati su ospedalizzazioni in area medica e i decessi confermano che la malattia grave colpisce prevalentemente le fasce di età avanzata, oltre che i soggetti fragili, ai quali è già indirizzata prioritariamente la campagna vaccinale 2023-2024. Alla luce del quadro epidemiologico, della percentuale di reinfezioni, dell’efficacia dei vaccini sulla malattia grave e delle rilevanti criticità che condizionano l’erogazione dei servizi sanitari, la Fondazione GIMBE invita le Istituzioni a potenziare rapidamente la campagna vaccinale per anziani e fragili, oltre a rimettere in campo - ove necessario - misure di contrasto alla diffusione del virus. Alla popolazione rivolge l’invito a mantenere comportamenti responsabili: perché nei prossimi mesi il vero rischio reale del COVID-19, insieme all’epidemia influenzale, è quello di compromettere la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, già profondamente indebolito e molto meno resiliente, in particolare per la grave carenza di personale sanitario».

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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1 dicembre 2023
Conoscere il Servizio Sanitario Nazionale: riparte “La Salute tiene banco”, il progetto della Fondazione GIMBE con gli studenti bolognesi

Al via oggi 1° dicembre presso l’I.I.S. Mattei di San Lazzaro di Savena il primo appuntamento della seconda edizione de La Salute tiene banco, il progetto ideato e curato dalla Fondazione GIMBE per rendere i giovani consapevoli dell’importanza del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). 

Dopo il successo della prima edizione che ha visto la partecipazione di oltre 800 ragazzi, ritornano gli incontri destinati agli studenti delle scuole secondarie di 2° grado. Il progetto della Fondazione GIMBE mira anzitutto a trasferire tra i giovani cittadini i princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da 45 anni costituiscono il DNA del nostro SSN e a diffondere i risultati degli studi dell’Osservatorio GIMBE sul SSN. Si spazierà dall’architettura e governance del SSN al finanziamento della sanità pubblica, dai Livelli Essenziali di Assistenza agli sprechi nei servizi e prestazioni sanitarie. «Il Servizio Sanitario Nazionale è un patrimonio comune da tutelare per le generazioni future – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e per questo motivo è indispensabile trasmettere agli studenti le conoscenze necessarie per diventare protagonisti consapevoli del “pianeta sanità” e a prendere decisioni sulla propria salute informate dalle migliori evidenze scientifiche».

La Salute tiene banco vuole inoltre migliorare il livello di alfabetizzazione sanitaria dei ragazzi, fornendo loro gli strumenti per contrastare le fake news sulla salute. Gli incontri saranno condotti dai docenti della faculty multiprofessionale della Fondazione GIMBE.

Tra dicembre 2023 e inizio 2024 il progetto coprirà il territorio bolognese, coinvolgendo gli studenti del quarto e quinto anno: dopo l’I.I.S. Mattei, sarà la volta dell’I.T.C. Salvemini di Casalecchio di Reno (10 gennaio), dell’I.I.S. Majorana di San Lazzaro di Savena (18 gennaio), del Liceo Righi (2 febbraio) e del Liceo Galvani (tra gennaio e febbraio) di Bologna. Gli incontri saranno realizzati grazie ad un contributo della Banca di Bologna. «Per il secondo anno continua il nostro impegno nell’ambito della formazione verso i giovani - dice Alberto Ferrari, Direttore Generale di Banca di Bologna - per sensibilizzarli su temi delicati come la salute e la sostenibilità dei servizi pubblici. È molto importante che i ragazzi siano consapevoli delle scelte che riguardano la salute delle persone».

«Entro il 2025 vogliamo portare La Salute tiene banco in oltre 100 scuole su tutto il territorio nazionale. Non un annuncio, ma un obiettivo ambizioso che intendiamo raggiungere attraverso risorse e sostegno da parte dei cittadini e di organizzazioni pubbliche e private» conclude Cartabellotta.

 

Per informazioni sul progetto “La Salute tiene banco”: www.lasalutetienebanco.it

La Fondazione GIMBE è un’organizzazione no-profit indipendente che da oltre 25 anni realizza attività di formazione, ricerca e sensibilizzazione finalizzate a integrare le migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone. GIMBE si batte per tutelare i diritti delle persone, ridurre diseguaglianze e sprechi e contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico.


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30 novembre 2023
PNRR: luci e ombre nella rimodulazione della missione salute. Aumentano pazienti in assistenza domiciliare e assistiti in telemedicina. Espunte 312 CdC e 74 Ospedali di comunità. Svaniscono 1.803 posti letto

Il 27 luglio 2023 l’Italia ha inviato alla Commissione Europea la “Proposta per la revisione del PNRR” che, relativamente alla Missione Salute, chiedeva di espungere la realizzazione di 414 Case di Comunità, 76 Centrali Operative Territoriali, 77 ospedali di Comunità e 22 interventi di anti-sismica. Il documento conteneva inoltre la richiesta di differimento delle scadenze per tre target/milestone: Centrali Operative Territoriali (+6 mesi), persone assistite attraverso la telemedicina (+12 mesi), ammodernamento parco tecnologico e digitale ospedaliero (+12 mesi). «La maggior parte delle modifiche – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è stata motivata sulla base dell’aumento dei costi dell’investimento e/o dei tempi di attuazione, oltre che di ritardi nelle forniture e difficoltà legate all’approvvigionamento delle materie prime».

Il 24 novembre 2023 la Commissione Europea ha approvato la proposta dove sono riportati i nuovi target quantitativi e le nuove scadenze, senza alcun riferimento a quelli della proposta iniziale. «Nell’ambito delle attività del nostro Osservatorio sul Servizio Sanitario Nazionale – spiega Cartabellotta – abbiamo effettuato un’analisi comparativa tra la proposta originale e il documento approvato al fine di fornire un quadro oggettivo sulle modifiche apportate agli operatori del settore, informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche». La tabella 1 e la tabella 2 riportano, rispettivamente, le modifiche quantitative e i differimenti temporali delle scadenze.

MISSIONE 6. Componente 1. «Le modifiche approvate – spiega Cartabellotta – confermano le richieste di espungere varie strutture, ma i criteri e la distribuzione regionale al momento non son noti. Tuttavia, se ad essere espunte saranno le strutture da realizzare ex novo, saranno prevalentemente le Regioni del l Centro-Sud ad essere penalizzate». In dettaglio dovranno essere realizzate:

  • Case della Comunità: 1.038, rispetto alle 1.350 iniziali (-312)

  • Centrali Operative Territoriali: 480, rispetto alle 600 iniziali (-120)

  • Ospedali di Comunità: 307, rispetto ai 381 iniziali (-74)

 

Secondo quanto riportato nel piano di rimodulazione, gli investimenti espunti dovrebbero essere finanziati con le risorse del programma di investimenti in edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico (ex art. 20 L. 67/1988) non spese dalle Regioni. «Tuttavia è bene sottolineare – precisa il Presidente – che il documento approvato dalla Commissione Europea menziona tali fondi solo per compensare gli investimenti relativi all’antisismica». In particolare, è stata aggiunta la misura M6C2-10 bis che prevede l’erogazione di almeno il 90% di € 250 milioni per progetti finalizzati alla ristrutturazione e modernizzazione degli ospedali correlati agli Accordi di Programma di cui all’art. 20 della L. 67/88.

È previsto un incremento del target quantitativo, sia del numero di persone over 65 da prendere in carico in assistenza domiciliare (da almeno 800 mila a 842 mila), sia del numero di pazienti assistiti in telemedicina (da almeno 200 mila a 300 mila). «Un impegno – commenta il Presidente – indubbiamente condivisibile, in linea con le necessità di potenziare ulteriormente l’ADI e, soprattutto, di espandere l’utilizzo della telemedicina. La cui vera implementazione è tuttavia condizionata dall’inserimento delle varie prestazioni nei livelli essenziali di assistenza, che oggi includono solo la tele-neuroriabilitazione».

La rimodulazione prevede anche il differimento temporale del target relativo all’attivazione delle Centrali Operative Territoriali dal 30 giugno 2024 al 31 dicembre 2024 (+6 mesi).

MISSIONE 6. Componente 2. Le modifiche approvate confermano la riduzione del numero di interventi di antisismica negli ospedali e prevedono una riduzione dei posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva. In dettaglio sono previsti:

  • Interventi di antisismica: 84, rispetto ai 109 iniziali (-25)

  • Posti letto di terapia intensiva: 2.692, rispetto ai 3.500 iniziali (-808)

  • Posti letto di terapia semi-intensiva: 3.230, rispetto ai 4.225 iniziali (-995)

 

«La rimodulazione al ribasso del numero di posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva – commenta il Presidente – di ben 1.803 unità (ovvero 1 su 4) risulta poco comprensibile per almeno tre ragioni. Innanzitutto, non era prevista nella proposta di rimodulazione del 27 luglio 2023; in secondo luogo, riguarda un progetto già finanziato con i fondi del decreto rilancio; infine, il potenziamento di queste strutture rappresenta una misura chiave del nuovo piano pandemico». Considerato che trattavasi di un “progetto in essere”, già finanziato con le risorse del decreto rilancio (DL 34/2020), dal documento approvato dalla Commissione Europea non risulta in alcun modo se i posti letto “svaniti” verranno comunque realizzati.

Relativamente alla componente 2, la rimodulazione prevede anche il differimento temporale del target relativo all’installazione delle grandi apparecchiature dal 31 dicembre 2024 al 30 giugno 2026 (+18 mesi).

«L’aumento dei costi di realizzazione di opere preventivate in era pre-pandemica e antecedenti alla crisi energetica – conclude Cartabellotta – hanno reso inevitabile espungere un numero consistente di Case e Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali. Considerato che la distribuzione regionale delle opere da edificare non è omogenea, è indispensabile trovare un meccanismo di perequazione per evitare di lasciare indietro le Regioni meridionali nel processo di potenziamento e riorganizzazione dell’assistenza territoriale, visto che tra gli obiettivi trasversali del PNRR vi è proprio la riduzione delle diseguaglianze regionali. Il rifinanziamento di queste strutture – come ripetutamente dichiarato dalle Istituzioni – con i fondi dell’ex. art. 20, oltre ad essere già stato ritenuto non applicabile dalle Regioni, non trova traccia nel documento approvato dalla Commissione Europea. Sicuramente positivo l’aumento degli over 65 assistiti in ADI e in telemedicina. Sull’incomprensibile taglio ai posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva sarebbe opportuno che le Istituzioni fornissero chiarimenti».

 


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16 novembre 2023
Manovra: nel 2024 per la Sanità € 2,4 miliardi per il rinnovo dei contratti e solo € 600 milioni per finanziare troppe misure. Dal 2025 l’incremento del fondo sanitario torna a livelli pre-pandemia. Più soldi alle Regioni che già ricorrono al privato, ma senza potenziamento del SSN: a rischio qualità delle cure e tenuta dei conti delle regioni

A seguito della pubblicazione della prima bozza della Manovra si è acceso un dibattito tra maggioranza e opposizione che ha disorientato gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica: da un lato il Governo ha rivendicato gli ingenti finanziamenti per la sanità che avrebbero raggiunto la cifra “mai vista” di € 136 miliardi, dall’altro l’opposizione ha protestato contro presunti tagli finalizzati a privatizzare la sanità.

«Sulla base del testo bollinato della Legge di Bilancio 2024 e della relazione tecnica (RT) – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo effettuato un’analisi indipendente sui finanziamenti per la sanità al fine di informare confronto politico e dibattito pubblico in vista della discussione in aula sulla Manovra». A seguito di richiesta ufficiale, l’analisi è stata consegnata alla 5a Commissione Bilancio del Senato.

FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE (FSN). Viene incrementato di € 3 miliardi per il 2024, € 4 miliardi per il 2025 e € 4,2 miliardi per il 2026. Di conseguenza il FSN sale a € 134 miliardi per il 2024, € 135,4 miliardi per il 2025 e € 135,6 miliardi per il 2026 (figura 1). «Se in termini assoluti – commenta Cartabellotta – è ben evidente il netto incremento del FSN nel 2024, non si intravede per la sanità pubblica alcun progressivo rilancio del finanziamento pubblico. Infatti, gli incrementi previsti nel 2025 (+1%) e nel 2026 (+0,15%) sono talmente esigui che non riusciranno nemmeno a compensare l’inflazione, né l’aumento dei prezzi di beni e servizi». In altre parole, la Manovra non fa che confermare le stime della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria, che prevedevano un crollo del rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% del 2023 al 6,1% del 2026 (figura 2).

MISURE PREVISTE. «A scanso di equivoci alimentati da dichiarazioni improvvide – precisa Cartabellotta – è bene ribadire che tutte le misure previste per la sanità sono “a valere sul fabbisogno sanitario nazionale”, ovvero sono disposizioni di spesa che non prevedono risorse aggiuntive».

In dettaglio (tabella 1):

Rinnovo contratti dirigenza medica e sanitaria e comparto sanità (art. 10), nell’ambito del rifinanziamento del fondo CCNL per il personale pubblico per il triennio 2022-2024, oltre che per quello convenzionato: medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali. Né il testo della Manovra né la Relazione Tecnica riportano alcuna cifra e l’unico riferimento rimane quello dichiarato dal Ministro Schillaci lo scorso 17 ottobre in audizione al Senato: ovvero € 2.400 milioni, pari all’80% dell’incremento del FSN 2024, ripresa dalla Corte dei Conti in audizione in Commissione Bilancio. «Il rinnovo dei contratti del personale sanitario dipendente e convenzionato – commenta Cartabellotta – è una misura indispensabile per la motivazione professionale, ma a breve termine è insufficiente per risolvere la grave carenza di personale sanitario, in particolare di quello infermieristico. La Manovra prevede per le nuove assunzioni (art. 50, c. 1) € 250 milioni dal 2025 e € 350 milioni a decorrere dal 2026 e, soprattutto, non fa alcun cenno all’inderogabile abolizione del tetto di spesa sul personale sanitario».

«Peraltro la riforma del sistema pensionistico entra “a gamba tesa” sul personale sanitario – chiosa il Presidente – che, già depauperato e fortemente demotivato, rischia di chiedere il pensionamento anticipato per non incappare nella tagliola, provocando un’emorragia di medici e infermieri che metterebbe definitivamente in ginocchio il SSN».

Misure per l’abbattimento delle liste di attesa (art. 45): per garantire la completa attuazione dei Piani operativi regionali per il recupero delle liste d’attesa, le Regioni possono utilizzare una quota non superiore allo 0,4% del FSN, per un tetto di spesa complessivo di circa € 500 milioni, per attuare le seguenti disposizioni:

  • Incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive di medici e infermieri (art. 42): € 280 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.
  • Aggiornamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati (art. 46): il testo della Manovra indica un incremento rispetto alla spesa consuntivata nel 2011 dell’1% per il 2024, del 3% per il 2025 e del 4% a decorrere dal 2026 per l’acquisto dal privato di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera dal privato accreditato. La Relazione Tecnica riporta che, sulla base dei dati di Conto Economico delle Regioni, l’onere per il 2024 è pari a circa € 123 milioni di euro, per il 2025 è pari a € 368 milioni e quello a regime a partire dal 2026 è pari a € 490 milioni. «Se formalmente inserita tra le misure per l’abbattimento delle liste di attesa – precisa Cartabellotta – questa disposizione appare finalizzata a sostenere le strutture private accreditate già esistenti per due ragioni. Innanzitutto, perché a differenza dell’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive (art. 42) che cessano nel 2026, rimane in vigore anche per gli anni successivi, ovvero diventa strutturale. In secondo luogo, perché avendo come riferimento il consuntivo 2011 delle Regioni, gli incrementi del tetto di spesa sono proporzionali a quanto ciascuna Regione ha speso 12 anni fa». A partire dal 2026, la Lombardia potrà spendere per il privato accreditato oltre € 3,3 miliardi; a seguire Lazio (€ 1,7 miliardi), Campania (€ 1,4 miliardi) e Sicilia (€ 1,2 miliardi). In ultima posizione la Valle d’Aosta con € 6 milioni (figura 3). La classifica per spesa pro-capite fa balzare invece il Molise in prima posizione con € 369 a persona e a seguire Lombardia (€ 335), Lazio (€ 305), Campania (€ 257) e Sicilia (€ 252) (figura 4).

«Complessivamente – aggiunge Cartabellotta – le misure per l’abbattimento delle liste di attesa sono guidate da una logica “prestazionistica” e appaiono insufficienti per tre ragioni. Innanzitutto, la Manovra non prevede alcun provvedimento collegato per monitorare e ridurre l’inappropriatezza delle prescrizioni mediche. In secondo luogo, il potenziamento dell’offerta viene comunque “scaricato” sul tempo dei professionisti sanitari. Infine, nel testo non si fa menzione alcuna dell’aggiornamento del Piano Nazionale Governo Liste di Attesa, scaduto nel 2021».

Rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica (art. 43): dal 2024 il tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti viene incrementato dello 0,2% (dall’8,3% all’8,5%) e quello della spesa farmaceutica convenzionata ridotto dello 0,2% (dal 7% al 6,8%). «Tale disposizione – spiega il Presidente – viene al tempo stesso definita “non onerosa”, ma comunque a valere sul FSN. Visto che in termini assoluti l’entità dello sforamento dei tetti è maggiore per gli acquisti diretti, è evidente la riduzione percentuale dello 0,2% della convenzionata non è affatto compensativo. Di conseguenza, considerata inverosimile la riduzione della spesa farmaceutica per acquisti diretti in crescita costante, a seguito di questa disposizione, le Regioni avranno un minor gettito dal payback perché complessivamente si ridurrà l’onere per l’industria farmaceutica».

Modifiche alle modalità di distribuzione dei medicinali (art. 44). Il testo della Manovra prevede un nuovo modello di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN. L’effetto complessivo della disposizione è pari a € 53 milioni per il 2024 e a € 77 milioni a decorrere dal 2025. «In assenza di dati analitici sulla quantità dei farmaci per le varie fasce di prezzo e sulla suddivisione delle farmacie per fatturato – commenta Cartabellotta – è impossibile verificare la verosimile sottostima dell’impatto sulla finanza pubblica di questa disposizione».

Aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (art. 48): € 50 milioni per il 2024 e € 200 milioni a decorrere dal 2025. «Tali risorse potrebbero essere insufficienti – commenta Cartabellotta – perché l’entrata in vigore dei nomenclatori per l’assistenza specialistica ambulatoriale dal 1° gennaio 2024 e dell’assistenza protesica dal 1° aprile 2024 comporterà l’esigibilità di numerose prestazioni, i cui prezzi sono aumentati nel corso dell’ultimo anno».

Potenziamento dell’assistenza territoriale per nuove assunzioni di personale sanitario (art. 50, comma 1), anche in deroga al tetto di spesa sul personale: € 250 milioni per l’anno 2025 e € 350 milioni a decorrere dal 2026.

Accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore (art. 50, comma 2): € 10 milioni a decorrere dal 2024.

Perseguimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale (art. 50, comma 3): € 240 milioni per l’anno 2025 e € 310 milioni di euro a decorrere dal 2026.

Immigrazione (art. 66): € 1 milione a decorrere dal 2024 per potenziare le attività dell’Istituto Nazionale per la Salute dei Migranti (INMP).

LE INCERTEZZE. Dall’analisi del testo della Manovra e della Relazione Tecnica rimangono varie incertezze, spiega Cartabellotta. «Innanzitutto, non si conosce l’esatta entità e la distribuzione delle risorse destinate al rinnovo del personale dipendente e convenzionato; in secondo luogo, se non diversamente precisato, l’incremento del tetto di spesa per le prestazioni da privato favorirà le Regioni che hanno registrato una spesa elevata nel 2011; ancora, l’impatto della rimodulazione dei tetti di spesa è sì “non oneroso” per lo Stato, ma non per le Regioni perché determinerà minori entrate dal payback; infine, il nuovo sistema di remunerazione delle farmacie e l’aggiornamento del LEA potrebbero avere un impatto sulla finanza pubblica superiore alle stime. Tutte incertezze che si ripercuoteranno sulla capacità di tenuta dei conti delle Regioni, sui quali aleggia sempre l’incertezza dei costi energetici e la crescita dei prezzi di acquisto di beni e servizi».

«In termini assoluti – conclude il Presidente – gli incrementi del FSN previsti dalla Manovra rappresentano senza dubbio un’importante iniezione di risorse per la sanità pubblica. Tuttavia, considerato che circa € 2.400 milioni saranno destinati al doveroso rinnovo contrattuale del personale sanitario, residueranno per tutte le altre misure € 600 milioni nel 2024, € 1.600 milioni nel 2025 e € 1.800 nel 2026. Cifre che da un lato appaiono insufficienti per consentire alle Regioni di attuare tutti gli obiettivi della Manovra, dall’altro – essendo tutte le misure finalizzate a specifici interventi – non c’è alcun margine di manovra per adeguare la spesa sanitaria alla crescita dei prezzi. Con la necessità di scelte gestionali difficili per allocare le esigue risorse tra i vari obiettivi e di dover ricorrere, ancora una volta, a strumenti per razionalizzare la spesa deleteri per la qualità dell’assistenza. Infine, per gli anni 2025 e 2026 la Manovra non prevede per la sanità alcun rilancio del finanziamento pubblico, ma torna a quelle cifre da “manutenzione ordinaria” messe sul piatto da tutti i Governi che, negli ultimi 15 anni, hanno contribuito a disgregare i princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità, erodendo il diritto costituzionale alla tutela della salute. In altre parole, dalla Manovra non emerge alcun potenziamento strutturale del SSN, ma solo il tentativo di risolvere, peraltro in maniera insufficiente e inadeguata, le criticità contingenti».


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14 novembre 2023
Logistica dei farmaci: spesi € 9,5 miliardi nel 2022, al Sud si spende di più. Da 10 anni in stand-by l’attuazione delle linee guida europee sulla filiera distributiva

L’irreperibilità di un medicinale rappresenta una rilevante criticità per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) perché può causare gravi conseguenze per i pazienti che necessitano di una terapia continuativa, compromettendo la loro qualità di vita e aumentando il rischio di complicanze. Le cause della mancata disponibilità di un farmaco conseguono problemi di produzione, provvedimenti regolatori, aumento della domanda, emergenze sanitarie o criticità nelle forniture. Su quest’ultima determinante, «per valutare il ruolo della filiera healthcare in Italia nel ridurre sprechi, inefficienze e diseguaglianze nell’accesso ai medicinali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato un report che analizza le caratteristiche della logistica distributiva dei farmaci». Le analisi si sono focalizzate sulle diseguaglianze regionali nella distribuzione dei medicinali, su carenze, indisponibilità e mancate forniture ospedaliere e sulla tracciabilità dei farmaci per contrastare le frodi.

MODALITÀ DI DISTRIBUZIONE DEI FARMACI A LIVELLO REGIONALE. Le principali difformità nella distribuzione dei medicinali si rilevano nell’ambito ospedale-territorio, con modalità di erogazione dei farmaci che variano a livello regionale (distribuzione diretta dalle strutture sanitarie o tramite le farmacie convenzionate) determinando disuguaglianze di accesso per i pazienti. «La collocazione di farmaci in un canale distributivo piuttosto che un altro – spiega Nino Cartabellotta – oltre ad incidere direttamente sull’accesso dei pazienti ai farmaci e quindi sull’assistenza di prossimità delineata anche dalla Missione 6 del PNRR e dal DM 77, ha un impatto significativo sui tetti di spesa della farmaceutica convenzionata e degli acquisti diretti».

Analizzando i dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sulla spesa pro-capite complessiva (tabella 1) nei due canali di erogazione della distribuzione diretta e per conto (€ 160,9 nel 2022, in aumento del 9,3% rispetto al 2021 e corrispondenti a circa € 9,5 miliardi totali), questa registra un valore maggiore nelle Regioni del Sud (€ 177,9) rispetto a quelle del Centro (€ 162,7) e del Nord (€ 148,2), segnando tuttavia andamenti molto diversi per le due differenti modalità di dispensazione. Infatti, per quanto riguarda la spesa relativa alla distribuzione diretta (valore pro capite di € 121,1 per un totale a livello nazionale di circa € 7,1 miliardi) la Sardegna evidenzia il maggior valore di spesa pro capite (€ 160,7) e la Provincia autonoma di Trento il più basso (€ 52,3). Per quanto riguarda la distribuzione per conto tramite le farmacie convenzionate (valore pro capite di € 39,8 per un totale a livello nazionale di circa € 2,4 miliardi), invece, è il Molise a registrare la maggiore spesa pro capite (€ 63,9), mentre, non tenendo conto di Sardegna e Valle d’Aosta che riportano dei dati non coerenti con la serie storica regionale, l’Emilia-Romagna segna il valore la più basso (€ 26,5). In 5 Regioni la distribuzione diretta registra percentuali superiori all’80%: Sardegna (98,9%), Valle d’Aosta (89,8%), Emilia-Romagna (84,7%), Abruzzo (83,8%) e Provincia autonoma di Bolzano (80,6%); i valori più bassi si rilevano nella Provincia autonoma di Trento (62,1%) e nel Lazio (62,8%).

Il costo medio del servizio di distribuzione dei medicinali erogati in distribuzione per conto tramite le farmacie convenzionate nel 2022 è stato pari a € 7,05 a confezione (tabella 2), pari al 17,1% del prezzo d’acquisto da parte del SSN. Tuttavia, analizzando la variabilità regionale, il costo più elevato è stato registrato in Basilicata (€ 11,73), nel Lazio (€ 10,48) e in Lombardia (€ 9,35), mentre i valori più bassi si rilevano in Emilia-Romagna (€ 4,17), Liguria (€ 4,94) e Sicilia (€ 5,68).

IRREPERIBILITÀ DEI FARMACI. L'AIFA aggiorna e pubblica costantemente sul proprio portale istituzionale la lista dei farmaci temporaneamente carenti: dall’analisi effettuata sull’elenco aggiornato il 20 ottobre 2023 si evidenzia per l’89% (3.137) dei medicinali interessati la disponibilità di alternative terapeutiche, mentre per il restante 11% (374) è consentita l’importazione del farmaco dall’estero. «La conoscenza da parte di tutta la filiera distributiva di strumenti, come ad esempio la lista dei farmaci temporaneamente carenti dell’AIFA – commenta Alessandro Brega, Dirigente Farmacista ASL 4 Liguria, Fondazione GIMBE – insieme al rispetto delle norme che regolamentano i princìpi del settore farmaceutico, considerato in primis un servizio pubblico, permettono di tutelare la salute della collettività garantendo la disponibilità e l’accessibilità alle terapie».

FILIERA HEALTHCARE. La filiera healthcare include produttori, depositari, fornitori di servizi logistici, distributori intermedi (grossisti) e clienti (domicili, farmacie e ospedali) collegati da trasportatori specializzati che distribuiscono i prodotti su tutto il territorio nazionale attraverso una rete capillare che garantisce la reperibilità dei farmaci in commercio, la tempestività della consegna, la corretta conservazione e la tracciabilità del farmaco lungo l’intera filiera. In particolare a livello della distribuzione intermedia, «l’accorpamento delle consegne, con la conseguente riduzione del numero medio di visite giornaliere in farmacie e parafarmacie, senza impattare sulla continuità né sul livello di servizio al cittadino/paziente – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – rappresenta un’importante svolta in termini di sostenibilità ambientale, economica, ma anche sociale». I grossisti possono avere un ruolo cruciale contribuendo ad una riduzione del numero di colli in entrata da parte dei produttori senza inficiare il livello di servizio al paziente: nel 2021, a fronte di circa 750 mila spedizioni in entrata, i distributori intermedi hanno gestito circa 21 milioni di spedizioni verso gli oltre 25 mila punti di vendita presenti in Italia tra farmacie e parafarmacie. «Questa attività è cruciale per la tempestiva disponibilità dei medicinali al cittadino – puntualizza Mosti – in quanto la distribuzione intermedia, pur detenendo elevati stock di medicinali, deve garantirne la tempestiva consegna anche pluri-giornaliera e con tempistiche predefinite alle farmacie».

A livello europeo è stato stabilito un modello univoco da perseguire per ammodernare la filiera distributiva e il 5 novembre 2013 la Commissione Europea ha pubblicato le Linee guida sulle Buone Pratiche di Distribuzione dei medicinali per uso umano, in Italia non ancora recepite, che stabiliscono gli strumenti per assistere i distributori all’ingrosso nell’esercizio delle loro attività al fine di proteggere la filiera da contraffazioni e falsificazioni.

TRACCIABILITÀ DEL FARMACO. Un ulteriore aspetto approfondito nel report  è rappresentato dal sistema di controllo diffuso dei farmaci sul territorio, che va dalla registrazione univoca dei soggetti coinvolti nella distribuzione dei medicinali (siti logistici autorizzati che alimentano la Banca Dati Centrale dell’AIFA) ai meccanismi di identificazione delle confezioni, il bollino farmaceutico e l’imminente serializzazione prevista dalla Direttiva Europea Anticontraffazione (Falsified Medicines Directive), fino alla completa tracciabilità basata sul monitoraggio elettronico delle movimentazioni, dal sistema produttivo lungo tutta la catena distributiva, che ha reso la filiera più sicura rafforzando le misure di contrasto delle possibili frodi.

«Il SSN è un sistema complesso e articolato – conclude Cartabellotta – in cui ogni attore gioca un ruolo determinante: il nostro report evidenzia il contributo della filiera healthcare, un aspetto per lo più sconosciuto ai cittadini, ma cruciale per la sostenibilità del SSN, per la riduzione delle diseguaglianze nell’accesso ai farmaci e, in ultima analisi, per l’efficacia delle cure per il paziente».

Il Report Osservatorio GIMBE n. 4/2023 “Il ruolo della filiera healthcare nel Servizio Sanitario Nazionale” è disponibile a: www.gimbe.org/filiera-healthcare


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31 ottobre 2023
PNRR Missione Salute: al 3° trimestre 2023 rispettate tutte le scadenze europee. Criticità sull’assistenza domiciliare, soprattutto al Sud. Grossi nodi da sciogliere: carenza infermieri e ruolo dei medici di famiglia. Il piano di rimodulazione del PNRR punta al ribasso

«Nell’ambito delle attività del nostro Osservatorio sul Servizio Sanitario Nazionale – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo avviato il monitoraggio indipendente dello status di avanzamento della Missione Salute del PNRR, al fine di fornire un quadro oggettivo, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche».

STATO DI AVANZAMENTO AL 30 SETTEMBRE 2023

Monitoraggio del Ministero della Salute. Secondo i dati resi pubblici il 20 ottobre 2023 sul portale del Ministero della Salute che monitora lo stato di attuazione della Missione Salute del PNRR:

  • Milestone e target europei: sono stati tutti raggiunti entro le scadenze fissate per gli anni 2021-2023. Rimane da raggiungere a dicembre 2023 il target “Almeno un progetto di telemedicina per Regione”.
  • Milestone e target nazionali: sono stati raggiunti entro le scadenze fissate tutti quelli previsti nel 2021 e 2022. Relativamente al 2023, oltre ai 3 target la cui scadenza è prevista a dicembre, sono stati differiti da giugno a dicembre 2023 una milestone (“Completamento della procedura di iscrizione ai corsi di formazione manageriale”) e tre target (“Stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria”, “Stipula dei contratti per l'interconnessione aziendale” e “Stipula dei contratti per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali”). Un ulteriore target (“Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (prima parte”) è stato differito di 12 mesi, da marzo 2023 a marzo 2024 (tabella 1). «È bene precisare – sottolinea Cartabellotta – che i traguardi e gli obiettivi nazionali costituiscono step intermedi che non condizionano l’erogazione dei fondi da parte dell’Europa, ma devono comunque essere attentamente monitorati perché potrebbero compromettere le correlate scadenze europee».

«Al momento i ritardi sulle scadenze italiane non sono particolarmente critici – commenta Cartabellotta – fatta eccezione per il mancato raggiungimento del target “Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (prima parte)”. In dettaglio, entro marzo 2023 avrebbero dovuto essere assistiti in ADI 296 mila pazienti over 65: lo slittamento di 12 mesi della scadenza lascia intendere che i tempi per colmare il ritardo non sono immediati. Questo consegue alle enormi differenze sulla capacità delle Regioni nell’erogare l’assistenza domiciliare, ambito in cui la maggior parte di quelle del centro-sud era già molto indietro».

Monitoraggio Agenas sull’attuazione del DM 77/2022. La 2a relazione Agenas sullo stato di implementazione del DM 77, riforma prevista dal PNRR per riorganizzare l’assistenza territoriale, ha fatto il punto sull’attivazione delle strutture a giugno 2023: le Case della Comunità (CdC), il punto di accesso sul territorio con cui il cittadino entra in contatto con il sistema socio-sanitario; le Centrali Operative Territoriali (COT) che coordinano i vari servizi sul territorio; gli Ospedali di Comunità (OdC) che hanno funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero. In dettaglio:

  • Case della Comunità. Rispetto alle 1.430 CdC da attivare entro il 2026 quale target PNRR, ne sono state dichiarate funzionalmente attive 187, di cui: 92 in Lombardia, 43 in Emilia-Romagna, 38 in Piemonte, 6 in Toscana e Molise e 2 in Umbria.
  • Centrali Operative Territoriali. Delle 611 COT da attivare entro il 2024 quale target PNRR, ne sono state dichiarate attive 77, di cui: 36 in Lombardia, 15 nel Lazio, 9 in Veneto, 7 in Piemonte, 5 in Emilia-Romagna, 4 nella Provincia autonoma di Bolzano e 1 in Umbria.
  • Ospedali di Comunità. Dei 434 OdC da attivare entro il 2026 quale target PNRR, ne sono stati dichiarati attivi 76, di cui: 38 in Veneto, 17 in Lombardia, 6 in Puglia, 5 in Emilia-Romagna, 3 in Umbria, 2 in Abruzzo e in Molise, 1 in Campania, Lazio, Liguria. Complessivamente il numero dei posti letto attivati è pari a 1.378.

«Complessivamente – commenta il Presidente – il monitoraggio Agenas conferma il netto ritardo di tutte le Regioni del Sud nell’attivazione delle strutture previste dal DM 77. Un ritardo imputabile non a inefficienze locali, ma semplicemente al “punto di partenza” dell’assistenza territoriale nelle regioni meridionali» (tabella 2).

PROPOSTE DI RIMODULAZIONE. Il 27 luglio 2023 l’Italia ha inviato alla Commissione Europea una proposta di rimodulazione del PNRR che, relativamente alla Missione Salute, non risulta ancora ratificata dal Consiglio Europeo. «La maggior parte delle modifiche – spiega Cartabellotta – è stata motivata dall’aumento dei costi dell’investimento e/o dei tempi di attuazione, oltre che da ritardi nelle forniture e da difficoltà legate all’approvvigionamento delle materie prime». Complessivamente, punta al ribasso chiedendo di espungere 414 Case di Comunità, 76 Centrali Operative Territoriali, 96 ospedali di Comunità e 22 interventi di anti-sismica (tabella 3). Infine, la proposta di rimodulazione richiede il differimento delle scadenze per tre target/milestone: centrali operative territoriali (+6 mesi), persone assistite attraverso la telemedicina (+12 mesi), ammodernamento parco tecnologico e digitale ospedaliero (+12 mesi).

La rimodulazione riguarderebbe prevalentemente i nuovi edifici da realizzare, che in realtà risultano di numero inferiore secondo quanto rilevato da Agenas (tabella 4 e figure 1, 2, 3). «La rimodulazione– commenta Cartabellotta – prevedrebbe dunque di espungere, oltre a quelli da realizzare ex novo, ulteriori 105 Case della Comunità, 87 Centrali Operative Territoriali e 2 Ospedali di Comunità, con criteri e distribuzione regionale al momento non noti». Secondo quanto riportato nel piano di rimodulazione gli investimenti espunti dovrebbero essere realizzati utilizzando le risorse del programma di investimenti in edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico (ex art. 20 L. 67/1988) non spese dalle Regioni - come ribadito dal Ministro Schillaci in occasione della Cabina di Regia dello scorso 10 ottobre - e i fondi della politica di coesione. «Sembra poco realistica – commenta Cartabellotta – la possibilità di finanziare le strutture espunte con i fondi per la ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico (ex. art. 20) non utilizzati dalle Regioni, che hanno infatti già rilevato numerosi ostacoli. Peraltro, non è affatto chiaro come attuare il meccanismo compensatorio tra Regioni: infatti, l’entità dei fondi ex art. 20 non utilizzati non coincide con la distribuzione regionale delle strutture espunte dal PNRR».

Nuove linee di intervento. «Se da un lato le risorse vengono dichiarate insufficienti per completare le opere edilizie – spiega il Presidente – il piano di rimodulazione prevede nuove linee di intervento da finanziare “con le disponibilità residue dopo la riduzione numerica del target” o grazie alle “economie di gara e di progetto”. Nuove linee che, peraltro, lasciano ipotizzare investimenti rilevanti, non sempre in linea con l’impianto originale del PNRR». In particolare, la rimodulazione prevede: 100 progetti innovativi sulla gestione logistica dei farmaci; adeguamento di 100 sale operatorie; acquisto e/o noleggio di 80 robot chirurgici; apparecchiature di radiodiagnostica base e/o radiologia domiciliare destinate ai poliambulatori specialistici pubblici.

Al 30 settembre 2023 le scadenze europee sul PNRR sono state tutte rispettate; di quelle nazionali l’unica da attenzionare, tra quelle differite, è relativa all’assistenza domiciliare negli over 65. Tuttavia, dopo la fase di avvio della Missione Salute, le scadenze successive saranno inevitabilmente condizionate dalle criticità di attuazione del DM 77 nei 21 servizi sanitari regionali. Innanzitutto, dalla grave carenza di personale infermieristico e le modalità di coinvolgimento dei medici di famiglia, figure chiave per attuare la riorganizzazione prevista dal DM 77. Ma anche dalle enormi differenze regionali su vari ambiti: modelli organizzativi dell’assistenza territoriale, dotazione iniziale di case della comunità e ospedali di comunità, percentuale di over 65 in assistenza domiciliare nel 2019, attuazione del fascicolo sanitario elettronico.

«Se è certo che la Missione Salute del PNRR rappresenta una grande opportunità per potenziare il SSN – conclude Cartabellotta – la sua attuazione deve essere sostenuta da azioni politiche. Innanzitutto, per attuare il DM 77 bisogna mettere in campo coraggiose riforme di sistema, finalizzate in particolare a definire il ruolo e le responsabilità dei medici di famiglia; in secondo luogo, serve un potenziamento adeguato del personale infermieristico, oltre a investimenti certi e vincolati per il personale sanitario dal 2027; infine, occorre supportare le Regioni meridionali per colmare i gap esistenti tra Nord e Sud. Ma più in generale la politica è chiamata a confermare l’impianto del DM 77 e di inserirlo in un quadro di rafforzamento complessivo della sanità pubblica, perché le risorse del PNRR non possono servire da stampella di un SSN claudicante. Purtroppo, da un lato le proposte di rimodulazione del PNRR, dall’altro le previsioni della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria e la Legge di Bilancio 2024 non sembrano affatto andare in questa direzione».


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25 ottobre 2023
Fondazione GIMBE. Manovra: alla sanità +€ 3 miliardi nel 2024, ma l’80% servirà per rinnovare i contratti del personale. Nel 2025-2026 nessun rilancio del finanziamento. Liste di attesa: misure insufficienti, servono coraggiose riforme

Dopo 8 giorni in cui si sono inseguiti dichiarazioni e numeri sul finanziamento alla sanità, non sempre coerenti, spesso confondendo il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) con la spesa sanitaria, solo il 24 ottobre è stato possibile visionare la prima bozza della Manovra 2024. «La Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente sui finanziamenti per la sanità – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sia per verificare la coerenza tra dichiarazioni politiche e numeri effettivi, sia per informare confronto politico e dibattito pubblico in vista della discussione parlamentare sulla Manovra».

FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE (FSN). Viene incrementato di € 3 miliardi per il 2024, € 4 miliardi per il 2025 e € 4,2 miliardi per il 2026. Di conseguenza il FSN sale a € 134 miliardi per il 2024, € 135,3 miliardi per il 2025 e € 135,5 miliardi per il 2026 (figura 1). «Per l’anno 2024 – commenta Cartabellotta – il Governo ha soddisfatto quasi interamente le richieste delle Regioni e del Ministro Schillaci che chiedevano un aumento di € 4 miliardi. Tuttavia, di fatto, € 2,4 miliardi dovrebbero essere destinati ai rinnovi contrattuali 2022-2024 del personale dipendente e convenzionato, lasciando ben poche risorse per le altre priorità. Soprattutto la Manovra non lascia affatto intravedere un progressivo rilancio del finanziamento pubblico: dopo il balzo in alto del 2024, infatti, tornano le cifre da “manutenzione ordinaria” con incrementi talmente esigui che nel 2025 e nel 2026 che non copriranno nemmeno gli aumenti legati all’inflazione. Ovvero, l’aumento del FSN disposto dalla Legge di Bilancio 2024 sostanzialmente conferma le stime della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria che per il triennio 2024-2026 prevedevano una progressiva riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL, che precipita nel 2026 al 6,1%».

MISURE PREVISTE. «È necessario sottolineare – spiega Cartabellotta – che tutte le misure sono a valere sul fabbisogno sanitario nazionale, ovvero rappresentano solo indicazioni di spesa per le Regioni nell’ambito del finanziamento assegnato, ma non costituiscono risorse aggiuntive». In dettaglio:

  • Rinnovo contratti dirigenza medica e sanitaria e comparto sanità, nell’ambito del rifinanziamento del fondo CCNL per il personale pubblico per il triennio 2022-2024. La Legge di Bilancio non riporta la cifra destinata al personale sanitario che - secondo quanto dichiarato dal Ministro Schillaci in audizione al Senato - ammonterebbe a € 2.400 milioni, ovvero l’80% dell’incremento del FSN 2024.

  • Abbattimento delle liste di attesa: l’obiettivo prevede tre misure integrate:

    • Rifinanziamento dei Piani Operativi Regionali per l'abbattimento delle liste d'attesa: la bozza della Manovra non indica la cifra, ma fa riferimento ad una quota non superiore allo 0,4% del finanziamento indistinto del FSN, che corrisponderebbe a circa € 520 milioni.

    • Incrementi delle tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive di medici e personale sanitario del comparto: € 280 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.

    • Aggiornamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati. La bozza della Manovra non indica la cifra, ma indica un incremento della spesa consuntivata nel 2011 dell’1% per il 2024, del 3% per il 2025 e del 4% a decorrere dal 2026.

  • Aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza: € 50 milioni per il 2024 e € 200 milioni a decorrere dal 2025.

  • Potenziamento dell’assistenza territoriale per nuove assunzioni di personale sanitario, anche in deroga al tetto di spesa sul personale: € 250 milioni per l’anno 2025 e € 350 milioni a decorrere dal 2026.

  • Perseguimento degli obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale: € 240 milioni per l’anno 2025 e € 340 milioni di euro a decorrere dal 2026.

  • Rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica: dal 2024 il tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti viene aumentato dall’8,15% all’8,6% e quello della spesa farmaceutica convenzionata viene ridotto dal 7% al 6,7%.

  • Modifiche alle modalità di distribuzione dei medicinali. La bozza della Manovra prevede un nuovo modello di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN.

«Anche se numerose cifre non sono espressamente definite – commenta il Presidente – l’incremento di € 3 miliardi per il 2024 non sembra essere sufficiente per coprire i costi di tutte le misure previste dalla Manovra».

«Rispetto al personale sanitario – commenta Cartabellotta – fondamentale il rinnovo 2022-2024 dei contratti per medici e infermieri nell’ambito di una misura che interesserà tutti i dipendenti pubblici. Tuttavia, il rinnovo contrattuale del personale dipendente è una misura necessaria, ma non sufficiente, per risolvere la grave carenza di personale sanitario, in particolare di infermieri e varie specialità mediche. Infatti, la bozza prevede, solo dal 2025, esigue risorse destinate alle nuove assunzioni e, soprattutto non programma la graduale abolizione del tetto di spesa sul personale sanitario».

«Riguardo l’abbattimento delle liste di attesa – aggiunge Cartabellotta – la Manovra propone misure per “risolvere i sintomi, senza curare la malattia”, che appaiono insufficienti per tre ragioni. Innanzitutto, al di là delle dichiarazioni d’intenti, non s’intravedono coraggiose riforme per monitorare e ridurre l’inappropriatezza delle prescrizioni mediche. In secondo luogo, si potenzia l’offerta con interventi dove il “collo di bottiglia” sono sempre i professionisti sanitari: rifinanziamento dei Piani Operativi Regionali per il recupero delle liste di attesa, incentivi economici a medici e infermieri già allo stremo per carenza degli organici e peggioramento delle condizioni lavorative, innalzamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni dal privato. Infine, non c’è alcun richiamo all’inderogabile aggiornamento del Piano Nazionale Governo Liste di Attesa, scaduto nel 2021».

«Il progressivo innalzamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni dal privato – spiega il Presidente – viene definito come incremento percentuale rispetto alla spesa consuntivata nel 2011. Una modalità che finirà inevitabilmente per favorire le Regioni che già 12 anni fa acquistavano più prestazioni dal privato».

«Dalla bozza della Manovra – conclude Cartabellotta – emergono più ombre che luci per la sanità pubblica. Accanto al doveroso riconoscimento economico al personale sanitario che si concretizza con i rinnovi contrattuali 2022-2024, la Manovra non lascia affatto intravedere un rilancio progressivo del finanziamento pubblico del SSN, né interventi in grado di ottimizzare la spesa sanitaria».

 


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10 ottobre 2023
6° Rapporto GIMBE - Servizio Sanitario Nazionale al capolinea: compromesso il diritto alla tutela della salute. Spesa pubblica pro-capite: il gap con la media dei paesi europei è di € 48,8 miliardi. Le enormi diseguaglianze nord-sud saranno legittimate dall’autonomia differenziata. Dalla Fondazione GIMBE l’appello per un patto politico e sociale per rilanciare la sanità pubblica

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 6° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN): «I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – ha esordito il Presidente Nino Cartabellotta – sono stati traditi. Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un SSN ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure».

«Considerato che il progressivo indebolimento del SSN dura da oltre 15 anni, perpetrato da parte di tutti i Governi – ha affondato Cartabellotta – non è più tempo di utilizzare il fragile terreno della sanità e i disagi della popolazione per sterili rivendicazioni politiche su chi ha sottratto più risorse al SSN. Perché stiamo inesorabilmente scivolando da un Servizio Sanitario Nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata».

Richiamando il recente intervento del Presidente Meloni, secondo cui “sarebbe miope concentrare tutta la discussione sull’aumento o meno delle risorse perché bisogna confrontarsi anche su come quelle risorse vengono spese”, Cartabellotta ha condiviso che «potenzialmente ci sono ampi margini di recupero su vari ambiti: eccesso di prestazioni da medicina difensiva e domanda inappropriata, conseguenze del sotto-utilizzo di prestazioni efficaci, frodi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza, in particolare tra ospedale e territorio. Ma il recupero di queste risorse richiede una profonda riorganizzazione del SSN, riforme di rottura, formazione dei professionisti e informazione alla popolazione sull’appropriatezza di esami diagnostici e terapie: non si tratta di risorse monetizzabili a breve termine, analogamente a quelle sottratte all’erario dall’evasione fiscale».

«Ecco perchè a quasi 45 anni dalla legge istitutiva del SSN – ha continuato Cartabellotta – la Fondazione GIMBE invoca un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico del Paese».

«Il preoccupante “stato di salute” del SSN – ha concluso Cartabellotta – impone una profonda riflessione politica: il tempo della manutenzione ordinaria per il SSN è ormai scaduto, visto che ne ha sgretolato i princìpi fondanti e mina il diritto costituzionale alla tutela della Salute. È giunto ora il tempo delle scelte: o si avvia una stagione di coraggiose riforme e investimenti in grado di restituire al SSN la sua missione originale, oppure si ammetta apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello di SSN. In questo (non auspicabile) caso la politica non può sottrarsi dal gravoso compito di governare un rigoroso processo di privatizzazione, che ormai da anni si sta insinuando in maniera strisciante approfittando dell’indebolimento della sanità pubblica. La Fondazione GIMBE, con il Piano di Rilancio del SSN, conferma che la bussola deve rimanere sempre e comunque l’articolo 32 della Costituzione: perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la sanità deve essere per tutti».

Il Presidente ha riportato una sintesi di dati, analisi, criticità e proposte contenute nel Rapporto: dal finanziamento pubblico alla spesa sanitaria, dai Livelli Essenziali di Assistenza alle diseguaglianze regionali e alla mobilità sanitaria, dal personale alla Missione Salute del PNRR, sino al Piano di Rilancio del SSN.

FINANZIAMENTO PUBBLICO. Il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di € 23,3 miliardi, in media € 1,94 miliardi per anno, ma con trend molti diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), pandemico (2020-2022) e post-pandemico (2023), su cui «è opportuno rifare chiarezza – ha chiosato Cartabellotta – per documentare che tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno tagliato e/o non investito adeguatamente in sanità» (Figura 1).

  • 2010-2019: la stagione dei tagli. Alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre € 37 miliardi di cui: circa € 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza di “tagli” previsti da varie manovre finalizzate al risanamento della finanza pubblica; oltre € 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del “definanziamento” che ha assegnato meno risorse al SSN rispetto ai livelli programmati. In 10 anni il FSN è aumentato complessivamente di € 8,2 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,15%).
  • 2020-2022: la stagione della pandemia. Il FSN è aumentato complessivamente di € 11,2 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo. Tuttavia, questo netto rilancio del finanziamento pubblico è stato di fatto assorbito dai costi della pandemia COVID-19, non ha consentito rafforzamenti strutturali del SSN ed è stato insufficiente a tenere in ordine i bilanci delle Regioni.
  • 2023-2026: il presente e il futuro prossimo. La Legge di Bilancio 2023 ha incrementato il FSN per gli anni 2023, 2024 e 2025, rispettivamente di € 2.150 milioni, € 2.300 milioni e € 2.600 milioni. Nel 2023 € 1.400 milioni sono stati destinati alla copertura dei maggiori costi energetici. Dal punto di vista previsionale, nella Nota di Aggiornamento del DEF 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti, nel triennio 2024-2026 si stima un incremento della spesa sanitaria di soli € 4.238 milioni (+1,1%).
    Da rilevare che nel 2022 e nel 2023 l’aumento percentuale del FSN è stato inferiore a quello dell’inflazione: nel 2022 l’incremento del FSN è stato del 2,9% a fronte di una inflazione dell’8,1%, mentre nel 2023 l’inflazione al 30 settembre acquisita dall’ISTAT è del 5,7% a fronte di un aumento del FSN del 2,8% (Figura 2).

 

SPESA SANITARIA. La spesa sanitaria totale (sistema ISTAT-SHA) per il 2022 è pari a € 171.867 milioni di cui € 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%), € 36.835 milioni di spesa out-of-pocket (21,4%), ovvero a carico delle famiglie e € 4.668 milioni di spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (2,7%) (Figura 3). La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE (7,1%) che alla media europea (7,1%). Il gap con la media dei paesi europei dell’area OCSE è di $ 873 pro-capite ($ 873, pari a € 829) (Figura 4) che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023 di oltre 58,8 milioni di abitanti, per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di quasi $ 51,4 miliardi, pari a € 48,8 miliardi. Il progressivo aumento del gap della spesa sanitaria con la media dei paesi europei è perfettamente in linea con l’entità del definanziamento pubblico relativo al decennio 2010-2019, ma poi si è sorprendentemente ampliato nel triennio 2020-2022 durante l’emergenza pandemica. Complessivamente, rispetto alla media dei paesi europei, nel periodo 2010-2022 la spesa sanitaria pubblica italiana è stata inferiore di $ 363 miliardi (pari a € 345 miliardi) (Figura 5). E, per colmare il divario pro-capite con la media dei paesi europei attestato nel 2022 ($ 873, pari a € 829), al 2030 si stima un incremento totale di $ 122 miliardi (pari a € 115,9 miliardi), ovvero a partire dal 2023 un finanziamento costante di $ 15,25 miliardi, pari a € 14,49 miliardi per anno (Figura 6). «Se queste cifre da un lato sono palesemente irraggiungibili per la nostra finanza pubblica – ha commentato Cartabellotta – dall’altro forniscono la dimensione di quanto tutti i Governi abbiano utilizzato la spesa sanitaria come un bancomat, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Considerando sempre la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento e ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL».

LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. L’obiettivo dichiarato di “continuo aggiornamento dei LEA, con proposta di esclusione di prestazioni, servizi o attività divenuti obsoleti e di inclusione di prestazioni innovative ed efficaci, al fine di mantenere allineati i LEA all’evoluzione delle conoscenze scientifiche” non è mai stato raggiunto. Il ritardo di oltre 6 anni e mezzo nell’approvazione del Decreto Tariffe ha reso impossibile sia ratificare i 29 aggiornamenti proposti dalla Commissione LEA, sia l’esigibilità delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di protesica inserite nei “nuovi LEA”. Queste ultime, ha spiegato il Presidente «nonostante la pubblicazione del DM Tariffe il 4 agosto 2023, rimarranno ancora in stand-by sino al 1° gennaio 2024 per la specialistica ambulatoriale e al 1° aprile 2024 per l’assistenza protesica». La sezione sul monitoraggio dei LEA analizza in dettaglio l’adempimento al mantenimento dei LEA, effettuata con la “griglia LEA” per il periodo 2010-2019 e tramite il Nuovo Sistema di Garanzia per gli anni 2020-2021. Tutte le analisi confermano una vera e propria “frattura strutturale” tra Nord e Sud: negli adempimenti cumulativi 2010-2019 nessuna Regione meridionale si posiziona tra le prime 10. Nel 2020 l’unica Regione del sud tra le 11 adempienti è la Puglia; nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata (Figura 7). Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni meridionali sono ultime tra quelle adempienti. Il focus sulla mobilità sanitaria documenta che i flussi economici scorrono prevalentemente da Sud a Nord: in particolare nel 2020, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto “cubano” complessivamente il 94,1% del saldo di mobilità attiva.

REGIONALISMO DIFFERENZIATO. La “frattura strutturale” tra Nord e Sud compromette l’equità di accesso ai servizi sanitari e gli esiti di salute e alimenta un imponente flusso di mobilità sanitaria dalle Regioni meridionali a quelle settentrionali. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze registrate già con la semplice competenza concorrente in tema di tutela della salute. «Ecco perché – ha ribadito Cartabellotta – in audizione presso la 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica abbiamo proposto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie, perché l’autonomia differenziata in sanità legittimerebbe normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute».

PERSONALE DIPENDENTE. «Le fonti disponibili – spiega Cartabellotta – non permettono di analizzare in maniera univoca, sistematica e aggiornata la reale “forza lavoro” del SSN impegnata nell’erogazione dei LEA. Inoltre, i dati relativi al 2021 verosimilmente sottostimano la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati negli anni 2022-2023. Ancora, le differenze regionali sono molto rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nelle Regioni in Piano di rientro. Infine, i benchmark internazionali relativi a medici e infermieri collocano il nostro Paese poco sopra la media OCSE per i medici e molto al di sotto per il personale infermieristico, restituendo di conseguenza un rapporto infermieri/medici tra i più bassi d’Europa».

  • Medici. Nel 2021 sono 124.506 i medici che lavorano nelle strutture sanitarie: 102.491 dipendenti del SSN e 22.015 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia dagli 1,84 di Campania e Veneto a 2,56 della Toscana con un gap del 39,1% (Figura 8). L’Italia si colloca sopra la media OCSE (4,1 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), ma con un gap un rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN.
  • Infermieri. Nel 2021 sono 298.597 gli infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie: 264.768 dipendenti del SSN e 33.829 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 5,06 per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,59 della Campania ai 6,72 del Friuli Venezia Giulia con un gap dell’87,2% (Figura 9). L’Italia si colloca ben al di sotto della media OCSE (6,2 vs 9,9 per 1.000 abitanti).
  • Rapporto infermieri/medici. Nel 2021 il rapporto nazionale infermieri/medici tra il personale dipendente è di 2,4, con un range che varia dagli 1,83 della Sicilia ai 3,3 della Provincia autonoma di Bolzano, con un gap dell’80,3%. (Figura 10). Fatta eccezione per il Molise, le Regioni in Piano di rientro si trovano tutte sotto la media nazionale, dimostrando che le restrizioni di personale hanno colpito più il personale infermieristico che quello medico. L’Italia si colloca molto al di sotto della media OCSE (1,5 vs 2,7) per rapporto infermieri/medici, in Europa davanti solo a Spagna (1,4) e Lettonia (1,2).

 

PNRR MISSIONE SALUTE

  • Criticità di implementazione. Sono in larga parte relative alla riorganizzazione prevista dal DM 77/2022: dalle differenze regionali (modelli organizzativi dell’assistenza territoriale, dotazione iniziale di case di comunità e ospedali di comunità, percentuale di over 65 in assistenza domiciliare nel 2019, attuazione del fascicolo sanitario elettronico) al fabbisogno di personale per il potenziamento dell’assistenza territoriale; dalle modalità di coinvolgimento di medici e pediatri di famiglia alla carenza di personale infermieristico; dagli ostacoli all’attuazione della telemedicina al carico amministrativo di Regioni e Aziende sanitarie.
  • Stato di attuazione. I target europei sono stati tutti raggiunti entro le scadenze fissate. Dei target italiani, che rappresentano scadenze intermedie, relativi al 2023 sono state differite le scadenze per 1 milestone e 7 target. Rispetto allo stato di avanzamento sulle strutture da realizzare, secondo il monitoraggio Agenas al 30 giugno 2023 sono funzionalmente attive 187/1.430 Case di Comunità, 77/611 Centrali Operative Territoriali e 76/434 Ospedali di Comunità. «Complessivamente – ha commentato il Presidente – il monitoraggio conferma il netto ritardo delle Regioni del Sud».
  • Proposte di rimodulazione. Vengono sintetizzate e valutate le proposte di rimodulazione del PNRR presentate il 27 luglio 2023 alla Commissione Europea (attualmente non ancora ratificate) in ragione dell’aumento dei costi dell’investimento e/o dei tempi di attuazione oltre che dei ritardi nelle forniture e delle difficoltà legate all’approvvigionamento di materie prime. Complessivamente si propone di espungere 414 Case di Comunità, 76 Centrali Operative Territoriali, 96 ospedali di Comunità e 22 interventi di anti-sismica. Vengono anche richiesti tre differimenti temporali delle scadenze: 6 mesi per le Centrali Operative Territoriali, 12 mesi per il target delle persone assistite in ADI con strumenti di telemedicina e per l’ammodernamento parco tecnologico e digitale ospedaliero. «Le analisi effettuate sulle proposte di rimodulazione – ha commentato Cartabellotta – rilevano alcune criticità: in particolare sembra poco realistica la possibilità di finanziare le strutture espunte con i fondi per la ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico (ex. art. 20) non spesi dalle Regioni».

 

«Se è certo che la Missione Salute del PNRR rappresenta una grande opportunità per potenziare il SSN – ha sottolineato Cartabellotta – la sua attuazione deve essere sostenuta da azioni politiche. Innanzitutto, per attuare il DM 77 bisogna mettere in campo coraggiose riforme di sistema, finalizzate in particolare a ridisegnare ruolo e responsabilità dei medici di famiglia e facilitare l’integrazione con l’infermiere di famiglia; in secondo luogo, servono investimenti certi e vincolati per il personale sanitario dal 2027, oltre che un’adeguata rivalutazione del fabbisogno di personale infermieristico; infine, occorre una rigorosa governance delle Regioni per colmare i gap esistenti. Ma soprattutto la politica, oltre a credere nell’impianto della Missione Salute, deve inserirlo in un quadro di rafforzamento complessivo del SSN: altrimenti indebiteremo le generazioni future per finanziare solo un costoso “lifting” del SSN».

La Fondazione GIMBE ha da sempre ribadito che, se da un lato non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, dall’altro manca un esplicito programma politico per il suo potenziamento. Al fine di orientare le decisioni politiche, il Rapporto contiene il Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, «finalizzato – spiega Cartabellotta – all’attuazione di riforme e innovazioni di rottura per il rilancio definitivo di un pilastro fondante della nostra democrazia».

  • LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE. Mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali (health in all).
  • APPROCCIO ONE HEALTH. Attuare un approccio integrato alla gestione della salute, perché la salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente, ecosistemi inclusi, sono strettamente interdipendenti.
  • GOVERNANCE STATO-REGIONI. Rafforzare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto delle loro autonomie, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi.
  • FINANZIAMENTO PUBBLICO. Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, al fine di allinearlo alla media dei paesi europei.
  • LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Garantire l’uniforme esigibilità dei LEA in tutto il territorio nazionale, il loro aggiornamento continuo e rigoroso monitoraggio, al fine di ridurre le diseguaglianze e rendere rapidamente accessibili le innovazioni.
  • PROGRAMMAZIONE, ORGANIZZAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-SANITARI. Programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute della popolazione e renderla disponibile tramite reti integrate che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di superare la dicotomia ospedale-territorio e quella tra assistenza sanitaria e sociale.
  • PERSONALE SANITARIO. Rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità: investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari, riformare i processi di formazione e valutazione delle competenze, al fine di valorizzare e motivare la colonna portante del SSN.
  • SPRECHI E INEFFICIENZE. Ridurre gli sprechi e le inefficienze che si annidano a livello politico, organizzativo e professionale, al fine di reinvestire le risorse recuperate in servizi essenziali e vere innovazioni, aumentando il value della spesa sanitaria.
  • RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO. Disciplinare l’integrazione pubblico-privato secondo i reali bisogni di salute della popolazione e regolamentare la libera professione per evitare diseguaglianze e iniquità di accesso. 
  • SANITÀ INTEGRATIVA. Avviare un riordino legislativo della sanità integrativa al fine di arginare fenomeni di privatizzazione, aumento delle diseguaglianze, derive consumistiche ed erosione di risorse pubbliche.
  • TICKET E DETRAZIONI FISCALI. Rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie, secondo princìpi di equità sociale e prove di efficacia di farmaci e prestazioni, al fine di evitare sprechi di denaro pubblico e ridurre il consumismo sanitario.
  • TRANSIZIONE DIGITALE. Diffondere la cultura digitale e promuovere le competenze tecniche tra professionisti sanitari e cittadini, al fine di massimizzare le potenzialità delle tecnologie digitali e di migliorare accessibilità ed efficienza in sanità e minimizzare le diseguaglianze.
  • INFORMAZIONE AI CITTADINI. Potenziare l’informazione istituzionale basata sulle migliori evidenze scientifiche, al fine di promuovere sani stili di vita, ridurre il consumismo sanitario, aumentare l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione, contrastare le fake news e favorire decisioni informate sulla salute.
  • RICERCA SANITARIA. Destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari un importo pari ad almeno il 2% del fabbisogno sanitario nazionale standard, al fine di produrre evidenze scientifiche per informare scelte e investimenti del SSN.

 

La versione integrale del 6° Rapporto GIMBE è disponibile a: www.salviamo-ssn.it/6-rapporto


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3 ottobre 2023
NaDEF 2023: sanità pubblica verso il baratro. Crolla il rapporto spesa sanitaria/PIL: dal 6,6% nel 2023, al 6,2% nel 2024, al 6,1% nel 2026. Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria aumenta solo dell’1,1%

Nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) 2023, deliberata il 27 settembre 2023 e resa pubblica il 30 settembre, relativamente alla sanità, si legge che “La Legge di Bilancio 2024 prevederà, per il triennio 2024-2026, stanziamenti da destinare al personale del sistema sanitario”. Inoltre, il Governo dichiara collegati alla decisione di bilancio due disegni di legge: il primo in materia di riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale nel SSN e dell’assistenza ospedaliera; il secondo in materia di riordino delle professioni sanitarie e degli enti vigilati dal Ministero della Salute.

«Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio 2024 – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2023 relativamente alla spesa sanitaria, sia per verificare la coerenza tra dichiarazioni programmatiche e stime tendenziali, sia per informare confronto politico e dibattito pubblico in vista della discussione sulla Manovra».

Analisi NaDEF 2023. In dettaglio, analizzando i vari periodi (tabella 1):

  • Previsionale 2023. Rispetto al 2022, la spesa sanitaria aumenta del 2,8%, in termini assoluti di € 3.631 milioni, ma si riduce dal 6,7% al 6,6% in termini di percentuale di PIL.
  • Previsionale 2024-2026. A fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, la NaDEF 2023 stima la crescita media della spesa sanitaria all’1,1%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.946 milioni (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a € 136.701 milioni (+2,8%) e a € 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026. «È del tutto evidente – commenta Cartabellotta – che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di € 4.238 milioni (+1,1%) nel triennio 2024-2026 non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo». In altri termini, le stime previsionali della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 non lasciano affatto intravedere investimenti da destinare al personale sanitario, ma certificano piuttosto evidenti segnali di definanziamento. In particolare il 2024, lungi dall’essere l’anno del rilancio, segna un preoccupante -1,3%.

Confronto NaDEF 2023 vs DEF 2023. Relativamente al periodo 2023-2026, rispetto alle stime del DEF 2023, in quelle della NaDEF 2023, la spesa sanitaria in termini assoluti aumenta di soli € 1.140 milioni (+0,4%) e in termini di percentuale del PIL si riduce dello 0,3% (tabella 2). In dettaglio:

  • Nel 2023 la spesa sanitaria si riduce di:
    • 0,1% in termini di percentuale del PIL
    • € 1.309 milioni (€ 134.734 milioni vs € 136.043) in termini assoluti
    • 1% in termini di variazione percentuale
  • Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria:
    • si riduce complessivamente dello 0,2% in termini di percentuale di PIL
    • aumenta di € 2.449 milioni (in media € 816 milioni/anno) in termini assoluti
    • aumenta di 1,4 punti percentuali (in media di 0,47 per anno) in termini di variazione percentuale

Complessivamente le stime della NaDEF 2023 confermano che la sanità rimane la “cenerentola” dell’agenda politica per varie ragioni. Innanzitutto, il rapporto spesa sanitaria/PIL del 6,7% del 2022 scende al 6,6% nel 2023 e continuerà a calare negli anni successivi, sino a raggiungere il 6,1% nel 2026, un valore inferiore a quello pre-pandemico del 2019 (6,4%); in secondo luogo, nel triennio 2024-2026 la NaDEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, a fronte dell’1,1% di quella della spesa sanitaria, ovvero un investimento che impegna meno di 1/3 della crescita attesa del PIL; infine, nonostante le dichiarazioni programmatiche sugli stanziamenti 2024-2026 da destinare al personale del SSN, la NaDEF 2023 non fa alcun cenno alla graduale abolizione del tetto di spesa per il personale sanitario, priorità assoluta per rilanciare le politiche del capitale umano. «I numeri della NaDEF 2023 – chiosa Cartabellotta – certificano che, in linea con i Governi degli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta affatto una priorità politica neppure per l’attuale Esecutivo».

«Se a parole la NaDEF 2023 afferma l’intenzione di stanziare risorse per il rilancio del personale sanitario nel prossimo triennio – conclude Cartabellotta – i numeri non lasciano intravedere affatto i fondi necessari, ma viceversa documentano segnali di definanziamento della sanità pubblica ancor più evidenti di quelli del DEF 2023, le cui stime previsionali sulla spesa sanitaria sono state riviste al ribasso. Oggi la grave crisi di sostenibilità del SSN non garantisce più alla popolazione equità di accesso alle prestazioni sanitarie con pesanti conseguenze sulla salute delle persone e sull’aumento della spesa privata. A fronte di questo scenario, le stime NaDEF 2023 spingono la sanità pubblica sull’orlo del baratro, confermando che il rilancio del SSN non rappresenta una priorità politica nell’allocazione delle, pur limitate, risorse. Scivolando, lentamente ma inesorabilmente, da un Servizio Sanitario Nazionale basato sulla tutela di un diritto costituzionale, a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato. E, ignorando, rispetto ad altri paesi, che lo stato di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita del PIL: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari».


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19 settembre 2023
Coronavirus: l’infezione corre di nuovo e colpisce fragili e over 80. In 4 settimane salgono i contagi (da 5.889 a 30.777) e i ricoveri in area medica sono più che triplicati (da 697 a 2.378). Necessario avviare subito la campagna vaccinale per prevenire il sovraccarico delle strutture sanitarie. Il vero rischio è la tenuta della sanità pubblica, oggi profondamente indebolita

Dopo circa due mesi di sostanziale stabilità del numero dei nuovi casi settimanali – che tra metà giugno e metà agosto hanno oscillato tra 3.446 (6-12 luglio) e 6.188 (3-9 agosto) – da 4 settimane consecutive si rileva una progressiva ripresa della circolazione virale. Infatti, dalla settimana 10-16 agosto a quella 7-13 settembre il numero dei nuovi casi settimanali è aumentato da 5.889 a 30.777, il tasso di positività dei tamponi dal 6,4% al 14,9% (figura 1), la media mobile a 7 giorni da 841 casi/die è salita a 4.397 casi/die (figura 2), l’incidenza da 6 casi per 100 mila abitanti (settimana 6-12 luglio) ha raggiunto 52 casi per 100 mila abitanti. «Numeri sì bassi – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ma anche ampiamente sottostimati rispetto al reale impatto della circolazione virale perché il sistema di monitoraggio, in particolare dopo l’abrogazione dell’obbligo di isolamento per i soggetti positivi con il DL 105/2023, di fatto poggia in larga misura su base volontaria. Infatti, da un lato la prescrizione di tamponi nelle persone con sintomi respiratori è ormai residuale (undertesting), dall’altro con l’ampio uso dei test antigenici fai-da-te la positività viene comunicata solo occasionalmente ai servizi epidemiologici (underreporting)».

Analizzando più in dettaglio, nelle ultime 4 settimane la circolazione virale risulta aumentata in tutte le Regioni e Province autonome: nella settimana 7-13 settembre l’incidenza dei nuovi casi per 100 mila abitanti oscilla dai 14 Basilicata agli 83 del Veneto (tabella 1) (non considerando il dato anomalo della Sicilia, dove nelle ultime 3 settimane viene riportata una incidenza di 3-4 casi per 100 mila abitanti). Secondo l’ultimo Aggiornamento nazionale dei dati della Sorveglianza Integrata COVID-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, rispetto alla distribuzione per fasce di età, fatta eccezione per la fascia 0-9 anni in cui si registrano 22 casi per 100 mila abitanti, l’incidenza aumenta progressivamente con le decadi: da 10 casi per 100 mila abitanti nella fascia 10-19 anni a 78 per 100 mila abitanti nella fascia 70-89 anni, fino a 83 per 100 mila abitanti negli over 90. «Una distribuzione – spiega il Presidente – che riflette la maggiore attitudine al testing con l’aumentare dell’età, confermando i fattori di sottostima della circolazione virale».

Varianti. Le varianti circolanti appartengono tutte alla “famiglia” Omicron. Nell’ultimo report dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) del 7 settembre 2023 non vengono segnalate “varianti di preoccupazione”, ma solo “varianti di interesse”.  In Italia, l’ultima indagine rapida dell’ISS, effettuata su campioni notificati dal 21 al 27 agosto 2023, riporta come prevalente (41,9%) la variante EG.5 (cd. Eris), in rapido aumento in Europa, Stati Uniti e Asia. «Le evidenze disponibili – spiega il Presidente – dimostrano che Eris ha una maggior capacità evasiva alla risposta immunitaria, da vaccinazione o infezione naturale, che ne favorisce la rapida diffusione. Sul maggior rischio di malattia grave di Eris ad oggi non ci sono studi». La prossima indagine rapida dell’ISS, secondo quanto indicato dalla circolare del 15 settembre 2023, sarà effettuata su campioni raccolti nella settimana 18-24 settembre.

Reinfezioni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale di infezioni riportate in soggetti con almeno un’infezione pregressa (reinfezioni) è lievemente aumentata nelle ultime settimane, per poi stabilizzarsi intorno al 39%.

Ospedalizzazioni. In area medica, dopo aver raggiunto il minimo (697) il 16 luglio, i posti letto occupati in area medica sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76 (figura 3). Rispettivamente i tassi nazionali di occupazione sono del 3,8% e dello 0,9% (tabella 1). «Se in terapia intensiva – spiega il Presidente – i numeri sono veramente esigui dimostrando che oggi l’infezione da Sars-CoV-2 solo raramente determina quadri severi, l’incremento dei posti letto occupati in area medica conferma che nelle persone anziane, fragili e con patologie multiple può aggravare lo stato di salute richiedendo ospedalizzazione e/o peggiorando la prognosi delle malattie concomitanti». Infatti, il tasso di ospedalizzazione in area medica cresce con l’aumentare dell’età: in particolare, passa da 17 per milione di abitanti nella fascia 60-69 anni a 37 per milione di abitanti nella fascia 70-79 anni, a 97 per milione di abitanti nella fascia 80-89 anni e a 145 per milione di abitanti negli over 90.

Decessi. Sono più che raddoppiati nelle ultime 4 settimane: da 44 nella settimana 17-23 agosto a 99 nella settimana 7-13 settembre (figura 4). Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i decessi risultano quasi esclusivamente a carico degli over 80, con 28 decessi per milione di abitanti su 31 decessi per milione di abitanti in tutte le fasce di età.

Campagna vaccinale. Il 1° settembre 2023 è stato interrotto l’aggiornamento della dashboard sulla campagna vaccinale. Di conseguenza, non è possibile riportare aggiornamenti periodici, ma solo rilevare che di fatto la somministrazione dei vaccini è sostanzialmente residuale, sia come ciclo primario sia come richiami (figura 5).

Le indicazioni preliminari per la campagna di vaccinazione anti-COVID-19 2023-2024 sono contenute nella Circolare del Ministero della Salute del 14 agosto. «In dettaglio – spiega Cartabellotta – viene raccomandato un richiamo annuale con la formulazione aggiornata monovalente XBB 1.5, già approvata da EMA. La somministrazione dovrà essere effettuata a distanza di almeno 3 mesi dall'ultimo richiamo (indipendentemente dal numero di richiami effettuati) o dall’ultima infezione diagnosticata». L’obiettivo è quello di prevenire la mortalità, le ospedalizzazioni e le forme gravi di COVID-19 nelle persone anziane e con elevata fragilità, oltre a proteggere le donne in gravidanza e gli operatori sanitari. In dettaglio, le categorie a cui è raccomandato il richiamo sono:

  • Persone di età pari o superiore a 60 anni
  • Ospiti delle strutture per lungodegenti
  • Donne gravide e nel periodo post-partum, incluse le donne che allattano
  • Operatori sanitari e sociosanitari addetti all’assistenza negli ospedali, nel territorio e nelle strutture di lungodegenza; studenti di medicina, delle professioni sanitarie che effettuano tirocini in strutture assistenziali e tutto il personale sanitario e sociosanitario in formazione
  • Persone dai 6 mesi ai 59 anni di età, con elevata fragilità, in quanto affette da patologie o con condizioni che aumentano il rischio di COVID-19 grave identificate dalla circolare

La vaccinazione viene inoltre consigliata a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità.

Se la Circolare del 14 agosto prevedeva di iniziare la campagna vaccinale anti-COVID-19 in concomitanza con quella antinfluenzale, ieri il Ministro Schillaci ha invitato le Regioni a iniziare per le categorie più a rischio la campagna vaccinale a fine settembre.

«Pur condividendo la linea di raccomandare il richiamo alle persone a rischio, alle donne in gravidanza e agli operatori sanitari – commenta il Presidente – vanno rilevate tre criticità da tenere in considerazione per l’eventuale aggiornamento delle raccomandazioni. Innanzitutto, la circolare non menziona la possibilità di effettuare il richiamo su base volontaria per le categorie non a rischio; in secondo luogo le raccomandazioni non hanno tra gli obiettivi la prevenzione del long-COVID, il cui impatto sanitario e sociale inizia ad essere ben evidente nei paesi che, a differenza del nostro, lo stanno valutando in maniera sistematica; infine, le tempistiche programmate dalla circolare – per l’attesa del vaccino aggiornato e l’allineamento con la campagna anti-influenzale – sono troppo lunghe. Infatti, la progressiva ripresa della circolazione virale a partire da fine agosto e la certezza che quasi tutti gli over 80 e i fragili non hanno effettuato alcun richiamo negli ultimi tre mesi, stanno già avendo un impatto sulla loro salute». Infatti, dal 2 giugno al 31 agosto (ultimo dato disponibile) agli over 80 sono state somministrate 827 quarte dosi e 2.156 quinte dosi: è evidente l’urgenza di avviare quanto prima la campagna vaccinale per questa fascia di età e più in generale per i fragili.

«I dati – conclude Cartabellotta – confermano nel nostro Paese una progressiva ripresa della circolazione virale, peraltro largamente sottostimata, dovuta a fattori concomitanti: emergenza di una variante immunoevasiva, progressiva riduzione dell’immunità da vaccino o da infezione naturale e sostanziale assenza di misure di protezione individuale. D’altra parte i dati su ospedalizzazioni in area medica e i decessi confermano che la malattia grave colpisce prevalentemente fasce di età avanzate della popolazione, oltre che soggetti fragili, ai quali è già indirizzata prioritariamente la campagna vaccinale 2023-2024. Alla luce del quadro epidemiologico, della percentuale di reinfezioni, dell’efficacia dei vaccini sulla malattia grave e delle rilevanti criticità che condizionano l’erogazione dei servizi sanitari, in particolare per la grave carenza di personale, la Fondazione GIMBE ritiene fondamentale prevenire ogni forma di sovraccarico da COVID nelle strutture sanitarie territoriali e ospedaliere. In tal senso, invita le Istituzioni a mettere in atto tutte le azioni necessarie per proteggere anziani e fragili, incluso fornire raccomandazioni per gli operatori sanitari positivi asintomatici, oltre a rimettere in campo - se necessario - le misure di contrasto alla diffusione del virus. Alla popolazione rivolge l’invito a mantenere comportamenti responsabili: perché nel prossimo autunno-inverno il vero rischio reale del COVID-19 è quello di compromettere la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, oggi profondamente indebolito e molto meno resiliente, in particolare per la grave carenza di personale sanitario».

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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15 settembre 2023
Fondazione GIMBE. Fondi sanitari e welfare aziendale: deregulation e scarsa trasparenza li hanno resi strumenti di privatizzazione e sostitutivi della sanità pubblica. Per GIMBE inderogabile un riordino normativo

Si è tenuta ieri, presso la 10a Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato della Repubblica l’audizione della Fondazione GIMBE nell’ambito dell’“Indagine conoscitiva su forme integrative di previdenza e assistenza sanitaria”.

«A fronte di un netto aumento degli iscritti ai fondi sanitari e dell’espansione del cosiddetto “secondo pilastro” – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il settore della sanità integrativa, che include le forme di welfare aziendale, è tra i meno trasparenti della sanità».  Infatti, da un lato l’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi (FSI) istituita presso il Ministero della Salute non è pubblicamente accessibile, dall’altro solo dal 2018 il Dicastero pubblica un report, peraltro basato su un dataset molto limitato. E se il recente avvio dell’Osservatorio nazionale permanente dei fondi sanitari integrativi (DM 15 settembre 2022) è un primo passo verso una maggiore trasparenza, ha ricordato il Presidente, «l’implementazione del nuovo cruscotto di dati sarà sperimentale fino al 2024, e solo dal 2025 sarà obbligatorio per i fondi sanitari fornire i dati richiesti, pena l’impossibilità d’iscriversi all’Anagrafe dei FSI per fruire dei benefici fiscali».

«Le potenzialità dei fondi sanitari nel fornire prestazioni integrative e ridurre la spesa a carico dei cittadini – ha spiegato Cartabellotta – oggi sono poi sempre più compromesse da una normativa frammentata e incompleta, una deregulation che ha permesso da un lato ai FSI di diventare prevalentemente sostitutivi di prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di assumere il ruolo di gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti non-profit, dirottando gli iscritti ai fondi verso erogatori privati». Infatti, se da un lato i FSI convenzionati con una compagnia assicurativa sono aumentati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017, dall’altro l’erogazione delle prestazioni rimborsate dai fondi avviene quasi esclusivamente in strutture private accreditate, grazie agli accordi messi in campo dalle assicurazioni che gestiscono i FSI. «A normativa vigente – ha precisato Cartabellotta – di fatto il sistema dei FSI, grazie alla defiscalizzazione di cui beneficiano, sposta denaro pubblico verso l’intermediazione assicurativo-finanziaria e la sanità privata, trasformandosi progressivamente in uno strumento di strisciante privatizzazione. Un sistema su cui poggiano anche le prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del cosiddetto welfare aziendale, che usufruisce di ulteriori benefici fiscali».

Nel corso dell’audizione il Presidente ha esposto i dati provenienti da varie fonti: 2° Reporting System del Ministero della Salute, Decimo Report di Itinerari Previdenziali, ANIA, ISTAT, OCSE:

  • Nel 2022 la spesa sanitaria intermediata da fondi e assicurazioni secondo i dati ISTAT-SHA ammonta a quasi € 4,7 miliardi; tuttavia il dataset, se da un lato esclude esplicitamente i FSI, dall’altro in parte finisce per ricomprenderli visto che include le polizze collettive attraverso le quali i fondi sono ri-assicurati. «Ovvero la spesa intermediata da fondi e assicurazioni sanitarie appare sottostimata – ha commentato il Presidente – in quanto la sua entità e composizione non sono quantificabili con precisione perché i dati, frammentati e incompleti, provengono da fonti multiple, in parte sovrapponibili».
  • Le stime di Itinerari Previdenziali riportano per il 2021 l’esistenza di 321 fondi sanitari e casse con oltre 15,6 milioni di iscritti (Figura 1).
  • Le stime del Decimo Report di Itinerari Previdenziali riportano, complessivamente, una “marginalità” di quasi € 500 milioni: infatti, nel 2022 a fronte di € 2.862 milioni di quote versate dagli iscritti, i fondi hanno erogato prestazioni per € 2.370 milioni (Figura 2).
  • A normativa vigente, i FSI aumentano la spesa privata totale, senza ridurre quella a carico dei cittadini per tre ragioni. Innanzitutto, almeno il 30% dei premi versati non genera servizi per gli iscritti perché viene eroso da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e utili delle compagnie assicurative. In secondo luogo, perché inducono consumi di prestazioni inappropriate, in particolare sotto forma di “pacchetti prevenzione” privi di evidenze scientifiche, senza fornire un contributo sostanziale all’abbattimento delle liste di attesa. Infine, perché le prestazioni extra-LEA (odontoiatria, long term care) che gravano interamente sui cittadini vengono coperte solo parzialmente.
  • A fronte di consistenti benefici fiscali concessi agli iscritti ai FSI (sino a € 3.615,20 di deducibilità per contribuente) «è inaccettabile che non sia nota – ha ribadito il Presidente – l’entità del mancato gettito per l’erario conseguente alle agevolazioni riconosciute a FSI e al welfare aziendale».
  • Secondo i dati del Rapporto 2022 del think tank “Welfare, Italia”, i FSI sono molto più diffusi al Nord, ovvero il 60% del totale «perché legati ai contratti di lavoro – ha spiegato Cartabellotta – e va sfatata pertanto l’idea che nel Mezzogiorno i FSI possano integrare le prestazioni che lo Stato non riesce a offrire. Siamo di fronte a una frattura Nord-Sud che non si riesce a sanare».

«Ecco perché è inderogabile un riordino normativo – ha concluso Cartabellotta esponendo alla Commissione gli spunti di riforma elaborati dalla Fondazione GIMBE – idealmente un Testo unico in grado di restituire alla sanità integrativa il suo ruolo, ovvero rimborsare prevalentemente prestazioni non incluse nei LEA per riappropriarsi della funzione di supporto al Servizio Sanitario Nazionale. Le prestazioni sostitutive erogate dai FSI non dovrebbero più usufruire di detrazioni fiscali, perché alimentano business privati e derive consumistiche, e le risorse recuperate devono essere indirizzate al finanziamento della sanità pubblica. Infine, bisogna assicurare una governance nazionale dei fondi sanitari, oggi minacciata dal regionalismo differenziato, e garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione».

 

Il video integrale dell’audizione è disponibile a: https://youtu.be/kZDdbgkgW4E


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5 settembre 2023
Spesa sanitaria 2022: Italia sotto media OCSE. In Europa 16a per spesa pro-capite: rispetto alla media un baratro di € 47,6 miliardi. Nel G7 fanalino di coda con gap ormai incolmabili. Verso la manovra: senza rilancio del finanziamento pubblico addio al diritto alla tutela della salute

L’imponente sotto-finanziamento, la progressiva carenza di personale sanitario, i modelli organizzativi obsoleti, l’incapacità di ridurre le diseguaglianze e l’inevitabile avanzata del privato hanno determinato la progressiva erosione del diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare nelle Regioni del Sud. «I princìpi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – universalità, uguaglianza, equità, sono stati traditi e oggi sono ben altre le parole chiave del nostro SSN: infinite liste di attesa, affollamento dei pronto soccorsi, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure».

In questo contesto, il tema del finanziamento pubblico per la sanità infiamma da mesi il dibattito politico, vista l’enorme difficoltà delle Regioni a garantire un’adeguata qualità dei servizi, la mancata erogazione da parte del Governo dei “ristori COVID” e, più in generale l’assenza del tema “sanità” dall’agenda dell’Esecutivo. «Per tale ragione – spiega Cartabellotta – con l’imminente Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) e, soprattutto, in vista della discussione sulla Legge di Bilancio 2024, la Fondazione GIMBE ha analizzato la spesa sanitaria pubblica nei paesi dell’OCSE al fine di fornire dati oggettivi utili al confronto politico e al dibattito pubblico ed evitare ogni forma di strumentalizzazione».

La fonte utilizzata è il database OECD Stat, aggiornato al 3 luglio 2023 con dati 2022 (o anno più recente disponibile) dei paesi dell’area OCSE: spesa sanitaria pubblica, sia in percentuale del PIL, che in $ pro-capite a prezzi correnti e parità di potere d’acquisto. La spesa sanitaria pubblica include per ciascun paese diversi schemi di finanziamento, di cui uno solitamente prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera).

Spesa sanitaria pubblica in percentuale del PIL. La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE del 7,1% che alla media europea del 7,1%. Sono 13 i Paesi dell’Europa che in percentuale del PIL investono più dell’Italia, con un gap che va dai +4,1 punti percentuali della Germania (10,9% del PIL) ai +0,3 dell’Islanda (7,1% del PIL) (figura 1).

Spesa sanitaria pubblica pro-capite. In Italia, anche la spesa sanitaria pubblica pro-capite nel 2022, pari a $ 3.255, rimane al di sotto sia della media OCSE ($ 3.899) con una differenza di $ 644, sia della media dei paesi europei ($ 4.128) con una differenza di $ 873. E in Europa sono ben 15 paesi a investire più di noi in sanità, con un gap che va dai +$ 583 della Repubblica Ceca ($ 3.838) ai +$ 3.675 della Germania ($ 6.930) (figura 2). Il gap con i paesi europei si è ampliato progressivamente dal 2010, a seguito di tagli e definanziamento pubblico, sino a raggiungere $ 590 nel 2019; poi si è ulteriormente esteso negli anni della pandemia quando, a fronte di un netto incremento della spesa sanitaria in Italia, gli altri paesi europei hanno comunque investito più del nostro (figura 3). «Al cambio corrente dollaro/euro – precisa Cartabellotta – il gap con la media dei paesi europei dell’area OCSE oggi ammonta ad oltre € 808 pro-capite che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023 di oltre 58,8 milioni di abitanti, si traduce nella cifra monstre di oltre € 47,6 miliardi».

Trend 2008-2022 della spesa sanitaria pro-capite nel G7. Impietoso il confronto con gli altri paesi del G7 sul trend della spesa pubblica 2008-2022 (figura 4), da cui emergono alcuni dati di particolare rilievo. Innanzitutto, negli altri paesi del G7 (eccetto il Regno Unito) la crisi finanziaria del 2008 non ha minimamente scalfito la spesa pubblica pro-capite per la sanità: infatti dopo il 2008 il trend di crescita si è mantenuto o ha addirittura subìto un’impennata. In Italia, invece, il trend si è sostanzialmente appiattito dal 2008, lasciando il nostro Paese sempre in ultima posizione. In secondo luogo, spiega Cartabellotta «l’Italia tra i paesi del G7 è stata sempre ultima per spesa pubblica pro-capite: ma se nel 2008 le differenze con gli altri paesi erano modeste, con il costante e progressivo definanziamento pubblico degli ultimi 15 anni sono ormai divenute incolmabili». Infatti, nel 2008 tutti i Paesi del G7 destinavano alla spesa pubblica pro-capite una cifra compresa tra $ 2.000 e $ 3.500 e il nostro Paese era fanalino di coda insieme al Giappone; nel 2022 mentre l’Italia rimane ultima con una spesa pro-capite di $ 3.255, la Germania l’ha più che raddoppiata sfiorando i $ 7.000. Infine, commenta il Presidente «se per fronteggiare la pandemia tutti i Paesi del G7 hanno aumentato la spesa pubblica pro-capite dal 2019 al 2022, l’Italia è penultima poco sopra il Giappone». Ma soprattutto, dopo l’emergenza COVID-19 il gap con gli altri paesi europei del G7 continua a crescere: infatti, nel nostro Paese la spesa sanitaria pubblica nel 2022, rispetto al 2019, è aumentata di $ 625, quasi la metà di quella francese ($ 1.197) e 2,5 volte in meno di quella tedesca ($ 1.540) (tabella 1).

«I confronti internazionali sulla spesa sanitaria pubblica pro-capite relativi al 2022 – conclude Cartabellotta – confermano che l’Italia in Europa precede solo i paesi dell’Est (Repubblica Ceca esclusa), oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. E tra i Paesi del G7, di cui nel 2024 avremo la presidenza, siamo fanalino di coda con gap ormai incolmabili, frutto della miopia della politica degli ultimi 20 anni che ha tagliato e/o non investito in sanità ignorando – a differenza di altri paesi – che il grado di salute e benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL. Ovvero che la sanità pubblica è una priorità su cui investire continuamente e non un costo da tagliare ripetutamente. Ecco perché il nostro Paese ha urgente bisogno di invertire la rotta, con segnali già visibili nella NaDEF 2023 e, soprattutto, nella prossima Legge di Bilancio. Altrimenti sarà l’addio al diritto costituzionale alla tutela della salute».


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2 agosto 2023
Vaccinazioni pediatriche: nel 2021 in Italia coperture sotto soglia. Solo il Lazio centra l’obiettivo per tutte le vaccinazioni obbligatorie. Analisi GIMBE: i servizi vaccinali del territorio hanno retto l’impatto della pandemia

La pandemia COVID-19 ha determinato, negli anni 2020 e 2021, un ritardo rilevante nell’erogazione di servizi e prestazioni sanitarie, in particolare su interventi chirurgici programmati, screening oncologici, visite specialistiche ed esami diagnostici. Ritardo che le Regioni, nonostante i finanziamenti dedicati e la definizione dei Piani Operativi di Recupero con il Ministero della Salute, non sono ancora riuscite a colmare, come documentato da una recente analisi della Fondazione GIMBE.

«Considerato che sulle vaccinazioni pediatriche non è mai stata condotta nessuna analisi sistematica – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato uno studio con l’obiettivo primario di valutare l’impatto della pandemia COVID-19 sulle coperture a 24 mesi delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate». Analizzando i dati pubblicati dal Ministero della Salute è stato effettuato un confronto delle coperture vaccinali nel 2020 rispetto al 2019 e nel 2021 rispetto al 2020 al fine di valutare l’impatto della pandemia COVID-19. Le analisi sono state effettuate sui seguenti vaccini:

  • Anti-poliomelite, utilizzato come indicatore rappresentativo per tutti i vaccini contenuti nella formulazione esavalente: anti-poliomielite, anti-difterite, anti-tetano, anti-pertosse, anti-epatite B, anti-haemophilus influenzae B;
  • Anti-morbillo, utilizzato come indicatore rappresentativo per tutti i vaccini contenuti nella formulazione trivalente: anti-morbillo, anti-parotite, anti-rosolia;
  • Anti-varicella;
  • Anti-pneumococco;
  • Anti-rotavirus;
  • Anti-meningococco B.

Non sono state analizzate le coperture relative all’anti-meningococco C e all’anti-meningococco ACWY in quanto la raccolta, trasmissione e reporting dei dati risultano eccessivamente eterogenei tra le Regioni.

Per la fascia d’età considerata (24 mesi) sono stati utilizzati i target raccomandati dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 a partire dal 2019: ≥95% per tutte le vaccinazioni, ad eccezione dell’anti-rotavirus (≥ 75% nel 2019 e ≥ 95% dal 2020).

CONFRONTO DELLE COPERTURE VACCINALI 2020 VS 2019. A livello nazionale nel 2020, rispetto al 2019, si è osservata una riduzione generale delle coperture: anti-meningococco B (-2,68 punti percentuali), anti-morbillo (-1,79 punti percentuali), anti-pneumococco (-1,42 punti percentuali), anti-poliomelite (-0,99 punti percentuali), anti-varicella (-0,22 punti percentuali). In controtendenza, si rileva un netto incremento (+36,65 punti percentuali) per il vaccino anti-rotavirus (Tabella 1).

Vaccinazioni obbligatorie. Il vaccino anti-poliomielite mostra una riduzione della percentuale di vaccinati in 14 Regioni, con un decremento superiore a 2 punti percentuali in Abruzzo, Basilicata, Calabria e Liguria. Tra le Regioni in cui si osserva un incremento, la Valle d’Aosta è l’unica a raggiungere un aumento superiore a 2 punti percentuali. La riduzione delle coperture appare più marcata per la vaccinazione anti-morbillo, dove 18 Regioni mostrano un calo rispetto al 2019, con decrementi superiori a 2 punti percentuali in Abruzzo, Calabria, Liguria, Piemonte e Basilicata; registrano un incremento solo Sardegna (+0,31 punti percentuali), Provincia Autonoma di Bolzano (+1,59 punti percentuali) e Valle d’Aosta (+2,39 punti percentuali). Per la vaccinazione anti-varicella le coperture diminuiscono in 11 Regioni con Abruzzo, Lombardia, Molise e Liguria che registrano una riduzione superiore a 2 punti percentuali, mentre aumentano nelle restanti 10 Regioni, con Umbria, Sardegna, Provincia Autonoma di Bolzano, Lazio, Valle d’Aosta e Calabria che mostrano un aumento superiore a due punti percentuali.

Vaccinazioni raccomandate. Tra le vaccinazioni raccomandate, quella anti-pneumococco registra il decremento maggiore con solo 4 Regioni che segnano un aumento delle coperture nel 2020 rispetto al 2019 (Provincia Autonoma di Trento, Sardegna, Valle d’Aosta e Veneto). L’anti-rotavirus registra un incremento delle coperture in tutte le Regioni. L’anti-meningococco B segna un incremento delle coperture per 14 Regioni e una riduzione per 7: Lombardia, Basilicata, Umbria, Piemonte, Toscana, Abruzzo e Molise.

CONFRONTO DELLE COPERTURE VACCINALI 2021 VS 2020. Contrariamente a quanto osservato tra 2019 e 2020, il confronto tra 2020 e 2021 mostra un generale aumento delle coperture a livello nazionale: anti-pneumococco (+0,67 punti percentuali), anti-morbillo (+1,15 punti percentuali), anti-varicella (+1,8 punti percentuali), anti-rotavirus (+7,6 punti percentuali), anti-meningococco B (+13,38 punti percentuali); le coperture per l’anti-poliomielite (-0,02 punti percentuali) rimangono sostanzialmente stabili (Tabella 2).

Vaccinazioni obbligatorie. Per il vaccino anti-poliomielite il numero di Regioni con una riduzione delle coperture tra il 2020 e il 2021 scende da 14 (2020 vs 2019) a 10, con una riduzione superiore a 2 punti percentuali in Provincia Autonoma di Bolzano, Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta; la Calabria è l’unica Regione a registrare un aumento di oltre 2 punti percentuali delle coperture tra 2020 e 2021. Per il vaccino anti-morbillo il numero di Regioni che mostrano differenze positive passano da 3 del confronto 2019 vs 2020 a 14 con Abruzzo, Basilicata, Lazio, Molise, Veneto che registrano un incremento pari o superiore a 2 punti percentuali, mentre Provincia Autonoma di Bolzano, Sardegna e Valle d’Aosta fanno segnare un decremento di più di due punti percentuali. Per quanto riguarda la vaccinazione anti-varicella, solo 6 Regioni mostrano una diminuzione delle coperture tra 2020 e 2021 e di queste solo Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta registrano un decremento maggiore di due punti percentuali. Aumenta anche il numero di Regioni con un incremento delle coperture superiore a 2 punti percentuali: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte e Umbria.

Vaccinazioni raccomandate. Le differenze 2021 vs 2020 delle coperture per le vaccinazioni raccomandate sono molto eterogenee, sia tra vaccini che tra Regioni. La vaccinazione anti-pneumococco, ad esempio, mostra una differenza che va -4,6 punti percentuali della Sardegna a +4,8 punti percentuali del Lazio, con 14 Regioni che registrano un aumento nelle percentuali delle coperture, 3 delle quali superano i 2 punti percentuali (Basilicata, Friuli Venezia Giulia e Lazio). L’eterogeneità appare ancora più marcata per l’anti-rotavirus (le variazioni 2021 vs 2020 passano da -3,99 punti percentuali in Sardegna a +24,26 punti percentuali in Umbria) e l’anti-meningococco B (da -8,41 punti percentuali dell’Umbria a +69,98 punti percentuali della Lombardia).

COPERTURE VACCINALI ANNO 2021. Nell’anno 2021, a livello nazionale, i target non vengono raggiunti per nessuna vaccinazione, anche se si osserva una riduzione della variabilità nelle coperture: dal 70,4% per il vaccino anti-rotavirus al 94% per il vaccino anti-poliomielite (Tabella 3).

Vaccinazioni obbligatorie. Il Lazio raggiunge i target per tutte e tre le vaccinazioni obbligatorie. Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia, Umbria e Veneto raggiungono i target previsti per i vaccini anti-poliomielite e anti-morbillo, ma non per il vaccino anti-varicella. Infine, Campania, Friuli Venezia Giulia e Molise raggiungono i target raccomandati solo per il vaccino anti-poliomielite, per il quale la Provincia Autonoma di Bolzano (75,62%) si colloca in ultima posizione.

Vaccinazioni raccomandate. Per l’anti-meningococco B solo la Lombardia supera il target raggiungendo una copertura del 95,61%. Le Regioni che non raggiungono il target mostrano valori che variano dal 49,95% della Provincia Autonoma di Bolzano al 91,84% del Veneto. Per la vaccinazione anti-pneumococcica le coperture variano dal minimo della Provincia Autonoma di Bolzano (71,71%) al massimo di Molise e Umbria (94,51%). Le coperture per l’anti-rotavirus, eccetto che nella Provincia Autonoma di Bolzano (39,68%) e in Valle d’Aosta (40,23%), si collocano sopra il 50% in tutte le Regioni, 11 delle quali superano il 75%: Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Molise, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Sardegna e Veneto.

Complessivamente dunque le coperture vaccinali risultavano già insufficienti nel 2019, quando solo 14 Regioni raggiungevano il target per il vaccino esavalente, 9 per il trivalente, 3 per l’anti-pneumococco e nessuna per l’anti-varicella e l’anti-meningococco B. I dati del 2020 mostrano che la pandemia ha avuto un impatto rilevante sulla vaccinazione esavalente e trivalente, rispettivamente con una riduzione da 14 a 9 e da 9 a 3 Regioni che hanno raggiunto i target. Nel 2021, invece, si registra un parziale recupero per il vaccino trivalente, con 6 Regioni che raggiungono il target rispetto alle 3 del 2020. Tuttavia nel 2021 il livello delle coperture vaccinali rimane sotto ai target raccomandati, in particolare per i vaccini di introduzione più recente (anti-rotavirus e anti-meningococco B) (Tabella 4).

«Se già nel 2019 – conclude Cartabellotta – i programmi di vaccinazione pubblica mostravano difficoltà a raggiugere i target raccomandati a causa dell’esitazione vaccinale, la pandemia COVID-19, con l’inevitabile riorganizzazione dei servizi, il limitato accesso alle strutture sanitarie e la paura del possibile contagio, ha avuto un impatto rilevante sulle coperture vaccinali pediatriche. Tuttavia, l’entità della loro riduzione nel 2020 e il rapido recupero nel 2021 dimostrano che i servizi vaccinali del territorio hanno retto adeguatamente l’emergenza riuscendo a garantire, nella maggior parte delle Regioni, la continuità del servizio».

 

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Impatto della pandemia COVID-19 sulle coperture vaccinali in età pediatrica” è disponibile a www.gimbe.org/impatto-pandemia-vaccinazioni-pediatriche


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25 2023
Cure essenziali, le pagelle del ministero della salute: nel 2021 promosse 14 regioni. Emilia-Romagna in testa, al sud “passano” solo Abruzzo, Basilicata e Puglia. Il gap nord-sud in sanità è ormai strutturale: DdL Calderoli legittimerà normativamente le diseguaglianze

25 luglio 2023 - Fondazione GIMBE, Bologna

Secondo il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata le materie per le quali sono necessari livelli essenziali di prestazioni (LEP) non possono essere trasferite dallo Stato alle Regioni prima della definizione stessa dei LEP, al fine di garantire in tutto il territorio nazionale un livello di prestazioni minime, evitando che il trasferimento di competenze alle più ricche Regioni del Nord determini un peggioramento dei servizi per i cittadini del Sud. Tuttavia, qualche giorno fa il Comitato per l’individuazione dei LEP – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – «ha suggerito una pericolosa scorciatoia per la sanità, per la quale non sarebbe necessario definire i LEP in quanto già esistono i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). LEA che, nonostante la loro definizione nel 2001, il loro monitoraggio annuale e l’applicazione di piani di rientro e commissariamenti, di fatto non sono esigibili in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, con grandi diseguaglianze tra Nord e il Sud». Un gap che sarà inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno assegnate maggiori autonomie alle più ricche Regioni del Nord, ragion per cui in Commissione Affari Costituzionali del Senato la Fondazione GIMBE ha richiesto di espungere la sanità dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie.

A seguito della recente pubblicazione del “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia” da parte del Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE - spiega il Presidente - «ha effettuato alcune analisi sia per stimare l’entità dell’attuale frattura Nord-Sud nel garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute e dei conseguenti rischi di questa “sanatoria” proposta dal Comitato LEP, oltre che per valutare la resilienza e la capacità di ripresa dei servizi sanitari regionali nel secondo anno della pandemia».

Ogni anno il Ministero della Salute valuta l’erogazione dei LEA, ovvero delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket. «Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – afferma Cartabellotta – che identifica quali Regioni sono promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e quali bocciate (inadempienti)». Le Regioni inadempienti vengono sottoposte ai Piani di rientro, che prevedono uno specifico affiancamento da parte del Ministero della Salute, che nelle situazioni più critiche può arrivare sino al commissariamento.

Dal 2020 la “Griglia LEA” è stata sostituita da 22 indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), suddivisi in tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. In ogni area le Regioni possono ottenere un punteggio tra 0 e 100 e vengono considerate adempienti se raggiungono almeno 60 punti in tutte le tre aree; invece, se il punteggio è inferiore a 60 anche in una sola area la Regione risulta inadempiente. «Considerato che il 2021, come il 2020, è stato segnato dall’emergenza pandemica – precisa il Presidente – il monitoraggio dell’erogazione dei LEA è stato effettuato dal Ministero della Salute solo a scopo di valutazione e informazione, senza impatto sulla quota premiale».

Adempimenti LEA 2021. Rispetto al 2020 le Regioni adempienti nel 2021 salgono da 11 a 14: Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto. In particolare, dal 2020 al 2021 tre Regioni diventano adempienti: Abruzzo, Basilicata e Liguria. Rimangono inadempienti 7 Regioni: Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano e Sicilia con un punteggio insufficiente in una sola area; Sardegna con un punteggio insufficiente in due aree; Calabria e Valle D’Aosta insufficienti in tutte le tre aree (tabella 1). «La nuova “pagella” – commenta il Presidente – conferma anche per il 2021 il gap Nord-Sud, visto che solo Abruzzo, Puglia e Basilicata si trovano tra le 14 Regioni adempienti, peraltro con i punteggi più bassi tra quelle “promosse”».

Considerato che il Ministero della Salute non sintetizza in un punteggio unico la valutazione degli adempimenti LEA, la Fondazione GIMBE ha elaborato una classifica di Regioni e Province autonome sommando i punteggi ottenuti nelle tre aree, riportando i risultati in ordine decrescente suddivisi in quartili (tabella 2 e figura 1). «Rispetto allo status di Regione adempiente o inadempiente – commenta Cartabellotta – il punteggio totale enfatizza ulteriormente il gap Nord-Sud: infatti, nei primi 10 posti si trovano 6 Regioni del Nord, 4 del Centro e nessuna del Sud, mentre in fondo alla classifica si collocano, ad eccezione della Valle D’Aosta, solo Regioni del Sud».

Gap 2020-2021. La Fondazione GIMBE ha analizzato le differenze tra gli adempimenti 2020 e quelli 2021, al fine di valutare la graduale ripresa dell’erogazione dei LEA dopo lo scoppio della pandemia misurando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali sui tre macro-livelli assistenziali. Fatta eccezione per Sardegna e Valle d’Aosta che nel 2021 hanno peggiorato le proprie performance, in tutte le altre Regioni dopo lo “stress test” del 2020, i punteggi LEA sono aumentati, seppur in maniera differente. In Basilicata, Liguria, Lombardia e Calabria di oltre 30 punti; nella Provincia Autonoma di Bolzano, Molise, Abruzzo, Campania tra 20 e 30 punti; in Umbria, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Marche tra 10 e 19 punti; in Piemonte, Lazio, Provincia Autonoma di Trento, Sicilia, Emilia-Romagna, Veneto e Puglia di meno di 10 punti (tabella 3). «Questi dati – commenta il Presidente – documentano da un lato, la netta ripresa di alcune Regioni (Lombardia, Liguria) colpite nel 2020 in maniera molto violenta dalla prima ondata; dall’altro, il parziale recupero di numerose Regioni inadempienti nel 2020, quasi tutte al Centro-Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano), di cui tuttavia solo l’Abruzzo e la Basilicata diventano adempienti nel 2021».

Relativamente all’impatto della pandemia sui tre macro-livelli assistenziali, considerando tutto il territorio nazionale, nel 2021 si registra un netto miglioramento nell’area della prevenzione (+159 punti) e nell’area ospedaliera (+135 punti); al contrario l’area distrettuale nel 2021 fa rilevare un lieve peggioramento (-16 punti) (tabella 4). «Il netto miglioramento nell’area della prevenzione – spiega il Presidente – non è sufficiente a colmare il crollo (-263 punti) registrato tra il 2019 e il 2020 sia per gli esigui investimenti in quest’area, sia perché il già scarso personale in forza ai dipartimenti di prevenzione è stato impiegato in prima linea nella campagna vaccinale»

«Il monitoraggio del Ministero della Salute 2021 – conclude Cartabellotta – conferma il gap strutturale tra Nord e Sud proprio nel momento in cui il Comitato LEP ritiene che in materia di salute non sia necessario definire i LEP, vista la presenza dei LEA. Questa proposta suggerisce per le maggiori autonomie in sanità una scorciatoia pericolosa, visto che il Ddl Calderoli rimane molto vago sul finanziamento oltreché sulla garanzia dei LEP secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale. Considerato che le nostre analisi sull’esigibilità dei LEA confermano anche per l’anno 2021 un enorme gap Nord-Sud, è evidente che senza definire, finanziare e garantire i LEP, le maggiori autonomie in sanità legittimeranno normativamente questa frattura, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto costituzionale alla tutela della salute e assestando il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale».


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13 2023
Attuazione PNRR Missione Salute. Non rispettata scadenza europea assegnazione 1.800 borse di studio per medici di famiglia. Numerosi obiettivi nazionali non raggiunti. Speso solo lo 0,5% dei fondi già assegnati

Nel corso delle ultime settimane il dibattito politico si è progressivamente infuocato sul tema dei ritardi dell’Italia nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in particolare sull’erogazione ancora in stallo della terza rata da 19 miliardi di euro e sulla richiesta della quarta rata alla Commissione Europea, che l’11 luglio ha portato ad una revisione degli obiettivi intermedi da parte della Cabina di regia sul PNRR coordinata dal Ministro Fitto.

«Al fine di fornire un quadro oggettivo della situazione, di informare i cittadini ed evitare strumentalizzazioni politiche – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – nell’ambito delle attività del proprio nostro Osservatorio sul Servizio Sanitario Nazionale abbiamo effettuato un monitoraggio indipendente dello status di avanzamento della Missione Salute del PNRR».

Le analisi sono state condotte utilizzando le seguenti fonti istituzionali:

Il monitoraggio è stato effettuato sia sulle scadenze di traguardi e obiettivi europei che nazionali. È bene precisare che questi ultimi costituiscono step intermedi che non condizionano l’erogazione dei fondi da parte dell’Europa. Tuttavia, «se il mancato rispetto delle scadenze nazionali non influenza direttamente l’erogazione delle rate – commenta il Presidente – rappresenta comunque una “spia rossa” di rallentamenti nell’attuazione dei vari progetti, aumentando il rischio di non raggiungere le correlate scadenze europee».

Aggiornamento delle fonti. I dati relativi all’andamento sull’attuazione del Piano disponibili sul sito web Italia Domani sono aggiornati al 4° trimestre 2022 per tutte le Missioni. «È inaccettabile – commenta Cartabellotta – che la piattaforma di riferimento pubblica per monitorare lo stato di attuazione del PNRR non venga aggiornata da oltre 6 mesi». Viceversa, il sito PNRR del Ministero della Salute risulta sostanzialmente aggiornato in tempo (al 15 giugno 2023).

Scadenze europee (EU). Al 30 giugno 2023 tutte le scadenze europee risultano rispettate ad eccezione dell’obiettivo “Assegnazione di 1.800 borse di studio per la formazione specifica in Medicina generale”, destinate alla formazione dei nuovi medici di famiglia. «A fronte di risorse ripartite alle Regioni nell’ottobre 2022 – spiega Cartabellotta – ad oggi non risulta alcuna assegnazione delle borse di studio. Senza entrare nel merito delle sinergie e delle relative responsabilità di Governo e Regioni, di fatto l’obiettivo non risulta raggiunto come riportato sul sito del Ministero della Salute».

Scadenze nazionali. Al 30 giugno 2023 non risultano rispettate le seguenti scadenze:

  • Scadenze 31 dicembre 2022
    • Approvazione dei progetti idonei per indizione della gara per l'interconnessione aziendale: inizialmente 105, poi ridotti a 70 nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) 2023-2025 del Ministero della Salute
    • Approvazione di almeno 600 progetti idonei per indizione della gara per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali
  • Scadenze 31 marzo 2023
    • Incremento di 292.000 persone over 65 da trattare in assistenza domiciliare
    • Assegnazione di almeno 600 Codici Unici di Gara (CIG)/provvedimento di convenzione per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali
    • Assegnazione di CIG/provvedimento di convenzione per l'interconnessione aziendale: inizialmente 105, poi ridotti a 70 nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) 2023-2025 del Ministero della Salute
  • Scadenze 30 giugno 2023
    • Assegnazione di almeno 1.350 codici CIG/provvedimento di convenzione per la realizzazione delle Case della Comunità. Da rilevare che la “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo riporta che ad aprile i CIG attribuiti erano 1.327
    • Stipula di un contratto per il progetto pilota che fornisca strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria
    • Stipula di almeno 70 contratti per l'interconnessione aziendale: inizialmente 105, poi ridotti a 70 nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) 2023-2025 del Ministero della Salute
    • Stipula di almeno 600 contratti per la realizzazione delle Centrali Operative Territoriali
    • Reingegnerizzazione del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) a livello locale - Completamento del patrimonio informativo (servizi applicativi) - Numero di nuovi flussi informativi nazionali adottati da tutte le 21 Regioni: riabilitazione territoriale, consultori familiari
    • Completamento della procedura di iscrizione ai corsi di formazione manageriale

«Rilevante segnalare – precisa Cartabellotta – che la “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo non fa alcuna menzione delle scadenze nazionali non rispettate, nonostante siano regolarmente monitorate e rendicontate dal sito PNRR Salute del Ministero della Salute e rappresentino cruciali indicatori di monitoraggio intermedio per le Regioni e, a cascata, per le Aziende sanitarie».

Livello di spesa. La “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo riporta che la maggior parte delle Amministrazioni titolari ha raggiunto un livello di spesa inferiore alle previsioni: in particolare per la Missione Salute a fronte di uno stanziamento di € 15.625,5 milioni, sono stati spesi meno di € 79 milioni, ovvero lo 0,5% dei fondi. «Un dato – commenta Cartabellotta – che conferma i ritardi accumulati sulle scadenze nazionali e che potrebbe incidere sul raggiungimento degli obiettivi finali».

Elementi di debolezza e criticità. Per la Missione Salute la “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo ha identificato criticità per eventi e circostanze oggettive su tre obiettivi: “Casa della Comunità e presa in carico della persona”, “Ospedali di Comunità” e “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”. Le criticità segnalate riguardano l’aumento dei costi, anche per scarsità di materiali, lo squilibrio tra offerta e domanda, gli investimenti non attrattivi e l’impreparazione del tessuto produttivo. «Dalla classificazione delle criticità – commenta Cartabellotta – e dagli esempi riportati non è affatto chiaro se si tratti di situazioni che hanno già condizionato lo status di avanzamento dei progetti, oppure se costituiscano ostacoli dal potenziale impatto sulle scadenze future».

«Al 30 giugno 2023 – conclude Cartabellotta – l’attuazione della Missione Salute fa registrare una sola scadenza europea non rispettata, ovvero l’assegnazione di 1.800 borse di studio per la formazione specifica in Medicina generale. Un ritardo che potrebbe essere anche conseguente a co-responsabilità delle Regioni per mancata pubblicazione dei bandi. Dalla nostra analisi emergono però altri elementi degni di nota. Innanzitutto, il mancato rispetto di numerose scadenze nazionali relative non solo a giugno 2023, ma anche a marzo 2023 e a dicembre 2022; ritardi peraltro non segnalati né dal sito Italia Domani, né dalla “Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR” del Governo, le cui modalità di rendicontazione pubblica non seguono le scadenze nazionali. In secondo luogo, la quantità irrisoria di fondi effettivamente già spesi (0,5%), che in larga misura dipende dai ritardi accumulati sulle scadenze nazionali. Infine, la revisione degli obiettivi intermedi della quarta rata non riguarda gli interventi della Missione 6 di cui è titolare il Ministero della Salute».


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22 giugno 2023
Liste di attesa. Analisi GIMBE: nel 2022 recuperato solo il 65% delle prestazioni saltate per la pandemia. Troppe le differenze tra regioni e oltre 7 milioni di prestazioni da erogare

I tempi di attesa per le prestazioni sanitarie costituiscono una delle principali criticità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con cui cittadini e pazienti si scontrano quotidianamente subendo gravi disagi (necessità di ricorrere alle strutture private, migrazione sanitaria, aumento della spesa out-of-pocket, impoverimento), sino alla rinuncia alle cure con pesanti conseguenze sulla salute. «Il problema delle liste di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – affligge da sempre il nostro SSN, ma negli ultimi anni si è aggravato per l’enorme quantità di prestazioni non erogate durante la pandemia COVID-19». In particolare, secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2020 - rispetto al 2019 - in Italia sono stati oltre 1,57 milioni i ricoveri programmati in meno; per gli screening oncologici oltre 4,1 milioni di inviti e oltre 2,53 milioni di prestazioni in meno; infine, oltre 112 milioni le prestazioni ambulatoriali “saltate”, tra visite specialistiche, esami di laboratorio e strumentali.

Per fronteggiare il problema sono state stanziate risorse ad hoc per il recupero delle prestazioni: € 500 milioni come da Legge di Bilancio 2022 che ha ulteriormente prorogato quanto previsto dal DL 104/2020, le cui risorse non erano state completamente utilizzate dalle Regioni.

Nel gennaio 2022 il Ministero della Salute, con le “Linee di indirizzo per il recupero delle prestazioni sanitarie non erogate in ragione dell’epidemia da SARS-CoV-2” ha individuato tre categorie di prestazioni prioritarie: ricoveri per interventi chirurgici programmati, inviti e prestazioni per le campagne di screening oncologici e prestazioni ambulatoriali. «Seguendo le indicazioni ministeriali – spiega Cartabellotta – ciascuna Regione ha elaborato un Piano Operativo Regionale (POR) dove ha delineato strategie e modalità organizzative per recuperare le prestazioni non erogate durante il periodo pandemico». Il recente Rapporto sul coordinamento della Finanza Pubblica della Corte dei Conti ha reso noti i dati del Ministero della Salute sia sul recupero delle prestazioni nel 2022 da parte delle Regioni, sia sul finanziamento utilizzato: dati su cui la Fondazione GIMBE ha effettuato le analisi di seguito riportate.

Ricoveri per interventi chirurgici programmati. Complessivamente le Regioni hanno inserito nei POR oltre 512 mila ricoveri programmati da recuperare, per le quali il Ministero della Salute riporta un recupero stimato di poco più di 338 mila (66%). Notevoli le variabilità regionali: dal 92% del Piemonte al 14% della Liguria (figura 1).

Screening oncologici: inviti e prestazioni. Le Regioni hanno previsto nei POR di recuperare oltre 5 milioni di inviti e quasi 2,84 milioni di prestazioni. La rendicontazione ministeriale riporta un recupero stimato di quasi 4,2 milioni di inviti (82%) e poco più di 1,9 milioni di prestazioni (67%). Notevoli le differenze regionali: per gli inviti si va dal 100% di Piemonte, Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Trento, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Molise e Basilicata al 14% del Friuli Venezia Giulia (figura 2). Relativamente alle prestazioni, il recupero oscilla dal 100% di Toscana, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte e Basilicata al 9% di Calabria e Lazio (figura 3). Da segnalare che la Regione Umbria aveva già recuperato tutte le prestazioni di screening nell’anno 2021.

Prestazioni ambulatoriali. In totale le Regioni hanno programmato di recuperare quasi 11,9 milioni di prestazioni, di cui Ministero della Salute riporta un recupero stimato di quasi 6,8 milioni (57%). «Un dato –spiega Cartabellotta – che ha avuto conseguenze rilevanti sui tempi di attesa delle nuove prestazioni ambulatoriali, e verosimilmente ne continua ad avere, visto che ne rimangono da recuperare oltre 5 milioni». Anche per queste prestazioni nette le differenze regionali in termini di recupero: dal 100% di Valle D’Aosta, Provincia Autonoma di Trento e Toscana al 7% della Campania (figura 4).

Recupero complessivo delle prestazioni. «Delle 20,3 milioni di prestazioni arretrate, nel 2022 complessivamente ne sono state recuperate poco meno di due su tre, ovvero il 65% – precisa Cartabellotta – e nessuna Regione ha raggiunto per tutte le prestazioni le quote di recupero previste dai POR». Inoltre, i risultati evidenziano un’ampia variabilità nei livelli di performance sia tra le varie Regioni, sia all’interno della stessa Regione tra differenti tipologie di prestazioni. Al fine di fornire un quadro complessivo sulla capacità di recupero delle singole Regioni è stata calcolata la percentuale totale di prestazioni recuperate sul totale di quelle inserite nei relativi POR (figura 5). «Pur trattandosi di tipologie differenti di prestazioni – spiega Cartabellotta – che richiedono un diverso impegno organizzativo ed economico, questa “classifica” vede sul podio Toscana (99%), Provincia autonoma di Trento (95%) ed Emilia-Romagna (91%) e sul fondo Calabria (18%) e Campania (10%)».

Finanziamento utilizzato. L’attività di audit conclusa nell’aprile 2023 dal Ministero della Salute sull’attuazione dei POR fornisce anche il quadro sull’utilizzo delle risorse. La spesa rendicontata al 31 dicembre 2022 sfiora i € 348 milioni, ovvero quasi il 70% di quella stanziata, con notevoli differenze regionali: dal 2% del Molise al 100% della Liguria, con alcune Regioni (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Piemonte) che superano il 100%, verosimilmente in ragione dello stanziamento di risorse proprie (figura 6). «Il dato più rilevante – commenta Cartabellotta – è che non risulta una correlazione diretta tra risorse utilizzate e prestazioni recuperate: in altre parole, dalla rendicontazione del Ministero della Salute emergono inspiegabili variabilità regionali tra risorse investite e prestazioni recuperate» (figura 7).

Coinvolgimento delle strutture private accreditate. Al fine di agevolare il recupero delle prestazioni, la normativa ha previsto che Regioni e Province Autonome potessero coinvolgere gli erogatori privati accreditati, integrando accordi e contratti esistenti, con la possibilità di destinare ai privati sino a un massimo di € 150 milioni sui complessivi € 500 milioni di finanziamento. Il Ministero della Salute riporta una stima complessiva a livello nazionale di committenza alle strutture private del 29%: in dettaglio, il 30% del finanziamento destinato ai ricoveri, il 13% di quello per gli screening e il 32% delle risorse allocate per le prestazioni ambulatoriali. «Tuttavia esiste una enorme variabilità regionale – spiega il Presidente – sia in termini di quota di committenza totale, sia rispetto alla distribuzione delle tre tipologie di prestazioni erogate dal privato». La percentuale stimata di committenza al privato è pari o superiore alla media nazionale in Puglia (93%), Lombardia (46%), Campania (37%), Sicilia (35%), Liguria (32%) e Calabria (30%); le altre Regioni si collocano al di sotto del valore nazionale, con Marche e Molise che non hanno fatto ricorso al privato (figura 8).

«Il monitoraggio del Ministero della Salute – conclude Cartabellotta – dimostra che complessivamente che le Regioni non hanno recuperato il 35% delle prestazioni “saltate” durante la pandemia per complessive 7,13 milioni di prestazioni. In dettaglio, 174mila ricoveri programmati, 914mila inviti e 936mila di prestazioni per gli screening oncologici e 5,1 milioni di prestazioni ambulatoriali. Inoltre, i dati restituiscono un quadro molto eterogeneo tra le varie Regioni sia sulle percentuali di prestazioni recuperate, sia sul finanziamento utilizzato che non sempre è correlato con le prestazioni recuperate».


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24 maggio 2023
Allarme medici di famiglia: ne mancano quasi 2.900 ed entro il 2025 ne perderemo oltre 3.400. Il 42,1% dei medici supera il tetto massimo di 1.500 pazienti, riducendo la qualità dell’assistenza. L’aumento dell’età pensionabile e del numero di assistiti nascondono la polvere sotto il tappeto

Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute ogni cittadino iscritto al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha diritto a un medico di medicina generale (MMG) – cd. medico di famiglia – attraverso il quale può accedere a tutti i servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il MMG non è un medico dipendente del SSN, ma lavora in convenzione con l’Azienda Sanitaria Locale (ASL): il suo rapporto di lavoro è regolamentato dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), dagli Accordi Integrativi Regionali e dagli Accordi Attuativi Aziendali a livello delle singole ASL.

«L’allarme sulla carenza dei MMG – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – oggi riguarda tutte le Regioni per ragioni diverse: mancata programmazione, pensionamenti anticipati, medici con numeri esorbitanti di assistiti e desertificazione nelle aree disagiate che finiscono per comportare l’impossibilità di trovare un MMG nelle vicinanze del domicilio, con conseguenti disagi e rischi per la salute».

Al fine di comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei MMG nel SSN e stimato l’entità della carenza attuale e futura di MMG nelle Regioni italiane. «È bene precisare – spiega Cartabellotta – che le nostre analisi incontrano tre ostacoli principali. Innanzitutto, i 21 differenti Accordi Integrativi Regionali introducono una grande variabilità del massimale di assistiti per MMG; in secondo luogo, su carenze e fabbisogni è possibile effettuare solo una stima media regionale, perché la reale necessità di MMG viene determinata da ciascuna ASL sugli ambiti territoriali di competenza; infine, la distribuzione non uniforme degli assistiti in carico ai MMG può sovra- o sotto-stimare il loro reale fabbisogno in relazione alla situazione locale».

 

CRITICITÀ

Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dall’ACN, il numero massimo di assistiti di un MMG è fissato a 1.500: in particolari casi può essere incrementato fino a 1.800 assistiti, ma molto spesso questo numero viene superato attraverso deroghe disposte dagli Accordi Integrativi Regionali (es. fino a 2.000 nella Provincia Autonoma di Bolzano), deroghe locali per indisponibilità di MMG e scelte temporanee del medico (es. extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). Parallelamente, altre motivazioni possono determinare un numero inferiore di assistiti: autolimitazione delle scelte, MMG con doppio incarico che ne limita le scelte, MMG nel periodo iniziale di attività, esercizio della professione in zone disagiate. «Per ciascun MMG – commenta il Presidente – il carico potenziale di assistiti rispetto a quello reale restituisce un quadro molto eterogeneo, dove accanto a troppi MMG “ultra-massimalisti” ci sono colleghi con un numero molto basso di assistiti». I dati Agenas per l’anno 2021 documentano infatti che su 40.250 MMG il 42,1% ha più di 1.500 assistiti; il 36,7% tra 1.001 e 1.500 assistiti; il 13,6% da 501 a 1.000; il 6,2% tra 51 e 500 e l’1,4% meno di 51 (figura 1). In particolare, il massimale di 1.500 assistiti viene superato da più di un MMG su due in Campania (52,7%), Valle d’Aosta (58,2%), Veneto (59,8%) e da quasi due su tre nella Provincia Autonoma di Bolzano (63,7%), in Lombardia (65,4%) e nella Provincia Autonoma di Trento (65,5%) (figura 2), «con ovvia riduzione della qualità dell’assistenza – commenta Cartabellotta – accendendo “spie rosse” su varie Regioni in relazione a tre criticità: la reale disponibilità di MMG in relazione alla densità abitativa, la capillare distribuzione territoriale e la possibilità per i cittadini di esercitare il diritto della libera scelta».

Ambiti territoriali carenti. I nuovi MMG vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione (o soggetto da questa individuato) delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali dove è necessario colmare il fabbisogno e garantire una diffusione capillare dei MMG. Secondo l’ACN per ciascun ambito territoriale può essere iscritto un medico ogni 1.000 residenti o frazione di 1.000 superiore a 500 di età ≥14 anni (cd. rapporto ottimale); è inoltre consentita, tramite gli Accordi Integrativi Regionali, una variazione di tale rapporto fino a 1.300 residenti per medico (+30%).

Pensionamenti. Secondo le stime dell’ENPAM al 31 dicembre 2021 più del 50% dei MMG aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni: considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 20 mila MMG.

Nuovi MMG. Il numero di borse di studio ministeriali destinate al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale, dopo un periodo di sostanziale stabilità intorno a 1.000 borse annue (2014-2017), è successivamente aumentato, in particolare nel 2021 (n. 3.406) e nel 2022 (n. 3.675) grazie alle risorse dedicate del PNRR (figura 3). «Tuttavia i nuovi MMG – spiega Cartabellotta – non saranno sufficienti per colmare il ricambio generazionale. In particolare, l’ENPAM stima che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione in medicina generale occuperebbe solo il 50% dei posti di MMG lasciati scoperti dai pensionamenti».

STIMA DELLE CARENZE ATTUALI E FUTURE

Trend 2019-2021 e anzianità di laurea. Dal recente Rapporto Agenas sui MMG emerge innanzitutto una progressiva diminuzione di quelli in attività: nel 2021 erano 40.250, ovvero 2.178 in meno rispetto al 2019 (-5,4%) con notevoli variabilità regionali (figura 4). «Ma è soprattutto il quadro anagrafico a preoccupare – commenta Cartabellotta –  visto che nel 2021 il 75,3% dei MMG in attività aveva oltre 27 anni di anzianità di laurea, con quasi tutte le Regioni del Centro-Sud sopra la media nazionale, anche in conseguenza di politiche sindacali locali che non sempre hanno favorito il ricambio generazionale». In alcune Regioni meridionali la fascia dei MMG più anziani arriva a superare l’80%: Calabria (88,3%), Molise (83,2%), Campania (82,7%), Sicilia (82,6%), Basilicata (82,1%) (figura 5).

Numero di assistiti per MMG. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022 39.270 MMG avevano in carico oltre 51,3 milioni di assistiti. In termini assoluti, la media nazionale è di 1.307 assistiti per MMG: dai 1.073 della Sicilia ai 1.461 del Veneto, ai 1.466 della Lombardia, fino ai 1.545 della Provincia Autonoma di Bolzano (figura 6). «Tuttavia lo scenario – precisa Cartabellotta – è molto più critico di quanto lascino trasparire i numeri: infatti, con questo livello di saturazione vengono meno il principio della libera scelta e la distribuzione capillare dei MMG in relazione alla densità abitativa. Di conseguenza, è spesso impossibile trovare disponibilità di un MMG vicino casa, non solo nelle cosiddette aree desertificate (zone a bassa densità abitativa, con condizioni geografiche disagiate, rurali e periferiche) dove i bandi per gli ambiti territoriali carenti vanno spesso deserti, ma anche nelle grandi città».

Fabbisogno di MMG al 1° gennaio 2022. «Le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno medio regionale di MMG in relazione al numero di assistiti, in quanto la necessità di ciascun ambito territoriale carente viene identificato dalle ASL secondo variabili locali». Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, la distribuzione capillare in relazione alla densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e l’esercizio della libera scelta, non si può far riferimento al massimale delle scelte per stimare il fabbisogno di MMG. Di conseguenza la Fondazione GIMBE, ritenendo accettabile un rapporto di 1 MMG ogni 1.250 assistiti (valore medio tra il massimale di 1.500 e l’attuale rapporto ottimale di 1.000) e utilizzando le rilevazioni SISAC al 1° gennaio 2022, stima una carenza di 2.876 MMG, con situazioni più critiche nelle grandi Regioni del Nord: Lombardia (-1.003), Veneto (-482), Emilia Romagna (-320), Piemonte (-229), oltre che in Campania (-349) (figura 7).

Proiezione MMG al 2025. Tenendo conto dei pensionamenti attesi e delle borse di studio per il Corso di Formazione in Medicina Generale, i dati Agenas (dove mancano le stime per la Provincia Autonoma di Bolzano) dimostrano che nel 2025 il numero dei MMG diminuirà di 3.452 unità rispetto al 2021, con nette differenze regionali (figura 8). In particolare saranno alcune Regioni del Centro-Sud nel 2025 a scontare la maggior riduzione di MMG: Lazio (-584), Sicilia (-542), Campania (-398), Puglia (-383). «L’entità della riduzione stimata da Agenas – chiosa Cartabellotta – è peraltro sottostimata per almeno due ragioni: innanzitutto, non tiene conto che i medici attualmente iscritti al Corso di Formazione in Medicina Generale possono acquisire già durante la frequenza del corso sino a 1.000 scelte; in secondo luogo perché molti MMG vanno in pensione prima dei 70 anni».

«La progressiva carenza di MMG – conclude Cartabellotta – consegue sia ad errori di programmazione per garantire il ricambio generazionale, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e finanziamento delle borse di studio, sia a politiche sindacali non sempre lineari. Ed è evidente che le soluzioni “tampone” attuate dal Governo con il Decreto Milleproroghe (innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni) e dalle Regioni (aumento del massimale) servono solo a nascondere la polvere sotto il tappeto, senza risolvere la progressiva carenza dei MMG. In tal senso è necessario mettere in atto una strategia multifattoriale: adeguata programmazione del fabbisogno, tempestiva pubblicazione da parte delle Regioni dei bandi per le borse di studio, attuazione di modelli organizzativi che valorizzino il lavoro in team, piena implementazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), allineamento degli accordi sindacali ai reali bisogni della popolazione. Perché guardando ai numeri, accanto alla carenza già esistente, le previsioni dimostrano che i medici di famiglia saranno sempre meno nei prossimi anni. Una “desertificazione” che lascerà scoperte milioni di persone con conseguenze sempre più rilevanti per l’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale e soprattutto per la salute della popolazione, in particolare gli anziani e i fragili».


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10 maggio 2023
Coronavirus, richiami per anziani e fragili in stallo: in sette settimane +0,1% copertura con quarta dose e +0,7% con quinta dose. E i tassi rimangono bassi, soprattutto al sud

Lo scorso 5 maggio, il Comitato tecnico dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha raccomandato la fine dello stato di emergenza internazionale recepita dal Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, che comunque ha ribadito che “Resta il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare nuove ondate di casi e morti. La cosa peggiore che i paesi possano fare ora è usare questa notizia per abbassare la guardia, per smantellare il sistema che hanno costruito e per lanciare alla gente il messaggio che il COVID non è più qualcosa di cui preoccuparsi”.

«Al tempo stesso l’OMS – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha pubblicato infatti il quarto aggiornamento del piano strategico 2023-2025 di preparazione e risposta al COVID-19 che definisce le azioni per minimizzare l’impatto della pandemia sullo stato di salute delle popolazioni, oltre che sui sistemi sanitari». In particolare, tra gli approcci per raggiungere questi obiettivi l’OMS raccomanda di vaccinare le popolazioni a rischio al fine di ridurre l’incidenza di malattia grave e mortalità.

«A un mese e mezzo dalla sospensione della pubblicazione del monitoraggio GIMBE sul COVID-19 – continua Cartabellotta – abbiamo ritenuto opportuno valutare l’avanzamento delle coperture vaccinali relative ai richiami con quarta e quinta dose, pur con la difficoltà di fornire dati precisi visto che entrambe le platee non vengono aggiornate ormai da molto tempo».

Vaccini: quarta dose.  La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,5 milioni possono riceverlo subito, 0,6 non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 5 maggio sono state somministrate 6.003.913 quarte dosi, con una media mobile nell’ultima settimana di 164 somministrazioni al giorno (Figura 1).

In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 31,4%, ovvero solo +0,1% nelle ultime 7 settimane (31,3% lo scorso 17 marzo). Si confermano nette differenze regionali in termini di coperture: dal 14,1% della Calabria al 45,8% del Piemonte (Figura 2).

Vaccini: quinta dose.  La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,5 milioni possono riceverlo subito, 0,1 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto.  Al 5 maggio 2023, dopo oltre sei mesi dall’avvio della campagna, sono state somministrate 515.209 quinte dosi, con una media mobile nell’ultima settimana di 207 somministrazioni al giorno (Figura 3).

In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi è del 16,4%, ovvero solo +0,7% nelle ultime 7 settimane (15,7% lo scorso 17 marzo).  Nette le differenze regionali: dal 6,2% della Calabria al 31,3% del Piemonte (Figura 4).

 

«I dati – conclude Cartabellotta – documentano che nelle ultime 7 settimane, contrariamente a quanto raccomandato dall’OMS oltre che dalle Circolari del Ministero della Salute, la somministrazione dei richiami per anziani e fragili è stata davvero esigua, con coperture che rimangono molto basse, in particolare nelle Regioni meridionali».


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4 maggio 2023
Allarme pediatri: ne mancano almeno 840 e tra il 2019 e il 2021 sono diminuiti del 5,5%. Famiglie in difficoltà: per ogni pediatra in media quasi 100 bambini in più rispetto al tetto massimo di 800, con notevoli differenze regionali. Un’emergenza annunciata tra mancata programmazione e miopi politiche sindacali

Secondo quanto riportato sul sito del Ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (PLS) – cd. pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un PLS per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). «L’allarme sulla carenza dei PLS – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – oggi è lanciato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud con narrative dove s’intrecciano questioni burocratiche, mancanza di risposte da parte delle ASL, pediatri con numeri esorbitanti di assistiti, sino all’impossibilità di esercitare il diritto d’iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia con potenziali rischi per la salute, in particolare dei più piccoli e dei più fragili».

Al fine di comprendere meglio le cause e le dimensioni del fenomeno, la Fondazione GIMBE ha analizzato le criticità insite nelle norme che regolano l’inserimento dei PLS nel SSN e stimato l’entità della carenza di PLS nelle diverse Regioni italiane. «È bene precisare – spiega Cartabellotta – tre aspetti fondamentali. Innanzitutto le regole sulle fasce di età di assistenza esclusiva dei minori, quelle per definire il “massimale” degli assistiti e quelle per identificare le aree carenti di pediatri sono frutto di compromessi con i medici di medicina generale (MMG), oltre che delle politiche sindacali degli stessi PLS. In secondo luogo, su carenze e fabbisogno è possibile solo fare stime a livello regionale, perché la reale necessità di PLS viene stimata dalle singole Aziende Sanitarie Locali (ASL). Infine, sui numeri relativi ai nuovi specialisti in pediatria che intraprendono la carriera di PLS e su quelli che vanno in pensione possono solo essere fatte delle stime».

CRITICITÀ ATTUALI

Fasce di età. Sino al compimento del 6° anno di età i bambini devono essere assistiti per legge da un PLS, mentre tra i 6 e 14 anni i genitori possono scegliere tra PLS e MMG. Al compimento dei 14 anni la revoca del PLS è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di PLS come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni, dall’altro rappresentano un enorme ostacolo per un’accurata programmazione del fabbisogno di PLS». Infatti, secondo i dati ISTAT al 1° gennaio 2022 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al PLS) include più di 2,6 milioni di bambini e quella 6-13 (iscrizione facoltativa al PLS) quasi 4,3 milioni: ovvero oltre il 62% della fascia 0-13 anni potrebbe iscriversi ad un MMG in base alle preferenze dei genitori.

Massimale di assisiti. Secondo quanto previsto dal Ministero della Salute, il numero massimo di assistiti di un PLS è fissato a 800, ma esistono varie deroghe nazionali, regionali e locali che portano spesso a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad un PLS, scelte temporanee (es. extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). «In tal senso – commenta il Presidente – le politiche sindacali locali hanno sempre mirato ad innalzare il massimale (e i compensi) dei PLS già in attività, piuttosto che favorire l’inserimento di nuovi colleghi».

Zone carenti. I nuovi PLS vengono inseriti nel SSN previa identificazione da parte della Regione - o soggetto da questa individuato - delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali in cui occorre colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi dei PLS. Attualmente, tuttavia, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 PLS ogni 600 bambini. «È del tutto evidente – chiosa il Presidente – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di PLS: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i PLS sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto assistono oltre l’80% di quelli della fascia 6-13 anni». Va segnalato che la bozza del nuovo Accordo Collettivo Nazionale propone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-14 anni, decurtati dagli assistiti di età >6 anni in carico ai MMG e di innalzare il massimale da 800 a 1.000 assistiti.

Pensionamenti. Secondo le stime dell’ENPAM al 31 dicembre 2021 più del 50% dei PLS aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni: ovvero, considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 3.500 PLS.

Nuovi pediatri. Il numero di borse di studio ministeriali per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: dai 440 nell’anno accademico 2016-2017 a 841 nel 2021-2022, con un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021 (figura 1). «Tuttavia – spiega Cartabellotta – se da un lato è impossibile sapere quanti specializzandi in pediatria sceglieranno la carriera di PLS e quanti quella ospedaliera, dall’altro è certo che i nuovi pediatri non saranno comunque sufficienti per colmare il ricambio generazionale». In particolare, l’ENPAM stima che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione specialistica coprirebbe solo il 50% dei posti di PLS necessari.

CARENZE E FABBISOGNO DI PEDIATRI

Trend 2019-2021. Secondo l’ultimo aggiornamento del report Agenas Il Personale del Servizio Sanitario Nazionale nel 2021 in Italia i PLS in attività erano 7.022, ovvero 386 in meno rispetto al 2019 (-5,5%). Inoltre, secondo quanto riportato dall’Annuario Statistico del SSN 2021, i PLS con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 all’80% nel 2021 (figura 2). «Un dato – commenta Cartabellotta – che aggiunge alla carenza di PLS il mancato ricambio generazionale che con i pensionamenti dei prossimi anni rischia di creare un vero e proprio “baratro” dell’assistenza pediatrica».

Numero di assistiti per PLS. Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022, 6.921 PLS avevano in carico quasi 6,2 milioni di iscritti, di cui il 42,3% (2,62 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,7% (3,58 milioni) della fascia 6-13 anni, pari all’83,3% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2022 di età 6-13 anni. In termini assoluti, la media nazionale è di 896 assistiti per PLS e a livello regionale solo Umbria (784), Sardegna (788), Sicilia (792) e Molise (798) rimangono al di sotto del massimale senza deroghe; 17 Regioni superano invece la media di 800 assistiti per PLS di cui Piemonte (1.092), Provincia Autonoma di Bolzano (1.060) e Toscana (1.057) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per PLS (figura 3). «Lo scenario – spiega Cartabellotta – è molto più critico di quanto lasciano trasparire i numeri: infatti, con un tale livello di saturazione non solo viene meno il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di PLS, in particolare nelle aree interne o disagiate dove i bandi per le zone carenti vanno spesso deserti».

Fabbisogno di PLS. «Tutte le criticità sopra rilevate – spiega Cartabellotta – permettono solo di stimare il fabbisogno di PLS in base al numero di assistiti attuali a livello regionale, in quanto la necessità di ciascuna zona carente viene identificata dalle ASL in relazione a numerose variabili locali, previa consultazione con i sindacati». Utilizzando i dati della SISAC al 1° gennaio 2022 e ipotizzando una media di 800 assistiti a PLS (pari all’attuale tetto massimo) si stima a livello nazionale una carenza di 840 PLS, con notevoli differenze regionali (figura 4). Ma con una media di 700 assistiti per PLS, che garantirebbe l’esercizio della libera scelta, ne mancherebbero addirittura 1.935.

«La carenza di PLS – conclude Cartabellotta – deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. Ma rimane fortemente condizionata sia da miopi politiche sindacali, sia da variabili locali non sempre prevedibili che rendono difficile calcolarne il fabbisogno. Innalzare l’età pensionabile a 72 anni e aumentare il massimale a 1.000 servono solo a mettere “la polvere sotto il tappeto” e non a risolvere il grave problema della carenza dei PLS. In tal senso servono un’adeguata programmazione, modelli organizzativi che puntino sul lavoro di team, grazie anche alle Case di comunità e alla telemedicina, oltre che accordi sindacali in linea con i reali bisogni della popolazione. Perchè guardando ai numeri di pensionamenti attesi e dei nuovi pediatri è ragionevolmente certo che nei prossimi anni la carenza non potrà che acuirsi ulteriormente».


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28 aprile 2023
Obbligo mascherine in ospedale: nell’ordinanza del ministro Schillaci prevalgono le evidenze scientifiche e il buon senso

«Sull’obbligo di mascherine in ospedale – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE –alla fine prevalgono le evidenze scientifiche e il buon senso. Infatti, rispetto alle anticipazioni di stampa di ieri, l’ordinanza del Ministro Schillaci conferma l’obbligo per lavoratori, utenti e visitatori in tutti i reparti ospedalieri con pazienti fragili, anziani o immunodepressi, specialmente se ad elevata intensità di cura. L’ordinanza lascia alle Direzioni Sanitarie degli ospedali la responsabilità di identificare i reparti a rischio, oltre che la decisione di estendere l’obbligo ad altri reparti e alle sale di attesa. In altre parole, le uniche aree ospedaliere dove non potrà essere previsto alcun obbligo sono i connettivi e le aree al di fuori dei reparti di degenza».

«Ovviamente – continua il Presidente – viene confermato l’obbligo di mascherina per lavoratori, utenti e visitatori di tutte le strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali, visto il maggior rischio del contagio per età e fragilità dei pazienti assistiti nelle strutture di lungodegenza, RSA, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani».

Per quanto riguarda gli ambulatori, la decisione viene lasciata alla discrezione di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. «Una decisione discutibile – commenta il Presidente – perché la variabilità degli approcci rischia di disorientare gli assistiti sino a condizionarne scelte pratiche: ad esempio mantenere o ricusare il proprio medico di famiglia a seconda che disponga, o meno, l’obbligo della mascherina nel proprio ambulatorio».

«Infine – conclude Cartabellotta – la decisione sull’esecuzione di tampone diagnostico per infezione da SARS-CoV-2 per l’accesso ai Pronto soccorso viene lasciata alla discrezione di Regioni e Aziende sanitarie: una decisione “pilatesca” che sarà inevitabilmente condizionata dalle responsabilità sanitarie e dal principio di precauzione».


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18 aprile 2023
DEF 2023: nessun rilancio della sanità pubblica. Preoccupanti segnali di definanziamento: dal 2025 rapporto spesa sanitaria/Pil al 6,2%, inferiore ai livelli pre-pandemia. Serve urgente cambio di rotta per evitare il collasso del SSN

Lo scorso 11 aprile il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2023 che certifica per l’anno 2022 una spesa sanitaria di € 131.103 milioni, inferiore di quasi € 3 milioni rispetto ai € 133.998 milioni previsti dall’ultima Nota di Aggiornamento DEF 2022.

«Rispetto alle previsioni di spesa sanitaria sino al 2026 – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – il DEF 2023 certifica l’assenza di un cambio di rotta post-pandemia ignorando il pessimo “stato di salute” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i cui princìpi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità sono minati da criticità che compromettono il diritto costituzionale alla tutela della salute. Interminabili liste di attesa costringono a ricorrere al privato, aumentano la spesa out-of-pocket e impoveriscono le famiglie, sino alla rinuncia alle cure; diseguaglianze regionali e locali nell’offerta di servizi e prestazioni determinano migrazione sanitaria, inaccessibilità alle innovazioni, sino alla riduzione dell’aspettativa di vita».

Vengono di seguito riportate le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE sulle previsioni di spesa sanitaria per l’anno 2023 e per il triennio 2024-2026.

2023. Il rapporto spesa sanitaria/PIL nel 2023 scende a 6,7% rispetto al 6,9% del 2022, anche se in termini assoluti la previsione di spesa sanitaria è di € 136.043 milioni, ovvero € 4.319 milioni in più rispetto al 2022 (+3,8%). «Tuttavia il roboante incremento di oltre quattro miliardi di euro nel 2023 – precisa Cartabellotta – è solo apparente: sia perché oltre due terzi (67%) costituiscono un mero spostamento al 2023 della spesa sanitaria prevista nel 2022 per il rinnovo contrattuale del personale dirigente, sia per l’erosione del potere di acquisto visto che secondo l’ISTAT ad oggi l’inflazione acquisita per il 2023 si attesta a +5%, un valore superiore all’aumento della spesa sanitaria che, invece, si ferma a +3,8%».

2024-2026. Nel triennio 2024-2026, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,6%, il DEF 2023 stima quella della spesa sanitaria allo 0,6%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,7% del 2023 al 6,3% nel 2024 al 6,2% nel 2025-2026. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.737 milioni (-2,4%), per poi risalire nel 2025 a € 135.034 milioni (+1,7%) e a € 138.399 (+2,5%) nel 2026. «È del tutto evidente – spiega Cartabellotta – che il risibile aumento medio della spesa sanitaria dello 0,6% nel triennio 2024-2026 non coprirà nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo. In altri termini, le previsioni del DEF 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 certificano evidenti segnali di definanziamento: in particolare il 2024, ben lungi dall’essere l’anno del rilancio, fa segnare un -2,4% che dissolve ogni speranza di nuove risorse per la sanità nella prossima Legge di Bilancio».

Complessivamente le stime del DEF 2023 confermano che la sanità rimane la cenerentola dell’agenda politica per almeno tre ragioni. Innanzitutto, il rapporto spesa sanitaria/PIL scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2026, un valore inferiore a quello del 2019 (6,4%), confermando che dalla pandemia non è stato tratto alcun insegnamento; in secondo luogo, nel triennio 2024-2026 il DEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,6%, a fronte dello 0,6% di quella della spesa sanitaria; infine, il DEF 2023 non fa alcun cenno alle risorse necessarie per abolire gradualmente il tetto di spesa per il personale sanitario e per approvare il cd. “decreto tariffe” sulle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di protesica: due priorità assolute per rilanciare le politiche del capitale umano e garantire a tutti i “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza e l’accesso alle innovazioni. «Programmi e numeri del DEF 2023 – continua il Presidente – confermano che, in linea con quanto accaduto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta una priorità politica neppure per l’attuale Esecutivo. La sanità rimane un bancomat per la facile aggredibilità della spesa pubblica e nei rari casi di crescita economica i benefici per il SSN non sono mai proporzionali, rendendo impossibile rilanciare il finanziamento pubblico».

«Il Piano di Rilancio del SSN recentemente elaborato dalla Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta –rileva l’inderogabile necessità di aumentare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, allineandolo entro il 2030 alla media dei paesi europei, al fine di garantire l’erogazione uniforme dei LEA, l’accesso equo alle innovazioni e il rilancio delle politiche del personale sanitario. Considerato che nel 2021 il gap con la media dei paesi europei era di quasi € 12 miliardi, il DEF 2023 non ha affatto posto le basi per colmarlo. Al contrario prosegue con la strategia di definanziamento pubblico della sanità che aumenterà la distanza dalla media dei paesi europei e porterà al collasso del SSN, compromettendo definitivamente il diritto costituzionale alla tutela della salute delle persone».

 


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