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6 maggio 2021
Coronavirus: scendono tutti i numeri, ma s’intravedono segnali precoci di aumento della circolazione del virus. Vaccini: una persona su 4 coperta con almeno una dose, oltre il 70% degli over 80 ha completato il ciclo

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMB E CONFERMA, NELLA SETTIMANA 28 APRILE-4 MAGGIO, LA RIDUZIONE DI NUOVI CASI (-13,4%) E DECESSI (-19,9%). SI ALLENTA ANCORA LA PRESSIONE SUGLI OSPEDALI (-11,8% TERAPIE INTENSIVE; -10,5% RICOVERI CON SINTOMI), MA S’INTRAVEDONO PRECOCI SEGNALI DI AUMENTO DELLA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS TRA CUI IL RIALZO DEI CONTAGI IN ETÀ SCOLARE. VACCINAZIONI: NECESSARIO RENDERE STABILE L’OBIETTIVO 500.000 DOSI AL GIORNO, RAGGIUNTO SOLO CON L’EXPLOIT DEL 29 E 30 APRILE. IN UN’ITALIA QUASI TUTTA GIALLA I COMPORTAMENTI INDIVIDUALI RIMANGONO L’ARMA FONDAMENTALE PER ARGINARE LA RISALITA DEI CONTAGI.

6 maggio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 28 aprile-4 maggio 2021, rispetto alla precedente, una diminuzione di nuovi casi (78.309 vs 90.449) (figura 1) e decessi (1.826 vs 2.279) (figura 2). In calo anche i casi attualmente positivi (413.889 vs 448.149), le persone in isolamento domiciliare (393.290 vs 425.089), i ricoveri con sintomi (18.176 vs 20.312) e le terapie intensive (2.423 vs 2.748) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

 

 

  • Decessi: 1.826 (-19,9%)
  • Terapia intensiva: -325 (-11,8%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.136 (-10,5%)
  • Isolamento domiciliare: -31.799 (-7,5%)
  • Nuovi casi: 78.309 (-13,4%)
  • Casi attualmente positivi: -34.260 (-7,6%)

«Continua la lenta discesa dei nuovi casi settimanali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – anche se s’intravedono precoci segnali di aumento della circolazione del virus». Innanzitutto, il lieve incremento dell’Rt medio calcolato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui casi sintomatici che nel periodo 7-20 aprile è di 0,85 (range 0,80–0,91) rispetto a 0,81 (range 0,77-0,89) del periodo 31 marzo-13 aprile; in secondo luogo, come rilevato dall’ultimo bollettino dell’ISS, dalla prima metà di aprile la risalita dei nuovi casi nelle fasce 3-5 e 6-10 anni, verosimile conseguenza della ripresa delle attività scolastiche in presenza.

Minime questa settimana le differenze regionali: aumento della variazione percentuale dei nuovi casi in 1 Regione e dei casi attualmente positivi in 2 Regioni (tabella).

«Con il progressivo calo dei nuovi casi – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – continua a ridursi la pressione sugli ospedali, dove le curve dei posti letto occupati in area medica e terapia intensiva continuano a scendere da 4 settimane consecutive». In dettaglio:

  • Area medica: la curva ha raggiunto il picco il 6 aprile (n. 29.337), con una discesa del 38% in 29 giorni. L’occupazione dei posti letto da parte dei pazienti COVID resta sopra la soglia del 40% in 2 Regioni (tabella).
  • Terapia intensiva: la curva ha raggiunto il picco il 6 aprile (n. 3.743), con una discesa del 35,3% in 29 giorni; la soglia di saturazione del 30% risulta ancora superata in 4 Regioni (tabella). «Anche il numero dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva sta progressivamente diminuendo – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – con una media mobile a 7 giorni di 135 ingressi/die» (figura 4).

Vaccini: forniture. Al 5 maggio (aggiornamento ore 6.11) risultano consegnate 24.779.590 dosi, il 32,5% di quelle previste per il 1° semestre 2021. In dettaglio:

«Sul fronte consegne – spiega Cartabellotta – molto incoraggiante il deciso aumento dell’ultima settimana: quasi 5 milioni di dosi, un colpo di acceleratore decisivo per garantire 3,5 milioni di somministrazioni settimanali» (figura 5).

Vaccini: somministrazioni. Al 5 maggio (aggiornamento ore 6.11), il 25,5% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 15.200.724) e il 10,9% ha completato il ciclo vaccinale (n. 6.522.822), con modeste differenze regionali: dal 28,2% di vaccinati con almeno una dose della Liguria al 21,6% della Sicilia (figura 6). Nella settimana 26 aprile-2 maggio si registra, rispetto alla precedente, un incremento delle somministrazioni del 20% (figura 7) con una media mobile a 7 giorni (figura 8) che raggiunge quota 432.860 somministrazioni/die (vs 361.326 del 27 aprile). «Il progressivo incremento delle consegne – commenta Gili – insieme alle scorte disponibili renderebbero finalmente possibile mantenere costanti le 500.000 somministrazioni al giorno, obiettivo raggiunto per ora solo con l’exploit del 29 e 30 aprile». Relativamente ai target fissati dal Commissario Figliuolo per la settimana 22-29 aprile emergono marcate differenze regionali: 9 Regioni hanno superato il target assegnato, mentre 12 sono rimaste sottosoglia (figura 9).

 

 

 

Vaccini: copertura delle categorie prioritarie. Oltre la metà degli over 60 ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino, con le Province autonome di Trento e Bolzano che si avvicinano al 70%. Se, tuttavia, nelle fasce over 80 e 70-79 anni la percentuale dei vaccinati con almeno una dose è ormai elevata, la fascia 60-69, che “pesa” molto sui ricoveri ospedalieri, rimane ancora indietro. In dettaglio:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 3.134.089 (70,9%) hanno completato il ciclo vaccinale e 778.130 (17,6%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 10).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 725.559 (12,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 3.226.312 (54,1%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 11).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni, 680.900 (9,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.078.360 (28,2%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 12).
  • Soggetti fragili e loro caregiver: somministrate 3.614.254 dosi, su cui è impossibile effettuate ulteriori analisi, perché tuttora per questa categoria non è noto il denominatore totale e la sua distribuzione regionale, né la suddivisione tra 1a e 2a dose.

 

 

«Nella fase discendente della terza ondata – conclude Cartabellotta – emerge un incremento dei casi in età scolare, senza dubbio influenzato anche dalle attività di screening e tracciamento dei contatti. Se l’aumento dei nuovi casi nella popolazione scolastica era atteso, la scelta politica di riprendere le attività in presenza non è stata accompagnata da nuove linee guida per contenere la maggiore contagiosità della variante inglese. In ogni caso, in un’Italia quasi tutta gialla e con coperture vaccinali insufficienti per arginare la circolazione del virus, è fondamentale rimarcare l’importanza dei comportamenti individuali: distanze, mascherine e aria aperta devono essere le parole chiave dei prossimi mesi, insieme alla “corsa” al vaccino non appena arriva il proprio turno».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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29 aprile 2021
Coronavirus: lenta discesa dei nuovi casi, ma ancora oltre 448mila positivi. Si allenta la pressione sugli ospedali. Vaccini: aumentano le coperture, ma Italia rimane agli ultimi posti in Europa per fasce 60-69 e 70-79 anni

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA, NELLA SETTIMANA 21-27 APRILE, LA RIDUZIONE DI NUOVI CASI (-7,7%) E DECESSI (-10,5%). SCENDONO ANCHE I POSTI LETTO OCCUPATI IN OSPEDALE DA PAZIENTI COVID, MA TERAPIE INTENSIVE ANCORA SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE IN 7 REGIONI. VACCINAZIONI: IL RITMO DELLA CAMPAGNA CRESCE IN MANIERA LENTA E COSTANTE, MA IL TARGET DELLE 500 MILA SOMMINISTRAZIONI AL GIORNO È ANCORA LONTANO, PESA IL MANCATO DECOLLO DELLE CONSEGNE. NEL CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI EUROPEI L’ITALIA SALE IN CLASSIFICA PER LA COPERTURA DEGLI OVER 80, MA SI COLLOCA AL QUARTULTIMO POSTO PER LE FASCE 60-69 e 70-79.

29 aprile 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 21-27 aprile 2021, rispetto alla precedente, una diminuzione di nuovi casi (90.449 vs 98.030) (figura 1) e decessi (2.279 vs 2.545) (figura 2). In calo anche i casi attualmente positivi (448.149 vs 482.715), le persone in isolamento domiciliare (425.089 vs 456.309), i ricoveri con sintomi (20.312 vs 23.255) e le terapie intensive (2.748 vs 3.151) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

 

 

  • Decessi: 2.279 (-10,5%)
  • Terapia intensiva: -403 (-12,8%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.943 (-12,7%)
  • Isolamento domiciliare: -31.220 (-6,8%)
  • Nuovi casi: 90.449 (-7,7%)
  • Casi attualmente positivi: -34.566 (-7,2%)

«Come atteso – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua la lenta e progressiva discesa dei nuovi casi settimanali, frutto delle restrizioni di un’Italia tutta rosso-arancione delle scorse settimane, che proseguirà verosimilmente ancora fino a metà maggio. Oltre 448 mila casi attualmente positivi confermano, tuttavia, che la circolazione virale nel nostro Paese è ancora molto elevata». Come sempre, il dato nazionale risente di situazioni regionali piuttosto eterogenee: la variazione percentuale dei nuovi casi aumenta in 3 Regioni e crescono i casi attualmente positivi in 5 Regioni (tabella).

«Il numero di posti letto occupati da pazienti COVID nei reparti di area medica e terapia intensiva – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – continua a scendere, anche se il numero di pazienti ospedalizzati rimane elevato». In dettaglio:

  • Area medica: la curva ha raggiunto il picco il 6 aprile (n. 29.337), con una discesa del 26,6% in 21 giorni. L’occupazione da parte dei pazienti COVID supera ancora il 40% in 2 Regioni.
  • Terapia intensiva: la curva ha raggiunto il picco il 6 aprile (n. 3.743), con una discesa del 30,8% in 21 giorni; i numeri assoluti rimangono elevati (2.748 posti letto occupati), determinando il superamento della soglia di saturazione del 30% ancora in 7 Regioni (figura 4). «Continua la discesa anche per i nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – con una media mobile a 7 giorni di 150 ingressi/die, che dal picco del 27 marzo (n. 270) sono diminuiti dell’80% nell’ultimo mese» (figura 5).

 

Vaccini: forniture. Al 28 aprile (aggiornamento ore 6.10) risultano consegnate il 29,5% delle dosi previste per il 1° semestre 2021: 22.463.020 dosi, di cui 2,2 milioni di Pfizer/BioNTech non ancora inserite nel database. In dettaglio:

«Le consegne dei vaccini stanno aumentando – spiega Cartabellotta – ma l’incremento settimanale non è costante e ancora lontano da quota 3,5 milioni di dosi, indispensabili per raggiungere il target di 500 mila somministrazioni al giorno» (figura 6).

Vaccini: somministrazioni. Al 28 aprile (aggiornamento ore 6.10), il 22% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 13.072.472) e il 9,1% ha completato il ciclo vaccinale (n. 5.430.357), con differenze regionali che si vanno progressivamente appiattendo (figura 7). Le somministrazioni continuano gradualmente a salire, sia guardando al numero delle dosi settimanali (+11,8% negli ultimi 7 giorni)(figura 6), sia alla media mobile a 7 giorni (figura 8), aumentata da 324.081/die (20 aprile) a 355.582/die (27 aprile). «Nonostante questo incremento – commenta Gili – il numero di vaccinazioni giornaliere non raggiunge i target definiti per la settimana 22-29 aprile dal Commissario Straordinario, documentando difficoltà organizzative in alcune Regioni nella somministrazione tempestiva delle dosi disponibili. Si conferma inoltre una netta riduzione delle inoculazioni nei giorni festivi».

 

Vaccini: copertura delle categorie prioritarie. Se la vaccinazione degli over 80 è ormai in dirittura di arrivo, le coperture della fascia 70-79 e, soprattutto della fascia 60-69, sono ancora limitate per avere un impatto rilevante su ricoveri e terapie intensive. In dettaglio:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 2.688.321 (60,8%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.118.950 (25,3%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 9).
  • Soggetti fragili e loro caregiver: somministrate 2.627.502 dosi, su cui è impossibile effettuate ulteriori analisi, perché per questa categoria non è noto il denominatore totale e la sua distribuzione regionale, né la suddivisione tra 1a e 2a dose.
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 452.245 (7,6%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.794.681 (46,8%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 10).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni, 524.584 (7,1%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.415.535 (19,2%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 11).

Per quanto riguarda le fasce a rischio, secondo i dati dell’ECDC, per gli over 80, pur rimanendo lontana da Paesi che hanno superato il 95% di copertura, l’Italia ha guadagnato diverse posizioni, mentre per le fasce d’età 70-79 e 60-69 anni, il nostro Paese si attesta solo al quartultimo posto. Per la fascia 70-79, se da noi il 50% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino, ben 19 Paesi hanno superato almeno il 60% e 8 l’80%; per la fascia 60-69 ci fermiamo a quota 22,5% con almeno una dose, mentre 14 Paesi hanno già superato il 40% e 4 il 50% (figure 9, 10, 11). «Purtroppo il vero cambio di passo nella vaccinazione delle fasce fragili – conclude Cartabellotta – è avvenuto solo a partire dalla seconda metà di marzo e l’utilizzo improprio dei vaccini durante il primo trimestre da un lato rende meno sicure le riaperture, dall’altro non ci fa ben figurare in Europa nel confronto con altri Paesi».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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22 aprile 2021
Coronavirus: scendono nuovi casi e decessi. Ma in 12 regioni terapie intensive ancora in affanno. Vaccini: almeno 1 dose all’82% degli over 80 e al 40% dei 70-79. Decreto riaperture, coraggiosa decisione politica ma attenti al “liberi tutti” e alle criticità mai risolte

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA, NELLA SETTIMANA 14-20 APRILE, LA RIDUZIONE DI NUOVI CASI (-7,8%) E DECESSI (-17,5%). CONTINUA AD ALLEGGERIRSI LA PRESSIONE SUGLI OSPEDALI, MA RIMANGONO SOPRA LA SOGLIA DI SATURAZIONE 4 REGIONI PER L’AREA MEDICA E 12 PER LE TERAPIE INTENSIVE. VACCINAZIONI: SENSIBILE CAMBIO DI PASSO, MA PER RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO FIGLIUOLO MANCANO OLTRE 180 MILA SOMMINISTRAZIONI AL GIORNO. DECRETO RIAPERTURE: ATTO CORAGGIOSO “SUL FILO DEL RASOIO” PER RILANCIARE ATTIVITÀ PRODUTTIVE E PLACARE TENSIONI SOCIALI, MA SE PASSA IL MESSAGGIO DEL “LIBERI TUTTI” LA STAGIONE ESTIVA È A RISCHIO. OLTRE AI VACCINI, NECESSARIO UN PIANO DI MEDIO-LUNGO PERIODO PER USCIRE DALLA PANDEMIA.

22 aprile 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 14-20 aprile 2021, rispetto alla precedente, una diminuzione di nuovi casi (98.030  vs 106.326) (figura 1) e decessi (2.545 vs 3.083) (figura 2). In calo anche i casi attualmente positivi (482.715 vs 519.220), le persone in isolamento domiciliare (456.309 vs 488.742), i ricoveri con sintomi (23.255 vs 26.952) e le terapie intensive (3.151 vs 3.526) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

 

 

  • Decessi: 2.545 (-17,5%)
  • Terapia intensiva: -375 (-10,6%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.697 (-13,7%)
  • Isolamento domiciliare: -32.433 (-6,6%)
  • Nuovi casi: 98.030 (-7,8%)
  • Casi attualmente positivi: -36.505 (-7%)

«La circolazione del virus nel nostro Paese – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rimane ancora sostenuta. Con la progressiva riduzione dei nuovi casi settimanali, i casi attualmente positivi, raggiunto il picco della terza ondata il 5 aprile (n. 570.096), sono scesi a 482 mila, numero molto elevato e sottostimato dall’insufficiente attività di testing & tracing». Peraltro, il dato nazionale risente di eterogenee situazioni regionali: infatti, la variazione percentuale dei nuovi casi aumenta in 3 Regioni e crescono i casi attualmente positivi in 6 Regioni (tabella).

«Gradualmente si allenta anche la pressione sugli ospedali – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – ma il numero di posti letto occupati, sia in area medica che in terapia intensiva è ancora elevato in numerose Regioni». In dettaglio:

  • Area medica: la curva ha raggiunto il picco il 6 aprile (n. 29.337) ed iniziata la discesa con una riduzione del 20,7% in 14 giorni; tuttavia i numeri assoluti rimangono elevati (n. 23.255) e l’occupazione da parte dei pazienti COVID supera il 40% in 4 Regioni.
  • Terapia intensiva: la curva ha raggiunto il picco il 6 aprile (n. 3.743), ma la discesa è più lenta, con una riduzione del 15,8% in 14 giorni; restano occupati 3.151 posti letto e in 12 Regioni la soglia di saturazione supera il 30% (figura 4). «Numeri ancora alti anche per i nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – con una media mobile a 7 giorni di 182 ingressi/die, seppure in diminuzione da un mese» (figura 5).

 

Vaccini: forniture. Al 21 aprile (aggiornamento ore 7.38) risultano consegnate 17.752.110 dosi, il 25,9% di quelle previste per il 1° semestre 2021. In dettaglio:

«Nelle ultime due settimane – precisa Cartabellotta – sono state consegnate circa 5,7 milioni di dosi: numeri in crescita, ma ancora lontani dal garantire le 3,5 milioni di somministrazioni settimanali del Piano Figliuolo».

Vaccini: somministrazioni. Al 21 aprile (aggiornamento ore 7.38) il 18,8% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 11.240.182) e il 7,8% ha completato il ciclo vaccinale con la seconda dose (n. 4.654.357), con notevoli differenze regionali (figura 6). Nonostante l’incremento del 35,5% delle dosi inoculate nelle ultime tre settimane (figura 7), al 20 aprile la media mobile a 7 giorni delle somministrazioni rimane a quota 315.506 al giorno: oltre 180 mila in meno delle 500 mila previste dal Piano per metà aprile (figura 8). Rispetto alla copertura delle categorie prioritarie definite nell’ordinanza del 9 aprile del Commissario Straordinario, a fronte di notevoli differenze regionali, l’analisi del dato nazionale rileva:

 

 

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 2.282.611 (51,6%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.336.007 (30,2%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 9).
  • Soggetti fragili e loro caregiver: dal 20 aprile nel database ufficiale è stata aggiunta una specifica categoria di rendicontazione che riporta 1.847.928 dosi somministrate. «Tuttavia – precisa Gili – non è possibile effettuare ulteriori analisi perché non sono disponibili: la suddivisione tra 1a e 2a dose, il numero totale dei soggetti fragili e loro caregiver e la loro distribuzione regionale».
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 284.113 (4,8%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.133.528 (35,7%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 10).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni,  438.890 (6%) hanno completato il ciclo vaccinale e 965.448 (13,1%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 11).

 

 

«Il Decreto Riaperture approvato ieri dal Consiglio dei Ministri – conclude Cartabellotta – è basato su un “rischio ragionato”: è una decisione politica presa sul filo del rasoio se guardiamo ai dati della pandemia e alle coperture vaccinali, ma al tempo stesso un coraggioso atto di responsabilità del Governo per rilanciare numerose attività produttive e placare le tensioni sociali che affida ai cittadini una grande responsabilità. Chiaramente, se le graduali riaperture saranno interpretate come un “liberi tutti”, una nuova impennata dei contagi rischia di compromettere la stagione estiva».

Al fine di garantire l’irreversibilità delle riaperture, pertanto, la Fondazione GIMBE esorta Governo e Regioni ad elaborare una strategia esplicita e condivisa per arginare la verosimile risalita dei contagi e, soprattutto, un piano di medio-lungo periodo per uscire dalla pandemia che tenga conto, oltre che delle coperture vaccinali, di scenari epidemiologici e criticità mai risolte in 14 mesi di pandemia (box).

 Box. Keypoints per un piano di uscita dalla pandemia

 Dinamiche della pandemia e controllo della risalita della curva dei contagi

  • Gli effetti di un’Italia rosso-arancione saranno visibili almeno sino a metà maggio: nelle prossime settimane i nuovi casi scenderanno ancora e si ridurrà la pressione sugli ospedali.
  • Il progressivo ritorno al giallo e la riapertura delle scuole determineranno inevitabilmente una risalita dei contagi, solo parzialmente mitigata dalla ridotta probabilità di contagio all’aperto per l’aumento delle temperature che riduce l’effetto aerosol.
  • È impossibile in tempi brevi ridurre l’incidenza settimanale dei nuovi casi al di sotto di 50 casi per 100.000 abitanti, soglia massima per riprendere un tracciamento efficace.
  • La vaccinazione di over 70 e fragili avrà un impatto rilevante nei prossimi mesi su ospedalizzazioni e decessi, ma non sulla circolazione del virus perché la copertura vaccinale della popolazione è ancora esigua.

 Strategie di monitoraggio

  • Il sistema delle Regioni “a colori”, valido secondo il principio di proporzionalità delle misure, richiede un’adeguata revisione dopo quasi sei mesi di “sperimentazione” che ne ha rilevato numerosi limiti.
  • Servono nuovi parametri nazionali per attuare tempestive chiusure locali ed evitare la diffusione del contagio, arginando così la necessità di restrizioni più estese e rigorose.

Mancati investimenti e adeguamenti

  • Testing, Tracing & Treating (TTT): laboratori per processare tamponi molecolari; sistemi di tracciamento; app; isolamento monitorato dei positivi e loro contatti stretti; USCA.
  • Scuole: sistematiche strategie di screening di massa a cadenza periodica; adeguamenti dei sistemi per il ricambio d’aria, nonostante la dimostrata trasmissione per aerosol del Sars-CoV-2.
  • Trasporti locali: luoghi ad elevata probabilità di contagio, soprattutto nelle ore di punta e nelle percorrenze medio-lunghe.
  • Smartwork: citato in tutti i provvedimenti come modalità di lavoro da prediligere ove possibile, non è mai stato incentivato tramite misure di sgravio fiscale.
  • Controlli: molto intensi durante il primo lockdown, si sono progressivamente allentati.

 Altro

  • Uniformarele norme sulla mobilità interregionale a quelle per i viaggi all’estero, sia per limitare i contagi di rientro, sia per non danneggiare il turismo nazionale.  

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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15 aprile 2021
Coronavirus: contagio in frenata, ma oltre 200 pazienti al giorno entrano ancora in terapia intensiva. Vaccini: ciclo completo per il 44% degli over 80 e il 3% dei 70-79

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA, NELLA SETTIMANA 7-13 APRILE, LA RIDUZIONE DEI NUOVI CASI (-15,4%). AUMENTANO I DECESSI (+7,5%), MA INIZIANO LENTAMENTE AD ALLEGGERIRSI GLI OSPEDALI: RIMANGONO SOPRA LA SOGLIA DI SATURAZIONE 7 REGIONI PER L’AREA MEDICA E 13 PER LE TERAPIE INTENSIVE. VACCINAZIONI: ZERO COPERTURA PER UN OVER 80 SU QUATTRO E FASCIA 70-79 ANCORA AI NASTRI DI PARTENZA. CAMPAGNA VACCINALE OSTAGGIO DEI RITARDI DI CONSEGNA E DELLE CRESCENTI DIFFIDENZE DEI CITTADINI VERSO ASTRAZENECA E, ADESSO, ANCHE JOHNSON & JOHNSON. PIANO RIAPERTURE TENGA CONTO DEL RAGGIUNGIMENTO DI SPECIFICI TARGET VACCINALI, IN PARTICOLARE PER LE FASCE A RISCHIO

15 aprile 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 7-13 aprile 2021, rispetto alla precedente, una diminuzione dei nuovi casi (106.326 vs 125.695) (figura 1), a fronte di un aumento dei decessi (3.083 vs 2.868) (figura 2). In calo i casi attualmente positivi (519.220 vs 555.705), le persone in isolamento domiciliare (488.742 vs 522.625), i ricoveri con sintomi (26.952 vs 29.337) e le terapie intensive (3.526 vs 3.743) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

 

 

  • Decessi: 3.083 (+7,5%) (esclusi 258 decessi comunicati dalla Regione Sicilia riferiti a mesi precedenti)
  • Terapia intensiva: -217 (-5,8%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.385 (-8,1%)
  • Isolamento domiciliare: -33.883 (-6,5%)
  • Nuovi casi: 106.326 (-15,4%)
  • Casi attualmente positivi: -36.485 (-6,6%)

«I nuovi casi e la loro variazione percentuale continuano a scendere – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ma con un bacino di 520 mila casi attualmente positivi è impossibile riprendere il tracciamento dei contatti». Il dato nazionale, come sempre, risente di notevoli eterogeneità regionali: si rilevano infatti un aumento della variazione percentuale dei nuovi casi in 6 Regioni, in particolare Basilicata e Calabria e un incremento dei casi attualmente positivi in 5 Regioni (tabella).

«Sul fronte ospedaliero – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – le curve dei ricoveri con sintomi e delle terapie intensive hanno iniziato una discesa lenta e irregolare. Ma i numeri assoluti restano elevati e in molte Regioni gli ospedali sono ancora in affanno». Infatti, le soglie di allerta di occupazione dei posti letto da parte di pazienti COVID in area medica (>40%) e in terapia intensiva (>30%) si attestano a livello nazionale rispettivamente al 41% e al 39%. In particolare sono sopra soglia 7 Regioni per l’area medica e 13 per le terapie intensive (figura 4). «Si conferma il calo dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – ma la media mobile a 7 giorni rimane superiore ai 200 ingressi al giorno» (figura 5).

 

Vaccini: forniture. Al 14 aprile (aggiornamento ore 6.06), al netto dei ritardi di notifica, risultano consegnate 15.575.830 dosi, pari al 22,7% delle dosi previste per il 1° semestre 2021. In dettaglio:

«Per il secondo trimestre – commenta Cartabellotta – l’Italia dispone sulla carta di un “portafoglio” di oltre 52 milioni di dosi di vaccini (figura 6) a cui si aggiungeranno 6,7 milioni di dosi di Pfizer/BioNTech che saranno consegnate in anticipo. Ma per raggiungere l’ambizioso obiettivo di 500.000 vaccinazioni al giorno è necessaria una fornitura regolare da parte di tutte le aziende per garantire 3,5 milioni di dosi a settimana, un risultato condizionato da varie criticità». In dettaglio:

  • AstraZeneca: l’azienda ha già comunicato ritardi di consegna e, secondo le dichiarazioni del Commissario Figliuolo, entro il 22 aprile arriveranno solo 500 mila dosi.
  • Johnson&Johnson: l’azienda ha dichiarato che dilazionerà la distribuzione del vaccino in Europa. Intanto, le 180 mila dosi già consegnate rimangono in attesa del verdetto definitivo dell’EMA slittato alla prossima settimana, anche se le dichiarazioni di ieri riportano che i benefici superano ampiamente i rischi.
  • CureVac: il completamento dello studio clinico di fase 3 è previsto per la fine del 2° semestre, e solo allora potrà essere presentata all’EMA la domanda di autorizzazione condizionata al commercio.

«Cresce inoltre – commenta Gili – l’ingiustificata diffidenza per il vaccino AstraZeneca che ora potrebbe interessare anche Johnson & Johnson. Senza un’adeguata e incisiva comunicazione istituzionale sul profilo beneficio-rischio di questi vaccini e sul processo di vaccinovigilanza, il loro rifiuto selettivo rischia di estendersi a macchia d’olio con ulteriore rallentamento della campagna vaccinale».

Vaccini: somministrazioni. Al 14 aprile (aggiornamento ore 6.06) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 4.055.458 milioni di persone (6,8% della popolazione), con notevoli differenze regionali: dall’8,3% del Piemonte al 5,2% della Campania (figura7). Anche se il numero di somministrazioni in alcuni giorni ha superato quota 300 mila, su base settimanale non si va oltre le 1,9 milioni di dosi, numero ben lontano dall’obiettivo Figliuolo (3,5 milioni/settimana)(figura 8). Rispetto alla protezione dei più fragili:

 

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 1.939.680 (43,9%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.414.126 (32%) hanno ricevuto solo la prima dose, con le consuete importanti differenze regionali (figura 9).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 180.164 (3%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.395.527 (23,4%) hanno ricevuto solo la prima dose, anche qui con rilevanti differenze tra le Regioni (figura 10).
  • Elevata fragilità: le dosi destinate ai soggetti fragili vengono rendicontate nella categoria “Altro”, dove oltre la metà delle dosi (1.680.418 dosi) è stata somministrata ad over 70 mentre il 47,6% (1.529.103 dosi) è andato a persone under 60, dove possono rientrare soggetti ad elevata fragilità e loro caregiver. «È evidente – precisa Cartabellotta – che senza prevedere nella rendicontazione pubblica specifiche categorie di soggetti fragili non è possibile condurre ulteriori analisi su questo indefinito contenitore dove confluiscono certamente anche soggetti “non aventi diritto”».

 

«Se in vista della stagione estiva – conclude Cartabellotta – la priorità del Paese è rappresentata dalle progressive riaperture per rilanciare l’economia e placare le tensioni sociali, è indispensabile ribadire alcune dinamiche della pandemia e della campagna vaccinale per guidare Governo e Regioni in questa fase strategica e per una corretta informazione della popolazione. Innanzitutto, se gli effetti di un’Italia rosso-arancione si protrarranno per almeno 3 settimane, il progressivo ritorno al giallo determinerà inevitabilmente una risalita della curva epidemica, anche se mitigata dalla ridotta probabilità di contagio all’aperto per l’aumento delle temperature. In secondo luogo, in tempi brevi non esiste alcuna possibilità di ridurre i contagi a 50 per 100.000 abitanti al fine di riprendere il tracciamento, attività peraltro mai potenziata dalle Regioni. Infine, la progressione della campagna vaccinale permetterà di mettere in sicurezza, auspicabilmente prima dell’estate, over 70 e fragili con notevole impatto su ospedalizzazioni e decessi, ma non sulla circolazione del virus che richiederà di mantenere tutte le misure individuali. Ecco perché è fondamentale inserire tra i parametri per le riaperture specifici target di copertura vaccinale per le categorie a rischio».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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8 aprile 2021
Coronavirus: il contagio rallenta, ma crollano i tamponi. Terapie intensive: 14 Regioni sopra soglia 30%. Vaccini: 500 mila somministrazioni al giorno per ora restano un miraggio

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA, NELLA SETTIMANA 31 MARZO-6 APRILE, UNA RIDUZIONE DEI NUOVI CASI (-11,1%) SOVRASTIMATA DAL CROLLO DELLE PERSONE TESTATE. IN LIEVE CALO DECESSI, CASI ATTUALMENTE POSITIVI E PERSONE IN ISOLAMENTO DOMICILIARE, MENTRE RIMANE ALTA L’ALLERTA OSPEDALI: INDICATORI SOPRA LA SOGLIA DI SATURAZIONE IN 8 REGIONI PER L’AREA MEDICA E IN 14 PER LE TERAPIE INTENSIVE CON PUNTE DI OCCUPAZIONE CHE SUPERANO IL 50%. IN GRAVE RITARDO LA PROTEZIONE DI ANZIANI E FRAGILI: CICLO VACCINALE COMPLETO SOLO PER IL 36,8% DEGLI OVER 80 E PER IL 2,2% DELLA FASCIA 70-79 ANNI, NESSUNA RENDICONTAZIONE PUBBLICA SULLE PERSONE ESTREMAMENTE VULNERABILI. PIANO FIGLIUOLO: LA PROVA DEL FUOCO DI APRILE RESA ANCORA PIÙ ARDUA DALL’AFFAIRE ASTRAZENECA.

8 aprile 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 31 marzo-6 aprile 2021, rispetto alla precedente, una diminuzione dei nuovi casi (125.695 vs 141.396) (figura 1), legata in parte alla netta riduzione dell’attività di testing. In lieve calo anche i decessi (2.868 vs 3.000) (figura 2), i casi attualmente positivi (555.705 vs 562.832) e le persone in isolamento domiciliare (522.625 vs 529.885). Sostanzialmente stabilii ricoveri con sintomi (29.337 vs 29.231) e le terapie intensive (3.743 vs 3.716) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

Figura 1

 

Figura 2

 

Figura 3

  • Decessi: 2.868 (-4,4%)
  • Terapia intensiva: +27 (+0,7%)
  • Ricoverati con sintomi: +106 (+0,4%)
  • Isolamento domiciliare: -7.260 (-1,4%)
  • Nuovi casi: 125.695 (-11,1%)
  • Casi attualmente positivi: -7.127 (-1,3%)

«Per la terza settimana consecutiva – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua la lenta discesa dei nuovi casi, anche se il calo degli ultimi giorni è sovrastimato per il tracollo dell’attività di testing durante il periodo pasquale: -128.141 persone testate rispetto alla settimana precedente e -304.499 rispetto a quella ancora prima». Se a livello nazionale la variazione percentuale dei nuovi casi e i casi attualmente positivi sono in calo, la variazione percentuale dei nuovi casi cresce in 4 Regioni, in particolare in Sicilia e Sardegna dove l’incremento supera il 50%. In 10 Regioni, infine, l’aumento dei casi attualmente positivi attesta inequivocabilmente che il calo dei nuovi casi è ancora esiguo (tabella).

Tabella

«La lentezza con cui scendono i nuovi casi – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – insieme alla limitata copertura vaccinale dei soggetti più fragili non permettono di ridurre la pressione sugli ospedali, dove la situazione rimane critica». Le soglie di allerta di occupazione dei posti letto da parte di pazienti COVID in area medica (>40%) e in terapia intensiva (>30%) si attestano rispettivamente al 44% e al 41%, con 8 Regioni sopra soglia per l’area medica e 14 sopra soglia per le terapie intensive. Per queste ultime preoccupa il superamento del 50% in Piemonte, Provincia Autonoma di Trento, Marche, Valle d'Aosta, con una punta del 60% in Lombardia (figura 4). «Sui nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva – sottolinea Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – la media mobile a 7 giorni ha iniziato la discesa, ma il valore registrato il 6 aprile (229 ingressi/die) rimane ancora superiore a quello di un mese fa (202 ingressi/die)» (figura 5).

Figura 4

 

Figura 5

Vaccini: forniture. Al 7 aprile (aggiornamento ore 15.58) risultano consegnate alle Regioni 14.017.310 dosi, pari al 89,3% delle dosi previste per il 1° trimestre 2021. In dettaglio:

Dosi vaccino

«Fissando a domenica 4 aprile il termine del 1° trimestre – spiega Cartabellotta – risultano consegnati quasi il 90% dei vaccini attesi, anche se va ricordato che la prima versione del Piano vaccinale prevedeva oltre il doppio delle dosi, ben 28,3 milioni». Peraltro, quasi un terzo delle forniture relative al 1° trimestre (4,37 milioni di dosi) è stato consegnato nelle ultime 2 settimane (figura 6): con una simile distribuzione, nei prossimi mesi l’obiettivo dei 500.000 vaccini al giorno rischia di essere disatteso, anche se il “portafoglio vaccini” del 2° trimestre prevede sulla carta 52,5 milioni di dosi (figura 7), di cui oltre 1,5 milioni già consegnate da Pfizer. Inoltre, nel periodo 1 marzo–6 aprile sono state somministrate in media 193.021 dosi al giorno (range 93.612 – 294.187), con un vero e proprio tracollo nei giorni festivi (figura 8) che attesta la necessità di impiegare ulteriore personale per la campagna. «Tra tagli alle forniture, temporaneo stop ad AstraZeneca e consegne trimestrali “last minute” – spiega Cartabellotta – i numeri di marzo sono lontani dagli obiettivi del piano Figliuolo, che prevedeva di raggiungere 210.000 somministrazioni al giorno a metà marzo e 300.000 entro il 23 marzo. E soprattutto le 500.000 somministrazioni al giorno dal 15 aprile sono ancora un miraggio che rischia ulteriori rallentamenti per le eventuali restrizioni e, soprattutto, le diffidenze individuali sul vaccino AstraZeneca».

Figura 6

 

Figura 7

 

Figura 8

Vaccini: somministrazioni.  Al 7 aprile (aggiornamento ore 15.58) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 3.593.223 milioni di persone (6% della popolazione), con notevoli differenze regionali: dal 7,7% del Piemonte al  4,7% di Campania e Sardegna (figura9). Rispetto alla protezione dei più fragili:

Figura 9

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 1.627.429 (36,8%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.264.690 (28,6%) hanno ricevuto solo la prima dose, con importanti differenze regionali (figura 10).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, solo 131.931 (2,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 853.458 (14,3%) hanno ricevuto solo la prima dose, con rilevanti difformità tra le Regioni (figura 11).
  • Elevata fragilità: impossibile effettuare analisi in assenza di una specifica categoria di rendicontazione dei vaccini somministrati a persone estremamente vulnerabili e a portatori di disabilità gravi.

Figura 10

 

Figura 11

«La lenta discesa dei contagi nelle ultime due settimane – conclude Cartabellotta – sovrastimata dal drastico calo dei tamponi non deve alimentare irrealistiche illusioni. Oggi siamo in piena terza ondata, con una situazione ospedaliera molto critica in oltre metà delle Regioni e, al di là dell’aneddotica e di studi preliminari, non esistono terapie domiciliari di documentata efficacia utilizzabili su larga scala per ridurre le ospedalizzazioni. Sul fronte vaccini, il ritmo della campagna è ancora lontano dagli obiettivi fissati per aprile dal piano Figliuolo, il caso AstraZeneca rischia di determinare ulteriori rallentamenti, la copertura vaccinale di anziani è ancora insufficiente e quella dei soggetti fragili non nota. Infine, nel piano delle riaperture è fondamentale tenere conto che non sono stati attuati interventi strutturali né a livello sanitario (potenziamento testing & tracing) né a livello di sistema (mezzi di trasporto, areazione scuole e locali pubblici, etc). In questo scenario, spettano al Governo Draghi ardue scelte politiche per contemperare il diritto alla salute con gli altri diritti e le libertà tutelati dalla Costituzione al fine di consentire il rilancio delle attività economiche e la ripresa del Paese».

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1 aprile 2021
Coronavirus: epidemia in lieve rallentamento, ma 3.000 decessi in 7 giorni e allerta terapie intensive in 13 Regioni. Vaccinazioni: ciclo completo nel 28% degli over 80, nel 2% della fascia 70-79 e nessun dato sulle persone vulnerabili.

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA, NELLA SETTIMANA 24-30 MARZO, UNA LIEVE RIDUZIONE DEI NUOVI CASI (-5,9%), UN AUMENTO DEI DECESSI E UN PEGGIORAMENTO DEGLI INDICATORI OSPEDALIERI: SOPRA LA SOGLIA DI SATURAZIONE 10 REGIONI PER L’AREA MEDICA E 13 PER LE TERAPIE INTENSIVE CON PUNTE DI OLTRE IL 60%. ANCORA INDIETRO LA PROTEZIONE DI ANZIANI E FRAGILI: DEGLI OVER 80 IL 28,3% HA COMPLETATO IL CICLO VACCINALE E IL 27,4% HA RICEVUTO SOLO LA PRIMA DOSE, ANCORA AI NASTRI DI PARTENZA LA FASCIA 70-79 ANNI E NESSUN DATO DISPONIBILE SUI FRAGILI. EPPURE SOLO UNA RAPIDA E MASSICCIA IMMUNIZZAZIONE DI ANZIANI E PERSONE VULNERABILI PERMETTERÀ DI RIAPRIRE IN SICUREZZA IL PAESE.

1 aprile 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 24-30 marzo 2021, rispetto alla precedente, una lieve riduzione dei nuovi casi (141.396 vs 150.181) (figura 1) a fronte di un incremento dei decessi (3.000 vs 2.878) (figura 2). Stabili i casi attualmente positivi (562.832 vs 560.654) e le persone in isolamento domiciliare (529.885 vs 528.680), in aumento i ricoveri con sintomi (29.231 vs 28.428) e le terapie intensive (3.716 vs 3.546) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

 

 

  • Decessi: 3.000 (+4,2%)
  • Terapia intensiva: +170(+4,8%)
  • Ricoverati con sintomi: +803 (+2,8%)
  • Isolamento domiciliare: +1.205 (+0,2%)
  • Nuovi casi: 141.396(-5,9%)
  • Casi attualmente positivi: +2.178 (+0,4%)

«Per la seconda settimana consecutiva –  dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – a livello nazionale si rileva una lenta discesa del numero di nuovi casi e del loro incremento percentuale, anche se il dato risente di notevoli differenze regionali correlate al livello di restrizioni di 3 settimane fa».In 9 Regioni, infatti, l’incremento percentuale dei nuovi casi è ancora in crescita, soprattutto in 4 Regioni che 3 settimane fa si trovavano in area bianca o gialla (Calabria, Liguria, Sardegna e Valle d’Aosta). Al contrario si rilevano riduzioni rilevanti in Regioni che 3 settimane fa erano in zona arancione o rossa. Inoltre, in 10 Regioni aumentano i casi attualmente positivi, dato che si riflette anche a livello nazionale (tabella).

«Sul versante ospedaliero – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi sanitari della Fondazione GIMBE – entrambe le soglie di allerta di occupazione dei posti letto da parte di pazienti COVID in area medica (>40%) e in terapia intensiva (>30%) sono superate a livello nazionale, attestandosi rispettivamente al 44% e al 41%: 10 le Regioni sopra soglia per l’area medica e 13 quelle per le terapie intensive». In particolare, l’occupazione di pazienti COVID in terapia intensiva supera il 40% in Puglia, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Toscana, Molise, Lazio e il 50% in Piemonte, Provincia Autonoma di Trento, Emilia-Romagna, con valori superiori al 60% in Lombardia e nelle Marche. «Sul fronte dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – dopo la frenata registrata la scorsa settimana, il dato si è stabilizzato» (figura 4 e 5).

 

Vaccini: forniture. Al 31 marzo (aggiornamento ore 15.31) risultano consegnate alle Regioni 11.247.180 dosi, pari al 71,7% delle dosi previste per il primo trimestre 2021. Cifre al netto di ritardi di notifica, viste le dichiarazioni del Commissario Figliuolo che ha annunciato che “solo questa settimana ne stanno arrivando circa 3 milioni: ieri [29 marzo, n.d.r] oltre 1 milione di Pfizer, domani [31 marzo, n.d.r.] oltre 500.000 Moderna e oltre 1,3 milioni di AstraZeneca su un totale di 14,2 milioni realizzato nel primo trimestre”.

Vaccini: somministrazioni. Al 31 marzo (aggiornamento ore15.31) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 3.143.159 milioni di persone (5,3% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 6,9% della Provincia Autonoma di Bolzano al 3,9% della Sardegna (figura 6). «Le notevoli eterogeneità – continua Gili  – riflettono sia una differente capacità organizzativa,sia un eccesso di autonomia delle Regioni nella scelta delle categorie prioritarie da vaccinare». In particolare, per ciò che riguarda i più fragili:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni,1.274.567 (28,8%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.212.019 (27,4%) hanno ricevuto solo la prima dose, con le consuete rilevanti differenze regionali (figura 7).
  • Fascia 70-79 anni:degli oltre 5,9 milioni, solo 106.506 (1,8%) hanno completato il ciclo vaccinale e 481.418 (8,1%)hanno ricevuto solo la prima dose, anche qui con notevoli difformità regionali (figura 8).
  • Elevata fragilità (soggetti estremamente vulnerabili e portatori di disabilità gravi): anche se individuati dal piano vaccinale come categoria prioritaria subito dopo gli over 80, al momento la rendicontazione del database ufficiale non prevede una specifica categoria.

 

«Non si può escludere – spiega Cartabellotta – che nella categoria denominata “Altro”, con oltre 1,4 milioni di dosi (14,4% del totale delle somministrazioni), rientri un certo numero di soggetti fragili». Escludendo da questo “contenitore” le 572.692 dosi (39,6%) somministrate a persone di età ≥70 anni, considerabili a rischio per fascia anagrafica, resta da fare luce su 873.787 (60,4%) dosi somministrate a soggetti di cui non è possibile rilevare altre indicazioni di priorità. «Per ragioni di trasparenza e monitoraggio – continua il Presidente – da un lato è indispensabile inserire nel report ufficiale la categoria dei soggetti ad elevata fragilità al fine di garantire una precisa rendicontazione, dall’altro bisogna fare chiarezza sulla categoria “altro”, che ancora una volta permette di rilevare enormi differenze regionali» (figure9 e 10).

 

Il ritardo nella protezione delle classi d’età più fragili emerge anche dal monitoraggio dell’European Centre for Disease Control and Prevention (ECDC): l’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, in particolare per la fascia 70-79 anni, dove si colloca a fondo classifica (figure 7 e 8).

«Se i vaccini rappresentano la via maestra per uscire gradualmente dalla pandemia – conclude Cartabellotta – è bene ribadire l’inderogabile necessità di proteggere in maniera prioritaria le persone fragili, più a rischio di sviluppare forme severe di COVID-19 che richiedono assistenza ospedaliera. Con l’attuale livello di sovraccarico degli ospedali, che non si ridurrà in tempi brevi, non possiamo più permetterci un nuovo rialzo di ricoveri e terapie intensive una volta avviate le graduali riaperture del Paese. Altrimenti continueremo a rimanere ostaggio delle misure restrittive, il cui obiettivo primario è proprio quello di limitare il sovraccarico ospedaliero».

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25 marzo 2021
Coronavirus: grazie alle restrizioni iniziano a scendere i nuovi casi, ma resta allarme terapie intensive in 12 Regioni. Over 80: ciclo vaccinale completato solo per 1 su 5

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA, NELLA SETTIMANA 17-23 MARZO, UN LIEVE DECREMENTO DEI NUOVI CASI (-4,8%) SEPPUR CON NOTEVOLI DIFFERENZE REGIONALI. SALGONO INVECE TUTTI GLI INDICATORI OSPEDALIERI: SATURAZIONE TERAPIE INTENSIVE >30% IN 12 REGIONI E REPARTI DI AREA MEDICA >40% IN 10 REGIONI. VACCINI: A 7 GIORNI DALLA FINE DEL TRIMESTRE NON RISULTANO CONSEGNATE OLTRE UN TERZO DELLE DOSI PREVISTE. VACCINAZIONE OVER 80: IL 19,1% HA COMPLETATO IL CICLO E IL 27,4% HA RICEVUTO SOLO LA PRIMA DOSE. TRA RITARDI E PRIORITÀ DIROTTATE SU “PERSONALE NON SANITARIO” E “ALTRO”, SECONDO I DATI DELL’ECDC ITALIA AGLI ULTIMI POSTI IN EUROPA NELLA VACCINAZIONE DEI PIÙ FRAGILI.

25 marzo2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 17-23 marzo 2021, rispetto alla precedente, una lieve riduzione dei nuovi casi (150.033 vs 157.677) (figura 1) e dei decessi (2.327 vs 2.522) (figura 2). Continuano invece ad aumentare i casi attualmente positivi (560.654 vs 536.115), le persone in isolamento domiciliare (528.680 vs 506.761), i ricoveri con sintomi (28.428 vs 26.098) e le terapie intensive (3.546 vs 3.256) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.327 (-7,7%)
  • Terapia intensiva: +290 (+8,9%)
  • Ricoverati con sintomi: +2.330 (+8,9%)
  • Isolamento domiciliare: +21.919 (+4,3%)
  • Nuovi casi: 150.033 (-4,8%)
  • Casi attualmente positivi: +24.539 (+4,6%)

«Nel pieno della terza ondata – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si intravedono i primi segnali di miglioramento: dopo quattro settimane consecutive si inverte il trend dei nuovi casi settimanali e si riduce l’incremento percentuale dei nuovi casi». Tuttavia, il dato nazionale risente di situazioni regionali molto eterogenee: infatti, in 10 Regioni l’incremento percentuale dei nuovi casi è ancora in crescita e in 14 Regioni si amplia il bacino dei casi attualmente positivi (tabella).

«Per la maggior parte delle Regioni – spiega il Presidente – è evidente la netta correlazione tra variazione percentuale dei nuovi casi e il “colore”delle Regioni di 3 settimane fa». Infatti, nella maggior parte delle Regioni che erano in zona rossa o arancione o avevano comunque attuato rigorose restrizioni mirate, la variazione percentuale dei nuovi casi è in riduzione: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Molise, P.A. Bolzano, P.A. Trento, Umbria. Viceversa, lo stesso dato è in aumento in Calabria, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Veneto, che 3 settimane fa erano in area gialla o bianca. La situazione di Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Toscana è di più difficile interpretazione, dimostrando che altri fattori (es. intensità dell’attività di testing, rispetto delle misure individuali) influenzano la curva dei contagi.

«Nonostante la lieve flessione della curva dei contagi – commenta Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – peggiora la situazione sul versante ospedaliero, anche perché la terza ondata è partita da un “altopiano” molto elevato di posti letto occupati». Infatti, a livello nazionale entrambe le soglie di allerta di occupazione di posti letto da parte di pazienti COVID in area medica (>40%) e in terapia intensiva (>30%) sono superate: rispettivamente 43% e 39%. Superata la soglia d’allarme in 10 e 12 Regioni rispettivamente per l’area medica e per le terapie intensive, che in 5 Regioni hanno una saturazione ≥40% (Umbria, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Abruzzo, Toscana) e in 5 ≥50% (Marche, Lombardia, P.A. Trento, Piemonte, Emilia-Romagna). «Su questo fronte – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – è incoraggiante la frenata dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva: la curva della media mobile a 7 giorni dopo 4 settimane di incremento si èappiattita» (figura 5).

Vaccini: forniture. Delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 24 marzo (aggiornamento ore 6.01) risultano consegnate alle Regioni 9.911.100 dosi (63,1%), al netto di ritardi di notifica. In dettaglio:

Vaccini: somministrazioni. Al 24 marzo (aggiornamento ore 6.01) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 2.624.201 milioni di persone (4,4% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 3,4% di Sardegna e Calabria al 5,7% del Friuli-Venezia Giulia (figura 6). «Sul fronte AstraZeneca – spiega Gili – nessun contraccolpo dopo lo stop della scorsa settimana: infatti, nelle giornate di domenica 21, lunedì 22 e martedì 23, il numero di somministrazioni ha superato quello dei giorni corrispondenti della settimana precedente» (figura 7).

Rispetto alle fasce più a rischio, si conferma il notevole ritardo nella vaccinazione degli oltre 4,4 milioni di over 80: solo 846.007 (19,1%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.210.236 (27,4%) hanno ricevuto solo la prima dose di vaccino, con rilevanti e ingiustificabili differenze regionali (figura 8). «Questi dati – spiega Cartabellotta – certificano l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo della Commissione Europea di immunizzare almeno l’80% degli over 80 entro fine marzo, sia perché la loro vaccinazione è iniziata solo a metà febbraio, sia perché le Regioni hanno dato priorità a categorie non previste dal Piano vaccinale: il “personale non sanitario” e il non meglio spiegato “altro” – categoria comparsa proprio ieri nel database ufficiale – dove le somministrazioni continuano a crescere (figura 9)». D’altronde, secondo i dati dell’ECDC, l’Italia si trova agli ultimi posti della classifica europea per soggetti over 80 che hanno completato il ciclo vaccinale.

«Nel discorso di ieri in Parlamento – conclude Cartabellotta – il Presidente Draghi ha auspicatodi procedere, compatibilmente con la situazione epidemiologica, con un piano di graduali riaperture già dopo le festività pasquali, mettendo al primo posto la scuola. Tuttavia, per mettere fine all’estenuante stop & go degli ultimi mesi serve un piano strategico per guidare le riaperture con priorità basate su criteri espliciti, che tengano conto della probabilità di contagio e dell’impatto economico e sociale. Ma soprattutto, un piano guidato dalla consapevolezza che, nell’impossibilità di piegare la curva dei casi positivi per riprendere il tracciamento, questa tende inesorabilmente a risalire non appena si allentano le misure. E che senza un adeguata copertura di persone fragili vaccinate tornano a riempirsi gli ospedali e ad aumentare i decessi».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org

 

 

INVITO

In occasione del 25° compleanno della Fondazione GIMBE, oggi alle ore 18.00 sarà trasmesso in diretta streaming l’evento Il Servizio Sanitario Nazionale prima, durante e dopo la pandemia COVID-19.
 

Il Presidente Nino Cartabellotta sarà a colloquio con Riccardo Iacona sul passato, presente e futuro del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che mai come in questo momento ha confermato di essere una conquista sociale irrinunciabile per l'eguaglianza e la dignità di tutti i cittadini italiani.
 

Diretta streaming a: https://25anni.gimbe.org


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18 marzo 2021
Coronavirus: oltre 530 mila casi attualmente positivi, in 10 regioni occupazione terapie intensive ≥40%. Consegne vaccini: a 2 settimane dalla fine del 1° trimestre mancano all’appello 45% delle dosi

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA,NELLA SETTIMANA 10-16 MARZO,TUTTI I NUMERI IN AUMENTO: NUOVI CASI +8,3%, RICOVERATI CON SINTOMI +16,5% ETERAPIE INTENSIVE +18,1%. IN UN MESE QUASI RADDOPPIATO IL NUMERO MEDIO DEI NUOVI INGRESSI/DIE IN TERAPIA INTENSIVA. VACCINI: A 2 SETTIMANE DALLA FINE DEL TRIMESTRE,NON ANCORA CONSEGNATE QUASI LA METÀDELLE DOSI PREVISTE. CAOS ASTRAZENECA: OLTRE AI RALLENTAMENTI NELLE SOMMINISTRAZIONI, RISCHIO EFFETTO BOOMERANG FIGLIO DI UNA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE INADEGUATA E DI UNA DECISIONE PIÙ POLITICA CHE SCIENTIFICA.

18 marzo 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBErileva nella settimana 10-16 marzo 2021, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento dei nuovi casi (157.677 vs 145.659) (figura 1)edei decessi (2.522 vs 2.191) (figura 2). Continuano a salire icasi attualmente positivi (536.115 vs 478.883), le persone in isolamento domiciliare (506.761 vs 453.734), i ricoveri con sintomi (26.098 vs 22.393) e le terapie intensive (3.256 vs 2.756) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.522 (+15,1%)
  • Terapia intensiva: +500 (+18,1%)
  • Ricoverati con sintomi: +3.705 (+16,5%)
  • Isolamento domiciliare: +53.027 (11,7%)
  • Nuovi casi: 157.677 (+8,3%)
  • Casi attualmente positivi: +57.232 (+12%)

«L’ulteriore incremento dei nuovi casi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha determinato nell’ultima settimana la netta espansione del bacino dei casi attualmente positivi, aumentato di oltre 57 mila unità».Rispetto alla settimana precedente,i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti crescono in 16 Regioni e in 14 si registra un incremento percentuale dei nuovi casi (tabella).

L’aumento dei casi attualmente positivi si riflette sulle curve relative ai servizi ospedalieri: l’occupazione dei posti letto di area medica da parte di pazienti COVID supera in 9 Regioni la soglia di allerta (>40%). Anche nelle terapie intensive, il cui tasso di saturazione nazionale oltrepassa la soglia critica attestandosi al 36%, l’occupazione da parte di pazienti COVID supera il 30% in 13 Regioni: in particolare, in 5 Regioni (Toscana, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Molise) è ≥40% e in altre 5 è ≥50% (Emilia Romagna, Lombardia, Umbria, Marche, Prov. autonoma di Trento) (figura 5). «Il sovraccarico ospedaliero – commenta Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – oltre a rendere più complessa l’assistenza dei pazienti COVID, aumenta lo stress di personale e servizi ospedalieri e impone di rimandare interventi chirurgici e altre prestazioni non urgenti per pazienti non COVID».

«A preoccupare – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – è anche il trend in continua ascesa dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva: in 4 settimane la media mobile a 7 giorni è aumentata del 94,2%, passando da 134 a 260» (figura 5).

Vaccini: forniture. Delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 17 marzo (aggiornamento ore 6.01) risultano consegnate alle Regioni 8.597.500 dosi, poco più della metà di quelle previste. In dettaglio:

«Visto che per rispettare le scadenze contrattuali fissate 31 marzo – commenta Cartabellotta – rimangono da consegnare oltre 7 milioni di dosi nelle prossime due settimane, l’Europa deve mettere in campo nuovi strumenti per garantire le forniture, pena lo slittamento continuo dei piani vaccinali di tutti i Paesi».

Vaccini: somministrazioni. Al 17 marzo (aggiornamento ore 6.01) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 2.145.434 milioni di persone (3,6% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 2,71% della Calabria al 5,12% della Valle D’Aosta (figura 6). Purtroppo, l’accelerazione della vaccinazione di massa registrata nelle ultime settimane ha subìto un’inevitabile battuta d’arresto dopo il blocco precauzionale e temporaneo del vaccino AstraZeneca, in attesa del parere definitivo dell’European Medicines Agency atteso per oggi. «A seguito di questo increscioso episodio – commenta Cartabellotta – al di là dei tempi organizzativi per ripartire,non è possibile stimare la riduzione dell’adesione generale alla campagna vaccinale, né l’impatto della diffidenza (o del rifiuto?) individuale rispetto al vaccino AstraZeneca. Un effetto boomerang generato da una comunicazione istituzionale frammentata e non lineare, frutto di una decisione impulsiva più politica che scientifica».Nel frattempo, rispetto alla protezione dei più fragili, degli oltre 4,4 milioni di over 80, 1.258.139 (28,5%) hanno ricevuto solo la prima dose di vaccino e 469.783 (10,6%) hanno completato il ciclo vaccinale con rilevanti differenze regionali (figura7). «Numeri in crescita – commenta Gili – ma ancora troppo esigui per osservare risultati tangibili in termini di riduzione di ospedalizzazioni e decessi nella fascia di età più colpita dalla COVID-19».

«Tre ragionevoli certezze – conclude Cartabellotta – documentano che stiamo attraversando una fase molto critica della pandemia. Innanzitutto, la terza ondata è ripartita da un “altopiano” determinando la rapida saturazione di posti letto in area medica e terapia intensiva,in particolare in alcune Regioni. In secondo luogo, il trend dei pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva è in rapida ascesa e difficilmente raggiungerà il picco prima di 3 settimane dall’introduzione delle nuove misure restrittive. Infine, i ritardi delle forniture vaccinali e il caso AstraZeneca allontanano gli effetti della campagna vaccinale. In questo scenario, con una popolazione psicologicamente ed economicamente sfiancata e operatori sanitari allo stremo, quale sarà il cambio di passo del Governo Draghi per salvare, almeno in parte, la stagione estiva?».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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11 marzo 2021
Coronavirus: il contagio avanza, terapie intensive sotto pressione in 11 Regioni. Vaccini: nel 1° trimestre consegnate meno del 50% delle dosi previste, il 3% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE REGISTRA, NELLA SETTIMANA 3-9 MARZO, TUTTI I NUMERI IN AUMENTO: NUOVI CASI +18,2%, RICOVERATI CON SINTOMI +14,4% E TERAPIE INTENSIVE +18,4, CON NUMERO MEDIO DEI NUOVI INGRESSI/DIE CHE PASSA DA 134 A 223. VACCINI: SUL FRONTE DELLE CONSEGNE, A 3 SETTIMANE DALLA FINE DEL TRIMESTRE, MANCA ALL’APPELLO PIÙ DELLA METÀ DELLE DOSI PREVISTE. IL 2,9% DELLA POPOLAZIONE HA COMPLETATO IL CICLO VACCINALE: DEGLI OVER 80 IL 25% HA RICEVUTO LA PRIMA DOSE E SOLO IL 5,2% ANCHE LA SECONDA. NUOVE RESTRIZIONI SIANO DECISE IN BASE A DATI ED EVIDENZE SCIENTIFICHE, SENZA INTERPRETAZIONI OPPORTUNISTICHE IN NOME DI UN VERO RILANCIO ECONOMICO DEL PAESE, IRREALISTICO IN QUESTA NUOVA FASE ESPANSIVA DELLA PANDEMIA.

11 marzo2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 3-9 marzo 2021, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento dei nuovi casi (145.659 vs 123.272) (figura 1) e, per la prima volta da 8 settimane, una risalita dei decessi (2.191 vs 1.940) (figura 2). In crescita i casi attualmente positivi (478.883 vs 430.996), le persone in isolamento domiciliare (453.734 vs 409.099), i ricoveri con sintomi (22.393 vs 19.570) e le terapie intensive (2.756 vs 2.327) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.191 (+12,9%)
  • Terapia intensiva: +429 (+18,4%)
  • Ricoverati con sintomi: +2.823 (+14,4%)
  • Isolamento domiciliare: +44.635 (10,9%)
  • Nuovi casi: 145.659 (+18,2%)
  • Casi attualmente positivi: +47.887 (+11,1%)

«Da tre settimane consecutive – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si registra il progressivo incremento dei nuovi casi con inversione di tendenza di tutte le curve, che conferma l’inizio della terza ondata». Rispetto alla settimana precedente, in 15 Regioni aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti e in 15 si registra un incremento percentuale dei nuovi casi (tabella 1).

«Sul fronte ospedaliero – commenta Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – l’occupazione dei posti letto da parte di pazienti COVID supera in 7 Regioni la soglia del 40% in area medica, con una media nazionale che si attesta al 35%; anche le terapie intensive, la cui occupazione a livello nazionale oltrepassa la soglia di allerta attestandosi al 31%, risultano sotto pressione in ben 11 Regioni». Particolarmente critiche le situazioni dove il tasso di occupazione è ≥40% (figura 4): Molise (67%), Umbria (57%), P.A. Trento (54%), Marche (44%), Lombardia (43%), Abruzzo (40%), Emilia-Romagna (40%). «Oltre al tasso di occupazione da parte di pazienti COVID-19 – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – preoccupa il trend in continua ascesa dei nuovi ingressi giornalieri in terapia intensiva: in sole 3 settimane la media mobile a 7 giorni è aumentata del 66%, passando da 134 a 223» (figura 5).

Vaccini: forniture. Delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 10 marzo (aggiornamento ore 6:01) risultano consegnate alle Regioni 7.207.990 dosi, meno della metà di quelle previste. In dettaglio:

Negli ultimi 7 giorni sulla piattaforma ufficiale sono state registrate solo 665.730 dosi di Pfizer/BioNTech, mentre non risulta alcuna consegna per i vaccini Moderna e AstraZeneca, anche se non si possono escludere ritardi di notifica. «Secondo i dati ufficiali – commenta Cartabellotta – per rispettare le scadenze contrattuali, entro la fine del mese dovrebbero essere consegnate in media 2,8 milioni di dosi/settimana, rispetto ad una media di 680.000 dosi/settimana consegnate dall’inizio dell’anno».

Vaccini: somministrazioni. Al 10 marzo (aggiornamento ore 6:01) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 1.747.516 milioni di persone (2,9% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 4,46% della Valle D’Aosta al 2,27% dell’Abruzzo (figura 6). Se da un lato il numero di somministrazioni sta progressivamente aumentando, con l’80,2% delle dosi consegnate somministrate alla popolazione, persistono notevoli differenze tra i diversi tipi di vaccino: se per Pfizer, infatti, sono state iniettate oltre il 90% delle dosi disponibili, questa percentuale scende per i vaccini AstraZeneca (52,2%) e Moderna (44,2%). «L’estensione da parte del Ministero della Salute all’uso del vaccino AstraZeneca agli over 65 – spiega Gili – rende urgente finalizzare gli accordi regionali con i medici di famiglia, laddove non ancora definiti, perchè la loro piena collaborazione è decisiva per accelerare la vaccinazione della popolazione generale». Infine, rispetto alla protezione dei più fragili, degli oltre 4,4 milioni di over 80,1.098.047 (24,8%) hanno ricevuto unicamente la prima dose di vaccino e solo 231.058 (5,2%) hanno completato il ciclo vaccinale con rilevanti differenze regionali (figura7), anche se nelle ultime due settimane si registra un netto cambio di marcia (figura8).

«La ricomposizione dell’Esecutivo – conclude Cartabellotta – inevitabilmente condizionerà entità e durata delle restrizioni che saranno discusse nel Consiglio dei Ministri di domani. Tuttavia, al di là delle posizioni delle singole forze politiche, tre dati sono inconfutabili in questa fase della pandemia. Innanzitutto, l’inversione di tendenza della curva dei contagi documenta l’avvio della terza ondata, seppur con rilevanti differenze regionali. In secondo luogo, in oltre la metà delle Regioni ospedali e soprattutto terapie intensive sono già in sovraccarico, anche importante, come dimostra la sospensione delle attività ordinarie. Infine, tutte le Regioni e Province dove nelle scorse settimane sono state attuate zone rosse hanno arginato la crescita dei contagi, dimostrando l’efficacia delle misure restrittive nel piegare la curva dei contagi. Qualsiasi interpretazione opportunistica di questi dati finalizzata ad ammorbidire le misure di contenimento, in nome di un illusorio rilancio economico del Paese, rappresenta una severa minaccia alla salute e alla vita delle persone, in particolare se alimentata da evidenze scientifiche parziali o interpretate in maniera strumentale per legittimare decisioni politiche».

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4 marzo 2021
Coronavirus: parte la terza ondata. Zone rosse locali in ritardo e campagna vaccinale che non decolla

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE REGISTRA, NELLA SETTIMANA 24 FEBBRAIO-2 MARZO, UN AUMENTO DEL 33% NUOVI CASI E NUMERI IN CRESCITA SUL FRONTE DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE. A FRONTE DELLA VERTIGINOSA ACCELERAZIONE IMPRESSA DALLE VARIANTI, SI CONTINUA A TEMPOREGGIARE INUTILMENTE NELL’ISTITUIRE ZONE ROSSE LOCALI. LA CAMPAGNA VACCINALE DI MASSA NON DECOLLA: MENTRE IL DIBATTITO SI CONCENTRA SU PRODUZIONE E FORNITURE, RIMANGONO NEL FRIGO QUASI 2 MILIONI DI DOSI, IL 30% DI QUELLE CONSEGNATE. NEL NUOVO DPCM NESSUNA NUOVA STRATEGIA PER CONTENERE L’EPIDEMIA, ECCETTO L’ENNESIMA BATTUTA D’ARRESTO PER LA SCUOLA.

4 marzo 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 24 febbraio - 2 marzo 2021, rispetto alla precedente, un netto incremento dei nuovi casi (123.272 vs 92.571) (figura 1) e un modesto calo dei decessi (1.940 vs 2.177) (figura 2). In forte rialzo i casi attualmente positivi (430.996 vs 387.948), le persone in isolamento domiciliare (409.099 vs 367.507), i ricoveri con sintomi (19.570 vs 18.295) e le terapie intensive (2.327 vs 2.146) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi

Figura 2. Trend settimanale dei decessi

Figura 3. Trend settimanale di casi attualmente positivi, isolamento domiciliare, ricoveri con sintomi, terapie intensive

  • Decessi: 1.940 (-10,9%)
  • Terapia intensiva: +181(+8,4%)
  • Ricoverati con sintomi: +1.275 (+7%)
  • Isolamento domiciliare: +41.592 (11,3%)
  • Nuovi casi: 123.272 (+33,2%)
  • Casi attualmente positivi: +43.048(+11,1%)

«Per la seconda settimana consecutiva – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si registra un incremento dei nuovi casi che negli ultimi 7 giorni supera il 33%, segnando l’inizio della terza ondata». Rispetto alla settimana precedente, in 16 Regioni e nella P.A. di Trento aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti e in tutto il Paese sale l’incremento percentuale dei nuovi casi ad eccezione della P.A.di Bolzano, Umbria e Molise già sottoposte a severe misure restrittive (tabella 1). Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti COVID supera in 5 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 9 Regioni quella del 30% delle terapie intensive.

Tabella 1. Indicatori regionali: settimana 24 febbraio-2 marzo 2021

Controllo delle varianti. L’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità ha stimato, al 18 febbraio, la prevalenza della variante inglese al 54% (range: 0-93,3%), di quella brasiliana al 4,3% (range: 0-36,2%) e di quella sudafricana allo 0,4% (range: 0-2,9%). «Con la situazione epidemiologica in rapida evoluzione – commenta Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – la diffusione attuale è sicuramente maggiore ed è pertanto fondamentale essere realmente tempestivi nell’istituzione delle zone rosse a livello comunale e provinciale». In particolare, nella settimana 24 febbraio-2 marzo,in94/107Province (87,6%) si registra un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, con valori che superano il 20% in ben 65 Province (tabella 2). «Nonostante l’allerta lanciata dalla Fondazione GIMBE già da due settimane –continua il Presidente –gli amministratori locali continuanoa ritardare le chiusure se non davanti a un rilevante incremento dei nuovi casi, quando è ormai troppo tardi. Infatti, in presenza di varianti più contagiose, questa “non strategia”favorisce la corsa del virus, rendendo necessarie chiusure più estese e prolungate».

Tabella 2. Province con incremento dei nuovi casi >20% nella settimana 24 febbraio-2 marzo

Vaccini: forniture. Delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 3 marzo (aggiornamento ore 10:17) ne sono state consegnate alle Regioni 6.542.260. Questo significa che per rispettare le scadenze contrattuali fissate al 31 marzo, nelle prossime 4settimane dovranno essere consegnate in media2,3milioni di dosi/settimana. In dettaglio:

Vaccini: somministrazioni. Al 3 marzo(aggiornamento ore 10:17) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 1.454.503milioni di persone (2,44% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 4,18% della PA di Bolzano all’1,72% dell’Umbria (figura 4). «L’avvio della campagna vaccinale fuori da ospedali e RSA – commenta Gili – ha determinato una frenata sul fronte delle somministrazioni, con quasi 2 milioni di dosi (pari al 30% delle consegne) ancora inutilizzate».Si rilevano inoltre rilevanti differenze tra i diversi vaccini (figura 5): mentrele somministrazioni di Pfizer si attestano all’89% delle dosi consegnate, quelle di Moderna e AstraZeneca stanno infatti procedendo più lentamente. Tuttavia, se il 29,1% di Moderna è condizionato al ribasso dalla recente consegna della metà delle dosi, per AstraZeneca le somministrazioni si attestano al 26,9%, spia di problemi organizzativi nella vaccinazione di massa, anche se non si possono escludere possibili rinunce selettive a questo vaccino o ritardi nella rendicontazione dei dati.«Peraltro a differenza dei vaccini di Pfizer e Moderna – spiega Cartabellotta –per i quali, visti i ritardi nelle forniture, è prudente mettere da parte le per il richiamo previsto rispettivamente a 3 e 4 settimane, per AstraZeneca è possibile somministrare la seconda dose sino a 12 settimane: non esiste quindi alcuna ragione per accantonare le dosi, ma bisogna invece velocizzare le somministrazioni». Infine, rispetto alla protezione dei più fragili, degli oltre 4,4 milioni di over80,762.271(17,2%) hanno ricevuto solo la prima dose di vaccino e solo 149.620(3,4%) hanno completato il ciclo vaccinale, anche qui con rilevanti differenze regionali (figura6).

Figura 4. Percentuale di popolazione che ha completato il ciclo vaccinale

Figura 5. Dosi consegnate e somministrate per tipologia di vaccino

Figura 6. Vaccinazione degli over 80

«Tuttavia la strada per accelerare la campagna vaccinale – puntualizza il Presidente –non deve certo portare ad avventurarsi in rischiosi azzardi, come l’ipotesi di somministrare un’unica dose di vaccino Pfizer o Moderna. In assenza di robuste evidenze scientifiche che permettano alle agenzie regolatorie di modificare le modalità di somministrazione del prodotto si tratterebbe di un uso off-label del vaccino, con risvolti sul consenso informato e sulle responsabilità medico-legali».

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – già da settimane segnala le spie rosse di un’aumentata circolazione del virus, la cui forte accelerazionesta di fatto avviando la terza ondata. Ma i tempi di politica e burocrazia sono sempre troppo lunghie le zone rosse locali arrivano quando la situazione ormai è sfuggita di mano. La campagna vaccinale, intanto, stenta a decollare non solo per i noti ritardi di produzione e consegna delle dosi, ma anche per difficoltà organizzative di molte Regionichelasciano “in fresco” dosi di vaccino che potrebbero evitare ricoveri e salvare vite, soprattutto tra lepersone più a rischio di COVID-19 severa. Infine, il primo DPCM a firma Draghi non segna affatto il cambio di passo auspicato: il sistema delle Regioni “a colori” resta di fatto immutato, così come le misure per la maggior parte delle attività produttive e commerciali. E a pagare il conto più salato, come sempre,è la scuola».

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25 febbraio 2021
Coronavirus: in 7 giorni +10% di nuovi casi e spie rosse in 41 province. Risalgono le terapie intensive. Regioni in ordine sparso sulla vaccinazione di massa, doppia dose solo al 2,9% degli over 80

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE REGISTRA NELLA SETTIMANA 17-23 FEBBRAIO UN AUMENTO DEI NUOVI CASI CHE RIFLETTE L’ESPANDERSI DI VARIANTI PIÙ CONTAGIOSE. INCREMENTI PERCENTUALI DEI NUOVI CASI OLTRE IL 20% IN 41 PROVINCE RICHIEDONO RESTRIZIONI MIRATE E TEMPESTIVE PER EVITARE LOCKDOWN PIÙ ESTESI. CAMPAGNA VACCINALE SOTTO SCACCO DELLE FORNITURE, MA NECESSARIO ACCELERARE ANCHE SUL FRONTE DELLE SOMMINISTRAZIONI. GOVERNO DRAGHI IMPONGA UN NETTO CAMBIO PASSO: PIÙ VACCINI, MAGGIORE SINTONIA CON LE REGIONI, CHIUSURE TEMPESTIVE E UN REALISTICO PIANO DI GRADUALE RITORNO ALLA NORMALITÀ DA CONDIVIDERE CON I CITTADINI, EVITANDO DI FISSARE SCADENZE ILLUSORIE, PERCHÉ L’AGENDA DEL PAESE È ANCORA DETTATA DAL VIRUS.

25 febbraio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 17-23 febbraio 2021, rispetto alla precedente, un incremento dei nuovi casi (92.571 vs 84.272) (figura 1) a fronte di un numero stabile di decessi (2.177 vs 2.169) (figura 2). In lieve riduzione i casi attualmente positivi (387.948 vs 393.686), le persone in isolamento domiciliare (367.507 vs 373.149) e i ricoveri con sintomi (18.295 vs 18.463), mentre risalgono le terapie intensive (2.146 vs 2.074) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.177 (+0,4%)
  • Terapia intensiva: +72 (+3,5%)
  • Ricoverati con sintomi: -168 (-0,9%)
  • Isolamento domiciliare: -5.642 (-1,5%)
  • Nuovi casi: 92.571 (+9,8%)
  • Casi attualmente positivi: -5.738 (-1,5%)

«Dopo 4 settimane di stabilità nel numero dei nuovi casi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si rileva un’inversione di tendenza con un incremento che sfiora il 10%, segno della rapida diffusione di varianti più contagiose». Rispetto alla settimana precedente, infatti, in 11 Regioni aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti, e in 10 Regioni sale l’incremento percentuale dei casi totali (tabella 1). Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti COVID supera in 4 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 8 Regioni quella del 30% delle terapie intensive, che, a livello nazionale, dopo 5 settimane di calo fanno registrare un’inversione di tendenza.

Controllo delle varianti. La progressiva diffusione della variante inglese sta determinando impennate di casi che richiedono un attento monitoraggio per identificare tempestivamente Comuni o Province dove attuare le zone rosse. «Secondo le nostre analisi – spiega il Presidente – l’incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente è l’indicatore più sensibile per identificare le numerose spie rosse che si accendono nelle diverse Regioni». In particolare, nella settimana 17-23 febbraio in ben 74/107 Province (68,5%) si registra un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, con valori che superano il 20% in 41 Province (tabella 2). «Questi dati – commenta Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – confermano che, per evitare lockdown più estesi, bisogna introdurre tempestivamente restrizioni rigorose nelle aree dove si verificano impennate repentine. Temporeggiare in attesa dei risultati del sequenziamento o di un consistente incremento dei nuovi casi è molto rischioso perchè la situazione rischia di sfuggire di mano».

Vaccini: forniture. La continua revisione al ribasso, documentata dai 4 aggiornamenti ufficiali delle forniture attese, in soli 2 mesi ha quasi dimezzato le dosi previste per il primo trimestre 2021 che sono precipitate da 28,3 a 15,7 milioni (figura 4). «Una riduzione di tale entità – commenta Cartabellotta – se da un lato è imputabile ai ritardi di produzione e consegna da parte delle aziende, dall’altro risente di irrealistiche stime di approvvigionamento del Piano vaccinale originale». Inoltre, delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.01) ne sono state consegnate alle Regioni solo un terzo: per rispettare le scadenze nelle prossime 5 settimane dovranno essere consegnate in media 2,3 milioni di dosi/settimana. In dettaglio:

Nelle ultime due settimane preoccupante frenata anche sul fronte delle somministrazioni, per difficoltà organizzative legate all’avvio della vaccinazione di massa (figura 5). «Non a caso – sottolinea Gili – è stato somministrato solo il 14% delle dosi di AstraZeneca, destinate a persone “fuori” da ospedali e RSA come insegnanti e forze dell’ordine di età <65 anni». Notevoli le differenze regionali: se Toscana (64%), Valle d’Aosta (41,2%), P.A. di Bolzano (37,6%) e Lazio (25%) hanno somministrato almeno un quarto delle dosi consegnate da AstraZeneca, 5 Regioni non hanno nemmeno iniziato e 2 hanno somministrato meno dell’1% delle dosi consegnate. «Di conseguenza – puntualizza Cartabellotta – dai primi posti in classifica tra i Paesi europei conquistati nella prima fase della campagna vaccinale, l’Italia ha perso numerose posizioni perché non tutte le Regioni erano pronte per la vaccinazione di massa».

Vaccini: somministrazioni. Al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.01) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose oltre 1,34 milioni di persone (2,25% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 1,58% dell’Abruzzo al 4,17% della P.A. di Bolzano (figura 6). «Se l’obiettivo della prima fase della campagna vaccinale – spiega il Presidente – era proteggere, oltre al personale sanitario e socio-sanitario, le persone più fragili (ospiti RSA e over 80), aver somministrato oltre 655 mila dosi (17,7%) al personale non sanitario (figura 7) stride con l’esigua copertura degli over 80: su oltre 4,4 milioni solo 380 mila (8,6%) hanno ricevuto la prima dose di vaccino e circa 127 mila (2,9%) hanno completato il ciclo vaccinale (figura 8). Un’inversione di priorità, non prevista dal piano vaccinale, che sta ritardando la protezione della categoria che ha pagato il tributo più alto in termini di vite umane».

«Per uscire dalla pandemia – conclude Cartabellotta – è necessario un netto cambio di passo del Governo Draghi. Innanzitutto, incrementare le forniture lavorando ad accordi vincolanti tra Europa e aziende produttrici ed eventuale produzione conto terzi in Italia, oltre ad accelerare le somministrazioni attraverso uno stretto monitoraggio regionale per identificare eventuali criticità. In secondo luogo, le Regioni devono applicare con massima tempestività e rigore le zone rosse locali per evitare lockdown più estesi e arginare gli effetti della terza ondata. Infine, Governo e Regioni devono concertare una programmazione di riaperture a medio-lungo periodo, condividendo con la popolazione obiettivi realistici per un graduale ritorno alla normalità, evitando di fissare scadenze illusorie, perché l’agenda del Paese è ancora dettata dal virus».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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18 febbraio 2021
Coronavirus: misure insufficienti per piegare curva contagi. Vaccini: consegnate solo un terzo delle dosi del 1° trimestre, frenano le somministrazioni

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA CHE NELLA SETTIMANA 10-16 FEBBRAIO I NUOVI CASI NON ACCENNANO A DIMINUIRE. IN 12 REGIONI SALGONO I CASI ATTUALMENTE POSITIVI PER 100 MILA ABITANTI E IN 17 PROVINCE L’INCREMENTO PERCENTUALE DEI NUOVI CASI SUPERA IL 5%. LA CAMPAGNA VACCINALE, OSTAGGIO DI FORNITURE CENTELLINATE, REGISTRA I PRIMI RALLENTAMENTI NELLA SOMMINISTRAZIONE FUORI DA OSPEDALI E RSA. APPELLO AL GOVERNO DRAGHI: SERVE UN CAMBIO DI PASSO NEL CONTROLLO DELLA PANDEMIA PERCHÉ, COMPLICI LE VARIANTI, È IMPOSSIBILE PIEGARE LA CURVA DEI CONTAGI CON LE ATTUALI MISURE DI MITIGAZIONE, CONFIDANDO SOLO NEL POTENZIAMENTO DELLA CAMPAGNA VACCINALE.

18 febbraio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 10-16 febbraio 2021, rispetto alla precedente, un numero stabile di nuovi casi (84.272 vs 84.711) (figura 1). Scendono i casi attualmente positivi (393.686 vs 413.967), le persone in isolamento domiciliare (373.149 vs 392.312), i ricoveri con sintomi (18.463 vs 19.512), le terapie intensive (2.074 vs 2.143) (figura 2) e i decessi (2.169 vs 2.658) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.169 (-18,4%)

  • Terapia intensiva: -69 (-3,2%)

  • Ricoverati con sintomi: -1.049 (-5,4%)

  • Isolamento domiciliare: -19.163 (-4,9%)

  • Nuovi casi: 84.272 (-0,5%)

  • Casi attualmente positivi: -20.281 (-4,9%)

«Anche questa settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – nonostante i dati riflettano i contagi avvenuti in un’Italia tinta di rosso e arancione, i nuovi casi non accennano a diminuire. E guardando ai dati regionali si rilevano segnali di incremento, favoriti dalla circolazione delle nuove varianti». Infatti, in 12 Regioni aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti rispetto alla settimana precedente (tabella 1) e l’incremento percentuale dei casi negli ultimi 7 giorni, in apparenza stabile a livello regionale, supera il 5% in 17 Province (tabella 2). Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti COVID supera in 3 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 5 Regioni quella del 30% delle terapie intensive.

 

Varianti virali. La prima indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha rilevato la presenza della variante inglese in 14 su 16 Regioni, con una prevalenza media del 17,8% (range 0-59%). «In attesa dei risultati della nuova indagine che sarà condotta anche sulle varianti brasiliana e sudafricana – dichiara Cartabellotta – invitiamo le Istituzioni a rendere pubblici i dati di prevalenza per le singole Regioni». In un momento in cui la campagna vaccinale progredisce a rilento, la maggiore trasmissibilità delle varianti richiede infatti sia di attuare restrizioni tempestive ove necessario, sia di potenziare l’attività di sequenziamento, ancora molto lontana dagli standard fissati dalla Commissione Europea: almeno il 5%, idealmente il 10% dei tamponi molecolari positivi al SARS-CoV-2.

Strategia mitigazione vs “zero-COVID”. Nonostante gli effetti del sistema delle Regioni “a colori”, introdotto più di 3 mesi fa, tutte le curve si trovano in un plateau d’alta quota (figura 2): quasi 390 mila positivi, oltre 18.200 persone in ospedale e più di 2.000 in terapia intensiva. Di conseguenza, spiega Cartabellotta «se il nuovo Esecutivo manterrà la strategia di mitigazione con il solo obiettivo di contenere il sovraccarico degli ospedali, bisogna accettare lo sfiancante stop&go degli ultimi mesi almeno per tutto il 2021. Se invece intende perseguire l’obiettivo europeo zero-COVID, sulla scia della strategia tedesca No-COVID, questo è il momento per abbattere la curva dei contagi con un lockdown rigoroso di 2-3 settimane al fine di riprendere il tracciamento, allentare la pressione sul sistema sanitario, accelerare le vaccinazioni e contenere l’emergenza varianti». Ovviamente questa strategia presuppone che il sistema (sanitario e non) sia predisposto a far fruttare i risultati del lockdown: dal potenziamento dei sistemi di testing alla ripresa del contact tracing anche con strumenti elettronici; dal passaggio della quarantena fiduciaria a quella monitorata; dal potenziamento del trasporto locale alla messa in sicurezza di scuole, Università e luoghi pubblici su areazione e deumidificazione dei locali; da rigorose politiche per controllare frontiere e flussi turistici a strategie di coinvolgimento attivo dei cittadini e misure più rigorose per il rispetto delle regole.

Vaccini: forniture. Al 17 febbraio (aggiornamento ore 15:00) sono state consegnate alle Regioni 4,07 milioni dosi di vaccino, il 31,8% dei 12,8 milioni attesi per il primo trimestre 2021. In dettaglio:

  • Pfizer/BioNTech: 3.288.870 dosi pari al 44,7% di quelle previste (7,3 milioni), escluse le 6,6 milioni di dosi aggiuntive la cui consegna è prevista entro giugno, ma senza dettagli sulla ripartizione trimestrale
  • Moderna: 244.600 dosi pari all’18,4% di quelle previste (1,3 milioni)
  • AstraZeneca: 542.400 dosi pari al 13% di quelle previste (4,2 milioni)

«Per rispettare la tabella di marcia delle forniture – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – entro fine marzo dovrebbero essere consegnate in media 1,45 milioni di dosi/settimana, a fronte delle quasi 600 mila attuali». Dal canto loro le Regioni devono essere pronte ad accelerare le somministrazioni, che oggi viaggiano ad una media di circa 480 mila per settimana. «Peraltro se da un lato vengono correttamente accantonate le dosi per il richiamo – puntualizza Cartabellotta – dall’altro nell’ultima settimana si rileva un rallentamento delle somministrazioni di quasi il 30%, possibile spia di difficoltà organizzative della campagna vaccinale fuori da ospedali e RSA» (figura 4).

Vaccini: somministrazioni. Al 17 febbraio (aggiornamento ore 15:00) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 1.298.844 persone (2,18% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 1,46% della Calabria al 4,15% della Provincia Autonoma di Bolzano (figura 5). Il 66% delle dosi è stato somministrato a “operatori sanitari e sociosanitari”, il 19% a “personale non sanitario”, l’11% a “personale ed ospiti delle RSA” e il 4% a “persone di età ≥80 anni”, con notevoli differenze regionali (figura 6). «La vera criticità di questa fase 1 – precisa Gili – è che solo il 5,9% (n. 261.008) degli over 80 ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e solo il 2,7% (n. 117.537) ha completato il ciclo vaccinale, percentuali molto lontane dal target raccomandato dalla Commissione Europea per questa fascia di età: 80% entro il 31 marzo 2021. Per raggiungere questo obiettivo bisognerebbe vaccinare entro quella data circa 3,5 milioni di over 80, di cui quasi 3,3 milioni non hanno ancora ricevuto la prima dose».

«Nel suo discorso al Senato – conclude Cartabellotta – il Presidente Draghi ha indicato nella lotta alla pandemia l’obiettivo prioritario del suo Governo, da attuarsi attraverso il potenziamento di forniture e somministrazioni del vaccino. Una strategia necessaria ma non sufficiente, considerato che l’attuale sistema delle Regioni a colori, oltre ad esasperare i cittadini e a danneggiare le attività economiche con decisioni last minute, non è riuscito a piegare la curva dei contagi e mantiene ospedali e terapie intensive al limite della saturazione, con la minaccia delle varianti che da un giorno all’altro potrebbero mandare in tilt i servizi sanitari. Ma forse la politica, oltre a temere le conseguenze sociali ed economiche di un nuovo lockdown, dubita che il Paese sia davvero pronto a perseguire la strategia zero-COVID».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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11 febbraio 2021
Coronavirus: contagi stabili ma incombono le varianti, spie rosse in 17 province. Vaccini: crollano i contagi tra gli operatori sanitari (-64%)

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA NELLA SETTIMANA 3-9 FEBBRAIO LA STABILIZZAZIONE DEI NUOVI CASI A LIVELLO NAZIONALE, ANCHE SE DESTANO PREOCCUPAZIONE L’INVERSIONE DI TENDENZA IN METÀ DELLE REGIONI E L’INCREMENTO PERCENTUALE DEI NUOVI CASI CHE SUPERA IL 5% IN 17 PROVINCE. PRIMI RISULTATI SUL FRONTE VACCINAZIONI: DALL’ANALISI PRELIMINARE GIMBE CONTAGI RIDOTTI DEL 64% TRA GLI OPERATORI SANITARI. UN’ITALIA “IN GIALLO” INADEGUATA A PREVENIRE IMPENNATE DA VARIANTI E SATURAZIONE DEGLI OSPEDALI: GOVERNO DRAGHI CHIAMATO A DECISIONI CRUCIALI E TEMPESTIVE SU VACCINI E STRATEGIE DI CONTENIMENTO DELLA PANDEMIA.

11 febbraio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 3-9 febbraio 2021, rispetto alla precedente, un numero stabile dei nuovi casi (84.711 vs 84.652) (figura 1). Scendono i casi attualmente positivi (413.967 vs 437.765), le persone in isolamento domiciliare (392.312 vs 415.234), i ricoveri con sintomi (19.512 vs 20.317) e le terapie intensive (2.143 vs 2.214) (figura 2). Diminuiscono anche i decessi (2.658 vs 2.922). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.658 (-9%)

  • Terapia intensiva: -71 (-3,2%)

  • Ricoverati con sintomi: -805 (-4%)

  • Isolamento domiciliare: -22.922 (-5,5%)

  • Nuovi casi: 84.711 (+0,1%)

  • Casi attualmente positivi: -23.798 (-5,4%)

«Anche questa settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – a livello nazionale i nuovi casi sono stabili rispetto alla precedente, una calma piatta purtroppo solo apparente». Infatti, spacchettando il dato nazionale, in 10 Regioni si rileva un incremento percentuale dei nuovi casi e in 9 Regioni aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti (tabella 1), ma i numeri per ora non impattano sulle curve nazionali perché si tratta principalmente di Regioni di piccole dimensioni. «Situazioni molto critiche come quelle dell’Umbria – spiega Cartabellotta – dove le nuove varianti hanno determinato rapidamente un’impennata dei casi e la saturazione di ospedali e terapie intensive potrebbero improvvisamente esplodere ovunque, visto che le varianti del virus circolano ormai in tutto il Paese». Ecco perché è fondamentale monitorare tutte le “spie rosse” per attuare tempestive strategie di contenimento: in 17 Province l’incremento percentuale dei nuovi casi negli ultimi 7 giorni supera il 5% (tabella 2).

Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti COVID supera in 3 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 4 Regioni quella del 30% delle terapie intensive. Tuttavia, nonostante la riduzione della pressione sugli ospedali, il numero dei decessi rimane molto elevato, seppur in lieve calo rispetto alle settimane precedenti (figura 3).

Vaccini: somministrazioni. Al 10 febbraio (aggiornamento ore 07.30) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 1.214.139 persone (2,04% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 1,38% della Calabria al 3,58% della Provincia Autonoma di Bolzano (figura 4). «In generale – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – se da un lato i ritardi delle forniture interessano l’intero primo trimestre con inevitabile rallentamento della campagna vaccinale, dall’altro le Regioni stanno gestendo correttamente le dosi, completando il ciclo vaccinale nei tempi corretti».

«Rispetto alle categorie di persone vaccinate – spiega Gili – il 70% delle dosi sono state destinate a “operatori sanitari e sociosanitari”, il 18% a “personale non sanitario”, l’11% a “personale ed ospiti delle RSA” e meno dell’1% a “persone di età ≥80 anni”, con notevoli differenze regionali» (figura 5). Purtroppo, solo il 3,6% (n. 158.805) degli over 80 ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e solo il 2,2% (n. 96.503) ha completato il ciclo vaccinale, percentuali molto lontane dal target di copertura raccomandato dalla Commissione Europea per questa fascia di età: 80% entro il 31 marzo 2021.

Vaccini: efficacia. Sulla base dei dati pubblicamente disponibili al momento è possibile valutare l’efficacia della vaccinazione solo sugli operatori sanitari, i cui contagi vengono monitorati regolarmente dall’Istituto Superiore di Sanità. Se i nuovi casi nella popolazione generale sono stabili da 3 settimane, tra gli operatori sanitari si sono ridotti del 64,2%: dai 4.382 rilevati nella settimana 13-19 gennaio, quando è stata avviata la somministrazione delle seconde dosi, ai 1.570 della settimana 3-9 febbraio.

«Presupponendo che le modalità di screening periodico degli operatori sanitari non siano state modificate – spiega Cartabellotta – questa netta riduzione è verosimilmente effetto della somministrazione di circa 1,9 milioni di dosi di vaccino in questa categoria di popolazione».

«Il nascente Governo – conclude Cartabellotta – dovrà affrontare immediatamente questioni chiave per la gestione della pandemia. Oltre alla necessità di accelerare le forniture vaccinali per mettere al sicuro persone anziane e fragili, occorrerà arginare la circolazione delle nuove varianti. In tal senso, con la riapertura dei confini regionali prevista per il prossimo 15 febbraio e un’Italia quasi tutta gialla rischiamo un’impennata dei contagi con conseguente saturazione degli ospedali, nonostante il potenziamento del sequenziamento virale e i lockdown mirati. Servono decisioni tempestive perché la corsa del virus e delle sue varianti non rallenta certo per una crisi di Governo».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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4 febbraio 2021
Monitoraggio Coronavirus: si ferma la discesa dei nuovi casi, in alcune regioni segnali d’inversione di tendenza. Vaccini: con le forniture al palo, priorità solo a seconde dosi

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 27 GENNAIO – 2 FEBBRAIO LA STABILIZZAZIONE DEI NUOVI CASI E UN’INVERSIONE DI TENDENZA DELLA CURVA DEI CONTAGI IN ALCUNE REGIONI CHE IMPONGONO DI TENERE ALTA L’ATTENZIONE SULLE NUOVE VARIANTI. RICOVERI E TERAPIE INTENSIVE RIMANGONO SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE RISPETTIVAMENTE IN 5 E 6 REGIONI. CON IL RALLENTAMENTO NELLA CONSEGNA DEI VACCINI SONO STATE SOMMISTRATE QUASI ESCLUSIVAMENTE SECONDE DOSI. PERSISTONO RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI SIA NEL COMPLETAMENTO DEL CICLO VACCINALE CHE NELLE CATEGORIE DI SOGGETTI VACCINATI.

4 febbraio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 27 gennaio-2 febbraio 2021, rispetto alla precedente, una stabilizzazione del numero dei nuovi casi (84.652 vs 85.358). Scendono i casi attualmente positivi (437.765 vs 482.417), i ricoveri con sintomi (20.317 vs 21.355), le terapie intensive (2.214 vs 2.372) e i decessi (2.922 vs 3.265) (figura 1). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.922 (-10,5%)

  • Terapia intensiva: -158 (-6,7%)

  • Ricoverati con sintomi: -1.038 (-4,9%)

  • Nuovi casi: 84.652 (-0,8%)

  • Casi attualmente positivi: -44.652 (-9,3%)

«Esauriti gli effetti del Decreto Natale – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si arresta la discesa dei nuovi casi settimanali, sostanzialmente stabili guardando al dato nazionale, mentre in diverse Regioni s’intravedono i primi segnali di un’inversione di tendenza». Infatti, rispetto alla settimana precedente, in 9 Regioni risale l’incremento percentuale dei nuovi casi e in 5 Regioni si registra un aumento dei casi attualmente positivi per 100.000 abitanti (tabella). «Segnali – ribadisce il Presidente – che invitano a tenere alta l’attenzione sulla diffusione delle nuove varianti, potenziando il sequenziamento del virus ove si rilevano incrementi anomali dei nuovi casi».

«A livello ospedaliero – spiega Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – nonostante un’ulteriore lieve discesa di ricoveri e terapie intensive, l’occupazione da parte di pazienti COVID supera in 5 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 6 Regioni quella del 30% delle terapie intensive».

Vaccini: forniture. Sulla base delle decisioni prese durante l’incontro tra Governo, Regioni e Commissario per l'emergenza del 3 febbraio, le forniture previste per il primo trimestre 2021 sono le seguenti:

Complessivamente nel primo trimestre, considerando anche le 480.000 consegnate nel mese di dicembre 2020, si stima la disponibilità di 14,7 milioni di dosi (di cui già consegnate quasi 2,4 milioni) che permetterebbero di completare il ciclo vaccinale di 7,3 milioni di persone (circa 12% della popolazione). «In conseguenza degli annunciati ritardi – precisa Gili –le forniture si concentreranno nella seconda metà del primo trimestre e per la maggior parte nel mese di marzo. Senza un imponente potenziamento della macchina organizzativa, quindi, sarà impossibile somministrare tutte le dosi prima di fine aprile».

Vaccini: somministrazioni. Al 3 febbraio (aggiornamento ore 14.02) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 808.306 persone (1,36% della popolazione), con marcate differenze regionali: dallo 0,80% della Calabria all’1,89% dell’Emilia-Romagna (figura 2). Inoltre, negli ultimi 12 giorni, a causa dei ritardi nelle consegne, sono state somministrate quasi esclusivamente seconde dosi (figura 3). Complessivamente, il 71% delle dosi sono state destinate a “operatori sanitari e sociosanitari”, il 19% a “personale non sanitario”, il 9% a “personale ed ospiti delle RSA” e l’1% a “persone di età ≥80 anni” (figura 4).

«È stato chiarito – spiega Cartabellotta – che il “personale non sanitario”, ufficialmente non previsto dal Piano vaccinale, include persone che a vario titolo lavorano nelle strutture ospedaliere e sanitarie. Ma, in assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale, in questa categoria possono confluire anche soggetti al momento esclusi dalle categorie prioritarie». Peraltro, rispetto alla media nazionale del 19%, dal database ufficiale risulta una notevole variabilità regionale: dal 2% dell’Umbria al 32% di Basilicata e Lombardia (figura 4). La Fondazione GIMBE, al fine di sanare eventuali incongruenze, ribadisce l’invito a Regioni e Province Autonome a verificare ed eventualmente rettificare i dati trasmessi a livello centrale che alimentano la dashboard sui Report Vaccini Anti COVID-19.

«Nel bel mezzo della crisi di Governo – conclude Cartabellotta – stiamo attraversando una delle fasi più critiche della pandemia: da un lato l’inevitabile rallentamento della campagna vaccinale, segnata da continue revisioni al ribasso delle forniture, dall’altro i primi segnali di aumento di circolazione del virus, indubbiamente sottostimata. Ma soprattutto incombe la minaccia delle nuove varianti, già sbarcate in Italia, che rischiano di far impennare la curva dei contagi. Nel frattempo, in un’Italia quasi tutta gialla ci si continua ad appellare, in maniera paternalistica, al buon senso dei cittadini che in realtà non fanno solo che adeguarsi a quanto permesso».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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28 gennaio 2021
Monitoraggio Coronavirus: continua la lenta discesa delle curve. Vaccini: crollo forniture nel primo trimestre e diseguaglianze regionali su tutti i fronti

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA NELLA SETTIMANA 20-26 GENNAIOGLI ULTIMI EFFETTI DEL DECRETO NATALE: TUTTI I NUMERI IN CALO, COMPRESI QUELLI OSPEDALIERI, ANCHE SE RICOVERI E TERAPIE INTENSIVE RIMANGONO SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE RISPETTIVAMENTE IN 5 E 6 REGIONI. LE ANALISI INDIPENDENTI GIMBE SUI DATI UFFICIALI DELLA CAMPAGNA VACCINALE RILEVANO NOTEVOLI DIFFERENZE REGIONALI SU TUTTI I FRONTI: DISTRIBUZIONE DELLE DOSI, COMPLETAMENTO DEL CICLO VACCINALE E, SOPRATTUTTO, PRIORITÀ DI SOMMINISTRAZIONE, CON IL 22,3% DELLE DOSI DESTINATO A “PERSONALE NON SANITARIO”, CATEGORIA FORMALMENTE NON PREVISTA DAL PIANO VACCINALE.

28 gennaio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 20-26 gennaio 2021, rispetto alla precedente, una riduzione dei nuovi casi (85.358 vs 97.335). Scendono anche casi attualmente positivi (482.417 vs 535.524), ricoveri con sintomi (21.355 vs 22.699) e terapie intensive (2.372 vs 2.487); lieve calo dei decessi (3.265 vs 3.338) (figura 1). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 3.265 (-2,2%)
  • Terapia intensiva: -115 (-4,6%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.344 (-5,9%)
  • Nuovi casi: 85.358 (-12,3%)
  • Casi attualmente positivi: -53.107 (-9,9%)

«Tutte le curve – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continuano questa settimana la loro lenta discesa, ancora grazie agli effetti del Decreto Natale, destinati tuttavia ad esaurirsi a breve». L’incremento percentuale dei casi si riduce in quasi tutte le Regioni (tabella); negli ospedali, nonostante l’ulteriore discesa di ricoveri e terapie intensive, l’occupazione da parte di pazienti COVID continua a superare in 5 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 6 Regioni quella del 30% delle terapie intensive, attestandosi a livello nazionale rispettivamente al 34% e al 28% (tabella).

Vaccini: forniture. «Oltre ai noti ritardi di consegna da parte di Pfizer – dichiara Renata Gili, responsabile GIMBE Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – AstraZeneca ha comunicato alla Commissione Europea una riduzione della fornitura stimabile fino al 60% nel 1° trimestre, mentre CureVac non potrà consegnare entro marzo le 2,019 milioni di dosi previste dal Piano vaccinale, visto che lo studio di fase 3 è stato avviato solo il 14 dicembre». Di conseguenza, al netto di ritardi di consegne, entro il 31 marzo 2021 il nostro Paese dovrebbe disporre di 16,557 milioni di dosi, di cui 8,749 milioni da Pfizer-BioNTech e 1,346 milioni da Moderna e 6,462 milioni da AstraZeneca, anziché i 16,155 milioni previsti dal Piano vaccinale. Peraltro su AstraZeneca i conti non tornano visto che è stata annunciata una fornitura di 3,4 milioni di dosi.

«Con queste disponibilità – puntualizza Cartabellotta – solo il 14% della popolazione (circa 8,278 milioni di persone) potrà completare le due dosi del ciclo vaccinale, ma non prima della metà o addirittura della fine di aprile, ovviamente previa autorizzazione condizionata del vaccino di AstraZeneca che potrebbe essere soggetto a limitazioni per i soggetti di età ≥55 anni con conseguente necessità di rivedere le priorità del piano vaccinale. Inoltre, occorrerà una notevole reattività della macchina organizzativa, visto che la maggior parte delle dosi non arriverà prima di metà febbraio».

Vaccini: distribuzione regionale. Si rilevano notevoli differenze regionali (figura 2) difficilmente spiegabili solo sulla base dei criteri verosimilmente utilizzati in questa prima fase per la consegna (n° operatori sanitari e socio-sanitari, n° personale e ospiti RSA).

Vaccini: somministrazioni. Al 27 gennaio (aggiornamento ore 16:04) hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 270.269 persone (0,45% della popolazione italiana), con marcate differenze regionali: dallo 0,16% della Calabria allo 0,70% del Lazio (figura 3). Inoltre, le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE sui dati ufficiali rilevano che ben 350.548 dosi sono state somministrate a “personale non sanitario”, una fascia non prevista dal Piano vaccinale che per questa prima fase individua tre categorie prioritarie: operatori sanitari e sociosanitari (finora 67,1% dosi), personale ed ospiti delle RSA (finora 9,7% dosi), quindi persone di età ≥80 anni (finora 0,9% dosi). Il “personale non sanitario” ha beneficiato dunque di quasi un quarto delle dosi finora somministrate con enormi differenze regionali (figura 4) che in certi casi superano il 30%: Provincia Autonoma di Bolzano 34%, Liguria 39%, Lombardia 51%.

«Se da un lato una parte del personale non sanitario risulta essenziale per il funzionamento di ospedali ed altre strutture sanitarie – spiega il Presidente – dall’altro i numeri riportati dal Piano vaccinale per operatori sanitari e socio sanitari (1.404.037) corrispondono a tutti gli iscritti agli albi professionali, più gli operatori socio-sanitari: questo evidenzia una discrepanza tra numeri previsti dal Piano e le diverse policy vaccinali attuate dalle Regioni». In altre parole, se la categoria “operatori sanitari e socio sanitari” deve includere tutto il personale che lavora negli ospedali a qualsiasi titolo – dato richiesto alle Regioni dal Commissario Arcuri lo scorso 17 novembre –  le dosi previste dal Piano vaccinale non sono sufficienti perché rimangono esclusi tutti i professionisti sanitari che non lavorano presso strutture pubbliche.

In considerazione delle notevoli differenze regionali (consegna dosi, percentuale di persone che hanno completato il ciclo vaccinale, categorie vaccinate) che generano diseguaglianze, la Fondazione GIMBE chiede al Commissario Straordinario all’Emergenza e al Ministero della Salute di:

  • Mantenere costantemente aggiornato il numero delle forniture previste dal Piano vaccinale
  • Chiarire ufficialmente l’entità delle forniture di AstraZeneca per il primo trimestre 2021
  • Ridefinire a livello nazionale i criteri di inclusione nella categoria “operatori sanitari e socio sanitari” rivedendo di conseguenza i numeri del Piano Vaccinale
  • Rendere pubblici i criteri per la consegna delle dosi alle Regioni

«In questa fase molto critica della pandemia – conclude Cartabellotta – segnata da continue rimodulazioni al ribasso delle forniture vaccinali, minacciata delle nuove varianti del virus e da una verosimile risalita della curva epidemica una volta esauriti gli effetti della “stretta” di Natale, è fondamentale che le poche dosi di vaccino disponibili siano utilizzate per proteggere chi lavora in prima linea con i pazienti e le persone più fragili, come previsto dal Piano vaccinale. Un obiettivo che, ad un mese dall’avvio della campagna vaccinale, è già stato parzialmente disatteso con inaccettabili diseguaglianze regionali, “agevolate” dall’assenza di un’anagrafe vaccinale nazionale».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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21 gennaio 2021
Coronavirus, meno contagi con la zona rossa di Natale. Vaccini: caos forniture, seconda dose a rischio

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 13–19 GENNAIO LA RIDUZIONE DEI NUOVI CASI E UNA LIEVE FLESSIONE DI DECESSI, RICOVERI E TERAPIE INTENSIVE, CHE RIMANGONO SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE RISPETTIVAMENTE IN 7 E 11 REGIONI. I RITARDI NELLE CONSEGNE DEL VACCINO PFIZER COSTRINGONO LE REGIONI A RALLENTARE LA CORSA: L’INDICATORE DA MONITORARE NON È IL TOTALE DELLE DOSI SOMMINISTRATE, MA LA PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE CHE HA COMPLETATO IL CICLO VACCINALE

21 gennaio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 13-19 gennaio 2021, rispetto alla precedente, la riduzione dei nuovi casi (97.335 vs 121.644) a fronte di un significativo e anomalo calo del rapporto positivi/casi testati (19,8% vs 29,5%). In leggera diminuzione i casi attualmente positivi (535.524 vs 570.040) e, sul fronte ospedaliero, si riducono i ricoverati con sintomi (22.699 vs 23.712) e le terapie intensive (2.487 vs 2.636); lieve calo dei decessi (3.338 vs 3.490). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 3.338 (-4,4%)

  • Terapia intensiva: -149 (-5,7%)

  • Ricoverati con sintomi: +1.013 (-4,3%)

  • Nuovi casi: 97.335 (-20%)

  • Casi attualmente positivi: -34.516 (-6,1%)

«Dopo due settimane di lenta risalita di tutte le curve che riflettevano gli allentamenti pre-natalizi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si osserva una riduzione dei nuovi casi grazie agli effetti del Decreto Natale, che nei primi giorni ha di fatto “colorato di rosso” l’intero Paese». Rispetto all’attività di testing non vengono segnalate le variazioni di tamponi e persone testate perché dal 15 gennaio il bollettino del Ministero della Salute include anche i tamponi antigenici rapidi. In tal senso, il crollo del rapporto positivi/persone testate (figura 1) è di difficile interpretazione e non confrontabile con la settimana precedente, dove il calcolo era effettuato solo sui tamponi molecolari. Grazie alla serrata di Natale si riduce l’incremento percentuale dei casi in quasi tutte le Regioni (tabella). Lieve calo anche delle ospedalizzazioni (figura 2), anche se l’occupazione da parte di pazienti COVID continua a superare in 7 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 11 Regioni quella del 30% delle terapie intensive (tabella).

Vaccini: disponibilità dosi. Il Piano vaccinale nazionale prevede nel 2021 la consegna di 154,1 milioni di dosi: 28,3 nel primo trimestre, 57,2 nel secondo, 53,8 nel terzo e 14,8 nel quarto. Tuttavia, i dati non risultano aggiornati in relazione ai nuovi contratti stipulati dalla Commissione Europea, allo status di avanzamento degli studi clinici e a quello di approvazione dell’European Medicines Agency (EMA). Secondo gli approfondimenti effettuati dalla Fondazione GIMBE sui dati di Commissione Europea ed EMA:

  • Dei vaccini approvati (Pfizer-BioNTech e Moderna) l’Italia dispone sulla carta di 102,3 milioni di dosi:

    • 37,7 milioni di dosi con tempi di consegna già definiti dal Piano vaccinale;

    • 64,6 milioni di dosi con tempi di consegna non noti. Tali dosi includono quelle previste dal contratto aggiuntivo stipulato dalla Commissione Europea con Pfizer-BioNtech lo scorso 8 gennaio (40,3 milioni) e quelle aggiuntive opzionali previste dai contratti con Pfizer-BioNTech (13,5 milioni) e Moderna (10,8 milioni).

  • AstraZeneca si è impegnata a fornire 53,8 milioni di dosi, con tempi di consegna noti solo per 40,4 milioni di dosi (16,2 nel primo trimestre 2021 e 24,2 nel secondo), previa autorizzazione condizionata all’immissione in commercio (AIC) dell’EMA, il cui parere è atteso per il 29 gennaio.

  • Le rimanenti 202,6 milioni di dosi riguardano vaccini per i quali le aziende non hanno presentato all’EMA la domanda di AIC: in particolare, per il vaccino di Johnson&Johnson è stata avviata la procedura di rolling review, Cure-Vac ha iniziato lo studio di fase 3 a metà dicembre (ma inspiegabilmente il Piano vaccinale prevede consegne già nel primo trimestre), mentre Sanofi-GSK ha posticipato le consegne al 2022.

Vaccini: consegna e somministrazione dosi. Al 20 gennaio (aggiornamento ore 21.48) sono state consegnate alle Regioni 1.558.635 dosi, di cui 1.250.903 già somministrate (80,3%), con inevitabile rallentamento negli ultimi giorni (figura 2). Tuttavia, solo 9.160 persone hanno completato il ciclo vaccinale, mentre 13.534 persone avrebbero già dovuto ricevere la seconda dose. «Tenendo conto dei possibili ritardi di consegna, anche comunicati last minute come nel caso di Pfizer – spiega il Presidente – è fondamentale che in questa fase le Regioni accantonino i vaccini per la somministrazione della seconda dose. La campagna vaccinale non è una gara di velocità: l’unità di misura su cui confrontarsi, sia con gli altri Paesi, sia tra le Regioni, non è infatti il numero di dosi somministrate, ma la percentuale della popolazione che ha completato il ciclo vaccinale, garanzia di efficacia del 94-95% nel prevenire la COVID-19 sintomatica».

La Commissione Europea ha pubblicato il 19 gennaio un documento che evidenzia le azioni necessarie per intensificare la lotta contro la pandemia. «Gli obiettivi delineati sulle coperture vaccinali – commenta Renata Gili, Responsabile GIMBE Ricerca sui Servizi Sanitari – prevedono la vaccinazione dell’80% degli operatori sanitari, socio-sanitari e delle persone over 80 entro la fine di marzo e il 70% degli adulti entro la fine dell’estate, richiedendo un’accelerazione che, con le attuali criticità, sembra ardua da raggiungere, pur rimanendo obiettivo prioritario una volta risolti i problemi di fornitura dei vaccini».

«A fronte dei ritardi di consegna dei vaccini e delle incognite legate alle varianti del virus – conclude Cartabellotta – se da un lato è urgente tarare il piano delle somministrazioni su quello delle consegne effettive per garantire nei tempi corretti la seconda dose, dall’altro è indispensabile potenziare rapidamente l’esigua attività di sequenziamento virale (0,034%), visto che la Commissione Europea raccomanda un target del 5-10% dei tamponi molecolari positivi. Last but not least, bisogna prendere definitivamente atto che solo le zone rosse, come quelle imposte dal Decreto Natale, sono la vera arma per piegare la curva del contagio, destinata a risalire nelle prossime settimane per le minori restrizioni nelle Regioni arancioni e gialle, la riapertura delle scuole e il potenziale impatto delle nuove varianti».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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14 gennaio 2021
Coronavirus: risalgono tutte le curve. Vaccino non è soluzione immediata: adesso serve lockdown

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 6–12 GENNAIO L’INCREMENTO DEI NUOVI CASI E LA RISALITA DELLE CURVE DI RICOVERI CON SINTOMI E TERAPIE INTENSIVE, ENTRAMBE SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE IN METÀ DELLE REGIONI. SALGONO ANCORA I DECESSI. RISCHIOSO PUNTARE TUTTO SUL VACCINO: SERVE UN’IMMEDIATA E RIGOROSA STRETTA PER EVITARE UN ANNO DI DIFFICILE CONVIVENZA CON IL VIRUS, CON OSPEDALI CICLICAMENTE AL LIMITE DEL COLLASSO, CONTINUE STRETTE E ALLENTAMENTI E UN AUMENTO INESORABILE DEI DECESSI.

14 gennaio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 6-12 gennaio 2021, rispetto alla precedente, l’incremento dei nuovi casi (121.644 vs 114.132) a fronte di un lieve calo del rapporto positivi/casi testati (29,5% vs 30,4%). Stabili i casi attualmente positivi (570.040 vs 569.161) e, sul fronte ospedaliero, lieve risalita dei ricoverati con sintomi (23.712 vs 23.395) e delle terapie intensive (2.636 vs 2.569); ancora in aumento i decessi (3.490 vs 3.300). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 3.490 (+5,8%)

  • Terapia intensiva: +67 (+2,6%)

  • Ricoverati con sintomi: +317 (+3,4%)

  • Nuovi casi: 121.644 (+6,6%)

  • Casi attualmente positivi: +879 (+0,2%)

  • Casi testati +36.433 (+9,7%)

  • Tamponi totali: +89.492 (+10%)

«I dati – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – confermano la lenta risalita dei nuovi casi settimanali (figura 1) e, sul versante ospedaliero, il costante aumento di ricoveri e terapie intensive (figura 2), dove l’occupazione da parte di pazienti COVID supera in 10 Regioni la soglia del 40% in area medica e quella del 30% delle terapie intensiva (tabella)».

«A quasi un anno dallo scoppio della pandemia nel nostro Paese – dichiara il Presidente – non possiamo più permetterci di inseguire affannosamente il virus. Considerato che le prossime settimane saranno cruciali per il controllo della pandemia nell’intero 2021, sulla base delle migliori evidenze scientifiche, la Fondazione GIMBE sta elaborando una proposta per la gestione 2021 della pandemia, integrata con le certezze/incertezze del piano vaccinale». Le linee generali del piano prevedono la continua valutazione di cinque variabili che condizionano il controllo della pandemia:

  • Circolazione del SARS-CoV-2, in termini di incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti

  • Impatto della COVID-19, sia sul sovraccarico dei servizi sanitari, sia sulla prognosi della malattia (aggravamenti, decessi), sia sulla riduzione dell’assistenza per pazienti non COVID-19

  • strong>Aderenza della popolazione alle misure individuali: distanziamento sociale, utilizzo della mascherina, igiene delle mani, aerazione degli ambienti chiusi, etc.

  • Copertura vaccinale, fortemente condizionata da approvazione e disponibilità dei vaccini. Al momento gli accordi con Pfizer-BioNTech e Moderna garantiscono all’Italia 102,3 milioni di dosi, ma le tempistiche di consegna sono certe solo per circa 37 milioni di dosi (10 entro marzo, 12,8 entro giugno e 14,8 entro settembre), a cui si aggiungerebbero ulteriori 40,3 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca entro giugno in caso di positiva valutazione dell’EMA, attesa per il 29 gennaio.

  • Obiettivo strategico di contrasto alla pandemia, secondo la classificazione di un recente articolo pubblicato sul BMJ:

    • Eliminazione: mira ad interrompere la catena di trasmissione del virus con azioni tempestive e incisive in caso di individuazione di nuovi focolai, attraverso un efficiente sistema di testing & tracing e l’isolamento non più fiduciario ma controllato, oltre alle misure individuali (es. Cina, Hong Kong, ma anche paesi democratici quali Corea del Sud, Taiwan, Australia, Nuova Zelanda)
    • Soppressione: prevede misure progressivamente più stringenti all’aumentare dei casi, con l’obiettivo di appiattire la curva epidemica (es. lockdown italiano della prima ondata).
    • Mitigazione: prevede misure progressivamente più stringenti all’aumentare dei casi, meno incisive rispetto alla soppressione e finalizzate a flettere la curva epidemica per limitare il sovraccarico dei servizi sanitari (es. gestione della seconda ondata in Italia).

«Nel primo trimestre 2021 – spiega Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – con una copertura vaccinale minima ci si attende un’elevata circolazione del SARS-CoV-2 (con preoccupanti incertezze sulle nuove varianti) ed elevato impatto della COVID-19 sui servizi sanitari. Di conseguenza, per centrare l’obiettivo di eliminazione del virus, è indispensabile attuare rapidamente la strategia soppressiva, al fine di ridurre in modo rilevante i casi attualmente positivi e appiattire la curva epidemica». In questo modo, con l’arrivo della bella stagione e il progressivo aumento delle coperture vaccinali, la minore circolazione del SARS-CoV-2 permetterebbe durante i mesi estivi la ripresa di un’efficiente attività di tracciamento per raggiungere l’obiettivo della progressiva eliminazione.

«Considerati i modesti risultati ottenuti dal sistema delle Regioni “a colori” e le incognite legate all’efficacia del vaccino soprattutto in termini di riduzione dei quadri severi di malattia e di trasmissione del virus – continua Cartabellotta – questa rappresenta l’unica strada per mantenere il controllo dell’epidemia sino a fine anno senza affidarci esclusivamente al vaccino. Infatti, continuando con le strategie di mitigazione, sarà realisticamente impossibile riprendere un tracciamento efficace e l’unico auspicio non potrà che essere quello di raggiungere presto adeguate coperture vaccinali. Questo però significa accettare il rischio di una circolazione virale intermedia con gravi ripercussioni sulla salute e sull’economia ancora fino al prossimo autunno».

«Le dichiarazioni del Ministro Speranza alle Camere – conclude Cartabellotta – lasciano intuire che per il 2021 si intende perseguire una strategia di mitigazione puntando sui massimi risultati di copertura vaccinale e confidando nella massima efficacia del vaccino. Se a questo aggiungiamo tutte le incertezze che la crisi di Governo comporta il quadro è davvero inquietante: in assenza di una immediata e rigorosa stretta, ci attende un anno di difficile convivenza con il virus, con ospedali ciclicamente al limite del collasso, continui tira e molla sull’apertura di scuole e attività produttive e un aumento inesorabile dei decessi».

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7 gennaio 2021
Coronavirus: terza ondata in arrivo con numeri troppo alti e impatto vaccini molto lontano. Stop all'inutile e costoso inseguimento del virus

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 29 DICEMBRE – 5 GENNAIO UN INCREMENTO DEL 27% DEI NUOVI CASI DOPO 6 SETTIMANE CONSECUTIVE DI CALO, PERALTRO A FRONTE DI UN’IMPONENTE RIDUZIONE DEI TAMPONI. STABILE LA PRESSIONE SUGLI OSPEDALI, CON AREA MEDICA E TERAPIE INTENSIVE SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE IN METÀ DELLE REGIONI. SALGONO NUOVAMENTE I DECESSI. SI INTRAVEDE INIZIO TERZA ONDATA CON NUMERI TROPPO ELEVATI PER RIPRENDERE IL TRACCIAMENTO, REALE IMPATTO DEL VACCINO MOLTO LONTANO E DATI PREOCCUPANTI SULLE NUOVE VARIANTI. SISTEMA REGIONI “A COLORI” DA RIVEDERE PERCHÉ RISULTATI MODESTI A FRONTE DI COSTI ECONOMICI E SOCIALI ELEVATI.

7 gennaio 2021 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 29 dicembre 2020 – 5 gennaio 2021, rispetto alla precedente, un incremento dei nuovi casi (114.132 vs 90.117) e del rapporto positivi/casi testati (30,4% vs 26,2%). Stabili i casi attualmente positivi (569.161 vs 568.728) e, sul fronte ospedaliero, lievi oscillazioni dei ricoveri con sintomi (23.395 vs 23.662) e delle terapie intensive (2.569 vs 2.549); tornano a crescere i decessi (3.300 vs 3.187). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 3.300 (+3,6%)

  • Terapia intensiva: +20 (+0,8%)

  • Ricoverati con sintomi: -267 (-1,1%)

  • Nuovi casi: 114.132 (+26,7%)

  • Casi attualmente positivi: +433 (+0,1%)

«A cavallo del nuovo anno – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i dati documentano l’inversione della curva dei nuovi casi, in calo da 6 settimane consecutive, e l’incremento percentuale dei casi totali (5,5% vs 4,6%). Numeri sottostimati dalla decisa frenata dell’attività di testing nelle ultime due settimane accompagnata dal netto aumento del rapporto positivi/casi testati che schizza al 30,4%» (figura 1). Infatti, dal 23 dicembre al 5 gennaio, rispetto ai quattordici giorni precedenti, il numero dei tamponi totali si è ridotto del 20,9% (-464.284); quello dei casi testati del 22,5% (-208.361), con una media giornaliera simile a quella di fine agosto (figura 2).

 

In quasi tutte le Regioni si registra un incremento percentuale dei casi rispetto alla settimana precedente (tabella) e sul versante ospedaliero, mentre le curve di ricoveri e terapie intensive mostrano i primi cenni di risalita (figura 3), l’occupazione da parte di pazienti COVID continua a superare la soglia del 40% in area medica e quella del 30% delle terapie intensiva in 10 Regioni (tabella).

 

Terza ondata. In questa fase è molto complesso valutare l’evoluzione della curva per il sovrapporsi degli effetti di restrizioni e allentamenti introdotti nelle varie Regioni e/o con tempistiche differenti. In generale, tenendo conto che l’impatto delle misure si riflette sulla curva epidemiologica dopo circa 3 settimane:

  • Gli effetti delle misure introdotte con il DPCM 3 novembre 2020 si sono definitivamente esauriti.

  • Le curve cominciano a riflettere i progressivi allentamenti che hanno portato ad un’Italia tutta gialla, eccetto Campania (per propria scelta) e Abruzzo.

  • L’eventuale impatto delle misure introdotte dal Decreto Natale sarà visibile solo dopo metà gennaio.

«Le nostre analisi – spiega Cartabellotta – documentano che, a circa 5 settimane dal picco, il sistema delle Regioni “a colori” ha prodotto effetti moderati e in parte sovrastimati: i casi attualmente positivi per la netta riduzione di casi testati nel mese di dicembre, i ricoveri e le terapie intensive per gli oltre 20 mila decessi nelle 5 settimane di osservazione».

 

Vaccini. Con l’approvazione del vaccino Moderna l’Italia potrà contare su 22,8 milioni di dosi certe entro giugno. Nel frattempo l’Europa ci ha assicurato ulteriori 13.460.000 del vaccino Pfizer-BioNTech e 10.768.000 di Moderna con tempi di consegna non ancora definiti, ma realisticamente non brevi. «Al di là dell’efficienza logistico-organizzativa del nostro Paese – spiega Cartabellotta – senza il via libera dell’EMA ad altri vaccini (AstraZeneca in primis) o l’anticipo (improbabile) di consegne, potremo vaccinare circa il 5% della popolazione entro marzo e meno del 20% entro giugno. In altre parole, siamo ancora lontani dal tradurre questa straordinaria conquista della scienza in un concreto risultato di salute pubblica».

«Peraltro i due vaccini autorizzati – spiega Renata Gili, Responsabile GIMBE Ricerca sui Servizi Sanitari – riducono del 95% circa il rischio relativo di COVID-19 sintomatica, ma non ne è nota l’efficacia nel ridurre l’infezione asintomatica da SARS-COV-2 e la possibilità di trasmettere l’infezione da parte delle persone vaccinate. Queste, di conseguenza, dovranno continuare ad adottare le misure individuali (mascherina, distanziamento, igiene delle mani) e non potranno acquisire alcuna “patente di immunità”».

«Considerato che i primi mesi dell’anno – avverte il Presidente – saranno cruciali sia per contenere la terza ondata, sia per controllare la pandemia per l’intero 2021, è necessario puntare l’attenzione su tre elementi cruciali. Innanzitutto, le curve iniziano a risalire con un numero di casi attualmente positivi troppo elevato per riprendere il tracciamento, con ospedali e terapie intensive ai limiti della saturazione in metà delle Regioni e con i dati preoccupanti sulle nuove varianti del virus. In secondo luogo, urge un consistente restyling del sistema delle Regioni “a colori”, perché a fronte di risultati modesti in termini di flessione delle curve i costi economici e sociali sono sproporzionati. Infine, la comunicazione istituzionale deve diffondere la massima fiducia nel vaccino, ma al tempo stesso non alimentare aspettative irrealistiche che rischiano di far abbassare la guardia alla popolazione».

Sulla base di questi elementi e delle migliori evidenze scientifiche, la Fondazione GIMBE sta elaborando una proposta per la gestione 2021 della pandemia, integrata con le certezze/incertezze del piano vaccinale. «A quasi un anno dallo scoppio dell’epidemia nel nostro Paese – conclude Cartabellotta – non è più accettabile la (non) strategia basata sull’affannoso inseguimento del virus con l’estenuante alternanza di restrizioni e allentamenti che, di fatto, mantiene i servizi sanitari in costante sovraccarico, danneggia l’economia del nostro Paese, produce danni alla salute delle persone e aumenta inesorabilmente il numero dei morti».

 

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23 dicembre 2020
Coronavirus: sbiadiscono effetti misure restrittive, pochi vaccini in cascina e incertezze su impatto variante UK. Indispensabile rivalutare piano gestione pandemia

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 16-22 DICEMBRE RILEVA UN LEGGERO RALLENTAMENTO NELLA CRESCITA DEI NUOVI CASI. SI RIDUCE LA PRESSIONE SUGLI OSPEDALI, MA AREA MEDICA E TERAPIE INTENSIVE RIMANGONO SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE RISPETTIVAMENTE IN 9 E 8 REGIONI. IN LIEVE RIDUZIONE IL NUMERO DEI DECESSI CHE SFIORANO COMUNQUE I 4.000 IN UNA SETTIMANA. VACCINI: IN ITALIA ACCORDI PER OLTRE 202 MILIONI DI DOSI, MA DISPONIBILITÀ CERTE SOLO PER 10 MILIONI ENTRO MARZO E 22,8 MILIONI PER GIUGNO. CONSIDERANDO IL PROGRESSIVO ESAURIMENTO DEGLI EFFETTI DELLE MISURE DI CONTENIMENTO E IL POSSIBILE IMPATTO DELLA VARIANTE UK, LA FONDAZIONE GIMBE RITIENE INDISPENSABILE RIVALUTARE IL PIANO DI GESTIONE DELLA PANDEMIA.

23 dicembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 16-22 dicembre, rispetto alla precedente, una lieve flessione dei nuovi casi (106.794 vs 113.182), a fronte di una sostanziale stabilità dei casi testati (465.534 vs 462.645) e in linea con la riduzione del rapporto positivi/casi testati (22,9% vs 24,5%). Si riducono del 9,2% i casi attualmente positivi (605.955 vs 667.303) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono ricoveri con sintomi (24.948 vs 27.342) e terapie intensive (2.687 vs 3.003); in calo anche i decessi (3.985 vs 4.617). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 3.985 (-13,7%)
  • Terapia intensiva: -316 (-10,5%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.394 (-8,8%)
  • Nuovi casi: 106.794 (-5,6%)
  • Casi attualmente positivi: -61.348 (-9,2%)
  • Casi testati +2.889 (+0,6%)
  • Tamponi totali: 28.289 (+2,6%)

«I dati di questa settimana – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – confermano che la frenata del contagio è sempre meno evidente, come documentato dalla stabilizzazione dei rapporti positivi/casi testati e positivi/tamponi totali, dalla modesta riduzione dell’incremento percentuale dei casi totali (5,7% vs 6,4%) e dalla lieve flessione dei nuovi casi settimanali (-5,6%)» (figura 1).

Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati

Se le situazioni regionali sono piuttosto eterogenee (tabella), è evidente che in generale le misure di contenimento introdotte con il DPCM del 3 novembre 2020 stanno esaurendo i loro effetti. «L’incremento percentuale dei casi infatti – afferma Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi sanitari della Fondazione GIMBE – che la scorsa settimana era in flessione in tutto il Paese, questa settimana ha invertito la tendenza in 6 Regioni». Per quanto riguarda i ricoveri, continua la lenta discesa delle curve (figura 2), ma l’occupazione da parte di pazienti COVID supera ancora la soglia del 40% nei reparti di area medica in 9 Regioni e quella del 30% nei reparti di terapia intensiva in 8 Regioni (tabella). La curva dei decessi sale in maniera meno ripida, ma il numero è ancora molto elevato e sfiora i 4.000 (figura 2).

Trend settimanale di casi attualmente positivi, ricoveri con sintomi, terapie intensive e deceduti

«Al di là del potenziamento delle misure restrittive per il periodo di Natale – continua il Presidente – due fattori influenzeranno nei prossimi mesi l’evoluzione della pandemia nel nostro Paese: l’avvio della campagna vaccinale e la diffusione della variante UK recentemente isolata».

Campagna vaccinale. «Al momento – spiega Cartabellotta – è possibile solo fare previsioni di massima rispetto al raggiungimento di una copertura vaccinale del 60-70% della popolazione». Vero è che il piano strategico del Ministero della Salute Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19 riporta oltre 202 milioni di dosi potenzialmente disponibili (pari a 101 milioni di cicli vaccinali completi). Tuttavia, prima che gli accordi preliminari di acquisto si concretizzino in forniture, bisognerà attendere il completamento degli studi clinici in corso, la submission della documentazione completa all’European Medicines Agency (EMA) da parte delle aziende produttrici e la successiva approvazione condizionata, ossia l’autorizzazione in condizioni di emergenza per la valutazione di efficacia e sicurezza. Analizzando lo status di approvazione dei vaccini:

  • Le dosi certe sono solo poco più di 10 milioni entro marzo 2021 e 22,8 milioni entro giugno 2021: quelle del vaccino Pfizer-BioNTech, approvato dall’EMA il 21 dicembre, e quelle di Moderna che dovrebbe avere il via libera il prossimo 6 gennaio.
  • I vaccini di AstraZeneca e Johnson & Johnson sono in fase di rolling review (revisione ciclica), ovvero EMA valuta i dati man mano che vengono resi disponibili, ma nessuna delle due aziende ha ancora effettuato la submission dei dati completi per l’approvazione condizionata.
  • CureVac ha annunciato il 14 dicembre l’arruolamento del primo paziente nello studio di fase 3.
  • Sanofi-GSK ha già comunicato lo slittamento della consegna delle dosi al 2022.

 

Variante UK di SARS-CoV-2. Isolata già ai primi di ottobre, è stata resa ufficialmente nota solo il 14 dicembre. Il 18 dicembre il New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NERVTAG) – comitato di esperti che supporta il Governo britannico – ha pubblicato un documento dove si afferma che “esistono moderate evidenze di una sostanziale maggior trasmissibilità rispetto ad altre varianti”. Tuttavia, come ribadito anche dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e dal report governativo Investigation of novel SARS-COV-2 variant oggi sulla base delle evidenze disponibili non è possibile trarre conclusioni definitive su:

  • meccanismi che determinano la probabile maggior trasmissibilità della variante;
  • conseguenze sulla severità della malattia: nessun dato su decorso clinico peggiore, mortalità più elevata o maggior vulnerabilità di particolari gruppi di popolazione;
  • resistenza alla risposta anticorpale e relativo impatto sulla possibilità di reinfezione e/o sulla riduzione di efficacia dei vaccini: su questo Pfizer-BionTech e Moderna hanno annunciato una valutazione che richiederà circa 2 settimane e, in caso di mancata efficacia dell’attuale vaccino sulla variante UK, prevedono di sintetizzare un nuovo vaccino in 6 settimane.

«Considerato che le risposte a questi interrogativi non arriveranno tutte in tempi brevi – conclude Cartabellotta – occorre rivalutare complessivamente il piano di gestione pandemica, rafforzando ulteriormente le misure di contenimento dell’epidemia, incluso il tracciamento dei casi positivi alla nuova variante». Infatti, la World Health Organization e l’ECDC raccomandano di potenziare gli sforzi per controllare e prevenire la diffusione del virus sia con l’intensificazione delle attività di testing & tracing e di sequenziamento virale, sia continuando a sensibilizzare la popolazione sull’importanza delle misure di distanziamento sociale e sull’uso delle mascherine. Anche perché, come ribadito ieri dall’AIFA, la vaccinazione individuale non potrà conferire alcuna “patente di libertà”».

IL PROSSIMO MONITORAGGIO GIMBE SARÀ PUBBLICATO VENERDÌ 8 GENNAIO 2021

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18 dicembre 2020
Coronavirus: qualità della ricerca e trasparenza dei dati. Dalla Fondazione GIMBE bando da 10mila euro per i giovani

18 dicembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

La borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta”, istituita dalla Fondazione GIMBE nel 2015, viene assegnata nell’ambito del programma istituzionale GIMBE4young destinato a studenti, laureati, specializzandi, dottorandi di ricerca, titolari di borse di studio o assegni di ricerca di tutte le professioni sanitarie sino a 32 anni compiuti.

« Grazie a questa borsa di studio – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – negli ultimi 5 anni giovani ricercatori hanno avuto l’opportunità di sviluppare progetti di rilevanza nazionale per la sanità pubblica, la ricerca e la formazione: dagli sprechi della ricerca indipendente sui farmaci finanziata dall’AIFA alla qualità metodologica delle linee guida prodotte dalle società scientifiche; dall’insegnamento dell’Evidence-based Medicine nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, alla governance delle liste d’attesa, al fabbisogno del personale sanitario».

«In occasione del 40° anniversario della scomparsa di mio padre – spiega il Presidente – e grazie alla generosità di chi ha creduto in noi nel difficile anno della pandemia di COVID-19, abbiamo raddoppiato l’assegno di ricerca per finanziare un’edizione speciale della borsa di studio del valore di 10 mila euro».

Tenuto conto della mission istituzionale della Fondazione GIMBE, dell’impatto della pandemia da coronavirus sul nostro Paese e dei valori che ispiravano la professione medica del dottor Gioacchino Cartabellotta, il tema della ricerca riguarderà la qualità delle evidenze scientifiche e la trasparenza dei dati per supportare le decisioni cliniche e di salute pubblica nella gestione della COVID-19.

Le candidature possono essere inviate dal 21 dicembre al 31 gennaio tramite il modulo online:  www.gimbe4young.it/borsa-gc-40


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17 dicembre 2020
Coronavirus: discesa dei contagi troppo lenta, ospedali ancora saturi, oltre 20.000 decessi nell'ultimo mese. Serrata di Natale inevitabile per arginare la terza ondata

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 9-15 DICEMBRE CONFERMA UN LIEVE RALLENTAMENTO NELLA CRESCITA DEI NUOVI CASI, SOVRASTIMATO DA UN ULTERIORE CALO DEI TAMPONI. CALA LA PRESSIONE SUGLI OSPEDALI, MA AREA MEDICA E TERAPIE INTENSIVE RIMANGONO SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE RISPETTIVAMENTE IN 10 E 14 REGIONI. CONTINUA A SALIRE IL NUMERO DEI DECESSI. A FRONTE DI QUESTI NUMERI, LE (IN)DECISIONI POLITICHE SONO IN BALÌA DI CONFLITTI GOVERNO-REGIONI, COMPROMESSI PARTITICI E REAZIONI EMOTIVE, PIUTTOSTO CHE ESSERE INFORMATE DA UN PIANO STRATEGICO PER TUTELARE LA SALUTE, SOSTENERE CONCRETAMENTE L’ECONOMIA E GESTIRE LE CONSEGUENZE SOCIALI DELLA PANDEMIA. GOVERNO E REGIONI NON POSSONO LIMITARSI A TEMERE LA TERZA ONDATA, DEVONO ARGINARLA

17 dicembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 9-15 dicembre, rispetto alla precedente, una flessione dei nuovi casi (113.182 vs 136.493), a fronte di una riduzione di oltre 88 mila casi testati (462.645 vs 551.068) e di un rapporto positivi/casi testati stabile (24,5% vs 24,8%). Calano del 9,5% i casi attualmente positivi (667.303 vs 737.525) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono ricoveri con sintomi (27.342 vs 30.081) e terapie intensive (3.003 vs 3.345); in lieve riduzione anche i decessi (4.617 vs 4.879). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 4.617 (-5,4%)
  • Terapia intensiva: -342 (-10,2%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.739 (-9,1%)
  • Nuovi casi: 113.182 (-17,1%)
  • Casi attualmente positivi: -70.222 (-9,5%)
  • Casi testati -88.423 (-16,1%)
  • Tamponi totali: -162.837 (-12,9%)

«I dati di questa settimana – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – confermano il rallentamento del contagio, documentato dalla riduzione dell’incremento percentuale dei casi totali (6,4% vs 8,4% a livello nazionale, registrata anche in tutte le Regioni) e dal numero dei nuovi casi settimanali (- 17,1%). Tuttavia, la netta riduzione di oltre 88 mila casi testati (-16,1%) e il rapporto positivi/casi testati stabile (figura 1) finiscono per sovrastimare gli effetti delle misure di mitigazione». La consistente e ingiustificata riduzione dell’attività di testing viene infatti registrata in tutte le Regioni, eccetto Veneto e Valle d’Aosta (tabella).

Il bacino degli attualmente positivi si svuota molto lentamente e in 6 Regioni si registra addirittura un incremento rispetto alla settimana precedente (tabella). In particolare, dopo il picco del 22 novembre (n. 805.947), i casi attualmente positivi sono diminuiti in 24 giorni del 20,8%, con una riduzione media giornaliera dello 0,9%: tuttavia con oltre 667 mila casi attualmente positivi risulta al momento impossibile riprendere qualsiasi attività di tracciamento. «Sicuramente le misure restrittive introdotte dal DPCM 3 novembre 2020 hanno frenato la diffusione del contagio – continua il Presidente – ma la lenta e irregolare discesa della curva, unita ad un rapporto positivi/casi testati stabile da tre settimane, suggeriscono che le misure di mitigazione abbiano ormai dato il massimo risultato e ora, con le progressive riaperture, verosimilmente la curva prima rallenterà la sua discesa per poi tornare inesorabilmente a salire».

«Anche sul fronte ospedali – spiega Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi sanitari della Fondazione GIMBE – l’entità del rallentamento non lascia spazio a grandi entusiasmi». Il picco della seconda ondata per i ricoverati con sintomi è stato raggiunto il 23 novembre (n. 34.697) e in 22 giorni si è ridotto del 26,9%, quello delle terapie intensive il 25 novembre (3.848) e in 20 giorni si è ridotto del 28,1%. «Peraltro non è possibile definire – prosegue Gili – quanto la ridotta pressione su ricoveri e terapie intensive sia un effetto delle misure di contenimento e quanto dipenda invece dall’elevato tasso di mortalità dei pazienti ospedalizzati». In ogni caso, la soglia di occupazione da parte di pazienti COVID supera il 40% nei reparti di area medica in 10 Regioni e oltre il 30% nelle terapie intensive in 14 Regioni (figure 2 e 3).

Infine, continua inesorabilmente a salire il numero dei decessi: 4.617 morti nell’ultima settimana, oltre 20.000 nell’ultimo mese e più di 31.000 quelli della seconda ondata dal 1 settembre (figura 4). Questi numeri - che catapultano l’Italia al primo posto in Europa per decessi totali da COVID-19 (n. 65.857) e per tasso di letalità (3,5%) - stridono molto con le parole del premier Conte secondo cui “Con misure calibrate e ben circoscritte stiamo reggendo bene questa seconda ondata”.

«Nell’imminenza delle festività natalizie – continua Cartabellotta – a fronte di dati tutt’altro che tranquillizzanti, le (in)decisioni politiche continuano ad essere condizionate conflitti istituzionali, compromessi partitici e reazioni emotive, piuttosto che essere informate da un piano strategico per tutelare la salute, sostenere concretamente l’economia e gestire le conseguenze sociali della pandemia». In altre parole, se è doveroso il continuo appello alla responsabilità civica delle persone chiamate a non abbassare la guardia in alcun modo, Governo e Regioni devono ammettere che, dopo gli estenuanti tentennamenti di ottobre nell’introdurre le restrizioni, le hanno poi allentate troppo frettolosamente, senza attendere una flessione significativa dei contagi, né un consistente svuotamento degli ospedali.

«In questo scenario – conclude Cartabellotta – la serrata di Natale è l’unica possibilità per non affacciarsi al nuovo anno con ospedali ancora saturi e servizi sanitari che rischiano di andare in tilt per la coincidenza tra riapertura delle scuole, picco dell’influenza e avvio della campagna di vaccinazione anti-COVID. Non è più il tempo di giocare con i colori disorientando la popolazione, ormai stremata psicologicamente ed economicamente dal continuo e imprevedibile tira e molla sino all’ultimo minuto: Governo e Regioni non possono limitarsi a temere la terza ondata, devono arginarla».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org

 

IL PROSSIMO MONITORAGGIO GIMBE SARÀ PUBBLICATO MERCOLEDÌ 23 DICEMBRE 2020


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10 dicembre 2020
Coronavirus: rallentano i nuovi casi, ma crollano i tamponi. Ospedali ancora saturi, 4.879 decessi in una settimana. Terza ondata: attenzione alla tempesta perfetta

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 2-8 DICEMBRE CONFERMA UN LIEVE RALLENTAMENTO NELLA CRESCITA DEI NUOVI CASI, PERALTRO SOVRASTIMATO DA UNA NETTA E INGIUSTIFICATA RIDUZIONE DI TAMPONI E CASI TESTATI. RISPETTO ALLA SETTIMANA PRECEDENTE, OLTRE 135 MILA NUOVI CASI E 4.879 DECESSI. IN CALO LA PRESSIONE SUGLI OSPEDALI, ANCHE SE RICOVERI E TERAPIE INTENSIVE RIMANGONO SOPRA SOGLIA DI SATURAZIONE IN 15 REGIONI. L’IMPOSSIBILITÀ DI RIPRENDERE IL TRACCIAMENTO CON OLTRE 737 MILA CASI ATTUALMENTE POSITIVI, I LUNGHI MESI INVERNALI, L’IMPREVEDIBILE IMPATTO DELL’INFLUENZA STAGIONALE, L’IMMINENTE PASSAGGIO AL GIALLO DELL’INTERO PAESE E IL LEGITTIMO ENTUSIASMO PER IL VACCINO IN ARRIVO SONO GLI ELEMENTI DELLA TEMPESTA PERFETTA CHE PUÒ INNESCARE LA TERZA ONDATA.

10 dicembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 2-8 dicembre, rispetto alla precedente, una flessione dei nuovi casi (136.493 vs 165.879), a fronte di una riduzione di oltre 121 mila casi testati (551.068 vs 672.794) e di una sostanziale stabilità del rapporto positivi/casi testati (24,8% vs 24,7%). Calano del 5,4% i casi attualmente positivi (737.525 vs 779.945) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono sia i ricoveri con sintomi (30.081 vs 32.811) che le terapie intensive (3.345 vs 3.663); in lieve riduzione anche i decessi (4.879 vs 5.055). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 4.879 (-3,5%)
  • Terapia intensiva: -318 (-8,7%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.730 (-8,3%)
  • Nuovi casi: 136.493 (-17,7%)
  • Casi attualmente positivi: -42.420 (-5,4%)
  • Casi testati -121.726 (-18,1%)
  • Tamponi totali: -142.105 (-10,1%)

«Anche questa settimana – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si confermano evidenti segnali di rallentamento del contagio quali la riduzione dell’incremento percentuale dei casi totali (8,4% vs 11,4% a livello nazionale, registrata anche in tutte le Regioni) e del numero dei nuovi casi settimanali, ma l’effetto non è dovuto solo alle misure introdotte». Rimane infatti stabile il rapporto positivi/casi testati (figura 1) e, soprattutto, si registra un’ingiustificata riduzione di oltre 121 mila casi testati (-18,1%), che solo in 5 Regioni aumentano rispetto alla settimana precedente (tabella).

Figura 1

Tabella. Indicatori regionali settimana 2-8 dicembre

«Da questi numeri – spiega Cartabellotta – emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto che le misure introdotte hanno frenato il contagio; in secondo luogo che l’effetto delle misure sull’incremento dei nuovi casi è sovrastimato da una consistente riduzione dell’attività di testing; infine che, a invarianza di misure restrittive, la discesa della curva sarà molto lenta, certo non paragonabile a quella della prima ondata».

«La riduzione del bacino degli attualmente positivi – continua il Presidente – è lenta, modesta, oltre che sovrastimata dalla notevole riduzione di tamponi e casi testati delle ultime settimane». Infatti, dal record di 124.575 casi testati in media al giorno della settimana 4-11 novembre, in quella 2-8 dicembre si è registrato un decremento del 36,8% (-45.851 casi testati/die). Meno evidente la riduzione dei tamponi totali, passati da una media di 214.187/die della settimana 12-18 novembre ai 179.845 della settimana 2-8 dicembre, con un calo giornaliero medio di 27.907 tamponi (-13,4%) (figura 2).

Figura 2

Se le misure di mitigazione hanno allentato la pressione su ricoveri e terapie intensive che hanno superato il picco e iniziato una lenta fase discendente, la soglia di occupazione per pazienti COVID continua a rimanere oltre il 40% nei reparti di area medica e del 30% nelle terapie intensive in 15 Regioni (figure 3 e 4). La curva dei decessi comincia a salire in maniera meno ripida (figura 5).

Figura 3

Figura 4

Figura 5

«Con questi numeri – spiega Cartabellotta – il Paese si presenta come un paziente con “quadro clinico” ancora molto grave e instabile che, superata la fase acuta (picco di contagi e di pazienti ospedalizzati), inizia a mostrare i primi segni di miglioramento grazie alle terapie somministrate. Ma la prognosi rimane riservata e, per essere sciolta, richiede una rigorosa e prolungata “compliance” a tutte le misure individuali, al distanziamento sociale e alle restrizioni imposte da Governo e Regioni».

«Siamo in una fase estremamente delicata dell’epidemia – ribadisce Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – per almeno tre ragioni: innanzitutto con oltre 700 mila attualmente positivi è impossibile riprendere il tracciamento dei contatti; in secondo luogo, ci attendono lunghi mesi invernali che favoriscono la diffusione di tutti i virus respiratori; infine, sino a metà gennaio non sapremo se l’impatto dell’influenza sarà, come auspicato, più contenuto rispetto alle stagioni precedenti. In tal senso, arrivare a quel momento con gli ospedali saturi potrebbe avere conseguenze disastrose per la salute e la vita delle persone».

«Altri due elementi – conclude Cartabellotta – completano la tempesta perfetta che rischia di innescare la terza ondata. Alla vigilia delle festività natalizie, tutte le Regioni si avviano a diventare gialle, un colore che non deve essere letto come un via libera, ma impone il rispetto di regole severe per impedire assembramenti e ridurre al minimo i contatti sociali tra persone non conviventi. Infine, l’auspicato e (speriamo) imminente arrivo del vaccino non deve costituire un alibi per abbassare la guardia: nella più ottimistica delle previsioni, infatti, un’adeguata protezione a livello di popolazione potrà essere raggiunta solo nell’autunno 2021 con una massiccia adesione delle persone alla campagna di vaccinazione».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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3 dicembre 2020
Coronavirus: frena il contagio, ma gli attualmente positivi sfiorano quota 780.000; Restrizioni funzionano, ma il colore delle regioni sbiadisce troppo in fretta

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 25 NOVEMBRE – 1 DICEMBRE, CONFERMA TIMIDI SEGNALI DI RALLENTAMENTO DELL’EPIDEMIA, A FRONTE DI NUMERI TUTTAVIA ANCORA MOLTO ELEVATI. RISPETTO ALLA SETTIMANA PRECEDENTE, OLTRE 165 MILA NUOVI CASI E 5.055 DECESSI. QUASI 780 MILA CASI ATTUALMENTE POSITIVI, CON SOGLIE DI SATURAZIONE DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE SUPERATE IN 15 E 16 REGIONI. LE MISURE DI CONTENIMENTO DIFFERENZIATE SEMBRANO FUNZIONARE IN RELAZIONE A INTENSITÀ E DURATA, MA ALCUNI MIGLIORAMENTI ENFATIZZATI DA RITARDI DI NOTIFICA E DATI INCOMPLETI. PER IL CAMBIO COLORE DELLE REGIONI DUE SETTIMANE DI “CONTROLLO” NON SUFFICIENTI, SCENDE SOLO INDICE RT.

3 dicembre2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 25 novembre-1 dicembre, rispetto alla precedente, una diminuzione dei nuovi casi (165.879 vs 216.950), a fronte di un calo dei casi testati (672.794 vs 778.765) e di una riduzione del rapporto positivi/casi testati (24,7% vs 27,9%). Calano del 2,3% i casi attualmente positivi (779.945 vs 798.386) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono sia i ricoveri con sintomi (32.811 vs 34.577) che le terapie intensive (3.663 vs 3.816); ancora in aumento i decessi (5.055 vs 4.842). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 5.055(+9,9%)
  • Terapia intensiva: -153(-4%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.766 (-5,1%)
  • Nuovi casi:165.879(+11,4%)
  • Casi attualmente positivi: -18.441(-2,3%) 
  • Casi testati -105.971(-13,6%)
  • Tamponi totali: -85.654(-5,8%)

«Si conferma – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la riduzione dell’incremento percentuale dei casi totali (11,4% vs 17,5%), del numero di nuovi casi settimanali (165.879 vs 216.950)e, in misura minore, del rapporto positivi/casi testati (24,7% vs 27,9%) a fronte di una sensibile riduzione dei casi testati (-13,6%)» (figura 1). Se il calo dei nuovi casi da un lato è dunque attribuibile all’effetto delle misure introdotte, dall’altro risente dell’inspiegabile riduzione di quasi 106 mila casi testati.

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati

«Le misure di contenimento – continua il Presidente – si riflettono anche sulle curve degli attualmente positivi, di ricoveri e terapie intensive, che sembrano avere superato il picco e iniziato la fase discendente, mentre la curva dei decessi continua a salire» (figura 4). Tuttavia, la soglia di occupazioneper pazienti COVID rimane oltre il 40% nei reparti di area medica in 15 Regioni (figura 2) e quella del 30% nelle terapie intensive in 16 Regioni (figura 3). E dove i tassi di occupazione sono molto più elevati, precisa Cartabellotta, «i pazienti COVID-19 “invadono” altri reparti limitando la possibilità di curare pazienti con altre patologie e determinando il rinvio di altre prestazioni, interventi chirurgici inclusi».

Figura 4. Trend settimanale di casi attualmente positivi, ricoveri con sintomi, terapie intensive e deceduti

 

Figura 2. Posti letto Area Medica occupati da pazienti COVID-19

 

Figura 3. Posti letto Terapia intensiva occupati da pazienti COVID-19

La Fondazione GIMBE ha valutato l’impatto delle misure introdotte dal DPCM 3 novembre con il “sistema a colori”, esaminando il trend di alcuni indicatori nel periodo compreso dal 6 novembre (data d’introduzione delle misure) al 28 novembre (ultimo giorno prima degli allentamenti in alcune Regioni). In dettaglio, sono state riportate le variazioni in 23 giorni di osservazione su 5 indicatori: (tabella).

Tabella. Impatto delle misure di contenimento previste dal DPCM 3 novembre 2020

 

  • Variazione dell’indice Rt: valore limite inferiore intervallo di confidenza,riportato dai “Report Monitoraggio Fase 2 ai sensi del DM Salute 30 aprile 2020”
  • Variazione percentuale dei nuovi casi nel periodo 6-28 novembre, rispetto ai 23 giorni precedenti
  • Variazione dei casi “attualmente positivi” per 100.000 abitanti nel periodo 6-28novembre
  • Variazione del numero di ricoverati con sintomi nel periodo 6-28-novembre
  • Variazione del numero di ricoverati in terapia intensiva nel periodo 6-28-novembre


Risulta evidente che sull’allentamento delle misure del 29 novembre, deciso sulla base dei criteri del DPCM 3 novembre, pesa di fatto solo la riduzione dell’indice Rt, visto che tutti gli altri indicatori sono peggiorati rispetto al 6 novembre, tranne rare eccezioni (tabella).

«La nostra analisi – ribadisce Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE –conferma che, Rt a parte, non si intravedono risultati tangibili a 3 settimane dall’introduzione delle misure. Inoltre, suggerisce che sbiadire troppo presto il colore delle Regioni rischia di determinare una risalita prima dell’indice Rt, poi della curva epidemica e quindi dei tassi di ospedalizzazione. In altre parole, con la circolazione del virus ancora troppo elevata per riprendere un efficace contact tracing e con la pressione sugli ospedali molto alta, i primi timidi segnali di miglioramento rischiano di essere vanificati dall’allentamento delle misure».

«L’entità del miglioramento di alcuni parametri – spiega Cartabellotta – è peraltro sovrastimata sia da ritardi di notifica e completezza dei dati comunicati dalle Regioni, sia da alcuni fattori di non sempre chiara interpretazione. Diminuzione dei casi testati e limitata esecuzione del tampone nei contatti di positivi, con conseguente riduzione dell’incidenza di nuovi casi; ritardo di comunicazione delle date di diagnosi, prelievo e inizio sintomi, che abbassano il valore dell’indice Rt; conversione di posti letto di area medica destinati a pazienti affetti da altre patologie, con conseguente riduzione del tasso di occupazione ospedaliera».

«A poche ore dalla firma del nuovo DPCM – conclude Cartabellotta – che dovrebbe guidare i nostri comportamenti  sino alla fine delle festività natalizie, la Fondazione GIMBE chiede al Governo di mantenere la linea del rigore, al fine di evitare una nuova inversione della curva del contagio ed aumentare la pressione, già intensa, sugli ospedali dove i professionisti sanitari sono al limite dello stremo. Chiediamo inoltre di rivedere le tempistiche per ridurre l’intensità del colore delle Regioni: i dati confermano infatti che due settimane di “osservazione” sono insufficienti per valutare un miglioramento tangibile sulla curva dei contagi e, soprattutto, sui tassi di ospedalizzazione. In tal senso, l’ipotesi di un “Italia tutta gialla” in tempi brevi è più un desiderata della politica che una strategia di controllo dell’epidemia».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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26 novembre 2020
Coronavirus: epidemia rallenta, ma con ospedali sotto pressione e oltre 4.800 decessi siamo in piena seconda ondata. Allentamento misure: Governo e Regioni abbiano il coraggio di scelte impopolari

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 18-24 NOVEMBRE DA UN LATO RILEVA CHIARI SEGNALI DI RALLENTAMENTO DELL’EPIDEMIA, DALL’ALTRO CONFERMA NUMERI ANCORA MOLTO ELEVATI. RISPETTO ALLA SETTIMANA PRECEDENTE OLTRE 216 MILA NUOVI CASI E 4.842 DECESSI. QUASI 780 MILA CASI ATTUALMENTE POSITIVI, CON SOGLIE DI SATURAZIONE DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE SUPERATE IN OLTRE 2/3 DELLE REGIONI. MENTRE L’EUROPEAN CENTRE FOR DISEASE PREVENTION AND CONTROL LANCIA L’ALLARME SUI RISCHI DI UNA REVOCA DELLE MISURE, LA FONDAZIONE GIMBE RICHIAMA ALLA RESPONSABILITÀ ISTITUZIONALE: RIAPERTURE IMPRUDENTI PER LE FESTIVITÀ NATALIZE RISCHIANO DI INVERTIRE NUOVAMENTE LA CURVA DEL CONTAGIO VANIFICANDO I SACRIFICI GIÀ FATTI.

26 novembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 18-24 novembre, rispetto alla precedente, una riduzione dei nuovi casi (216.950 vs 242.609), a fronte di una riduzione dei casi testati (778.765 vs 854.626) e di una lievissima diminuzione del rapporto positivi/casi testati (27,9% vs 28,4%). Crescono dell’8,8% i casi attualmente positivi (798.386 vs 733.810) e, sul fronte degli ospedali, rallenta l’incremento dei ricoveri con sintomi (34.577 vs 33.074) e in terapia intensiva (3.816 vs 3.612); ancora in aumento i decessi (4.842 vs 4.134). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 4.842 (+17,1%)
  • Terapia intensiva: +204 (+5,6%)
  • Ricoverati con sintomi: +1.503 (+4,5%)
  • Nuovi casi: 216.950 (+17,5%)
  • Casi attualmente positivi: +64.576 (+8,8%)
  • Casi testati -75.861 (-8,9%)
  • Tamponi totali: -12.638 (-0,8%)

«Se da tre settimane – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si registra una riduzione dell’incremento percentuale dei nuovi casi, per la prima volta durante la seconda ondata si evidenzia la riduzione sia in termini assoluti dei nuovi casi, sia del rapporto positivi/casi testati dal 28,4% al 27,9%». Tuttavia se nell’ultima settimana si registra un’ulteriore diminuzione dell’incremento percentuale dei nuovi casi (17,5% vs 24,4%) che si attestano a quota 216.950 (figura 1), la riduzione dei casi testati sfiora il 9%. Infatti, nonostante l’incremento percentuale dei casi si riduca in tutte le Regioni, il bacino degli attualmente positivi aumenta in 15 Regioni (tabella).

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e dell'incremento % dei casi totali

Tabella. Indicatori regionali settimana 18 - 24 novembre

«Gli effetti delle misure di contenimento – continua Cartabellotta – iniziano a manifestarsi anche sulle curve di ricoveri e terapie intensive, che tendono ad assumere più l’aspetto di un plateau che di un picco simile a quello registrato nella prima ondata. Per allentare la pressione negli ospedali ci vorrà quindi molto più tempo rispetto alla scorsa primavera, perché l’entità delle attuali misure di contenimento è nettamente inferiore al lockdown totale». Peraltro, se la soglia di occupazione per pazienti COVID del 40% definita dal Ministero della Salute nei reparti di area medica è stata superata in 15 Regioni (figura 2) e quella del 30% nelle terapie intensive in 16 (figura 3), nelle Regioni con tassi di occupazione molto più elevati, aggiunge Cartabellotta, «i pazienti COVID stanno “cannibalizzando” progressivamente i posti letto di altri reparti, limitando la possibilità di curare pazienti con altre patologie e determinando il rinvio di prestazioni non urgenti, interventi chirurgici inclusi».

Figura 2. Posti letto Area Medica occupati da pazienti COVID-19

Figura 3. Posti letto Terapia Intensiva occuapti da pazienti COVID-19

«Con l’approssimarsi della scadenza del DPCM in vigore – continua il Presidente – e delle imminenti festività natalizie, il dibattito pubblico si concentra sul possibile allentamento delle misure per favorire i consumi e la possibilità di festeggiare con amici e parenti». Ma l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) mette in guardia sui rischi di revocare le misure restrittive: secondo i modelli predittivi appena pubblicati una loro revoca il 7 o il 21 dicembre porterebbe ad una risalita dei ricoveri, rispettivamente in prossimità del Natale o nella prima settimana di gennaio 2021.

 

«Considerato che oltre l’1% della popolazione è attualmente positivo all’infezione – spiega Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – la circolazione del virus nel nostro Paese è ancora molto elevata. E in questa fase di lenta discesa della curva dei contagi l’incremento dei nuovi casi post-allentamento delle misure sarà visibile non prima di 2-3 settimane».

«A pochi giorni dal nuovo DPCM – conclude Cartabellotta – la coincidenza tra i primi effetti delle misure con le imminenti festività natalizie rischiano di distorcere la valutazione oggettiva del quadro epidemiologico. Per questo la Fondazione GIMBE si appella alla responsabilità di Governo e Regioni: servono scelte coraggiose anche se impopolari, perché i dati e l’allarme dell’ECDC non lasciano adito a dubbi. Un imprudente allentamento delle misure rischia di provocare entro fine anno una nuova inversione della curva dei contagi che, come ben sappiamo, si riflette poi su ospedali ancora in sovraccarico e con il picco dell’influenza stagionale in arrivo».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org

Figura 4. Trend settimanale di casi attualmente positivi, ricoveri con sintomi, terapie intensive e deceduti


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23 novembre 2020
Sanit&#224;: adempimenti livelli essenziali di assistenza 2010-2018. Il 25% delle risorse spese dalle regioni per la sanit&#224; non ha prodotto servizi per i cittadini

L’ANALISI GIMBE 2010-2018 DOCUMENTA UNA PERCENTUALE CUMULATIVA DEGLI ADEMPIMENTI DELLE REGIONI AI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA DEL 75% CON UNA FORBICE MOLTO AMPIA: IN TESTA ALLA CLASSIFICA 11 REGIONI TUTTE DEL CENTRO-NORD, AD ECCEZIONE DELLA BASILICATA. SE LA “GRIGLIA LEA” È LO STRUMENTO UFFICIALE PER MONITORARE L’EROGAZIONE DELLE PRESTAZIONI SANITARIE, QUESTO SIGNIFICA CHE NEL PERIODO 2010-2018 UN QUARTO DELLE RISORSE SPESE PER LA SANITÀ NON HA PRODOTTO SERVIZI PER I CITTADINI. GRAZIE AD UNO STRUMENTO DI VALUTAZIONE ORMAI ARRUGGINITO DA ANNI, NEL 2018 REGIONI TUTTE PROMOSSE.

23 novembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Ogni anno il Ministero della Salute rende noto il report “Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA” che verifica l’erogazione, attraverso l’assegnazione di un punteggio, delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai cittadini. «Si tratta di una vera e propria “pagella” sulla “materia” sanità – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che permette di identificare Regioni promosse e bocciate». Infatti, per le Regioni considerate inadempienti e sottoposte a Piano di rientro, il Ministero della Salute prevede uno specifico affiancamento, sino al commissariamento, fatta eccezione per quelle non soggette a verifica degli adempimenti: Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Valle D’Aosta e Province autonome di Trento e di Bolzano.

«L’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale – continua Cartabellotta – da anni rileva che il monitoraggio tramite la “griglia LEA” è solo un political agreement tra Governo e Regioni, perché lo strumento è sempre più inadeguato per valutare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini». Innanzitutto, la griglia LEA ha modeste capacità di identificare gli inadempimenti per il numero limitato di indicatori e per le modalità di rilevazione, ovvero l’autocertificazione da parte delle stesse Regioni. In secondo luogo, lo strumento si è progressivamente “appiattito” perché indicatori e soglie di adempimento non hanno subìto negli anni rilevanti variazioni e non vengono modificati dal 2015. Ancora, la soglia di adempimento per la “promozione” è rimasta negli anni la stessa: 160 su 225 punti. Infine, il monitoraggio viene reso pubblico con due anni circa di ritardo, impedendo tempestive azioni di miglioramento.

«Tutti questi limiti – spiega Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione –  riducono la possibilità di valutare in maniera oggettiva, analitica e tempestiva la capacità delle Regioni di erogare le prestazioni ordinarie, anche per stimare la possibilità di rispondere ad un evento straordinario come la pandemia».

«Dal 2008 lo Stato – puntualizza il Presidente – certifica l’erogazione delle prestazioni da parte delle Regioni con uno strumento sempre meno adeguato avalutare la qualità dell’assistenza sanitaria. In particolare, l’ultimo monitoraggio del 2018, “promuove” tutte le Regioni sottoposte alla verifica adempimenti, in netto contrasto con numerosi report indipendenti nazionali e internazionali che attestano invece un peggioramento della qualità dell’assistenza».

 

La Fondazione GIMBE ha analizzato i risultati dei monitoraggi annuali del Ministero della Salute relativi agli anni 2010-2018. In dettaglio:

  • A partire dai singoli indicatori sono stati calcolati i punteggi totali, calcolando quelli non disponibili: in particolare quelli delle Regioni non sottoposte a verifica degli adempimenti per gli anni 2010-2016 e quelli relativi a tutte le Regioni per gli anni 2010-2011.
  • Le “percentuali di adempimento” sono state calcolate come rapporto tra punteggio cumulativo ottenuto nel periodo 2010-2018 e il punteggio massimo di 2.025 raggiungibile nei 9 anni analizzati.
  • La classifica finale è stata elaborata secondo le percentuali cumulative di adempimento 2010-2018 e suddivisa in quartili.


L’analisi degli adempimenti LEA 2010-2018 (tabella) dimostra che:

  • Nel periodo considerato la percentuale cumulativa media di adempimento delle Regioni è del 75% (range tra Regioni 56,2%-92,8%). In altri termini, se la griglia LEA è lo strumento ufficiale per monitorare l’erogazione delle prestazioni essenziali, il 25% delle risorse spese dalle Regioni per la sanità nel periodo 2010-2018 non ha prodotto servizi per i cittadini (range tra Regioni 7,2%-43,8%).
  • La percentuale cumulativa di adempimento annuale è aumentata dal 64,1% del 2010 all’85,1% del 2018, un miglioramento ampiamente sovrastimato in ragione dell’appiattimento della griglia LEA sopra descritto.
  • Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento cumulativo del 76% e, ad eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord, confermando sia la “questione meridionale” in sanità, sia la sostanziale inefficacia di Piani di rientro e commissariamenti nel migliorare l’erogazione dei LEA.
  • Regioni e Province autonome non sottoposte a verifica degli adempimenti hanno performance molto variegate. Da un lato Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento raggiungono percentuali di adempimento cumulative rispettivamente dell’80,4% e 78,3%. Dall’altro Valle D’Aosta, Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano si collocano nel quartile con le performance peggiori.

Adempimenti livelli essenziali di assistenza 2010-2018

 

 

«La nostra valutazione pluriennale – commenta Gili – fornisce numerosi spunti per implementare il “Nuovo Sistema di Garanzia” che, salvo ulteriori ritardi, dovrebbe aver sostituito la “griglia LEA” dal 1° gennaio 2020». Infatti, se il nuovo strumento è stato sviluppato per meglio documentare gli adempimenti regionali, bisogna prevenirne il progressivo “appiattimento” e rivedere le modalità di attuazione dei Piani di rientro, per consentire al Ministero della Salute di effettuare interventi selettivi, evitando di paralizzare l’intera Regione con lo strumento del commissariamento. 

«Se dopo anni tagli e definanziamenti – conclude Cartabellotta – la pandemia finalmente ha rimesso il Servizio Sanitario Nazionale al centro dell’agenda politica, dall’altro ha enfatizzato il conflitto istituzionale tra Governo e Regioni, ben lontano da quella “leale collaborazione” a cui l’art. 117 della Costituzione affida la tutela della salute tramite il meccanismo della legislazione concorrente. Senza una nuova stagione di collaborazione politica tra Governo e Regioni e un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei LEA, sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria e il diritto alla tutela della salute continuerà ad essere legato al CAP di residenza delle persone. E con la pandemia le persone si devono affidare, nel bene e nel male, alla sanità della propria Regione».

 


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19 novembre 2020
Coronavirus: 4.134 morti in una settimana, in 17 regioni terapie intensive oltre la soglia di saturazione. Primi segnali di rallentamento, ma serve grande prudenza

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 11-17 NOVEMBRE, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, UN AUMENTO DI OLTRE 242 MILA CASI E DI 143MILA ATTUALMENTE POSITIVI. SALGONO A 33.074 I PAZIENTI RICOVERATI E A 3.612 QUELLI IN TERAPIA INTENSIVA CON SOGLIE DI SATURAZIONEDEGLI OSPEDALI SUPERATERISPETTIVAMENTE IN 15 E 17 REGIONI. RALLENTALA VELOCITÀ DI CRESCITA DI NUOVI CASI, RICOVERI E TERAPIE INTENSIVE, MENTRE RIMANE ESPONENZIALE L’AUMENTO DEI DECESSI. IPOTIZZARE UN ALLENTAMENTO DELLE MISURE CON L’OBIETTIVO DI SALVARE IL NATALE RISCHIA DI AVERE UN PREZZO ALTISSIMO, ANCHE IN TERMINI DI VITE UMANE.

19 novembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 11-17 novembre, rispetto alla precedente, una stabilizzazione nell’incremento del trend dei nuovi casi (242.609 vs 235.634), a fronte di una lieve riduzione dei casi testati (854.626 vs 872.026) e di un lieve aumento del rapporto positivi/casi testati (28,4% vs 27%). Crescono del 24,4% i casi attualmente positivi (733.810 vs 590.110) e, sul fronte degli ospedali, si registra un ulteriore incremento dei pazienti ricoverati con sintomi (33.074 vs 28.633) e in terapia intensiva (3.612 vs 2.971); aumentano del 41,7% i decessi (4.134 vs 2.918). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 4.134 (+41,7%)
  • Terapia intensiva: +641 (+21,6%)
  • Ricoverati con sintomi: +4.441 (+15,5%)
  • Nuovi casi: 242.609 (+24,4%)
  • Casi attualmente positivi: +143.700 (+24,4%)
  • Casi testati -17.400 (-2%)
  • Tamponi totali: +45.051 (+3,1%)

«Per interpretare correttamente i termini “rallentamento”, “raffreddamento”, “frenata” che nell’ultima settimana hanno invaso anche la comunicazione istituzionale – spiega il Presidente – è indispensabile sottolineare la netta differenza tra l’incremento percentuale dei nuovi casi ed il loro aumento in termini assoluti. Altrimenti, si finisce per “torturare i numeri sino a farli confessare”, enfatizzando timidi miglioramenti per limitare restrizioni e legittimare riaperture». Infatti, se nell’ultima settimana si registra un’ulteriore riduzione dell’incremento percentuale dei nuovi casi (dal 31% al 24,4%), questi sono comunque aumentati di 242.609 rispetto alla settimana precedente (figura 1). Infatti, se da un lato in tutte le Regioni, eccetto la Puglia, si riduce l’incremento percentuale dei casi, dall’altro i casi attualmente positivi aumentano ovunque tranne che in Valle D’Aosta (tabella).

Trend settimanale dei nuovi casi e dell'incremento % dei casi totali

 

Indicatori regionali settimana 11-17 novembre

«Le misure di contenimento introdotte – spiega il Presidente – non hanno affatto “appiattito” la curva dei contagi che continua a salire, seppure con velocità ridotta, analogamente a quella dei ricoverati con sintomi e delle terapie intensive. Il contagio, in sostanza, è come un’automobile che, dopo avere accelerato la corsa per settimane (incremento percentuale dei casi), ora viaggia ad una velocità molto elevata ma costante (numero di casi settimanali), nonostante abbia ridotto l’accelerazione».

La riduzione dell’incremento percentuale si intravede anche sul numero dei pazienti ricoverati con sintomi e, in misura minore, sulle terapie intensive: «Tuttavia – puntualizza Cartabellotta – non conoscendo i flussi dei pazienti in entrata e in uscita, non si può escludere che questo dato sia influenzato dall’effetto saturazione dei posti letto che nelle terapie intensive purtroppo causano un incremento della letalità». In ogni caso, la soglia di occupazione del 40% definita dal Ministero della Salute per pazienti COVID nei reparti di area medica è stata superata in 15 Regioni (figura 2) e quella del 30% nelle terapie intensive in 17 (figura 3).  Se le rispettive medie nazionali hanno raggiunto il 51% e il 42%, in diverse Regioni i valori sono molto più elevati e alcuni ospedali sono allo stremo anche perché, aggiunge Cartabellotta «i pazienti COVID stanno progressivamente “cannibalizzando” i posti letto di altri reparti limitando la capacità di assistere pazienti con altre patologie».

Posti letto Area Medica occupati da pazienti COVID-19

 

Posti letto Terapia Intensiva occupati da pazienti COVID-19

«L’incremento dei decessi – spiega Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – mantiene invece un trend esponenziale, facendo registrare un +41,7% rispetto alla settimana precedente. Tale incremento è destinato ad aumentare nelle prossime settimane, perché l’effetto delle misure restrittive riduce prima gli indici di contagio (Rt, incremento percentuale dei casi), poi i ricoveri e le terapie intensive, e solo da ultimo i decessi».

«Se da lato i rallentamenti dell’ultima settimana rappresentano indubbiamente un segnale positivo – conclude Cartabellotta – dall’altro è fondamentale rilevare che le curve dei casi attualmente positivi, di ricoveri, terapie intensive e, soprattutto, dei decessi continuano a salire (figura 4). In questo scenario, tenendo conto dell’attuale livello di sovraccarico di ospedali e terapie intensive e della crescita esponenziale dei decessi, ipotizzare un allentamento delle misure con l’obiettivo di salvare il Natale, rischia di avere conseguenze molto gravi, sia in termini di salute delle persone che di vite umane».

Trend settimanale casi positivi, ricoveri, terapie intensive e decessi

 

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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12 novembre 2020
Coronavirus: 2.918 decessi in una settimana, terapie intensive sopra soglia di saturazione in 11 regioni, impennata di contagi tra il personale sanitario. Serve cambio di rotta si criteri di monitoraggio e dati open

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 4-10 NOVEMBRE, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, UN AUMENTO DI OLTRE 235 MILA CASI E 590 MILA ATTUALMENTE POSITIVI. SALGONO A 28.633 I PAZIENTI RICOVERATI E A 2.971 QUELLI IN TERAPIA INTENSIVA CON SOGLIE DI SATURAZIONE DEGLI OSPEDALI SUPERATE IN 11 REGIONI. NEGLI ULTIMI 30 GIORNI CONTAGIATI OLTRE 19 MILA OPERATORI SANITARI. LA FONDAZIONE GIMBE, IN AUDIZIONE ALLA CAMERA, CHIEDE LA REVISIONE DEL SISTEMA DI MONITORAGGIO E RIBADISCE LA NECESSITÀ DI RENDERE ACCESSIBILI TUTTI I DATI DETTAGLIATI E INTEROPERABILI IN FORMATO APERTO.

12 novembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 4-10 novembre, rispetto alla precedente, l’incremento nel trend dei nuovi casi (235.634 vs 195.051), sia per il lieve aumento dei casi testati (872.026 vs 817.717), sia per l’incremento del rapporto positivi/casi testati (27% vs 23,9%) (figura 1).

 

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati

Crescono del 41,1% i casi attualmente positivi (590.110 vs 418.142) e, sul fronte degli ospedali, si registra un ulteriore aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (28.633 vs 21.114) e in terapia intensiva (2.971 vs 2.225); incrementano del 70% i decessi (2.918 vs 1.712) (figura 2).

Figura 2. Trend settimanale di casi attualmente positivi, pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e deceduti

 

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 2.918 (+70,4%)
  • Terapia intensiva: +746 (+33,5%)
  • Ricoverati con sintomi: +7.519 (+35,6%)
  • Nuovi casi: 235.634 (+31%)
  • Casi attualmente positivi: +171.968 (+41,1%)
  • Casi testati +54.309 (+6,6%)
  • Tamponi totali: +121.410 (+9,1%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si conferma l’incremento di oltre il 40% dei casi attualmente positivi che si riflette sul numero dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, con gli ospedali sempre più vicini alla saturazione, oltre che sul numero di decessi, che nell’ultima settimana hanno superato quota 2.900».

Rispetto alla settimana precedente in quasi tutte le Regioni si rileva un lieve rallentamento dell'incremento percentuale dei casi che potrebbe dipendere sia dall’effetto delle misure di contenimento introdotte a fine ottobre, sia dalla saturazione della capacità di testing, visto che i casi attualmente positivi continuano ad aumentare ovunque. Destano particolare preoccupazione i tassi di occupazione ospedalieri: in 11 Regioni è stata superata la soglia di saturazione del 40% dei posti letto in area medica e in altre 11 Regioni quella del 30% per le terapie intensive (tabella).

 

Altro dato critico sulla gestione e sull’evoluzione dell’epidemia è il numero degli operatori sanitari contagiati dal momento che «negli ultimi 30 giorni – spiega il Presidente – si sono verificati 19.217 contagi, rispetto ai 1.650 dei 30 giorni precedenti. Oltre al rischio di focolai ospedalieri, in RSA e in ambienti protetti, preoccupa l’impatto sul personale sanitario, già in carenza di organico oltre che provato dalla prima ondata» (figura 3).

 

Figura 3. Trend dei contagi tra gli operatori sanitari

Il monitoraggio GIMBE della seconda ondata è stato oggetto lo scorso 10 novembre di un’audizione presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera, dove il Presidente ha innanzitutto ribadito la necessità di rendere disponibili in formato aperto, dettagliati e interoperabili tutti i dati, richiamando la campagna  #datiBeneComune. Quindi ha rilevato le criticità tecniche dell’attuale sistema di monitoraggio della pandemia che informa le scelte di Governo: dalla limitata tempestività - dovuta ai tempi di consolidamento dei dati e ai crescenti ritardi di notifica da parte delle Regioni - che favorisce la corsa del virus, alla qualità e completezza dei dati regionali, dalla complessità tecnica al peso eccessivo attribuito all’indice Rt.

«L’attribuzione dei colori alle Regioni – ha spiegato Cartabellotta – viene effettuata utilizzando due parametri principali: lo scenario identificato dai valori dell’indice Rt e la classificazione del rischio attraverso i 21 indicatori del DM 30 aprile 2020. Tuttavia, il valore di Rt è inappropriato per informare decisioni rapide perché, oltre ad essere stimato sui contagi di 2-3 settimane fa, presenta numerosi limiti». In particolare, Rt:

  • viene stimato solo sui casi sintomatici, circa 1/3 dei casi totali
  • si basa sulla data inizio sintomi che molte Regioni non comunicano per il 100% dei casi, determinando una sottostima dell’indice
  • è strettamente dipendente dalla qualità e tempestività dei dati inviati dalle Regioni
  • quando i casi sono pochi, rischia di sovrastimare la diffusione del contagio

«In questa fase di drammatica crescita dei contagi, rapida saturazione degli ospedali e impennata dei decessi – conclude Cartabellotta – il sistema di monitoraggio che informa le decisioni politiche secondo il DPCM del 3 novembre 2020 non è uno strumento decisionale adeguato. È tecnicamente complesso, soggetto a numerosi “passaggi” istituzionali, risente di varie stratificazioni normative, attribuisce un ruolo preponderante all’indice Rt che presenta numerosi limiti e, soprattutto, fotografa un quadro relativo a 2-3 settimane prima. Ovvero, usando lo specchietto retrovisore, invece del “binocolo, si rallenta la tempestività e l’entità delle misure per contenere la curva epidemica. Senza un immediato cambio di rotta sui criteri di valutazione e sulle corrispondenti restrizioni, solo un lockdown totale potrà evitare il collasso definitivo degli ospedali e l’eccesso di mortalità, anche nei pazienti non COVID-19».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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5 novembre 2020
Coronavirus: continua l'ascesa dei contagi, ospedali prossimi alla saturazione. I DPCM si rincorrono senza una strategia a lungo termine

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 28 OTTOBRE – 3 NOVEMBRE, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, UN AUMENTO OLTRE 195 MILA CASI E DI 1.712 DECESSI. CON 21.114 RICOVERATI CON SINTOMI E 2.225 IN TERAPIA INTENSIVA GLI OSPEDALI SI AVVICINANO ALLE SOGLIE DI SATURAZIONE, MENTRE IL BACINO DI “ATTUALMENTE POSITIVI” SUPERA QUOTA 418 MILA. IL GOVERNO CONTINUA AD INSEGUIRE I NUMERI DEL CONTAGIO CON DPCM SETTIMANALI TRA I MALUMORI DELLE REGIONI PER L’ASSEGNAZIONE DEL LIVELLO DI RISCHIO. LA FONDAZIONE GIMBE, IN AUDIZIONE AL SENATO, CHIEDE DI RENDERE DISPONIBILI TUTTI I DATI DELL’EPIDEMIA, SOPRATTUTTO QUELLI CHE INFORMANO I COLORI DA ASSEGNARE ALLE REGIONI.

5 novembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 28 ottobre-3 novembre, rispetto alla precedente, l’incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (195.051 vs 130.329), in parte per l’aumento dei casi testati (817.717 vs 722.570), ma soprattutto per l’ulteriore incremento del rapporto positivi/casi testati (23,9% vs 18%) (figura 1). Crescono del 63,9% i casi attualmente positivi (418.142 vs 255.090) e, sul fronte degli ospedali, si rileva un ulteriore aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (21.114 vs 13.955) e in terapia intensiva (2.225 vs 1.411). Incrementano del 72% i decessi (1.712 vs 995) (figura 2). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 1.712 (+72,1%)
  • Terapia intensiva: +814 (+57,7%)
  • Ricoverati con sintomi: +7.159 (+51,3%)
  • Nuovi casi: 195.051 (+49,7%)
  • Casi attualmente positivi: +163.052 (+63,9%)
  • Casi testati +95.147 (+13,2%)
  • Tamponi totali: +163.945 (+14%)

 

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati

 

Figura 2. Trend settimanale di casi attualmente positivi, pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e deceduti

 

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si conferma l’incremento di oltre il 60% dei casi attualmente positivi che si riflette sul numero dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, portando gli ospedali verso la saturazione. Questo impatta anche sul numero di decessi, che nell’ultima settimana ha superato quota 1.700 con un trend che, con una settimana di ritardo, ricalca di fatto le altre curve. L’ulteriore incremento del rapporto positivi/casi testati, prossimo al 24%, certifica definitivamente il crollo dell’argine territoriale del testing & tracing».

La situazione nazionale rimane molto eterogenea con notevoli variabilità regionali. In generale, rispetto alla settimana precedente gli indicatori peggiorano in tutte le Regioni, ad eccezione dell’incremento percentuale dei casi che in alcune Regioni fa registrare lievissimi rallentamenti (tabella).

 

Tabella. Indicatori regionali settimana 28 ottobre - 3 novembre

I dati del monitoraggio GIMBE sono stati ieri oggetto di un’audizione presso la 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato, dove il Presidente ha rimarcato la mancata accessibilità ai dati ufficiali grezzi. «Solo per il report giornaliero dei casi di COVID-19 – ha dichiarato Cartabellotta – i dati sono disponibili in formato open. Al contrario, per il sistema di sorveglianza nazionale integrata disponiamo solo dei report settimanali dell’Istituto Superiore di Sanità con dati in forma aggregata. Mai resi pubblici neppure i report sugli indicatori di monitoraggio della fase 2 della Cabina di Regia, utilizzati per guidare le misure restrittive». Per tali ragioni, la Fondazione GIMBE ha pubblicamente richiesto di:

  • Includere nel report giornaliero dei casi di COVID-19 del Ministero della Salute il numero di contagi per Comune, oltre che i dettagli per Province e Comuni dei numeri relativi a isolamento domiciliare, ospedalizzati con sintomi, terapie intensive, guariti, deceduti, tamponi, casi testati.
  • Rendere accessibile il database nazionale di sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità in formato open data.
  • Rendere pubblici tutti i report dei 21 indicatori stabiliti dal D.M. 30 aprile 2020 utilizzati per il monitoraggio della fase 2, rendendo altresì accessibile il database in formato open data.
  • Rendere espliciti e riproducibili i criteri per l’attribuzione del livello di rischio stabiliti dagli artt. 2 e 3 del DPCM 3 novembre 2020.

Particolarmente rilevante quest’ultimo punto che determina per le Regioni l’assegnazione dei tre colori, corrispondenti a livelli differenziati di misure restrittive. Il DPCM affida la decisione al Ministro della Salute sulla base del documento “Prevenzione e risposta a COVID-19”, dei dati elaborati dalla Cabina di Regia di cui al DM aprile 2020 e sentito il Comitato tecnico scientifico. Tuttavia al momento, precisa Cartabellotta «parametri e indicatori su cui si basa l’assegnazione dei “colori” non sono sufficientemente chiari e oggettivi da escludere valutazioni discrezionali, rischiando che il meccanismo delle chiusure e riaperture, lungi dall’essere automatizzato, richieda sempre e comunque un passaggio politico con le Regioni, come peraltro previsto dallo stesso DPCM che stabilisce che le ordinanze del Ministro della Salute siano emanate d’intesa con il presidente della Regione interessata».  

«L’introduzione di misure proporzionate a differenti livelli di rischio regionale– conclude Cartabellotta – è totalmente condivisibile, anzi, ove necessario, bisognerebbe agire con misure più restrittive a livello di Provincia o Comune. Ma è indifferibile rendere pubblici i criteri per classificare il livello di rischio, anche per evitare continue negoziazioni tra Governo e Regioni che aggiungono ulteriori ritardi alla “non strategia” dei DPCM settimanali, concedendo un vantaggio sempre maggiore al virus. In ogni caso, manca una strategia a medio-lungo termine condivisa tra Governo e Regioni, in grado di potenziare adeguatamente i servizi sanitari e informare la popolazione, al momento chiamata a sottostare passivamente a nuove restrizioni settimanali che rendono incerta la quotidianità e alimentano preoccupazioni sul futuro»

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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29 ottobre 2020
Coronavirus: epidemia fuori controllo. Senza immediate chiusure locali, servirà un mese di lockdown nazionale.

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA NELLA SETTIMANA 21-27 OTTOBRE, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, AUMENTO DEL 108% DEI DECESSI E DELL’89% DEI NUOVI CASI. SUL FRONTE OSPEDALIERO +5.501 RICOVERI E +541 IN TERAPIA INTENSIVA CON UN TEMPO DI RADDOPPIAMENTO DI CIRCA 10 GIORNI E UNA STIMA DI OLTRE 30.000 RICOVERI E PIÙ DI 3.000 TERAPIE INTENSIVE OCCUPATE ALL’8 NOVEMBRE. DATI ED EVIDENZE SCIENTIFICHE DIMOSTRANO CHE LE MISURE DEI TRE DPCM SONO INSUFFICIENTI E TARDIVE E CHE I VALORI DI RT SOTTOSTIMANO AMPIAMENTE LA VELOCITÀ CON CUI SI DIFFONDE IL VIRUS.

29 ottobre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 21-27 ottobre, rispetto alla precedente, l’incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (130.329 vs 68.982), in parte per l’aumento dei casi testati (722.570 vs 630.929), ma soprattutto per il netto incremento del rapporto positivi/casi testati (18% vs 10,9%) (figura 1). Crescono di oltre 112.000 i casi attualmente positivi (255.090 vs 142.739) e, sul fronte degli ospedali, si rileva un costante aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (13.955 vs 8.454) e in terapia intensiva (1.411 vs 870). Più che raddoppiati i decessi (995 vs 459) (figura 2). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati

 

Figura 2. Trend settimanale di casi attualmente positivi, pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e deceduti

 

  • Decessi: 955 (+108,1%)
  • Terapia intensiva: +541 (+62,2%)
  • Ricoverati con sintomi: +5.501 (+65,1%)
  • Nuovi casi: 130.329 (+88,9%)
  • Casi attualmente positivi: +112.351 (+78,7%)
  • Casi testati +91.641 (+14,5%)
  • Tamponi totali: +147.423 (+14,4%)

«I dati dell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – documentano il crollo definitivo dell’argine territoriale del testing & tracing, confermano un incremento di oltre il 60% dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e fanno registrare un raddoppio dei decessi. In alcune aree del Paese non è più procrastinabile il lockdown totale per arginare il contagio diffuso e ridurre la pressione sugli ospedali». In generale, i principali indicatori peggiorano in tutte le Regioni, fatta eccezione per il modesto incremento dei casi testati (tabella).

Tabella. Indicatori regionali settimana 21-27 ottobre

«Al di là dei numeri assoluti – spiega il Presidente – preoccupano i trend esponenziali con cui aumentano i pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva, con un tempo di raddoppiamento di circa 10 giorni da 3 settimane consecutive». Secondo Enrico Bucci, professore aggiunto SHRO, Temple University «mantenendo questi trend di crescita, all’8 novembre si stimano 31.400 (IC 95%: 30.000-33.000) ricoverati con sintomi e 3.310 (IC 95%: 3.200-3.400) in terapia intensiva; numeri che potrebbero ridursi per l’eccesso di letalità da sovraccarico ospedaliero». Infatti, superando il limite del 30% dei posti letto occupati da pazienti COVID-19, dopo la cancellazione di interventi chirurgici programmati e prestazioni sanitarie differibili, si assisterà inevitabilmente all’incremento della mortalità, non solo COVID-19 correlata.

«Vero è – continua Cartabellotta – che sono state introdotte progressive restrizioni da parte di Governo e Regioni, ma il loro effetto sulla flessione della curva dei contagi sarà minimo, sia perché le misure non sono state “tarate” su modelli predittivi a 2 settimane, sia perché le blande misure dei primi due DPCM sono già state neutralizzate dalla crescita esponenziale della curva epidemica».

L’impatto dell’introduzione di differenti misure di contenimento sul valore di Rt è oggetto di un recente studio - pubblicato su Lancet Infectious Diseases da ricercatori dell’Università di Edimburgo - che ha analizzato dati da 131 Paesi. «In relazione ai risultati ottenuti dall’introduzione di ciascuna misura di contenimento – spiega Renata Gili, responsabile della Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – è stata stimata l’efficacia sul valore di Rt di quattro possibili gruppi di interventi a 7, 14 e 28 giorni. Se da un lato gli effetti dipendono dal numero e dalla tipologia di restrizioni, dall’altro non sono affatto immediati. Infatti, per dimezzare il valore di Rt servono 28 giorni di lockdown totale, tempi che in Italia potrebbero dilatarsi ulteriormente per il ritardo sempre maggiore nella notifica dei casi». 

 

 

Considerato che le misure introdotte con il DPCM del 24 ottobre includono divieto di eventi pubblici e assembramenti, invito allo smart working e didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado per almeno al 75% delle attività, è possibile stimare a 14 giorni una riduzione del valore di Rt di circa il 20-25%, totalmente insufficiente per piegare la curva dei contagi e arginare il sovraccarico degli ospedali. «Peraltro – spiega Cartabellotta – l’indice Rt oggi sottostima ampiamente la velocità di diffusione del virus perché, oltre ad essere calcolato solo sui casi sintomatici (circa 1/3 del totale dei contagiati), si basa su dati relativi a due settimane prima e pubblicati dopo circa 10 giorni. In altri termini, le decisioni vengono prese sulla base di un Rt che riflette contagi di circa un mese fa». Secondo quanto pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità il 23 ottobre, infatti, l’indice Rt medio di 1,50 (IC 95%: 1,09-1,75) è calcolato al 20 ottobre su dati riferiti al periodo 1-14 ottobre.

«L’epidemia già fuori controllo in diverse aree del Paese da oltre 3 settimane – conclude Cartabellotta – insieme al continuo tentennamento di Sindaci e Presidenti di Regioni nell’attuare lockdown locali stanno spingendo l’Italia verso la chiusura totale. Senza immediate chiusure in tutte le zone più a rischio, serviranno a breve almeno 4 settimane di lockdown nazionale per abbattere la curva dei contagi e permettere di assistere i pazienti in ospedale, al fine di evitare una catastrofe sanitaria peggiore della prima ondata. Perché questa volta, oltre al dilagare dei contagi anche nelle regioni del Sud, meno attrezzate dal punto di vista sanitario, abbiamo davanti quasi 5 mesi di stagione invernale con l’influenza in arrivo».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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22 ottobre 2020
Coronavirus: raddoppiano contagi e decessi, +66% ricoveri, +69% terapie intensive. Saltato l'argine del tracciamento

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 14-20 OTTOBRE RILEVA IL PEGGIORAMENTO DI TUTTI GLI INDICATORI DELL’EPIDEMIA E IL FALLIMENTO DELLE STRATEGIE DI TRACCIAMENTO IN QUASI IN TUTTE LE REGIONI. SE, COME RIBADITO DAL PREMIER CONTE, L’OBIETTIVO È DI TUTELARE SIA LA SALUTE CHE L’ECONOMIA, LA POLITICA PRENDA ATTO CHE LE MISURE INTRODOTTE DAI DUE DPCM, OLTRE ALLE NUOVE RESTRIZIONI IMPOSTE DA ALCUNE REGIONI, SONO INSUFFICIENTI E TARDIVE RISPETTO AL TREND DI CRESCITA DELLA CURVA EPIDEMICA. PER PREVENIRE SOVRACCARICO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE E IL CONSEGUENTE INCREMENTO DELLA LETALITÀ SERVONO IMMEDIATAMENTE MISURE DI CONTENIMENTO PIÙ RIGOROSE NELLE AREE A MAGGIOR DIFFUSIONE DEL CONTAGIO AL FINE DI EVITARE UN NUOVO LOCKDOWN GENERALIZZATO.

22 ottobre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 14-20 ottobre, rispetto alla precedente, un incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (68.982 vs 35.204) a fronte di un rilevante aumento dei casi testati (630.929 vs 505.940) e di un ulteriore netto incremento del rapporto positivi/casi testati (10,9% vs 7%). Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (142.739 vs 87.193) e, sul fronte degli ospedali, si registra un’impennata dei pazienti ricoverati con sintomi (8.454 vs 5.076) e in terapia intensiva (870 vs 514). Più che raddoppiati i decessi (459 vs 216).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 243 (+112,5%)
  • Terapia intensiva: +356 (+69,3%)
  • Ricoverati con sintomi: +3.378 (+66,5%)
  • Nuovi casi: 33.778 (+95,9%)
  • Casi attualmente positivi: +55.546 (+63,7%)
  • Casi testati +124.989 (+24,7%)
  • Tamponi totali: +202.871 (+24,8%)

«Con l’aumentare vertiginoso dei numeri – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il dato nazionale non rende conto di marcate differenze regionali, oltre che provinciali, che indicano le aree che richiedono provvedimenti più restrittivi per circoscrivere tempestivamente tutti i focolai e arginare il contagio diffuso». Il report dei principali indicatori documenta un peggioramento in tutte le Regioni su tutti i fronti, fatta eccezione per il modesto incremento dei casi testati (tabella).

 

Indicatori regionali settimana 14-20 ottobre 

 

Nuovi casi. Si sono registrati 33.778 nuovi casi, quasi il doppio rispetto alla settimana precedente (figura 1). A livello nazionale l’incremento percentuale dei casi totali è del 18,9%, con variazioni regionali che oscillano dal 7,8% della Provincia Autonoma di Trento al 44,9% della Campania.

 

Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati 

 

Casi testati. Anche sul fronte della capacità di testing & tracing le performance regionali sono molto variabili: a fronte di una media nazionale di 1.045 casi testati per 100.000 abitanti, il numero varia dai 561 della Provincia Autonoma di Trento ai 1.832 del Lazio. «Il dato più allarmante – spiega il Presidente – è la brusca impennata del rapporto positivi/casi testati dal 7% al 10,9%, che certifica il fallimento del sistema di testing & tracing per arginare la diffusione dei contagi». Le notevoli variabilità regionali documentano che la “prima diga” è definitivamente saltata in alcune Regioni: ad esempio in Valle d’Aosta oltre un caso testato su 3 è positivo e in Liguria quasi 1 su 4 (figura 2).

 

Rapporto positivi/casi testati (14-20 ottobre) 

 

«In questa fase di rapida risalita dei contagi – spiega Cartabellotta – piuttosto che contare i numeri del giorno, è fondamentale seguire la dinamica delle curve su base settimanale. Infatti, dal 6 ottobre si impenna il trend dei casi attualmente positivi, dei pazienti ricoverati con sintomi e di quelli in terapia intensiva, seguito una settimana dopo da quello dei decessi». In altri termini, anche se in termini di numeri assoluti cambia l’ordine di grandezza, l’andamento di tutte le curve è ormai molto simile (figura 3). In dettaglio:

 

Trend settimanale di casi attualmente positivi, pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e deceduti 

 

Casi attualmente positivi. Il raddoppio dei nuovi casi nelle ultime due settimane ha espanso in maniera rilevante il bacino dei casi attualmente positivi che hanno raggiunto il numero di 142.739. Al 20 ottobre, rispetto ad una media nazionale di 236 casi attualmente positivi per 100.000 abitanti, il range varia dai 64 della Calabria ai 577 della Valle D’Aosta.

Ricoveri e terapie intensive. Anche sul versante delle ospedalizzazioni il trend è diventato esponenziale: nella settimana 14-20 ottobre i pazienti ricoverati con sintomi sono aumentati del 66,5% (+3.378) e quelli in terapia intensiva del 69,3% (+356), con un rapporto costante di 10:1.

Decessi. Dopo un trend in lento ma costante incremento, nell’ultima settimana i pazienti deceduti sono più che raddoppiati, passando da 216 a 459, con un trend di crescita che si allinea a quello dei pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva.

I dati confermano che i sistemi di tracciamento sono già saltati in gran parte del territorio nazionale e adesso l’obiettivo primario è prevenire il sovraccarico di ospedali e terapie intensive, al fine di contenere l’incremento della letalità.

«L’avvicendarsi di DPCM a cadenza settimanale – conclude Cartabellotta – e la parallela introduzione di ulteriori misure in alcune Regioni, dal coprifuoco alla chiusura dei centri commerciali nei weekend, dimostrano tuttavia che la politica non ha una vera strategia per contenere la seconda ondata. Se, come riferito dal premier Conte in Parlamento, l’obiettivo è quello di tutelare sia la salute che l’economia, Governo, Regioni ed Enti locali devono prendere atto che il virus corre sempre più veloce delle loro decisioni. Non si può continuare ad inseguirlo basandosi sui numeri del giorno che riflettono i contagi di 15 giorni prima, ma occorre guardare alla proiezione delle curve a 2 settimane per decidere immediatamente lockdown mirati, eventuali zone rosse locali e misure restrittive molto più rigorose».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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20 ottobre 2020
Coronavirus: Dpcm inseguono numeri del giorno con stillicidio di blande restrizioni. Ma senza anticipare il virus si va dritti al lockdown

LA RAPIDA IMPENNATA DELLA CURVA EPIDEMICA E LA SCELTA DI NON INTRODURRE MISURE PIÙ DRASTICHE PER TUTELARE L’ECONOMIA METTE IN LUCE LA “NON STRATEGIA” DIPIANIFICARE LE RESTRIZIONI SUI NUMERI DEL GIORNO REITERANDO MISURE TROPPO DEBOLI RISPETTO ALL’AVANZATA DEL VIRUS. L’OBIETTIVO DI RALLENTARELA CURVA EPIDEMICA È ILLUSORIO, PERCHÉ GLI EVENTUALI EFFETTI DELLE MISURE, NON VISIBILI PRIMA DI 2-3 SETTIMANE, SARANNO NEUTRALIZZATI DALLA VERTIGINOSA CRESCITA DEI CASI.

20 ottobre2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Davanti ad una curva del contagio che s’impennaogni giorno di più e ospedali che si riempiono inesorabilmente, come in un déjà-vu nel giro di pochi giorni il Governo introduce ulteriori misure restrittive nel tentativo di frenare l’epidemia.

«La necessità di emanare due DPCM in una settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – conferma che il contenimento della seconda ondataviene affidato alla valutazione dei numeri del giorno con la progressiva introduzione di misure troppo deboli per piegare una curva dei contagi in vertiginosa ascesa».

La prima componente della “non strategia” è farsi guidare dai numeri del giorno per definire l’entità delle misure di contenimento, senza considerare le dinamiche attuali dell’epidemia, molto diverse da quelle della prima ondata. Questo favorisce inesorabilmente l’ascesa dei contagi e vanifica gli effetti delle misure per varie ragioni:

  • I numeri riportati quotidianamente dalbollettino della Protezione Civile non rispecchiano affattoi casi del giorno perché dal contagio alla notifica intercorre un ritardo medio di 15 giorni, in quanto:
    • Il tempo medio tra contagio e comparsa dei sintomi è di 5 giorni (range 2-14 giorni).
    • Secondo l’Istituto Superiore di Sanità il tempo mediano tra inizio dei sintomi e prelievo/diagnosi è di 3 giorni (settimana 7-13 ottobre), ma potrebbe allungarsi considerando i tempi di analisi di laboratorio e di refertazione. Peraltro, per i casi asintomatici non è noto perché la tempestività nella richiesta del tampone dipende dall’efficacia dell’attività di testing & tracing.
    • La comunicazione dei nuovi casi dalle Regioni alla Protezione Civile non avviene in tempo reale:ad esempio, nella settimana 5-11 ottobre meno di un terzo dei casi è stato notificato entro 2 giorni dalla diagnosi, il 54% tra 3 e 5 giorni e il 14% dopo oltre 6 giorni; peraltro tale ritardo aumenta progressivamente per il crescente numero di casi.
  • La curva dei contagi ha ormai assunto un trend esponenziale: nella settimana 13-19 ottobre il numero dei casi attualmente positivi è salito da 82.764 a 134.003 (+53,7%) eil rapporto positivi/casi testati in una settimana è cresciuto dal6,4% al 10,4%. Trend che si riflettonosia sul numero dei pazienti ricoverati con sintomi, aumentati negli ultimi 7 giorni da 4.821 a 7.676(+59,2%) e di quelli in terapia intensiva da 452 a 797 (+76,3%)con segnali di sovraccarico in diverse Regioni, sia sul progressivo aumento della letalità.
  • L’affanno del sistema di testing & tracing aumenta la probabilità di sottostimare i casi, perché l’espansione del bacino di asintomatici non isolati accelera ulteriormente la diffusione del contagio.
  • Gli effetti delle misure restrittive,non valutabili prima di 2-3 settimane,saranno verosimilmente neutralizzati dal trend di crescita della curva epidemica.

 

La seconda componente è il mancato allineamento tra le misure dei due DPCM e quanto previsto dalla circolare del 12 ottobre del Ministero della Salute. Nel documento “Prevenzione e risposta a COVID-19” vengono delineati quattro scenari di evoluzione dell’epidemia in relazione a diversi livelli di rischio accompagnati da relative misure da attuare nei vari settori. «Considerato che diverse Regioni – spiega il Presidente – sono ormai nella fase di rischio alto/molto alto, è inspiegabile che le misure raccomandate non siano state introdotte dal nuovo DPCM, che ha seguito le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico, né attuate dalle Regioni, che hanno partecipato alla stesura del documento».

La terza componente della “non strategia” è il mancato approccio di sistema basato su responsabilità e alleanza tra politica e cittadini, oltre che sull’efficienza dei servizi sanitari.«Numeri a parte – precisa Cartabellotta –il contenimento della seconda ondata doveva inevitabilmentepoggiare, già alla fine del lockdown, su tre pilastri integrati: massima aderenza della popolazione ai comportamenti raccomandati, potenziamento dei servizi sanitari territoriali e ospedalieri e collaborazione in piena sintonia tra Governo, Regioni ed Enti locali».

«Non essere riusciti a prevenire la risalita della curva epidemica quando avevamo un grande vantaggio sul virus– conclude Cartabellotta –oggi impone la necessità di misure di contenimento in grado di anticipare il virus. Tali misure devono essere pianificate su modelli predittivi ad almeno 2-3 settimane, perché la “non strategia” di inseguire i numeri del giorno con uno stillicidio di DPCM che, settimana dopo settimana, impongono la continua necessità di riorganizzarsi su vari fronti,spingerà inevitabilmente il Paese proprio verso quel nuovo lockdown che nessuno vuole e che non possiamo permetterci».


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15 ottobre 2020
Coronavirus: raddoppio dei contagi, +40% ricoveri, +61% terapie intensive. Integrare misure Dpcm con lockdown mirati

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 7-13 OTTOBRE DOCUMENTA NUMERI IN AUMENTO SU TUTTI I FRONTI. CON UNA SIMILE IMPENNATA DELLA CURVA DEI CONTAGI, RICOVERI OSPEDALIERI E TERAPIE INTENSIVE, LE MISURE DEL NUOVO DPCM SONO INSUFFICIENTI A CONTENERE IL VIRUS IN ALCUNE AREE DEL PAESE. GIMBE LANCIA UN APPELLO ALLA COLLABORAZIONE TRA PRESIDENTI DELLE REGIONI E SINDACI DEI COMUNI: INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE CON MISURE RESTRITTIVE LOCALI PER CIRCOSCRIVERE I FOCOLAI, NON PERDERE IL CONTROLLO DELLA CURVA EPIDEMICA E PREVENIRE IL SOVRACCARICO DEGLI OSPEDALI, ANTICAMERA DI LOCKDOWN PIÙ ESTESI.

15 ottobre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 7-13 ottobre, rispetto alla precedente, un incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (35.204 vs 17.252) a fronte di un moderato aumento dei casi testati (505.940 vs 429.984) e di un netto incremento del rapporto positivi/casi testati (7% vs 4%). Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (87.193 vs 60.134) e, sul fronte degli ospedali, impennata dei pazienti ricoverati con sintomi (5.076 vs 3.625) e in terapia intensiva (514 vs 319). Crescita costante anche sul fronte dei decessi (216 vs 155).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +61 (+39,4%)
  • Terapia intensiva: +195 (+61,1%)
  • Ricoverati con sintomi: +1.451 (+40%)
  • Nuovi casi: +35.204 (+104,1%)
  • Casi attualmente positivi: +27.059 (+45%)
  • Casi testati +75.956 (+17,7%)
  • Tamponi totali: +102.881 (+14,4%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si rileva un raddoppio dei nuovi casi, a conferma di un incremento esponenziale che si riflette anche sulla curva di pazienti ospedalizzati con sintomi e in terapia intensiva. Inoltre, con il netto aumento dei casi si rendono molto più evidenti le numerose variabilità regionali, oltre che provinciali». Per tale ragione, il monitoraggio GIMBE si arricchisce di una sintesi dei principali indicatori per comprendere dinamiche e numeri dell’epidemia nelle diverse Regioni (tabella).

 

Tabella. Indicatori regionali settimana 7-13 ottobre 

 

Nuovi casi. Si sono registrati 35.204 nuovi casi, più del doppio rispetto alla settimana precedente (figura 1). A livello nazionale l’incremento percentuale dei casi totali è del 10,7%, con variazioni regionali che oscillano dal 4% della Provincia Autonoma di Trento al 30,9% dell’Umbria.

Casi testati. Anche sul fronte della capacità di testing & tracing le performance regionali sono molto variabili: a fronte di una media nazionale di 838 casi testati per 100.000 abitanti, il numero varia dai 523 delle Marche ai 1.276 della Toscana. L’incremento del rapporto positivi/casi testati passa dal 4% al 7% (figura 1), a conferma che il virus circola in maniera sempre più sostenuta. Il valore superiore al 6% in quasi tutte le Regioni dimostra un sovraccarico nel tracciamento e isolamento dei focolai e richiede un potenziamento urgente dei servizi territoriali deputati alle attività di testing & tracing. Rispetto ad una media nazionale del 7% il range varia dal 2% della Calabria al 16,4% della Valle D’Aosta.

 

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati 

 

Casi attualmente positivi. L’impennata dei contagi ha determinato un’espansione a macchia d’olio dei casi attualmente positivi che hanno raggiunto il numero di 87.193 (figura 2). Al 13 ottobre, rispetto ad una media nazionale di 144 casi attualmente positivi per 100.000 abitanti, il range varia dai 41 della Calabria ai 205 della Valle D’Aosta.

 

Figura 2. Trend settimanale dei casi attualmente positivi 

 

Ricoveri e terapie intensive. Anche sul versante delle ospedalizzazioni s’impenna la curva sia dei ricoveri che delle terapie intensive, aumentati rispettivamente di 1.451 (+40%) e di 195 unità (+61,1%) (figura 3 e 4). La percentuale complessiva di pazienti ospedalizzati sul totale dei casi attualmente positivi, rispetto ad una media nazionale del 6,4%, oscilla dal 2,6% del Friuli-Venezia Giulia al 10,2% della Liguria.

 

Figura 3. Trend settimanale pazienti ricoverati con sintomi 

 

Figura 4. Trend settimanale pazienti in terapia intensiva 

 

Decessi. Nell’ultimo mese si è delineato un trend in lento ma costante incremento dei pazienti deceduti: da 70 a 216 per settimana.

«Con l’aumentare vertiginoso dei numeri – spiega Cartabellotta – il dato nazionale non rende conto delle marcate differenze regionali e provinciali che richiedono provvedimenti più restrittivi al fine di circoscrivere tempestivamente tutti i focolai e arginare il contagio diffuso». Ad esempio, nella settimana 7-13 ottobre l’incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti, rispetto a una media nazionale di 58,3, è superiore a 100 in due Regioni - Valle d’Aosta (141,6) e Liguria (113,1) – e in 6 province: Belluno (181,3), Genova (144,7),  Arezzo (129), Pisa (125,3), Prato (125,3), Napoli (110,3).

«Gli effetti delle misure del nuovo DPCM – conclude Cartabellotta – oltre a non poter essere valutati prima di 3 settimane, saranno in parte neutralizzati dall’incremento esponenziale dei contagi e dall’ulteriore sovraccarico dei servizi sanitari dovuto alla stagione influenzale. Ecco perché la Fondazione GIMBE si appella al senso di responsabilità ed alla massima collaborazione tra Presidenti di Regioni e amministratori locali, sindaci in primis: intervenire tempestivamente con misure restrittive locali, compresi lockdown mirati, per spegnere i focolai, arginare il contagio diffuso e prevenire il sovraccarico degli ospedali. Altrimenti, persistendo i trend delle ultime settimane - secondo gli scenari previsti dalla nuova circolare del Ministero della Salute - il rischio di restrizioni più ampie (lockdown incluso) è dietro l’angolo».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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13 ottobre 2020
Coronavirus, tamponi: tallone d'Achille delle strategie per prevenire la seconda ondata

DAVANTI ALL’IMPENNATA DEI CASI NUOVE RESTRIZIONI DAL GOVERNO CHE CHIEDE ANCORA UNA VOLTA SACRIFICI AI CITTADINI. TUTTAVIA LA FONDAZIONE GIMBE DOCUMENTA CHE NELLA FASE DI LENTA RISALITA DEI CONTAGI I SERVIZI SANITARI TERRITORIALI, NONOSTANTE LE RISORSE ASSEGNATE DAL DECRETO RILANCIO, NON SONO STATI POTENZIATI NELLE CAPACITÀ DI TESTING & TRACING. E ORA, CON L’AUMENTO DEI CASI, IN ALCUNE REGIONI IL SOVRACCARICO SI RIFLETTE SULL’INCREMENTO DEI RICOVERI. NONOSTANTE L’APPARENTE POTENZIAMENTO DOVUTO ALLE NUOVE MISURE, IL NUMERO DI TAMPONI RIMANE ANCORA LARGAMENTE INSUFFICIENTE.

13 ottobre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’impennata dei nuovi casi dell’ultima settimana, quasi raddoppiati rispetto alla precedente (29.621 vs 15.459), ha spinto il Governo a prendere provvedimenti per tentare di arginare la nuova ondata di contagi. Da un lato le misure restrittive previste dal nuovo DPCM, dall’altro quelle sanitarie incluse nell’ultima circolare del Ministero della SalutePrevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale”. Si tratta di un piano molto articolato che delinea quattro scenari di evoluzione dell’epidemia in relazione a diversi livelli di rischio e le conseguenti misure, che nello scenario peggiore prevedono un nuovo lockdown nazionale.

«In un momento cruciale per l’evoluzione del quadro epidemico e, di fatto, per il futuro del Paese, la Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – impegnata nel monitoraggio indipendente della pandemia sin dal suo esordio, sente il dovere civico di analizzare numeri e dinamiche che indicano nell’insufficiente capacità di tracciamento dei nuovi casi una delle determinanti del progressivo incremento dei casi iniziato a fine luglio, che dopo un mese ha innescato l’aumento dei ricoveri, e dopo circa 2 mesi quello dei decessi».

I numeri sui tamponi

  • In Italia, dall’inizio della pandemia all’11 ottobre sono stati effettuati 12.564.713 tamponi. Tuttavia solo dal 19 aprile è possibile scorporare dal totale il numero dei casi testati, ovvero i soggetti sottoposti al test per confermare/escludere l’infezione da SARS-CoV-2, escludendo i tamponi ripetuti sulla stessa persona per confermare la guarigione virologica (almeno 2 finora) o per altre motivazioni.
  • Sino alle riaperture del 3 giugno il numero medio dei casi testati si è mantenuto stabile intorno ai 35.000/die, per poi scendere successivamente intorno ai 25.000/die. Solo a partire dalla metà di agosto, a seguito della risalita dei casi, è stato incrementato sino a raggiungere i 67.000/die nella settimana 5-11 ottobre (figura 1).

 

Figura 1. Trend settimanali numero tamponi totali e casi testati (media giornaliera) 

  • Tale incremento presenta differenze regionali molto evidenti, se parametrato alla popolazione residente: nel periodo 12 agosto–11 ottobre, rispetto ad una media nazionale di 5.360 casi testati per 100.000 abitanti, il range varia dai 3.232 della Sicilia ai agli 8.002 del Lazio (figura 2).

 

Figura 2. Casi testati per 100.000 abitanti (12 agosto-11 ottobre) 

  • Le attività di testing non sono state potenziate in misura proporzionale all’aumentata circolazione del virus, determinando un netto incremento del rapporto positivi/casi testati a livello nazionale che da metà luglio a metà agosto è salito dallo 0,8% all’1,9%, per raggiugere nella settimana 5-11 ottobre il 6,2% con notevoli variazioni regionali: dall’1,7% della Calabria al 14% della Valle d’Aosta (figura 3).

 

Figura 3. Rapporto positivi/casi testati (5-11 ottobre) 

  • Le Regioni, rispetto ai laboratori accreditati elencati nella circolare del Ministero della Salute del 3 aprile 2020, ne hanno quasi raddoppiato il numero (da 152 a 270), anche con l’accreditamento di laboratori privati (tabella). Tuttavia, non sono note né la quantità di tamponi che i singoli laboratori possono processare quotidianamente, né informazioni quantitative sul personale impegnato sul territorio nel prelievo dei campioni. Peraltro, le criticità organizzative osservate in questi giorni (es. inaccettabili code e assembramenti per eseguire il tampone o numeri telefonici dedicati a cui non risponde nessuno) oltre ai disagi possono generare ritardi diagnostici nei pazienti positivi con peggioramento degli esiti clinici.

«Osservando il progressivo incremento dei nuovi casi – spiega Cartabellotta – già da fine agosto la Fondazione GIMBE sollecitava le Regioni a potenziare le attività di testing & tracing, perché nella fase di lenta risalita della curva epidemica la battaglia con il virus si vince sul territorio». Purtroppo, i tamponi, per quanto modestamente potenziati, con l’impennata dei casi si sono rivelati un “collo di bottiglia” troppo stretto che ha favorito la crescita dei nuovi contagi che negli ultimi 10 giorni da lineare è diventata esponenziale.

Le soluzioni del Governo per potenziare la capacità di testing

  • Singolo tampone per confermare la guarigione virologica: permetterà di “recuperare” un certo numero di tamponi, non quantificabili con precisione ma stimabili intorno ai 20.000/die, visto che quelli di controllo rappresentano circa il 40% del totale.
  • Tamponi rapidi: oltre agli approvvigionamenti di alcune Regioni che si erano già mosse in autonomia, la richiesta pubblica di offerta del Commissario Arcuri, scaduta lo scorso 8 ottobre, prevede l’acquisto di 5 milioni di tamponi rapidi. Tuttavia ad oggi:
    • non si conoscono né i tempi di approvvigionamento, né le tempistiche e i criteri di redistribuzione alle Regioni;
    • alcune difficoltà ostacolano l’utilizzo immediato dei tamponi rapidi, sia negli ambulatori di medici e pediatri di famiglia spesso strutturalmente inadeguati a garantire percorsi dedicati per sospetti casi COVID, sia nelle scuole dove la figura del “medico/infermiere di plesso” non risulta ancora sistematicamente implementata, sia più in generale per la necessità di un adeguato training dei professionisti destinati ad utilizzarli (medici di famiglia, pediatri, infermieri scolastici, etc.) perché la probabilità di risultati falsamente negativi al tampone rapido aumenta in mani non esperte.

                                                                 

                                                                 Tabella. Numero di laboratori accreditati per l’esecuzione dei tamponi molecolari 

«Se le azioni messe in campo – puntualizza il Presidente – aumentano in termini assoluti la capacità di testing & tracing, l’aumentata disponibilità di tamponi molecolari e rapidi è ancora inadeguata sia per la crescita esponenziale dei nuovi casi, sia perché sarà in parte assorbita dalla diagnosi differenziale tra infezione da SARS-COV2 e influenza stagionale». In ogni caso siamo molto lontani dai numeri del cosiddetto “Piano Crisanti” elaborato la scorsa estate, che prevedeva 300.000 tamponi al giorno, sulla scia di quanto già proposto dalla Fondazione GIMBE il 7 maggio: 200-250 casi testati per 100.000 abitanti.

«Considerato che i numeri riflettono comportamenti sociali e azioni di contenimento relativi a 2-3 settimane precedenti – conclude Cartabellotta – gli effetti delle misure restrittive del nuovo DPCM non potranno essere immediate. In ogni caso, l’entità delle restrizioni stride con il mancato potenziamento dei servizi territoriali deputati al tracciamento, nonostante le risorse già assegnate dal Decreto Rilancio. Ancora una volta, i ritardi burocratici e i conflitti tra Governo e Regioni scaricano sui cittadini la responsabilità del controllo epidemico attraverso restrizioni delle libertà personali».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org

CONTATTI: Fondazione GIMBE - Via Amendola 2 - 40121 Bologna - Tel. 051 5883920 - Fax 051 4075774
E-mail: ufficio.stampa@gimbe.org


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8 ottobre 2020
Coronavirus: schizzano i contagi, aumento costante di ospedalizzati e terapie intensive, primi effetti anche sui decessi

IL MONITORAGGIO DELLA FONDAZIONE GIMBE NELLA SETTIMANA 30 SETTEMBRE-6 OTTOBRE CONFERMA DINAMICHE DELL’EPIDEMIA MOLTO DIVERSE DALLO TSUNAMI DI MARZO-APRILE. IL PROGRESSIVO AUMENTO DEI CASI ATTUALMENTE POSITIVI HA PRIMA INNESCATO L’INCREMENTO DI PAZIENTI OSPEDALIZZATI CON SINTOMI E IN TERAPIA INTENSIVA, E ADESSO INIZIA A RIFLETTERSI ANCHE SUI DECESSI. PER CONTENERE LA NUOVA ONDATA, IN PARTICOLARE NELLE REGIONI DEL CENTRO-SUD, BEN VENGANO LE MASCHERINE ALL’APERTO, MA BISOGNA GIOCARE D’ANTICIPO SUL VIRUS SU TUTTI I FRONTI. INDIFFERIBILE POTENZIARE E UNIFORMARE TRA LE DIVERSE REGIONI GLI STANDARD DELL’ASSISTENZA SANITARIA TERRITORIALE E OSPEDALIERA, OLTRE CHE TROVARE UNA SOLUZIONE PER RIDURRE L’ELEVATO RISCHIO DI CONTAGIO SUI MEZZI PUBBLICI.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 30 settembre-6 ottobre, rispetto alla precedente, un netto incremento nel trend dei nuovi casi (17.252 vs 12.114) a fronte di un numero di poco superiore di casi testati (429.984 vs 394.396), oltre a un rilevante aumento del rapporto positivi/casi testati (4% vs 3,1%). Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (60.134 vs 50.630) e, sul fronte degli ospedali, aumentano i pazienti ricoverati con sintomi (3.625 vs 3.048) e in terapia intensiva (319 vs 271). Continuano a salire, seppur lentamente, anche i decessi (155 vs 137).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +18 (+13,1%)
  • Terapia intensiva: +48 (+17,7%)
  • Ricoverati con sintomi: +577 (+18,9%)
  • Nuovi casi: +17.252 (+42,4%)
  • Casi attualmente positivi: +9.504 (+18,8%)
  • Casi testati +35.588 (+9%)
  • Tamponi totali: +63.351 (+9,7%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la curva dei contagi si è impennata, in conseguenza del netto incremento del rapporto positivi/casi testati. Si conferma inoltre la crescita costante dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva». Da metà luglio i nuovi casi settimanali sono più che decuplicati (da poco oltre 1.400 a più di 17.000), con incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 4% (figura 1). Tale dinamica ha generato il progressivo aumento dei casi attualmente positivi, quintuplicati da fine luglio: da 12.482 a 60.134 (figura 2).

 

Figura 1. Trend settimanale dei nuovi casi e del rapporto positivi/casi testati 

 

Figura 2. Trend settimanale dei casi attualmente positivi 

«L’incremento del rapporto positivi/casi testati – spiega il Presidente – conferma che il virus circola in maniera più sostenuta: per questo nelle Regioni dove supera il 5% è cruciale potenziare le attività di testing & tracing». Nella settimana 30 settembre-6 ottobre si tratta di Liguria (7,7%), Campania (6,3%), Provincia autonoma di Trento (6,8%), Piemonte (6,2%) e Valle d’Aosta (5,4%).

Sul versante delle ospedalizzazioni, da fine luglio si rileva un incremento dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, che sono aumentati rispettivamente da 732 a 3.625 e da 49 a 319 (figura 3). «Se il dato nazionale – puntualizza Cartabellotta – non lascia intravedere alcun sovraccarico dei servizi ospedalieri, iniziano ad emergere differenze regionali rilevanti». In particolare al 6 ottobre ben 8 Regioni registrano tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale di 6,5: Lazio (13,9), Liguria (13), Campania (9,2), Sardegna (8,8), Sicilia (7,9), Piemonte (7,1), Abruzzo e Puglia (6,6).

 

Figura 3. Trend settimanale pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva 

«La composizione percentuale dei casi attualmente positivi – continua il Presidente – si mantiene costante dai primi di luglio: mediamente il 93-94% dei positivi sono in isolamento domiciliare perché asintomatici/oligosintomatici; il 5-6% ricoverati con sintomi e lo 0,5% in terapia intensiva. Tuttavia, anche per questo indicatore le differenze regionali accendono ulteriori spie rosse». In alcune Regioni, infatti, la percentuale dei casi ospedalizzati è nettamente superiore alla media nazionale del 6,6%: Sicilia (11,5%), Liguria (10,4%) Lazio (9,9%), Puglia (8,9%), Piemonte (8,6%), Abruzzo (8,2%), Basilicata (7,9%).

Anche sul versante dei decessi dai primi di settembre inizia a delinearsi un trend in lento ma costante incremento: il numero dei pazienti deceduti è aumentato da 46 a 155 per settimana (figura 4). In altri termini, spiega il Presidente «le dinamiche dell’epidemia, molto diverse dalla prima ondata, dimostrano che il progressivo incremento dei casi attualmente positivi iniziato a fine luglio, dopo un mese ha innescato l’incremento di pazienti ospedalizzati con sintomi e in terapia intensiva, e dopo 2 mesi, inizia a riflettersi anche sui decessi».

Figura 4. Trend settimanale pazienti deceduti 

«L’obbligo delle mascherine anche all'aperto – conclude Cartabellotta – è una misura coerente con la rapida ascesa dei contagi, visto che non conosciamo ancora il reale impatto della riapertura delle scuole e quello dell’ulteriore sovraccarico dei servizi sanitari conseguente alla stagione influenzale. Tuttavia, per contenere la seconda ondata, in particolare nelle Regioni del centro-sud, la Fondazione GIMBE ribadisce la necessità di giocare d’anticipo sul virus su tutti i fronti: in particolare, è indifferibile potenziare e uniformare gli standard dell’assistenza sanitaria territoriale e ospedaliera, oltre che trovare una soluzione per ridurre l’elevato rischio di contagio sui mezzi pubblici».


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1 ottobre 2020
Coronavirus: il contagio continua a correre. Prime spie rosse al Centro-Sud

NELLA SETTIMANA 23-29 SETTEMBRE CONTINUANO A SALIRE I NUOVI CASI E SI AMPLIA ULTERIORMENTE IL BACINO DEI SOGGETTI ATTUALMENTE POSITIVI (50.630). NUMERI IN CRESCITA COSTANTE ANCHE SUL FRONTE OSPEDALIERO: +444 PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI E +32 IN TERAPIA INTENSIVA. DAVANTI AI PRIMI SEGNI DI SOFFERENZA DEL SISTEMA DI TRACCIAMENTO DA PARTE DEI SERVIZI TERRITORIALI E DI SOVRACCARICO OSPEDALIERO, IN PARTICOLARE NELLE REGIONI DEL CENTRO-SUD, SERVONO MISURE URGENTI PER EVITARE DI MANDARE IN TILT I SERVIZI SANITARI REGIONALI.

1 ottobre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 23-29 settembre, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (12.114 vs 10.907) a fronte di un lieve aumento dei casi testati (394.396 vs 385.324). Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (50.630 vs 45.489) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (3.048 vs 2.604) e in terapia intensiva (271 vs 239). Aumentano anche i decessi (137 vs 105).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +32 (+30,5%)
  • Terapia intensiva: +32 (+13,4%)
  • Ricoverati con sintomi: +444 (+17,1%)
  • Nuovi casi: +12.114 (+11,1%)
  • Casi attualmente positivi: +5.141 (+11,3%)
  • Casi testati +9.072 (+2,4%)
  • Tamponi totali: +20.344 (+3,2%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua l’ascesa della curva dei nuovi casi, principalmente per l’incremento del rapporto positivi/casi testati, oltre che, in misura minore, dei casi testati. Si conferma inoltre la crescita costante dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva». Da metà luglio i nuovi casi settimanali sono aumentati da poco più di 1.400 ad oltre 12.000, con incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 3,1% (figura 1 in doc), mentre i casi attualmente positivi sono più che quadruplicati: da 12.482 a 50.630 (figura 2 in doc).

«L’aumento del rapporto positivi/casi testati – continua il Presidente – se da un lato conferma una circolazione più sostenuta del virus, indipendentemente dal numero di tamponi effettuati, dall’altro lascia intravedere le prime criticità in alcune Regioni, rendendo indifferibile un potenziamento della capacità di testing». In particolare, nella settimana 23-29 settembre, a fronte di una media nazionale del 3,1%, svettano i valori di Liguria (6,4%) e Campania (5,4%) (figura 3 in doc).

Sul versante delle ospedalizzazioni, si registra un incremento dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, che in poco più di 2 mesi sono aumentati rispettivamente da 732 a 3.048 e da 49 a 271 (figura 4 in doc). «Se guardando al dato nazionale – puntualizza Cartabellotta – i numeri appaiono ancora bassi e non fanno registrare al momento particolari sovraccarichi dei servizi ospedalieri, iniziano ad emergere differenze regionali rilevanti». In particolare al 29 settembre ben 6 Regioni, quasi tutte del Centro-Sud, registrano tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale di 5,5: Lazio (12,2), Liguria (10,6), Campania (7,8), Sardegna (7,4), Sicilia (6,2) e Puglia (5,6).

«Che la situazione nazionale sia sotto controllo – continua il Presidente – è documentato anche dalla composizione percentuale dei casi attualmente positivi che si mantiene costante dai primi di luglio. Mediamente il 93-94% dei contagiati sono in isolamento domiciliare perché asintomatici/oligosintomatici; il 5-6% sono ricoverati con sintomi e quelli in terapia intensiva sono lo 0,5%. Tuttavia, anche per questo indicatore le differenze regionali accendono ulteriori spie rosse». In alcune Regioni, infatti, la percentuale dei casi ospedalizzati è nettamente superiore alla media nazionale del 6,6% (figura 5 in doc): Sicilia (11,1%), Lazio (10,2%), Liguria (9,6%) Puglia (9,2%).

«Ormai da oltre 9 settimane consecutive – conclude Cartabellotta – i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e delle ospedalizzazioni: in assenza di variabili che portino ad una flessione della curva, bisogna prendere atto che il progressivo incremento dei casi attualmente positivi inizia a determinare dapprima segni di sofferenza del sistema di tracciamento da parte dei servizi territoriali e poi di sovraccarico ospedaliero, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud. Solo il potenziamento territoriale della gestione della pandemia permetterà di rallentare la risalita della curva epidemica: da un consistente rafforzamento del sistema di testing & tracing a misure adeguate di isolamento domiciliare per evitare contagi intra-familiari; da un’estensiva copertura della vaccinazione antinfluenzale (non solo delle categorie a rischio), al monitoraggio attivo dei pazienti in isolamento domiciliare».


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28 settembre 2020
Vaccino antinfluenzale: raccomandato per tutti, ma per 2 persone su 3 nessuna disponibilità in farmacia

LA CONVIVENZA TRA SARS-COV-2 E VIRUS INFLUENZALI IMPONE DI RIDURRE IL NUMERO DI PERSONE SINTOMATICHE CHE RISCHIANO DI SOVRACCARICARE I SERVIZI SANITARI. MA, OLTRE ALLE CATEGORIE A RISCHIO, È INDISPENSABILE VACCINARE ANCHE LA POPOLAZIONE GENERALE, IN PARTICOLARE I MILIONI DI LAVORATORI AI QUALI È AFFIDATA LA RIPRESA ECONOMICA DEL PAESE. PURTROPPO, NONOSTANTE LE RACCOMANDAZIONI ESTENSIVE DEL MINISTERO DELLA SALUTE, L’ANALISI DELLA FONDAZIONE GIMBE DIMOSTRA CHE LA MAGGIOR PARTE DELLE REGIONI NON DISPONGONO DI SCORTE ADEGUATE A SODDISFARE TALE DOMANDA E ALCUNE NON POSSONO GARANTIRE IL 75% COPERTURA ALLE CATEGORIE A RISCHIO.

28 settembre 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

La convivenza tra Sars-CoV-2 e virus influenzali pone due ardue sfide per ridurre il sovraccarico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): la prima è potenziare l’attività di testing dei soggetti con sintomi simil-influenzali, in particolare tramite tamponi rapidi; la seconda è estendere le coperture della vaccinazione antinfluenzale. La circolare del Ministero della Salute del 4 giugno, infatti, raccomanda il vaccino “per tutti i soggetti a partire dai 6 mesi di età che non hanno controindicazioni al vaccino”, con offerta attiva e gratuita per alcune categorie di popolazione a rischio.

«La vaccinazione antinfluenzale – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – oltre a ridurre le complicanze dell’influenza stagionale e contenere l’eccesso di mortalità, quest’anno ha un obiettivo strategico di salute pubblica: ridurre il numero di persone sintomatiche che rischiano di sovraccaricare i servizi sanitari territoriali e i pronto soccorso. Questo obiettivo, tuttavia, richiede una copertura vaccinale molto ampia anche nelle fasce non a rischio che, di fatto, includono la maggior parte dei lavoratori ai quali è affidata la ripresa economica del Paese».

A fronte delle preoccupazioni sull’indisponibilità di vaccino antinfluenzale nelle farmacie, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha rassicurato che oltre 17 milioni di dosi acquistate dalle Regioni rispondono ampiamente al fabbisogno, visto che nella stagione precedente ne sono state distribuite 12,5 milioni con una copertura del 54,6% negli over 65.

«Se questo aumento delle scorte – spiega Cartabellotta – permetterà di estendere le coperture vaccinali nelle categorie a rischio, è molto difficile stimare l’incremento di domanda della popolazione generale, maggiormente sensibilizzata alla vaccinazione anche dei datori di lavoro, preoccupati che lo sviluppo di sintomi influenzali da parte dei loro dipendenti possa paralizzare le attività produttive». Al momento le Regioni hanno ceduto alle farmacie l’1,5% delle dosi acquistate (circa 250.000), prevedendo di ampliare tale dotazione se nel corso della campagna dovessero rendersi disponibili altre dosi. Federfarma ha annunciato che nelle farmacie arriveranno dall'estero oltre un milione di dosi.

«La Fondazione GIMBE – spiega Renata Gili, coordinatrice del progetto di monitoraggio dell’influenza stagionale  - ha condotto un’analisi indipendente con l’obiettivo di mappare le scorte regionali di vaccino antinfluenzale, valutare la potenziale copertura per le categorie a rischio e stimare la disponibilità di dosi per la popolazione generale».

Metodi. La fonte primaria dei dati è rappresentata dai bandi di gara delle forniture vaccinali antinfluenzali. Nel caso di indisponibilità (es. gare in privativa) o discrepanze tra dichiarazioni pubbliche e dati reperiti sono stati contattati i responsabili dei bandi di gara o i referenti di Assessorati Regionali alla Sanità e dei Servizi farmaceutici. La popolazione residente è quella riportata da ISTAT al 1 gennaio 2019. È stato sviluppato un database ad hoc, da cui sono stati elaborati per ciascuna Regione o Provincia autonoma i seguenti indicatori:

  • Percentuale di dosi aggiudicate rispetto a quelle richieste.
  • Percentuale di copertura vaccinale raggiungibile nei target a rischio per età anagrafica: bambini tra 6 mesi e 6 anni e adulti di età >60 anni.
  • Numero di dosi residue di vaccino, parametrando l’obiettivo minimo di copertura vaccinale al 75%.

Risultati. La disponibilità nazionale è di 17.866.550 dosi, con notevoli variabilità regionali (tabella):

  • 7 Regioni e 2 Province autonome, con le scorte disponibili, possono raggiungere coperture inferiori al 75% della popolazione target per età: Provincia autonoma di Trento (70,2%), Piemonte (67,9%), Lombardia (66,3%), Umbria (61,9%), Molise (57,1%), Valle d’Aosta (51,5%), Abruzzo (49%), Provincia autonoma di Bolzano (38,3%), Basilicata (29%),
  • 12 Regioni si sono aggiudicate un quantitativo adeguato di dosi per raggiungere la copertura del 75% della popolazione target per età. Ma la disponibilità di dosi residue per la popolazione non a rischio è molto variabile: Puglia (1.084.634), Lazio (926.291), Sicilia (256.796), Toscana (225.661), Campania (217.252), Calabria (100.273), Sardegna (96.113), Veneto (49.712), Liguria (38.501), Emilia-Romagna (9.980), Friuli-Venezia Giulia (5.218), Marche (5.022).

Limiti. L’analisi della Fondazione GIMBE si basa sulle dosi acquistate tramite bandi di gara, ovvero da informazioni fornite direttamente dalle amministrazioni regionali al 24 settembre. Considerato che diverse Regioni si sono attivate per recuperare dosi ulteriori di vaccino non si può escludere che le disponibilità possano aumentare in relazione a:

  • applicazione del quinto d'obbligo con incremento sino al 20% del numero di dosi aggiudicate
  • procedure negoziate senza pubblicazione di bando o condotte in privativa (concluse o in corso)
  • eventuali dosi approvvigionate e redistribuite dal Ministero della Salute

Inoltre, è verosimile una sovrastima delle dosi residue perché la copertura del 75% è stata calcolata solo sul target anagrafico, vista l’impossibilità di quantificare le altre categorie a rischio: persone di età <60 anni con patologie croniche, donne in gravidanza, operatori sanitari e altri lavoratori a rischio, etc.

«L’esigua disponibilità di vaccino antinfluenzale nelle farmacie – spiega il Presidente – è riconducibile ad almeno tre determinanti. Innanzitutto, Ministero della Salute e la maggior parte delle Regioni non hanno previsto con largo anticipo la necessità di aumentare le scorte per la popolazione non a rischio. In secondo luogo, l’aumentata domanda sui mercati internazionali, insieme al ritardo con cui sono stati indetti i bandi di gara, ha impedito ad alcune Regioni di aggiudicarsi il 100% delle dosi richieste. Infine, le farmacie non sono riuscite ad approvvigionarsi per mancata disponibilità del vaccino sul mercato».

«La nostra analisi – conclude Cartabellotta – quantifica le difficoltà di accesso per la popolazione generale al vaccino antinfluenzale. In molte Regioni, infatti, solo la decisione di escludere una o più categorie a rischio (es. bambini) dall’offerta attiva e gratuita o quella di accontentarsi di un target inferiore al 75%, permetterà di aumentare la disponibilità di dosi nelle farmacie. La Fondazione GIMBE auspica che i dilemmi etici posti da una programmazione inadeguata del fabbisogno vengano, almeno in parte, risolti da meccanismi di solidarietà tra Regioni, da approvvigionamenti diretti del Ministero tramite circuiti internazionali e, soprattutto, da un’adeguata organizzazione regionale con tempestiva chiamata attiva delle fasce a rischio, così da rilasciare in tempo utile alle farmacie le dosi non utilizzate».


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24 settembre 2020
Coronavirus: con oltre 45.000 casi attivi e ospedalizzazioni in crescita costante, giocare d’anticipo sul virus per contenere la seconda ondata

NELLA SETTIMANA 16-22 SETTEMBRE CONTINUANO A SALIRE I NUOVI CASI E SI AMPLIA ULTERIORMENTE IL BACINO DEGLI “ATTUALMENTE POSITIVI” (45.489). NUMERI IN CRESCITA COSTANTE SUL FRONTE OSPEDALIERO: +382 PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI E +38 IN TERAPIA INTENSIVA. TORNANO A SALIRE I DECESSI (+35). GRANDI VARIABILITÀ REGIONALI NEL NUMERO DI TAMPONI NON SEMPRE PROPORZIONALE ALLA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS. PER PREVENIRE SOVRACCARICHI DEL SISTEMA SANITARIO TUTTI DEVONO FARE LA LORO PARTE: POTENZIAMENTO DEL TESTING, ISOLAMENTO DI CASI SOSPETTI E LORO CONTATTI, AMPIA COPERTURA DELLA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE, RIGOROSA ADERENZA ALLE MISURE RACCOMANDATE E MASSIMA PROTEZIONE DI ANZIANI E SOGGETTI FRAGILI.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 16-22 settembre, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (10.907 vs 9.837) a fronte di un lieve aumento dei casi testati (385.324 vs 370.012). Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (45.489 vs 39.712) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (2.604 vs 2.222) e in terapia intensiva (239 vs 201). Dopo la sostanziale stabilità registrata nella settimana precedente, tornano a salire anche i decessi (105 vs 70).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +35 (+50%)
  • Terapia intensiva: +38 (+18,9%)
  • Ricoverati con sintomi: +382 (+17,2%)
  • Nuovi casi: +10.907 (+10,9%)
  • Casi attualmente positivi: +5.777 (+14,5%)
  • Casi testati +15.312 (+4,1%)
  • Tamponi totali: +52.304 (+9%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – risale l’aumento dei nuovi casi, in conseguenza dell’incremento sia dei casi testati sia del rapporto positivi/casi testati. Si conferma inoltre la crescita costante dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva».

Nell’ambito di una circolazione endemica del virus, l’aumento dei focolai determina la progressiva crescita dei nuovi casi settimanali. Infatti, dai 1.408 nuovi casi della settimana 15-21 luglio siamo passati ai 10.907 di quella 16-22 settembre, con un incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 2,8% (figura 1 in doc), seppure con ampie variabilità regionali: dall’1,1% della Basilicata al 6,5% della Liguria.

Le dinamiche del contagio hanno generato il progressivo aumento dei casi attualmente positivi che da fine luglio sono quasi quadruplicati, da 12.482 a 45.489 (figura 2 in doc), anche se distribuiti in maniera molto diversa tra le Regioni, in relazione a 3 variabili (figura 3 in doc):

  • “Densità” del contagio: casi attualmente positivi per 100.000 abitanti al 22 settembre.
  • Velocità di diffusione del contagio: incremento percentuale dei casi nella settimana 16-22 settembre.
  • Capacità di testing delle Regioni: numero di casi testati per 100.000 abitanti nella settimana 16-22 settembre, che condiziona l’incremento percentuale dei casi e il numero dei casi attualmente positivi.

L’incremento progressivo dei casi attualmente positivi si riflette anche sull’aumento delle ospedalizzazioni: infatti, in 2 mesi i pazienti ricoverati con sintomi sono aumentati da 732 a 2.604 e quelli in terapia intensiva da 49 a 239 (figura 4 in doc). «Fortunatamente – spiega Cartabellotta – la composizione percentuale dei casi attualmente positivi si mantiene costante: mediamente il 93-94% sono asintomatici/oligosintomatici; i pazienti ricoverati con sintomi rappresentano il 5-6% del totale e quelli in terapia intensiva lo 0,5%, anche se con differenze regionali rilevanti». In particolare, la percentuale dei ricoverati con sintomi sui casi attivi va dal 2,4% della Provincia autonoma di Trento al 9,7% della Liguria; la percentuale di quelli in terapia intensiva dallo 0% della Provincia Autonoma di Trento e della Valle D’Aosta all’1,2% della Sardegna.

Nella settimana 16-22 settembre circa l’85% dei pazienti ricoverati con sintomi si concentrano in Lazio (482), Campania (360), Lombardia (294), Sicilia (224), Puglia (204), Emilia-Romagna (185), Piemonte (164), Liguria (148) e Veneto (141). L’82,8% dei pazienti in terapia intensiva si distribuisce in 9 Regioni: Lombardia (34), Lazio (31), Campania (23), Emilia-Romagna (22), Toscana (21), Sardegna (21), Liguria (17), Sicilia (15) e Veneto (14).  «Se da lato si tratta di numeri che al momento non generano alcun sovraccarico dei servizi ospedalieri – puntualizza il Presidente – dall’altro non bisogna sottovalutare il trend in costante aumento che impone di mantenere la guardia molto alta, soprattutto in alcune Regioni». In particolare, i tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale (4,7) sono in Liguria (10,6), Lazio (8,7), Sardegna (7,1), Campania (6,6), Puglia (5,3) e Sicilia (4,8).

Da 8 settimane consecutive i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e delle ospedalizzazioni, e al momento sono molte le variabili che non lasciano ipotizzare alcuna flessione: dalla riapertura delle scuole all’aumento della circolazione del virus nella stagione invernale; dal continuo incremento dei casi in paesi senza restrizioni di ingresso in Italia, alla convivenza tra coronavirus e influenza stagionale; dalla vita in ambienti chiusi e su mezzi pubblici più affollati, alla ventilata riapertura degli stadi.

«Se è vero che rispetto ad altri paesi europei – conclude Cartabellotta – manteniamo ancora un vantaggio rilevante grazie ad un lockdown più tempestivo, intenso e prolungato e a riaperture più graduali, non è il caso di adagiarsi sugli allori, ma bisogna giocare d’anticipo sul coronavirus per contenere la seconda ondata ed evitare sovraccarichi del sistema sanitario. Innanzitutto, serve un potenziamento consistente del sistema di testing & tracing oltre che adeguate misure per l’isolamento domiciliare; in secondo luogo devono essere garantite le coperture vaccinali a tutte le categorie a rischio; infine, bisogna assicurarsi che i servizi sanitari delle Regioni del centro-sud, meno avvezzi alla gestione dell’emergenza ospedaliera da COVID-19, siano adeguatamente organizzati e potenziati. Tutti noi infine, oltre a rispettare rigorosamente tutte le misure raccomandate, siamo chiamati a proteggere al meglio gli anziani e le persone fragili, vista la notevole circolazione in ambito familiare del virus, soprattutto tra giovani asintomatici».


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17 settembre 2020
Coronavirus: nell’ultima settimana +26% di ricoveri, +41% di terapie intensive. Costante aumento dei nuovi casi, ma calano i tamponi

NELLA SETTIMANA 9-15 SETTEMBRE SI STABILIZZA L’INCREMENTO DEI NUOVI CASI, MA CALA DI OLTRE 58.000 IL NUMERO DEI TAMPONI. CONTINUA AD ALLARGARSI IL BACINO DEI CASI ATTUALMENTE POSITIVI (39.712) E RISPETTO AL MESE SCORSO RISALE L’ETÀ MEDIA DEI CONTAGIATI, UN DATO COERENTE CON IL PROGRESSIVO INCREMENTO DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI (+462) E DI QUELLI IN TERAPIA INTENSIVA (+58). LA FONDAZIONE GIMBE INVITA LE REGIONI A POTENZIARE SENZA INDUGI LE ATTIVITÀ DI TESTING E TRACING, AUMENTANDO IL NUMERO DEI TAMPONI, OLTRE CHE MANTENERE ALTA LA GUARDIA PER L’IMPREVEDIBILE IMPATTO DELLA RIAPERTURA DELLE SCUOLE SULLA CURVA DEI CONTAGI.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 9-15 settembre, rispetto alla precedente, una stabilizzazione nell’aumento dei nuovi casi (9.837 vs 9.964) a fronte di una riduzione dei casi testati (370.012 vs 421.897). Dal punto di vista epidemiologico aumentano i casi attualmente positivi (39.712 vs 33.789) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (2.222 vs 1.760) e in terapia intensiva (201 vs 143). Stabile il numero dei decessi (70 vs 72).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: -2 (-2,8%)
  • Terapia intensiva: +58 (+40,6%)
  • Ricoverati con sintomi: +462 (+26,3%)
  • Nuovi casi: +9.837 (-1,3%)
  • Casi attualmente positivi: +5.923 (+17,5%)
  • Casi testati -51.885 (-12,3%)
  • Tamponi totali: -58.573 (-9,2%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’aumento dei nuovi casi appare stabilizzato, anche se è verosimile che il numero sia sottostimato considerata la riduzione dei casi testati e l’ulteriore aumento del rapporto positivi/casi testati. Si conferma inoltre il trend in aumento dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva. Tutte spie rosse che impongono la consapevolezza pubblica sulle dinamiche dell’epidemia, senza minimizzazioni o terrorismi di sorta, al fine di mantenere alta la guardia anche per l’imprevedibile impatto della riapertura delle scuole sulla curva dei contagi».

Nel quadro di una circolazione endemica del virus l’aumento progressivo dei focolai ha determinato la crescita dei nuovi casi settimanali. Infatti, dai 1.408 della settimana 15-21 luglio siamo passati a 9.837 nuovi casi di quella 9-15 settembre, con un incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 2,7% (figura 1 in doc). Questa dinamica ha generato il progressivo aumento dei casi attualmente positivi che da fine luglio sono più che triplicati: da 12.482 a 39.712 (figura 2 in doc).

L’incremento dei casi attualmente positivi, espandendo il “bacino” dei contagi, si riflette progressivamente sull’aumento dei pazienti ospedalizzati. Infatti, dal 21 luglio al 15 settembre i ricoverati con sintomi sono aumentati da 732 a 2.222 e i pazienti in terapia intensiva da 49 a 201 (figura 3 in doc). Circa 3/4 dei pazienti ricoverati si concentrano in 7 Regioni (74,3%): Lazio (453), Campania (295), Lombardia (263), Puglia (204), Emilia-Romagna (168), Sicilia (141) e Liguria (128). Il 74,1% dei pazienti in terapia intensiva si distribuiscono in 8 Regioni: Lombardia (29), Lazio (18), Campania (18), Sardegna (18), Emilia-Romagna (17), Sicilia (17), Toscana (17), Veneto (15) (figura 4 in doc).

«Vero è che si tratta di numeri ancora bassi – puntualizza il Presidente – e che al momento non risultano segnali di sovraccarico dei servizi ospedalieri, ma il trend in costante aumento impone di mantenere la guardia molto alta, soprattutto in alcune Regioni». In particolare, rispetto ad una media nazionale di 4 ospedalizzazioni per 100.000 abitanti i tassi risultano più elevati in Liguria (9), Lazio (8), Sardegna (6,3), Campania e Puglia (5,4).

«Queste dinamiche dell’epidemia – conclude Cartabellotta – sono coerenti con quanto rilevato dalla sorveglianza epidemiologica dell’Istituto Superiore di Sanità sull’età mediana dei contagiati che si è ridotta da oltre 60 anni dei primi due mesi dell’epidemia sino a sotto i 30 nelle settimane centrali di agosto. Quindi, nelle ultime due settimane è risalita a circa 40 anni, dimostrando che i giovani asintomatici, quando vengono a contatto in ambito familiare con persone adulte e anziane, contagiano soggetti fragili che sviluppano sintomi e possono necessitare di ricovero ospedaliero, o addirittura in terapia intensiva. Davanti a questo scenario epidemiologico e clinico, le Regioni devono potenziare senza indugi l’attività di testing e tracing, in evidente calo dopo il “boom dei tamponi” sui vacanzieri».


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10 settembre 2020
Coronavirus: quasi 34 mila casi attualmente positivi. Aumentano ricoveri e terapie intensive, rallenta la crescita dei nuovi casi

NELLA SETTIMANA 2-8 SETTEMBRE AUMENTANO PIÙ LENTAMENTE I NUOVI CASI (9.964), MA CONTINUA AD AMPLIARSI IL BACINO DEI CASI ATTUALMENTE POSITIVI (33.789). SI CONSOLIDA L’INCREMENTO DEI PAZIENTI OSPEDALIZZATI CON SINTOMI (1.760) E IN TERAPIA INTENSIVA (143), SENZA DETERMINARE AL MOMENTO ALCUN SEGNALE DI SOVRACCARICO DELL’ASSISTENZA OSPEDALIERA. AL FINE DI EVITARE IL CAOS ORGANIZZATIVO ALL’AVVIO DELL’ANNO SCOLASTICO È FONDAMENTALE APPLICARE LE INDICAZIONI OPERATIVE DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ IN MANIERA UNIFORME E TEMPESTIVA IN TUTTE LE REGIONI.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 2-8 settembre, rispetto alla precedente, un incremento dei nuovi casi (9.964 vs 9.015) e dei casi attualmente positivi (33.789 vs 26.754). Aumentano anche i pazienti ricoverati con sintomi (1.760 vs 1.380), quelli in terapia intensiva (143 vs 107) e i decessi (72 vs 46).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +26 (+56,5%)
  • Terapia intensiva: +36 (+33,6%)
  • Ricoverati con sintomi: +380 (+27,5%)
  • Nuovi casi: +9.964 (+10,5%)
  • Casi attualmente positivi: +7.035 (26,3%)
  • Casi testati +26.255 (+6,6%)
  • Tamponi totali: +38.287 (+6,4%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – crescono i nuovi casi e, soprattutto, le persone attualmente positive, sia per l’incremento dei casi testati, sia per il costante aumento del rapporto positivi/casi testati. Si consolida inoltre il trend in aumento delle ospedalizzazioni con sintomi e dei pazienti in terapia intensiva. Sono tutti segnali che, guardando a quello che sta accadendo Oltralpe, impongono di mantenere molto alta l’attenzione».

Nel quadro di una circolazione endemica del virus l’aumento progressivo dei focolai provoca una crescita esponenziale dei nuovi casi, prevalentemente autoctoni, in parte da rientro di vacanzieri e, in misura nettamente minore, di importazione da stranieri. Infatti, da 1.408 nuovi casi riportati nella settimana 15-21 luglio siamo passati a 9.964 nuovi casi di quella 2-8 settembre, con un incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 2,4% (figura 1 in doc). Questa dinamica determina il progressivo aumento dei casi attualmente positivi che in poco più di un mese sono passati da 12.482 a 33.789 (figura 2 in doc).

«L’incremento dei casi attualmente positivi – precisa il Presidente – costituisce un “bacino” di contagi che si riflette progressivamente anche sul graduale e progressivo aumento dei pazienti ospedalizzati». Infatti, dal 21 luglio al 8 settembre i ricoverati con sintomi sono aumentati da 732 a 1.760 e i pazienti in terapia intensiva da 49 a 143 (figura 3 in doc). 7 Regioni contano oltre il 75% dei pazienti ricoverati con sintomi: Lazio (354), Lombardia (248), Campania (220), Puglia (163), Emilia-Romagna (130), Sicilia (104) e Piemonte (104). Il 62% dei ricoverati in terapia intensiva si distribuisce in 6 Regioni: Lombardia (27), Emilia-Romagna (16), Sicilia (13), Veneto (12), Liguria (11) e Sardegna (10) (figura 4 in doc). «Anche se si tratta di numeri esigui – puntualizza Cartabellotta – che al momento non determinano alcun sovraccarico dei servizi ospedalieri, il trend in costante aumento, insieme all’incremento dei casi attualmente positivi, impongono di mantenere la guardia molto alta, soprattutto in alcune Regioni».

«I numeri – conclude Cartabellotta – attestano in maniera inequivocabile sia la risalita della curva dei contagi, sia quella dei pazienti ospedalizzati proprio nel momento cruciale della riapertura delle scuole. Tenendo conto del verosimile ulteriore aumento dei nuovi casi, occorre assolutamente evitare il caos organizzativo di qualche settimana fa, quando il rientro dei vacanzieri da zone di contagio ci ha trovati inspiegabilmente impreparati. A tal fine, è indispensabile che le “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di Sars-CoV-2 nelle scuole e nei servizi operativi dell’infanzia”, emanate dall’Istituto Superiore di Sanità, vengano attuate in modo uniforme in tutte le Regioni, garantendo un tempestivo sistema di testing e tracing dei casi che si manifesteranno tra alunni e insegnanti».


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7 settembre 2020
Nel 2018 la migrazione sanitaria vale 4,6 miliardi. In 4 regioni del nord un attivo di 1,34 miliardi.In 6 regioni del centro-sud un passivo di 1,44 miliardi

IL REPORT DELL’OSSERVATORIO GIMBE ANALIZZA CREDITI, DEBITI E SALDI DELLE REGIONI RELATIVI ALLA MOBILITÀ SANITARIA DOCUMENTANDO UN FENOMENO DALLE ENORMI IMPLICAZIONI SANITARIE, SOCIALI, ETICHE ED ECONOMICHE CHE NEL 2018 HA COINVOLTO CIRCA UN MILIONE DI PAZIENTI, OLTRE AI FAMILIARI. IL FIUME DI DENARO SCORRE PREVALENTEMENTE DA SUD A NORD: 97,4% DEL SALDO ATTIVO CONFLUISCE NELLE CASSE DI LOMBARDIA, EMILIA ROMAGNA, VENETO, TOSCANA, l’84,4% DI QUELLO PASSIVO GRAVA SU CAMPANIA, CALABRIA, LAZIO, SICILIA, PUGLIA E ABRUZZO. L’ASSENZA DI DATI SUI COSTI SOSTENUTI DA PAZIENTI E FAMILIARI E SU ALTRI COSTI INDIRETTI RENDONO IMPOSSIBILE STIMARE L’IMPATTO ECONOMICO COMPLESSIVO DELLA MOBILITÀ SANITARIA.

I cittadini italiani hanno il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, determinando il cosiddetto fenomeno della mobilità sanitaria interregionale, distinta in mobilità attiva (voce di credito che identifica l’indice di attrazione di una Regione) e mobilità passiva (voce di debito che rappresenta l’indice di fuga da una Regione). Annualmente vengono effettuate le compensazioni finanziarie tra Regioni su 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato accreditato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso.

Nel 2018 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.618,98 milioni, importo approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome il 31 marzo 2020, previa compensazione dei saldi.

Mobilità attiva. Le 6 Regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a € 200 milioni: in testa Lombardia (26,1%) ed Emilia-Romagna (13,9%) che insieme drenano il 40% della mobilità attiva. Un ulteriore 31,9% viene attratto da Veneto (9,6%), Lazio (8,5%), Toscana (8,1%) e Piemonte (5,8%). Il rimanente 28,1% si distribuisce nelle altre 15 Regioni e Province Autonome, oltre che all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (€ 244,7 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (€ 43 milioni). In generale, emerge la forte attrazione delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.

Mobilità passiva. Ciascuna delle 6 Regioni con maggiore indice di fuga genera debiti per oltre € 300 milioni: Lazio (13%) e Campania (10,5%) costituiscono circa un quarto della mobilità passiva; un ulteriore 28,7% riguarda Lombardia (8,2%), Puglia (7,3%), Calabria (6,7%), Sicilia (6,5%); il rimanente 47,8% si distribuisce nelle altre 15 Regioni e Province Autonome. La mobilità passiva presenta differenze Nord-Sud più sfumate: gli indici di fuga sono elevati in quasi tutte le Regioni del Sud, ma sono rilevanti anche in tutte le Regioni del Nord con elevata mobilità attiva, documentando specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento: Lombardia (-€ 379,9 milioni), Emilia-Romagna (-€ 275,9 milioni), Veneto (-€ 274,7 milioni), Piemonte (-€ 263,8 milioni), Toscana (-€ 207,6 milioni) e Liguria (-€ 206,4 milioni).

Saldi. Le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud (figura). In particolare:

  • Saldo positivo rilevante: Lombardia (€ 739,6 milioni), Emilia-Romagna (€ 324 milioni), Veneto (€ 140,9 milioni) e Toscana (€ 139,3 milioni)
  • Saldo positivo moderato: Molise (€ 33,7 milioni)
  • Saldo positivo minimo: Provincia Autonoma di Bolzano (€ 2,1 milioni) e Provincia Autonoma di Trento (€ 0,5 milioni)
  • Saldo negativo minimo: Valle d'Aosta (-€ 4,7 milioni), Friuli-Venezia Giulia (-€ 6,8 milioni), Umbria (-€ 10,4 milioni) e Piemonte (-€ 13,5 milioni)
  • Saldo negativo moderato: Marche (-€ 34,4 milioni), Basilicata (-€ 48,4 milioni), Liguria (-€ 51,1 milioni), Sardegna (-€ 90,4 milioni)
  • Saldo negativo rilevante: Abruzzo (-€ 100,8 milioni), Puglia (-€ 206,4 milioni), Sicilia (-€ 228,7 milioni), Lazio (-€ 230,7 milioni), Calabria (-€ 287,4 milioni), Campania (-€ 350,7 milioni)


Saldo pro-capite di mobilità sanitaria. «Con questo indicatore elaborato dalla Fondazione GIMBE – spiega il Presidente – la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente». In particolare: il Molise conquista il podio nella classifica per saldo pro-capite; le differenze tra Lombardia (€ 74) ed Emilia Romagna (€ 73) di fatto si annullano; la Calabria precipita in ultima posizione con un saldo pro-capite negativo di € 148, superiore alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia-Romagna (€ 147).

«Tutte le nostre analisi – precisa Cartabellotta – sono state effettuate esclusivamente sui dati economici della mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma per studiare al meglio il fenomeno abbiamo inoltrato formale richiesta di accesso ai flussi integrali dei dati al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni e Province autonome». Questi dati permetterebbero di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione tra strutture pubbliche e private accreditate, la residenza di chi sceglie di curarsi fuori Regione per distinguere le dinamiche della mobilità “fisiologiche” da quelle francamente “patologiche”

«I dati pubblicamente disponibili – conclude Cartabellotta – se da un lato dimostrano che il denaro scorre prevalentemente da Sud a Nord, dall’altro confermano che l’impatto economico della mobilità sanitaria è molto più elevato di € 4,6 miliardi. Infatti, se un lato è difficile quantificare i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti, dall’altro è impossibile effettuare stimare sia i costi indiretti (assenze dal lavoro di familiari, permessi retribuiti), sia quelli conseguenti alla mancata esigibilità delle prestazioni territoriali e socio-sanitarie, diritti che appartengono alla vita quotidiana delle persone e non alla occasionalità di una prestazione ospedaliera».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2018” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita2018.


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3 settembre 2020
Coronavirus: nell’ultima settimana ulteriore aumento di pazienti ricoverati (+30%) e in terapia intensiva (+62%)

NELLA SETTIMANA 26 AGOSTO-1 SETTEMBRE, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, ULTERIORE AUMENTO DEI NUOVI CASI (+2.477), MA SOPRATTUTTO DEI PAZIENTI OSPEDALIZZATI CON SINTOMI (+322) E IN TERAPIA INTENSIVA (+41). SALGONO A 26.754 I CASI ATTUALMENTE POSITIVI, LA METÀ TRA LOMBARDIA (26,5%), LAZIO (12,3%) ED EMILIA-ROMAGNA (11,4%). DAL 21 LUGLIO AL 1 SETTEMBRE I NUOVI CASI SETTIMANALI SONO BALZATI DA 1.408 A 9.015, IL RAPPORTO POSITIVI/CASI TESTATI DALLO 0,8% AL 2,3% E I PAZIENTI OSPEDALIZZATI QUASI RADDOPPIATI. DAVANTI A QUESTI NUMERI NON POSSONO PIÙ ESSERE TOLLERATI COMPORTAMENTI IRRESPONSABILI, CATTIVI MAESTRI, NÉ CORRENTI ANTISCIENTISTE E MANIFESTAZIONI DI PIAZZA CHE, SOTTO IL FALSO SCUDO DELLA LIBERTÀ, METTONO A REPENTAGLIO LA SALUTE DELLA POPOLAZIONE.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 26 agosto-1 settembre, rispetto alla precedente, un incremento del 37,9% dei nuovi casi (9.015 vs 6.538) e del 52,2% dei casi attualmente positivi (7.040 vs 4.625). Aumentano anche i pazienti ricoverati con sintomi (1.380 vs 1.058) e quelli in terapia intensiva (107 vs 66). Lieve incremento dei decessi (46 vs 40).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +6 (+15%)
  • Terapia intensiva: +41 (+62,1%)
  • Ricoverati con sintomi: +322 (+30,4%)
  • Nuovi casi: 9.015 (+37,9%)
  • Casi attualmente positivi: +7.040 (+ 52,2%)
  • Casi testati +86.515 (+28%)
  • Tamponi totali: +116.184 (+24%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua l’ascesa del numero di nuovi casi e delle persone attualmente positive, conseguente sia all’incremento dei casi testati, sia al costante aumento del rapporto positivi/casi testati. Inoltre, si consolida il trend in aumento delle ospedalizzazioni con sintomi e si impenna quello dei pazienti in terapia intensiva. Si tratta di segnali che vanno tutti nella direzione di una ripresa dell’epidemia nel nostro Paese, sia in termini epidemiologici che di manifestazioni cliniche, proprio alla vigilia del momento cruciale della riapertura delle scuole».

Nel quadro di una circolazione endemica del virus l’aumento progressivo dei focolai provoca una crescita esponenziale dei nuovi casi, prevalentemente autoctoni, in parte da rientro di vacanzieri e, in misura nettamente minore, di importazione da stranieri. Infatti, da 1.408 nuovi casi riportati nella settimana 15-21 luglio siamo passati a 9.015 nuovi casi di quella 26 agosto-1 settembre, con un incremento del rapporto positivi/casi testati che è schizzato dallo 0,8% al 2,3% (figura 1 in doc allegato).

«Secondo le ben note dinamiche dell’epidemia, l’impennata della curva dei contagi – precisa il Presidente – si riflette in maniera sempre più evidente sull’aumento dei pazienti ospedalizzati». Infatti, dal 21 luglio al 1 settembre i ricoverati con sintomi sono aumentati da 732 a 1.380 e le terapie intensive da 49 a 107 (figura 2 in doc allegato). «Se fortunatamente i numeri sono ancora esigui – puntualizza Cartabellotta – e non configurano alcun segnale di sovraccarico dei servizi ospedalieri, il trend in costante aumento insieme all’incremento dei contagi invitano a mantenere la guardia molto alta nelle prossime settimane».

Sui nuovi casi si confermano le ampie variabilità regionali (tabella in doc allegato): 3 Regioni fanno registrare una esigua riduzione (-111); nelle rimanenti si attesta un aumento complessivo di 2.588 nuovi casi, con un range che varia dai 700 della Lombardia ai 2 del Molise.

Dei 26.754 casi attivi al 1 settembre, il 50,2% si concentra in tre Regioni: Lombardia (7.082), Lazio (3.285), Emilia-Romagna (3.061). Un ulteriore 41,9% si distribuisce tra Veneto (2.460), Campania (2.292), Toscana (1.581), Piemonte (1.464), Sicilia (1.152), Puglia (860), Sardegna (837), Liguria (560). I rimanenti 2.120 casi (7,9%) si collocano nelle restanti 8 Regioni e 2 Province autonome con un range che varia dai 30 della Valle d’Aosta ai 406 dell’Abruzzo.

«Davanti a questi numeri in preoccupante e indiscutibile ascesa – conclude Cartabellotta – non possono essere più tollerati comportamenti individuali irresponsabili, esempi scellerati di cattivi maestri, né tantomeno correnti antiscientiste e manifestazioni di piazza che, sotto il falso scudo della libertà, mettono a repentaglio la salute della popolazione. Accanto al richiamo alle Istituzioni affinché vigilino e sanzionino ogni forma di “attentato” alla salute pubblica, la Fondazione GIMBE rinnova alla popolazione l’invito a rispettare tutti i comportamenti raccomandati. Alle autorità sanitarie il compito di potenziare ulteriormente l’attività di testing, sorveglianza e comunicazione pubblica, oltre che accelerare la messa a punto di un piano adeguato per gestire la difficile “convivenza” tra coronavirus e influenza stagionale».


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27 agosto 2020
Coronavirus: + 92,4% di nuovi casi in soli 7 giorni. In aumento ricoveri e terapie intensive

NELLA SETTIMANA 19-25 AGOSTO, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, IMPENNATA DEI NUOVI CASI (+3.139) E ULTERIORE AUMENTO DEI PAZIENTI OSPEDALIZZATI CON SINTOMI (+215) E IN TERAPIA INTENSIVA (+8). SALGONO A 19.714 I CASI ATTUALMENTE POSITIVI CHE PER IL 91,8% SONO CONCENTRATI IN 11 REGIONI: 29,4% IN LOMBARDIA, IL 33,4% IN LAZIO, EMILIA-ROMAGNA E VENETO E UN ULTERIORE 29% IN CAMPANIA, PIEMONTE, TOSCANA, SICILIA, PUGLIA, SARDEGNA E LIGURIA.
IN POCO PIÙ DI UN MESE I NUOVI CASI PER SETTIMANA SONO AUMENTATI DA 1.408 A 6.538, CON INCREMENTO DEL RAPPORTO POSITIVI/CASI TESTATI DALLO 0,8% AL 2,1%.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 19-25 agosto, rispetto alla precedente, un incremento del 92,4% dei nuovi casi (6.538 vs 3.399), grazie anche all’aumento dei casi testati (309.127 vs 180.300). Relativamente ai dati ospedalieri si conferma il trend in crescita dei pazienti ricoverati con sintomi (1.058 vs 843) e di quelli in terapia intensiva (66 vs 58). In dettaglio:

  • Decessi: +40 (+0,1%)
  • Terapia intensiva: +8 (+13,8%)
  • Ricoverati con sintomi: +215 (+25,5%)
  • Nuovi casi totali: +6.538 (+92,4%)
  • Casi testati +128.827 (+71,5%)
  • Tamponi totali: +158.692 (+48,8%)

«In soli 7 giorni – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si sfiora il raddoppio dei nuovi casi totali, non solo per l’incremento dell’attività di testing, ma anche per l’aumento del rapporto positivi/casi testati. Inoltre, si conferma il trend in crescita dei pazienti ospedalizzati con sintomi e, in misura minore, di quelli in terapia intensiva. Queste spie rosse, piuttosto che generare inutili allarmismi, devono infondere una comune consapevolezza sull’andamento dell’epidemia nel nostro paese al fine di mantenere alta la guardia, sia da parte delle Istituzioni che devono potenziare la sorveglianza epidemiologica, sia da parte dei cittadini chiamati ad attenersi a tutte le misure di sicurezza, senza minimizzazioni di sorta».

Nel quadro di una circolazione endemica del virus si assiste ad un aumento progressivo dei focolai con crescita esponenziale dei nuovi casi, siano essi autoctoni, da rientro di italiani andati in vacanza all’estero, o di importazione da stranieri». Infatti, da 1.408 nuovi casi riportati nella settimana 15-21 luglio siamo passati a 6.538 nuovi casi della settimana 19-25 agosto, con un incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 2,1% (v. figura 1 in doc allegato). «Questa rapida ascesa nella curva dei contagi – precisa il Presidente – inizia a riflettersi gradualmente sull’aumento dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva». Si è infatti invertita la tendenza che dai primi di aprile ha visto la progressiva e imponente riduzione dei pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva, che adesso iniziano lentamente a risalire (v. figura 2 in doc allegato).

Confermate le ampie variabilità regionali (v. tabella in doc allegato), ma solo 4 Regioni fanno registrare una riduzione di nuovi casi, peraltro piuttosto esigua (-55). Nelle altre 14 Regioni e 2 Province autonome si rileva un aumento complessivo di 3.194 nuovi casi, con un range che varia dai 677 del Lazio ai 4 della Valle d’Aosta. Stabile il numero di nuovi casi in Basilicata (+14).

Dei 19.714 casi attivi al 25 agosto il 91,8% si concentra in 11 Regioni: 29,4% dei casi in Lombardia (5.787); il 33,4% si distribuisce tra Lazio (2.284), Emilia-Romagna (2.189) e Veneto (2.119); un ulteriore 29% tra Campania (1.164), Piemonte (1.142), Toscana (1.039), Sicilia (947), Puglia (548), Sardegna (463) e Liguria (413). I rimanenti 1.619 casi (8,2%) si collocano nelle restanti 7 Regioni e 2 Province autonome con un range che varia dai 13 della Valle d’Aosta ai 342 dell’Abruzzo.

«Tutti questi numeri – spiega il Presidente – non possono essere confrontati con quelli dei primi mesi dell’epidemia perché le dinamiche epidemiologiche sono completamente diverse. Dello tsunami che si è abbattuto sul nostro Paese non abbiamo mai conosciuto la fase iniziale: il coronavirus circolava insidiosamente sottotraccia con migliaia di asintomatici che infettavano senza saperlo parenti, amici e colleghi di lavoro. Il lockdown rigoroso e prolungato ha ridotto la mortalità, gli accessi in ospedale e il numero dei nuovi casi, ma dal 3 giugno siamo di fatto “ripartiti dal via”».

«Se è legittimo chiedersi se i numeri attuali sono i segnali di una nuova ondata – conclude Cartabellotta – è ragionevolmente certo che non rivedremo le drammatiche scene di marzo/aprile perché oggi la situazione epidemiologica è attentamente monitorata, il servizio sanitario è ben organizzato e, dunque, non potrà esserci alcun effetto sorpresa. Ma non bisogna concedere ulteriori vantaggi al coronavirus, tanto più che i numeri riflettono sempre comportamenti di 3-4 settimane fa».


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21 agosto 2020
Coronavirus: continua a salire la curva dei contagi. Nell’ultima settimana + 141% rispetto a un mese fa

NELLA SETTIMANA 12-18 AGOSTO, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, SI RILEVA UN ULTERIORE AUMENTO DEI NUOVI CASI (+581). CRESCE IL NUMERO DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI (+43) E DI QUELLI IN TERAPIA INTENSIVA (+9). SALGONO A 15.089 I CASI ATTUALMENTE POSITIVI: 35,2% SONO IN LOMBARDIA, UN ULTERIORE 51,5% SI DISTRIBUISCE TRA EMILIA ROMAGNA, VENETO, LAZIO, PIEMONTE, SICILIA, TOSCANA E CAMPANIA, IL RESTANTE 13,3% NELLE ALTRE REGIONI. ACCORATO APPELLO DELLA FONDAZIONE GIMBE ALLA RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE E ISTITUZIONALE IN VISTA DELLA RIAPERTURA DI SCUOLE E UNIVERSITÀ, OLTRE CHE DELLE CONSULTAZIONI ELETTORALI

21 agosto 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 12-18 agosto, rispetto alla precedente, un incremento del 20,6% dei nuovi casi (3.399 vs 2.818), a fronte di un lieve aumento dei casi testati (180.300 vs 174.671). Relativamente ai dati ospedalieri in crescita i pazienti ricoverati con sintomi (843 vs 801) e quelli in terapia intensiva (58 vs 49). In dettaglio:

  • Decessi: +36 (+0,1%), oltre a 154 decessi comunicati dalla ASL di Parma sinora non conteggiati.
  • Terapia intensiva: +9 (+18,4%)
  • Ricoverati con sintomi: +42 (+5,2%)
  • Nuovi casi totali: +3.399 (+1,4%)
  • Casi testati +5.629 (+3,2%)
  • Tamponi totali: -7.188 (-2,2%)

«Dal 12 al 18 agosto – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si conferma il trend in aumento sia dei nuovi casi, sia dei pazienti ospedalizzati con sintomi e, in misura minore, di quelli ricoverati in terapia intensiva. Dopo 4 settimane di crescita costante siamo davanti a segnali che invitano a mantenere l’attenzione molto alta sull’andamento dell’epidemia nel nostro Paese».

Notevoli le variabilità regionali (tabella): in 6 Regioni e nelle 2 Province Autonome si rileva una riduzione complessiva di 180 nuovi casi rispetto alla settimana precedente, con variazioni che oscillano dai -6 della Prov. Aut. di Bolzano ai -53 dell’Abruzzo. 13 Regioni fanno registrare un aumento dei nuovi casi per un totale di 761 nuovi casi, con un range che varia dai 169 del Lazio agli 8 della Sardegna.

«Quale indicatore della diffusione del contagio – spiega il Presidente – abbiamo rivalutato la distribuzione geografica dei 15.089 casi attivi al 18 agosto, aumentati complessivamente di 1.528 unità (+11,3%) rispetto alla settimana precedente». La Lombardia, seppure in calo relativo (-3,6%) e assoluto (-200) rispetto all’11 agosto, conta il 35,2% dei casi (5.314); un ulteriore 51,5% si distribuisce tra Emilia-Romagna (1.789), Veneto (1.688), Lazio (1.359), Piemonte (897), Sicilia (722), Toscana (718) e Campania (596); i rimanenti 2.006 casi (13,3%) si collocano nelle restanti 11 Regioni e 2 Province autonome con un range che varia dagli 8 della Valle d’Aosta ai 340 della Puglia (figura 1).

«Nell’ambito di un quadro di circolazione endemica del virus – continua Cartabellotta – si conferma il trend in progressivo aumento dei nuovi casi, siano essi autoctoni, di importazione (stranieri) o da rientro di italiani andati in vacanza all’estero». Infatti se nelle prime tre settimane di luglio i nuovi casi erano stabili, nelle ultime quattro settimane abbiamo assistito ad un progressivo e costante incremento: i 3.399 nuovi casi della settimana 12-18 agosto costituiscono un valore superiore al 140% rispetto alla settimana 15-21 luglio quando erano 1.408 (figura 2). «La risalita nella curva dei contagi – precisa il Presidente – desta non poche preoccupazioni sia perché l’incremento inizia a riflettersi progressivamente sull’aumento delle ospedalizzazioni, sia perché solo negli ultimi 2 giorni, peraltro non inclusi nella nostra analisi settimanale, sono stati riportati quasi 1.500 nuovi casi».

«Davanti a questi numeri – conclude Cartabellotta – se da un lato bisogna evitare inutili allarmismi, dall’altro non è ammissibile sottovalutare il costante aumento dei nuovi casi, anche in vista di appuntamenti cruciali per il Paese, quali riapertura di scuole e università e consultazioni elettorali. L’arma migliore per una serena convivenza con il virus rimane la massima aderenza ai comportamenti raccomandati: dal frequente lavaggio delle mani alle misure di igiene respiratoria, dal distanziamento sociale all’uso della mascherina negli ambienti pubblici al chiuso e all’aperto dove non è possibile mantenere la distanza minima di un metro, al rigoroso rispetto del divieto di assembramenti. Dal canto loro, le autorità sanitarie devono potenziare la sorveglianza epidemiologica, sia per identificare e circoscrivere i focolai, sia per individuare tempestivamente casi di importazione e di rientro».


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13 agosto 2020
Coronavirus: +46% di nuovi casi nell’ultima settimana. Aumentano anche ricoveri e terapie intensive

NELLA SETTIMANA 4-11 AGOSTO, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, SI RILEVA UN NETTO AUMENTO DEI NUOVI CASI (+887) E IN QUELLO DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI (+40) MA ANCHE, DOPO MESI, DI QUELLI IN TERAPIA INTENSIVA (+8). DEI 13.561 ATTUALMENTE POSITIVI IL 40,7,% SONO IN LOMBARDIA, UN ULTERIORE 47,8% SI DISTRIBUISCE TRA EMILIA-ROMAGNA, VENETO, LAZIO, PIEMONTE, SICILIA, TOSCANA E CAMPANIA (402) E L’11,5% NELLE ALTRE REGIONI. SERVE UN GRANDE SENSO DI RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE E COLLETTIVA: CON QUESTI TREND RISCHIO DI NUOVI LOCKDOWN IN CONCOMITANZA DELLA RIAPERTURA DELLE SCUOLE.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 5–11 agosto, rispetto alla precedente, un incremento del 46% dei nuovi casi (2.818 vs 1.931), a fronte di una consistente diminuzione dei tamponi diagnostici (174.671 vs 187.316). Relativamente ai dati ospedalieri in aumento (801 vs 761) i pazienti ricoverati con sintomi e quelli in terapia intensiva a (49 vs 41). In dettaglio:

  • Decessi: +44 (+0,1%)
  • Terapia intensiva: +8 (+19,5%)
  • Ricoverati con sintomi: +40 (+5,3%)
  • Nuovi casi totali:+2.818 (+1,1%)
  • Tamponi diagnostici:-12.645(-6,8%)
  • Tamponi totali: -17.967 (-5,1%)

«Dal 5 all’11 agosto – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si conferma non solo un trend in netta crescita dei nuovi casi e, in misura minore dei pazienti ospedalizzati con sintomi, ma per la prima volta da inizio aprile si registra un incremento dei ricoveri in terapia intensiva. Spie rosse che invitano a non abbassare la guardia e mantenere un grande senso di responsabilità individuale e collettiva».

Anche nella settimana 5-11 agosto si registrano notevoli variabilità regionali (tabella in allegato): in 5 Regioni si rileva una riduzione complessiva di 31 nuovi casi rispetto alla settimana precedente, con variazioni minime che oscillano dai -2 della Prov. Aut. di Trento ai -13 della Prov. Aut. di Bolzano. 15 Regioni fanno registrare un aumento dei nuovi casi: svettano Lombardia (+198) e Sicilia (+153), mentre altrove gli incrementi oscillano dai +5 della Valle d’Aosta ai +98 del Piemonte. Stabile la Regione Marche.

«Quale indicatore della diffusione del contagio – spiega il Presidente – abbiamo rivalutato la distribuzione geografica dei 13.561 casi attivi all’11 agosto, i casi “attualmente positivi” secondo la denominazione della Protezione Civile, aumentati complessivamente di 1.079 unità rispetto alla settimana precedente». Il 40,7% si concentra in Lombardia (5.514); un ulteriore 47,8% si distribuisce tra Emilia-Romagna (1.790), Veneto (1.300), Lazio (1.101), Piemonte (822), Sicilia (538), Toscana (535), Campania (402); i rimanenti 1.559 casi (11,5%) in 11 Regioni e 2 Province autonome con un range che varia dai 15 della Valle d’Aosta ai 229 della Puglia (figura 1 in allegato).

«In generale – spiega il Presidente – nell’ambito di un quadro epidemiologico di circolazione endemica del virus, è evidente il trend in progressivo aumento dei nuovi casi, siano essi autoctoni, di importazione (stranieri) o di rientro da italiani andati in vacanza all’estero». Infatti se nelle prime tre settimane di luglio i nuovi casi erano stabili (circa 1.400 per settimana), nelle ultime due sono progressivamente aumentati da: 1.736 nella settimana 22-28 luglio a 1.931nella settimana 29 luglio–4 agosto e a 2.818 nella settimana 5–11 agosto (figura 2 in allegato).

La dinamica della risalita della curva dei contagi si riflette progressivamente sull’incremento sia dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, confermando che in Italia assistiamo a quanto si sta verificando già in diversi paesi europei. «Purtroppo – aggiunge il Presidente – se da un lato Governo e Regioni cercano di mettere in campo nuove azioni per frenare la risalita dei contagi, la comunicazione pubblica continua ad essere influenzata da messaggi che minimizzano i rischi, ignorando totalmente dinamiche e tempistiche che condizionano la risalita della curva epidemiologica e facendo leva sull’analfabetismo scientifico di una parte della popolazione».

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ribadisce innanzitutto la necessità di aderire ai comportamenti raccomandati: dal frequente lavaggio alle misure di igiene respiratoria, dal distanziamento sociale all’uso della mascherina negli ambienti pubblici al chiuso e all’aperto dove non è possibile mantenere la distanza minima di un metro, al rigoroso rispetto del divieto di assembramenti. In secondo luogo, invita le autorità sanitarie potenziare la sorveglianza epidemiologica, sia per identificare e circoscrivere i focolai, sia per individuare tempestivamente i casi di importazione dall’estero. Infine, invita tutti gli esperti a fornire comunicazioni pubbliche equilibrate, oggettive e, nell’incertezza, seguire il principio di precauzione. Altrimenti sull’avvio dell’anno scolastico incombe lo spettro di nuovi lockdown».


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6 agosto 2020
Coronavirus: confermato trend in crescita nuovi casi da 1.378 della settimana 15-21 luglio a 1.931 nell’ultima

NELLA SETTIMANA 29 LUGLIO – 4 AGOSTO, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, AUMENTANO SIA IL NUMERO DEI NUOVI CASI (+195) CHE QUELLO DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI (+12). CONFERMATA LA CIRCOLAZIONE ENDEMICA DEL VIRUS CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI: DEI 12.482 ATTUALMENTE POSITIVI IL 46,1% SI COLLOCA IN LOMBARDIA, IL 36,5% È DISTRIBUITO TRA EMILIA ROMAGNA, VENETO, LAZIO E PIEMONTE E IL 18,4% NELLE ALTRE REGIONI. NO AGLI ALLARMISMI, MA FONDAMENTALE MANTENERE ALTA LA GUARDIA CON GRANDE SENSO DI RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE E COLLETTIVA

6 agosto 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 29 luglio – 4 agosto, rispetto alla precedente, un incremento del 11,2% dei nuovi casi (1.931 vs 1.736), a fronte di una lieve diminuzione del numero di tamponi diagnostici. Relativamente ai dati ospedalieri, se i pazienti in terapia intensiva restano sostanzialmente stabili (41 vs 40), si assiste ad un ulteriore lieve aumento (761 vs 749) di quelli ricoverati con sintomi. In dettaglio:

  • Decessi: +48 (+0,1%)
  • Terapia intensiva: +1 (+2,5%)
  • Ricoverati con sintomi: +12 (+1,6%)
  • Nuovi casi totali: +1.931 (+0,8%)
  • Tamponi diagnostici: -1.911 (-1%)
  • Tamponi totali: +21.415 (+6,5%)

«Negli ultimi 7 giorni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si conferma il trend in crescita sia dei nuovi casi, sia dei pazienti ospedalizzati con sintomi. Due segnali invitano a mantenere alta la guardia, senza fomentare allarmismi, ma con grande senso di responsabilità individuale e collettiva».

Anche nella settimana 29 luglio – 4 agosto si rileva una notevole variabilità regionale (tabella): in 7 Regioni si rileva una riduzione complessiva di 281 nuovi casi rispetto alla settimana precedente, con un range che varia dai -62 casi dell’Emilia-Romagna a -7 della Valle D’Aosta. Le restanti 14 Regioni registrano un aumento dei nuovi casi: svetta quello del Veneto (+226), mentre altrove gli incrementi oscillano dai +41 della Provincia Autonoma di Bolzano a +6 di Liguria e Umbria.

«Quale indicatore della diffusione del contagio – spiega il Presidente – abbiamo rivalutato la distribuzione geografica dei 12.482 casi attivi al 4 agosto, i casi “attualmente positivi” secondo la denominazione della Protezione Civile, diminuiti complessivamente di 127 unità rispetto alla settimana precedente». Il 46,1% si concentra in Lombardia (5.752); un ulteriore 35,5% si distribuisce tra Emilia-Romagna (1.581), Veneto (1.065), Lazio (987), Piemonte (798); i rimanenti 2.299 casi (18,4%) in 16 Regioni e Province autonome con un range che varia dai 405 della Toscana ai 13 della Valle D’Aosta (figura 1).

In generale, i dati confermano il quadro epidemiologico di circolazione endemica del virus con un trend in progressivo aumento dei nuovi casi nelle ultime due settimane: infatti se nelle prime tre settimane di luglio i nuovi casi erano stabili (circa 1.400 per settimana), nelle ultime due settimane sono progressivamente aumentati prima a 1.736 nella settimana 22-28 luglio e poi a 1.931 nella settimana 29 luglio – 4 agosto (figura 2).

«Davanti a numeri in progressivo rialzo – conclude Cartabellotta – si conferma la necessità di aderire ai comportamenti raccomandati: dal distanziamento sociale all’uso della mascherina negli ambienti pubblici al chiuso e all’aperto dove non è possibile mantenere la distanza minima di un metro, al rispetto del divieto di assembramenti. Dal canto suo, alla vigilia del nuovo DPCM il Governo non può non tenere conto di questi dati nel dettare le regole per le prossime settimane (o mesi), mentre le autorità sanitarie devono potenziare la sorveglianza epidemiologica, sia per identificare e circoscrivere i focolai, sia per individuare tempestivamente i casi di importazione dall’estero potenziando il testing rapido nei principali hub di ingresso nel Paese».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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5 agosto 2020
Coronavirus, mascherine: cinture di sicurezza per una nuova normalit&agrave;

DALLA FONDAZIONE GIMBE UN POSITION STATEMENT SULL’UTILIZZO DELLE MASCHERINE IN AMBIENTI PUBBLICI PER CONTRASTARE IL CONTAGIO DA CORONAVIRUS E LA DISINFORMAZIONE PUBBLICA. IL DOCUMENTO SINTETIZZA LE PIÙ RECENTI EVIDENZE SCIENTIFICHE SU BENEFICI E RISCHI, FORMULA RACCOMANDAZIONI PER ISTITUZIONI, IMPRESE E ORGANIZZAZIONI E FORNISCE AI CITTADINI ISTRUZIONI PER L’USO. CRUCIALE INFORMARE E COINVOLGERE LA POPOLAZIONE SUL CORRETTO UTILIZZO DI QUESTO INSOSTITUIBILE DISPOSITIVO DI PROTEZIONE INDIVIDUALE E CONTRASTARE IL PROLIFERARE INCONTROLLATO DI FAKE NEWS.

5 agosto 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

A dispetto di un consistente impianto normativo e di continui messaggi da parte dei vertici istituzionali nazionali, le violazioni all’obbligo di utilizzo delle mascherine sono frequenti, in particolare sui mezzi pubblici e nei luoghi dove non viene esercitata una sistematica attività di controllo e richiamo.

«Nelle ultime settimane – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – l’utilizzo della mascherina in luoghi pubblici è diventato paradossalmente anche terreno di scontro politico, con deplorevoli gesti da parte di rappresentanti delle Istituzioni e più in generale di una frangia di politici, professionisti e cittadini che minimizzano i rischi dell’epidemia e ritengono inutile l’utilizzo della mascherina, arrivando talora a (s)qualificarla come un bavaglio imposto».

Considerato il progressivo consolidamento delle evidenze scientifiche sull’utilizzo delle mascherine in ambienti pubblici per ridurre la trasmissione di SARS-COV2, dello status di evoluzione della curva epidemica nel nostro Paese e delle recenti pericolose derive nella comunicazione pubblica e nei comportamenti individuali, la Fondazione GIMBE ha pubblicato un Position Statement indipendente sull’utilizzo della mascherina negli ambienti pubblici, quale insostituibile dispositivo di protezione collettiva.

«Il Position Statement – continua Cartabellotta – sintetizza anzitutto le evidenze scientifiche sull’uso delle mascherine; contiene poi raccomandazioni destinate a Governo e Regioni, imprese, datori di lavoro e altre organizzazioni interessate, al fine di massimizzare i benefici dell’uso delle mascherine e a minimizzarne i rischi; infine risponde a numerose domande, in larga parte pervenute dagli utenti del sito della Fondazione GIMBE dedicato al monitoraggio indipendente della pandemia».

Evidenze scientifiche. In letteratura aumentano progressivamente le prove di efficacia sull’utilizzo delle mascherine negli ambienti pubblici per bloccare le particelle virali responsabili della trasmissione di SARS-COV2 espulse dalla bocca o dal naso. Dallo scorso 5 giugno anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’utilizzo della mascherina negli spazi chiusi dove non è possibile rispettare il distanziamento sociale. Peraltro, a fronte della diffusa opinione che la mascherina serva esclusivamente a proteggere gli altri, studi osservazionali comparativi suggeriscono benefici, seppure modesti, anche per chi la indossa.

Raccomandazioni per Istituzioni, imprese e organizzazioni. Governo e Regioni dovrebbero lanciare e potenziare campagne di informazione complete ed esaustive per promuovere l’utilizzo delle mascherine nei luoghi chiusi aperti al pubblico e in tutte le circostanze in cui non è possibile mantenere la distanza minima di un metro, incoraggiando le persone ad usarle e coinvolgendo attivamente la popolazione. Dovrebbero inoltre prevedere una fornitura gratuita per le persone che non possono permettersi di acquistarle. Insieme ad imprese, datori di lavoro ed altre organizzazioni dovrebbero assicurarsi che le mascherine vengano sempre utilizzate insieme a – e non in sostituzione di – altre misure di protezione, oltre che andare incontro alle esigenze delle persone affette da condizioni patologiche o disabilità fisiche o mentali che rendono difficoltoso o impossibile l’uso della mascherina.

Istruzioni per l’uso. In generale sarebbe preferibile optare per mascherine riutilizzabili, sia per limitare la produzione di rifiuti in plastica sia per i costi, visto che le evidenze ne dimostrano l’efficacia nel trattenere le particelle virali. Si raccomanda l’uso di mascherine a doppio o triplo strato di tessuti con diverse trame e proprietà elettrostatiche: a tal proposito è indispensabile promuovere una campagna d’informazione pubblica per guidare la popolazione all’acquisto e/o alla produzione domestica delle mascherine. Al contrario, vista l’impossibilità di mangiare e bere con la mascherina e l’evidenza che la ripetuta attività di toglierla e metterla può aumentare il rischio di trasmissione, l’obbligo della mascherina per i clienti di bar e ristoranti dovrebbe essere rivalutato. Considerato che solo una piccola percentuale della trasmissione del virus avviene all’aperto, la Fondazione GIMBE conferma che non è opportuno raccomandare l’obbligo di mascherina all’aperto, anche se rimane difficile, soprattutto durante la stagione estiva, governare le situazioni a rischio quando non si riesce a mantenere la distanza minima di un metro.

Obbligo e sanzioni. I paesi e le regioni in cui vige l’obbligo di indossare la mascherina hanno mostrato una maggiore aderenza rispetto a quelli in cui l’utilizzo è volontario. Come per le cinture di sicurezza e altre norme sulla sicurezza, giocano un ruolo fondamentale le campagne di informazione pubblica mirate a far comprendere e accettare alle persone le motivazioni alla base della norma: l’impegno e l’aderenza, infatti, possono aumentare quando la popolazione viene trattata come un partner in una strategia condivisa di salute pubblica. Tuttavia, le sanzioni pecuniarie per chi non indossa la mascherina sono difficilmente praticabili e, verosimilmente, controproducenti.

«Il nostro Position Statement – conclude Cartabellotta – ribadisce che, nel mezzo di una pandemia dove tutte le misure di protezione giocano un ruolo cruciale, le mascherine rappresentano il segno di una “nuova normalità” per una sicura convivenza con il virus.  Non è accettabile che la violazione di norme imposte a tutela della salute venga sbandierata come espressione di libertà: come recentemente ricordato dal Presidente Mattarella, infatti, si deve “evitare di confondere la libertà con il diritto far ammalare altri”».

Il Position Statement GIMBE “Utilizzo delle mascherine negli ambienti pubblici per ridurre il contagio da SARS-COV-2” è disponibile a: www.gimbe.org/mascherine-PS

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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30 2020
Coronavirus: in 7 giorni +23% nuovi casi rispetto alla settimana precedente. Stop a posizioni estreme che disorientano cittadini

NELLA SETTIMANA 22-28 LUGLIO, RISPETTO ALLA PRECEDENTE, NUMERI IN AUMENTO: +328 NUOVI CASI, +361 “ATTUALMENTE POSITIVI” E, PER LA PRIMA VOLTA DOPO MESI DI COSTANTE RIDUZIONE, INCREMENTO DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI (+17). CONFERMATA LA CIRCOLAZIONE ENDEMICA DEL VIRUS CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI: DEI 12.609 ATTUALMENTE POSITIVI IL 53% È IN LOMBARDIA, IL 37,4% SI DISTRIBUISCE TRA EMILIA ROMAGNA, LAZIO, PIEMONTE, VENETO, CAMPANIA E TOSCANA E IL 9,6% NELLE ALTRE REGIONI. DAVANTI A NUMERI IN CRESCITA, LA FONDAZIONE GIMBE ESORTA POLITICA E ISTITUZIONI A GARANTIRE UNA COMUNICAZIONE OGGETTIVA, EQUILIBRATA E COERENTE PER NON DISORIENTARE I CITTADINI.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 22-28 luglio, rispetto alla precedente, un incremento del 23,3% dei nuovi casi (1.736 vs 1.408), a fronte di un lieve aumento del numero di tamponi diagnostici. Relativamente ai dati ospedalieri, se i pazienti in terapia intensiva diminuiscono (40 vs 49), quelli ricoverati con sintomi sono in lieve aumento (749 vs 732). In dettaglio:

  • Decessi: 50 (+0,1%)
  • Terapia intensiva: -9 (-18,4%)
  • Ricoverati con sintomi: +17 (+2,3%)
  • Nuovi casi totali: +1.736 (+0,7%)
  • Tamponi diagnostici: +17.859 (+10,4%)
  • Tamponi totali: +28.080 (+9,3%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – due spie rosse confermano la necessità di mantenere alta la guardia, senza allarmismi ma con senso di grande responsabilità individuale e collettiva». Infatti, oltre al netto aumento dei nuovi casi (+ 23,3% rispetto alla settimana precedente), per la prima volta si registra un’inversione di tendenza nel trend dei pazienti ospedalizzati con sintomi, che era in costante discesa da inizio aprile. Una ragione in più per rendere disponibile il numero dei nuovi pazienti ricoverati e dimessi dall’ospedale e dalle terapie intensive quotidianamente, visto che i dati si riferiscono solo al “saldo”, ovvero al numero dei posti letto occupati, quale indice del sovraccarico ospedaliero.

Nel quadro di un netto incremento dei nuovi casi nella settimana 22-28 luglio rispetto alla precedente (+328) si rilevano notevoli variazioni regionali: solo in 6 Regioni i casi sono in riduzione, mentre in 15 sono in aumento. Incremento moderato in Emilia-Romagna (+70), Prov. Aut. Trento (+65) e Campania (+56), netta riduzione in Veneto (-73). Parametrando i nuovi casi alla popolazione residente, tra le Regioni che fanno registrare il maggior incremento per 100.000 abitanti, svetta la Provincia Autonoma di Trento (13,86), seguita da Valle D’Aosta (7,96), Emilia-Romagna (7,56), Molise (7,53) e Basilicata (7,28) (tabella).

«Quale indicatore della diffusione del contagio – spiega Cartabellotta – abbiamo rivalutato la distribuzione geografica dei 12.609 casi attivi al 28 luglio, i cosiddetti casi “attualmente positivi” secondo la denominazione della Protezione Civile, aumentati di 361 unità rispetto alla settimana precedente». Il 53% si concentra in Lombardia (6.678); un ulteriore 37,4% si distribuisce tra Emilia-Romagna (1.459), Lazio (942), Piemonte (801), Veneto (754), Campania (393), Toscana (363); i rimanenti 1.219 casi (9,6%) in 14 Regioni e Province autonome (figura).

In generale, i dati confermano sia il quadro epidemiologico di circolazione endemica del virus, sia il trend in aumento dei nuovi casi dopo due settimane di relativa stabilità, siano essi legati a nuovi focolai o a casi di “importazione” dall’estero.

«Davanti a numeri in rialzo rispetto alle settimane precedenti – conclude il Presidente – la comunicazione della politica e delle Istituzioni deve essere oggettiva, equilibrata e coerente. La pandemia è ancora in corso, il virus è vivo e vegeto e vanno mantenuti tutti i comportamenti individuali raccomandati da mesi, oltre che le misure di sorveglianza epidemiologica. Non è più accettabile disorientare i cittadini strumentalizzando la pandemia per fini esclusivamente politici, contrapponendo posizioni estreme: da un lato negazionismo, minimizzazioni del fenomeno e deplorevoli comportamenti individuali, dall’altro la proroga dello stato di emergenza nazionale».


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28 2020
Paradosso ticket: nel 2019 spesi quasi 3 miliardi di euro, ma il 38% finisce in farmaci di marca

SOTTO LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE GLI IMPORTI SBORSATI DAI CITTADINI NEL 2019. QUASI € 50 A TESTA CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI: QUOTA PRO-CAPITE TOTALE DA € 33,5 IN SARDEGNA A € 90,8 IN VALLE D’AOSTA, PER I FARMACI DA € 15,3 IN PIEMONTE A € 36,4 IN CAMPANIA, PER LE PRESTAZIONI SPECIALISTICHE DA € 8,5 IN SICILIA A € 65,3 IN VALLE D’AOSTA. ALLA VIGILIA DEL DEFINITIVO SUPERAMENTO DEL SUPERTICKET PER LA SPECIALISTICA, URGENTE INCENTIVARE L’USO DEI FARMACI EQUIVALENTI, IL CUI MANCATO UTILIZZO COSTA AI CITTADINI OLTRE € 1.120 MILIONI.

Tutte le Regioni prevedono sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia che negli anni ha generato una giungla inestricabile di differenze relative alle prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), agli importi da corrispondere, alle regole per le esenzioni.  Integrando i dati del Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti con quelli del Monitoraggio AIFA della spesa farmaceutica 2019, l’ultimo report dell’Osservatorio GIMBE analizza in dettaglio composizione e differenze regionali della compartecipazione alla spesa sanitaria che nel 2019 sfiora i 3 miliardi di euro.

«Nata per moderare i consumi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria ha finito per costituire un rilevante capitolo di entrata per le Regioni in un’epoca caratterizzata da un definanziamento della sanità pubblica senza precedenti». Nel 2019 le Regioni hanno incassato per i ticket € 2.935,8 milioni (€ 48,6 pro-capite), di cui € 1.581,8 milioni (€ 26,2 pro-capite) per farmaci e € 1.354 milioni (€ 22,4 pro-capite) per prestazioni specialistiche, incluse quelle di pronto soccorso (figura). 

«Nel periodo 2014-2019 – spiega Cartabellotta – l’entità complessiva della compartecipazione alla spesa sanitaria si è mantenuta relativamente stabile, ma abbiamo assistito ad una sua progressiva ricomposizione. Infatti, rispetto al 2014, quando gli importi dei ticket per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, nel 2019 quelli per le prestazioni si sono ridotti del 6,5% mentre sono aumentati quelli per i farmaci (+10,1%)».

Nel 2019, rispetto all’anno precedente, i ticket sono diminuiti di € 32,2 milioni (-1,1%), di cui € 5 milioni (-0,4%) per le prestazioni specialistiche e € 27,2 milioni (-1,7%) per i farmaci. Dall’analisi emergono notevoli differenze regionali relative sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche: in particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 33,5 in Sardegna a € 90,8 in Valle d’Aosta, per i farmaci l’importo varia da € 15,3 in Piemonte a € 36,4 in Campania, mentre per le prestazioni specialistiche si va da € 8,5 in Sicilia a € 65,3 in Valle d’Aosta.

«Un dato di estremo interesse – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che preferiscono il farmaco di marca al medicinale equivalente». Nel 2019 dei € 1.581,8 milioni sborsati per il ticket sui farmaci, solo il 29% è relativo alla quota fissa per ricetta (€ 459,3 milioni pari a € 7,6 pro-capite), mentre la quota differenziale sborsata per i farmaci “griffati” ammonta a € 1.122,5 milioni (€ 18,6 pro-capite). Complessivamente, nel periodo 2013-2019 la quota fissa sulle ricette si è ridotta del 17,7% (-€ 98,7 milioni), mentre è aumentata del 27,8% la quota prezzo di riferimento per la scelta dei farmaci di marca (+€ 244,5 milioni). Un comportamento che penalizza l’Italia nel confronto internazionale: su 26 paesi l’OCSE ci colloca al penultimo posto per valore e al terzultimo per volume di farmaci equivalenti.

«Spicca – rileva il Presidente – l’ostinata e ingiustificata resistenza ai farmaci equivalenti in tutte le Regioni del Centro-Sud che registrano una spesa per i farmaci di marca più elevata della media nazionale». In particolare: Lazio (€ 24,9), Calabria (€ 24,7), Sicilia (€ 23,9), Campania (€ 23,3), Basilicata e Molise (€ 22,5), Puglia (€ 22), Abruzzo (€ 21,5), Umbria (€ 20,8) e Marche (€ 20,3).

«Il nostro report indipendente – commenta il Presidente – conferma notevoli eterogeneità regionali che richiedono azioni differenziate. In particolare, se le risorse allocate per il superamento del superticket determineranno una progressiva riduzione della compartecipazione per le prestazioni specialistiche, mancano azioni concrete per promuovere l’utilizzo dei farmaci equivalenti, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud». In altri termini, a fronte di un investimento di € 554 milioni/anno di risorse pubbliche per favorire l’accesso alle prestazioni specialistiche, stride l’esborso per i farmaci brand da parte dei cittadini di oltre € 1.120 milioni, il 38,2% della compartecipazione alla spesa sanitaria e il 71% di quella per i farmaci.

«Rispetto all’equità di accesso alle cure – conclude Cartabellotta – auspichiamo che venga presto attuata una delle più grandi incompiute politiche degli ultimi anni, già prevista dal Patto per la Salute 2019-2021: ovvero uniformare a livello nazionale regole per le esenzioni e criteri per la compartecipazione alla spesa sanitaria».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Ticket 2019” è disponibile a: www.gimbe.org/ticket2019.   


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23 2020
Coronavirus: stabile l’incremento dei nuovi casi. In Lombardia oltre il 57% dei positivi

NEL PERIODO 15-21 LUGLIO CONTINUA A CALARE L’OCCUPAZIONE DEGLI OSPEDALI, MA NON IL NUMERO DEI NUOVI CASI CHE SI MANTIENE COSTANTE. L’ANALISI DEI DATI INDICA UNA CIRCOLAZIONE ENDEMICA DEL VIRUS CON FORTI DIFFERENZE REGIONALI: DEI 12.248 “ATTUALMENTE POSITIVI” IL 57,2% SONO IN LOMBARDIA, IL 29,5% SI DISTRIBUISCE TRA EMILIA ROMAGNA, LAZIO, PIEMONTE, VENETO E IL 13,3% NELLE ALTRE REGIONI. FONDAMENTALE MANTENERE I COMPORTAMENTI INDIVIDUALI RACCOMANDATI, IDENTIFICARE E ISOLARE I FOCOLAI E POTENZIARE L’ATTIVITÀ DI TESTING NEGLI AEROPORTI PER ARGINARE I CONTAGI DI RIENTRO DALL’ESTERO.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma nella settimana 15-21 luglio, rispetto alla precedente, uno stabile incremento dei nuovi casi (1.408 vs 1.388), a fronte di una lieve flessione del numero di tamponi diagnostici effettuati. Al tempo stesso i dati documentano un ulteriore alleggerimento della pressione sugli ospedali: al 21 luglio i pazienti ricoverati con sintomi (732) e, soprattutto, quelli in terapia intensiva (49) sono ormai un numero esiguo. In sintesi:

  • Decessi: +89 (+0,3%)
  • Terapia intensiva: -11 (-18,3%)
  • Ricoverati con sintomi: -45 (-5,8%)
  • Nuovi casi totali: +1.408 (0,6%)
  • Tamponi diagnostici: -1.247 (-0,7%)
  • Tamponi totali: -137 (-0,05%)

«In questo contesto – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – non bisogna confondere il progressivo decongestionamento degli ospedali con l’azzeramento delle ospedalizzazioni». Infatti, i dati su pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva si riferiscono al numero dei posti letto occupati, ma non permettono di conoscere il numero di pazienti ricoverati e dimessi, per guarigione o decesso. Inoltre, alcune Regioni non conteggiano più tra i pazienti ospedalizzati quelli con negativizzazione del tampone, sottostimando complessivamente il carico ospedaliero correlato a COVID-19.

A fronte della stabilità nell’aumento dei nuovi casi diagnosticati nell’ultima settimana rispetto alla precedente (+20) si documentano ampie variazioni regionali: in 8 Regioni i casi sono in riduzione, in 11 in aumento e in 2 sono stabili. Svettano l’incremento dei casi in Veneto (+172) e la riduzione in Lombardia (-184) e si rilevano moderate variazioni in aumento in Liguria (+44), Toscana (+30) e Campania (+28) e in riduzione nel Lazio (-46) e in Piemonte (-35) (tabella).

«In quanto indicatore della diffusione del contagio – spiega Cartabellotta – abbiamo valutato la distribuzione geografica dei 12.248 casi attivi al 21 luglio, ovvero i casi “attualmente positivi” secondo la denominazione della Protezione Civile». Il 57,2% si concentra in Lombardia (7.010); un ulteriore 29,5% si distribuisce tra Emilia Romagna (1.297) Lazio (881), Piemonte (813), Veneto (624); i rimanenti 1.623 casi (13,3%) sono distribuiti in 16 Regioni e Province autonome (figura). Parametrando i nuovi casi alla popolazione residente, le Regioni che nella settimana 15-21 luglio fanno registrare il maggior incremento per 100.000 abitanti sono Emilia Romagna (5,99), Veneto (5,12), Liguria (5,09) e Lombardia (4,07).

Dalla lettura complessiva dei dati emerge un quadro epidemiologico di circolazione endemica del virus con un incremento costante dei nuovi casi nelle ultime settimane, legati prevalentemente a nuovi focolai e a “casi di rientro” dall’estero.

«Per la gestione ottimale di questa fase dell’epidemia – conclude il Presidente – restano indispensabili tre strategie. Innanzitutto, mantenere i comportamenti individuali raccomandati: dalle misure di igiene personale al distanziamento sociale, dall’uso della mascherina nei luoghi pubblici chiusi, o all’aperto quando non è possibile mantenere la distanza minima di un metro, all’evitare gli assembramenti. In secondo luogo continuare con la rigorosa sorveglianza epidemiologica per identificare e isolare i focolai. Infine potenziare l’attività di testing negli aeroporti per arginare i casi di rientro».


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20 2020
Coronavirus: stop stato di emergenza, ma non è tutto finito e ci aspetta la convivenza con l’influenza

LA FONDAZIONE GIMBE, DOPO UN’ANALISI INDIPENDENTE DI ASPETTI GIURIDICI, SANITARI E SOCIALI, CONCLUDE CHE NON È OPPORTUNO PROLUNGARE LO STATO DI EMERGENZA. GLI ASPETTI SANITARI POSSONO ESSERE GESTITI DAL MINISTERO DELLA SALUTE E IL PARLAMENTO DEVE RIAPPROPRIARSI DEL SUO RUOLO LEGISLATIVO. TUTTAVIA, QUESTA DECISIONE DEVE ESSERE ACCOMPAGNATA DA UN POTENZIAMENTO DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA PERCHÉ NON È TUTTO FINITO E DA UN PIANO PER GESTIRE LA CONVIVENZA TRA EPIDEMIA INFLUENZALE E CORONAVIRUS, VERA EMERGENZA AUTUNNALE.

Con la delibera del 31 gennaio 2020 è stato dichiarato in Italia lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. L’annuncio di una possibile proroga ha acceso una bagarre politica che rischia di far saltare gli equilibri di Governo, vista la perplessità di alcuni esponenti della maggioranza e il secco no dei partiti di opposizione che condiziona inevitabilmente anche i rapporti con le Regioni. Tanto che l’ipotesi iniziale di proroga al 31 dicembre è stata ridimensionata al 31 ottobre e le ultime indiscrezioni la danno come definitivamente tramontata.

«Ancora una volta – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – un dibattito che riguarda la tutela della salute e le libertà individuali delle persone viene ridotto alla contrapposizione tra schieramenti politici e alla necessità di mantenere equilibri di Governo, senza una valutazione sistematica di rischi e benefici del prolungamento dello stato di emergenza, oltre che la ricerca di soluzioni alternative». Per tali ragioni, “sterilizzando” la questione da presupposti ideologici, la Fondazione GIMBE ha analizzato e sintetizzato i principali aspetti giuridici, sanitari e sociali sia per aumentare la consapevolezza pubblica su un tema rilevante per salute e libertà delle persone, sia per informare una scelta del Governo coerente con il livello di rischio sanitario e rispettosa di una Repubblica parlamentare.

Aspetti giuridici. Dopo circa un mese dalla dichiarazione dello stato di emergenza, visto il precipitare della situazione sanitaria, l’Esecutivo ha reputato di esercitare i più ampi poteri decisionali mediante decreti legge, consentendo al Presidente del Consiglio di intervenire direttamente mediante DPCM, strumento legittimato dal DL 6/2020 e dal successivo DL 19/2020, che esclude controlli di Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale. L’opportunità della proroga, tuttavia, deve basarsi su condizioni d’emergenza (oggi inesistenti), oppure su una loro “imminenza” che giustifichino la necessità di essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari.

Se da un lato la proroga lascerebbe alla Protezione Civile la possibilità di azioni rapide e flessibili, dall’altro bisogna tenere conto che: la maggior parte delle misure per gestire la pandemia sono già state attuate; le differenze regionali del quadro epidemiologico non giustificano uno stato di emergenza nazionale; anche nel peggiore degli scenari eventuali criticità future possono essere gestite con strumenti legislativi che coinvolgono il Parlamento. Inoltre, dal punto di vista sanitario, il Ministro della Salute può disporre ordinanze urgenti, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso (art. 32, L. 833/78). E lo stesso potere spetta al Presidente della Regione e al sindaco, con efficacia estesa rispettivamente alla Regione (o a parte di essa) e al Comune. Infine, rispetto agli approvvigionamenti, per i quali la Protezione Civile ha avuto particolari poteri di intervento, il codice degli appalti già prevede l'aggiudicazione senza pubblicazione del bando di gara in casi connotati da urgenza (art. 63 D.Lgs 50/2016).

Aspetti sanitari. Guardando esclusivamente oltre confine, i presupposti sanitari per la proroga ci sarebbero tutti: da quelli che hanno motivato lo stato di emergenza nazionale del 31 gennaio, allo stato di pandemia dichiarato dall’OMS l’11 marzo, all’evidenza che a livello mondiale il numero dei casi continua a crescere. Tuttavia, nel nostro Paese la curva epidemica si è ormai stabilizzata e durante i mesi estivi la curva dei contagi sarà verosimilmente influenzata per lo più da focolai e casi di “rientro” da altri Paesi. Ma in questa valutazione ottimistica bisogna tener conto di tre elementi: l’Italia è stato il primo Paese, dopo la Cina, a sperimentare la pandemia; i risultati sono stati ottenuti anche grazie ad un lockdown rigoroso e prolungato; la stagione attuale è lontana dal picco dei virus respiratori (da ottobre ad aprile).

In altre parole, le criticità potrebbero emergere nella seconda parte dell’autunno, sia per la possibile risalita della curva dei contagi, potenzialmente influenzata anche dalla riapertura delle scuole, sia soprattutto per la “convivenza” della prossima stagione influenzale con il coronavirus. Tuttavia, fatta eccezione per la circolare del Ministero della Salute che raccomanda di potenziare la vaccinazione anti-influenzale, attualmente manca un piano per gestire l’enorme numero di pazienti con sintomi influenzali che sovraccaricheranno i servizi sanitari e che, in assenza di una diagnosi tempestiva, finiranno in quarantena con effetti imprevedibili sulle attività produttive.

In ogni caso, in assenza dell’effetto sorpresa, la probabilità di grandi emergenze ospedaliere è limitata e il servizio sanitario nazionale è stato adeguatamente potenziato per gestire una eventuale seconda ondata.

Aspetti sociali. In alcune persone, soprattutto se psicologicamente fragili, la proroga potrebbe alimentare paure e preoccupazioni per la ripresa dell’epidemia e per le possibili nuove restrizioni a libertà e diritti. Tuttavia, in termini di sanità pubblica è più rischioso il progressivo calo di attenzione che sarebbe ulteriormente alimentato dalla mancata proroga dello stato di emergenza. Ecco perché è necessario accompagnare la decisione con una forte comunicazione pubblica per non consolidare ulteriormente il messaggio che “ormai è tutto finito”.

«Le nostre analisi indipendenti – conclude Cartabellotta – suggeriscono che non è opportuno prorogare lo stato di emergenza, perché non esistono più condizioni sanitarie attuali o imminenti che lo giustifichino. Peraltro, l’uscita del Paese dallo stato di emergenza permetterebbe al Parlamento di riappropriarsi del suo ruolo legislativo. Il Governo, in ogni caso, potrebbe rivalutare più avanti la necessità di uno stato di emergenza nazionale, in relazione all’andamento della curva dei contagi, alla capacità di gestione dell’epidemia e alla reale necessità di tutelare salute pubblica e libertà individuali con strumenti “più agili”. Peraltro, presentarsi agli appuntamenti elettorali di settembre sotto uno stato di emergenza nazionale, aumenterebbe le tensioni politiche e potrebbe influenzare i risultati delle consultazioni stesse».


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9 2020
Coronavirus: stabile il trend dei nuovi casi ma nelle ultime 2 settimane nessuna regione a contagio zero

NEL PERIODO 25 GIUGNO – 7 LUGLIO 2.546 NUOVI CASI IN ITALIA, DI CUI OLTRE LA METÀ IN LOMBARDIA CHE HA LA PERCENTUALE PIÙ ELEVATA DI TAMPONI DIAGNOSTICI POSITIVI (2,16%). CONTINUANO A CALARE I RICOVERI, MA NON IL TREND DEI CONTAGI: PURTROPPO LA LIMITATA DISPONIBILITÀ DI DATI NON PERMETTE DI STABILIRE SE SIANO IMPUTABILI ALL’INSORGENZA DI FOCOLAI O ALLA DIFFUSA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS. FONDAMENTALE MANTENERE COMPORTAMENTI INDIVIDUALI RESPONSABILI E GARANTIRE UN RIGOROSO MONITORAGGIO EPIDEMIOLOGICO

«Anche nella settimana 1-7 luglio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il nostro monitoraggio indipendente conferma rispetto alla settimana precedente la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, con una sostanziale stabilità nell’incremento dei casi totali e dei decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +1.378 (+0,6%)
  • Decessi: +132 (+0,4%)
  • Ricoverati con sintomi: -150 (-13,8%)
  • Terapia intensiva: -23 (-24,7%)
  • Tamponi totali: -22.720 (-6,8%)
  • Tamponi diagnostici: -12.323 (-6,7%)

Considerato che il numero di casi settimanali totali è relativamente contenuto, la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi su un periodo più esteso (25 giugno – 7 luglio), durante il quale si sono registrati 2.546 nuovi casi: il 51,8% in Lombardia (1.319), seguita da Emilia-Romagna (402), Lazio (171), Piemonte (158) e Campania (102). Tutte le altre Regioni si attestano sotto i 100 nuovi casi con un range che va dagli 88 del Veneto ad un unico nuovo caso in Molise. La percentuale di tamponi diagnostici positivi (figura 1), esclusi dunque quelli eseguiti per confermare la guarigione virologica o per necessità di ripetere il test, è superiore alla media nazionale (0,89%) solo in Lombardia (2,16%) e in Emilia-Romagna (1,25%). Nelle altre Regioni il range varia dallo 0,87% di Liguria e Piemonte allo 0,04% della Puglia.

Per lo stesso periodo (25 giugno – 7 luglio) sono stati messi in relazione due indicatori parametrati alla popolazione residente: l’incidenza di nuovi casi e il numero di tamponi diagnostici che stima la maggiore o minore propensione al testing delle Regioni (figura 2).

  • Incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti. Rispetto alla media nazionale (4,2), l’incidenza è superiore in Lombardia (13,1), Emilia-Romagna (9) e Provincia Autonoma di Trento (4,4). Nelle altre Regioni il l’incidenza varia dai 4,1 nuovi casi per 100.000 abitanti della Liguria allo 0,1 della Puglia.
  • Tamponi diagnostici per 100.000 abitanti. Rispetto alla media nazionale (475), svetta la Provincia Autonoma di Trento (986), seguita da Emilia-Romagna (724), Molise (715), Provincia Autonoma di Bolzano (665) e Lombardia (608), Umbria (586), Veneto (572), Friuli-Venezia Giulia (519) e Sardegna (480). Le restanti 12 Regioni si collocano in un range che varia dai 475 tamponi per 100.000 abitanti della Basilicata ai 246 della Campania. La propensione all’esecuzione di tamponi diagnostici rimane significativamente sopra la media nazionale sia in Emilia-Romagna (724) che in Lombardia (608), le prime due Regioni per incidenza di nuovi casi.

«L’interpretazione di questi dati – commenta Cartabellotta – risulta difficoltosa anche per la mancata disponibilità pubblica di tutti gli indicatori del Decreto del Ministero della Salute 30 aprile 2020 che, tra l’altro, prevedono di riportare separatamente i casi dovuti a focolai da quelli conseguenti alla circolazione diffusa del virus».

«In questa fase di convivenza con il virus – conclude Cartabellotta – è indispensabile da un lato non abbassare la guardia mantenendo comportamenti individuali responsabili, applicando rigorosamente le norme igieniche e le misure di distanziamento sociale, indossando le mascherine in luoghi chiusi o ove non è possibile rispettare le distanze ed evitando rigorosamente ogni forma di assembramento. Dall’altro le Regioni devono continuare a garantire una stretta sorveglianza epidemiologica finalizzata sia ad identificare tempestivamente i focolai, circoscrivendoli, sia ad una continua attività di testing per le categorie a rischio».


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2 2020
Coronavirus: 29.476 operatori sanitari contagiati. Quasi 7.600 negli ultimi due mesi, ma scarseggiano i dati

DAL MONITORAGGIO SETTIMANALE DELLA FONDAZIONE GIMBE NESSUNA VARIAZIONE SIGNIFICATIVA AL QUADRO EPIDEMIOLOGICO NAZIONALE. ATTENZIONE PUNTATA SUI CONTAGI DEGLI OPERATORI SANITARI: 29.476 DA INIZIO EMERGENZA (12,3% DEL TOTALE DEI POSITIVI) E 7.596 DAL 4 MAGGIO AL 30 GIUGNO (26,5% DEL TOTALE). MA I DATI ANALITICI PER REGIONE, CONTESTO ASSISTENZIALE E RUOLO PROFESSIONALE RISALGONO AL MESE DI APRILE: ENNESIMO “BUCO NERO” SU UNA DELLE PRINCIPALI DETERMINANTI DEI CONTAGI NEL NOSTRO PAESE.

Nella settimana 24-30 giugno il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma, rispetto alla settimana precedente, la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore rallentamento sul fronte dei decessi. Relativamente ai casi totali, si rileva un incremento medio giornaliero dello 0,1%, a fronte di un’ulteriore riduzione dei tamponi diagnostici. In sintesi:

  • Casi totali: +1.745 (+0,7%)
  • Decessi: + 92 (+0,3%)
  • Ricoverati con sintomi: -763 (-41,2%)
  • Terapia intensiva: -22 (-19,1%)
  • Tamponi totali: -21.837 (-6,1%)
  • Tamponi diagnostici: -6.433 (-3,4%)

«In un contesto di generale stabilità del quadro epidemiologico nazionale – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – abbiamo approfondito un tema trascurato negli ultimi tempi, ovvero il contagio degli operatori sanitari che durante questi mesi hanno pagato un prezzo molto alto condizionando anche l’evoluzione dell’epidemia. Infatti, oltre alla riduzione della “forza lavoro”, gli operatori sanitari contagiati sono divenuti inconsapevoli veicoli di infezione, in particolare dei pazienti più fragili».

FONTI DEI DATI. I dati sui contagi degli operatori sanitari sono resi disponibili dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) tramite un’infografica, evoluta in una dashboard web dal 25 giugno, e il bollettino epidemiologico. La disponibilità di dati da fonti regionali non consente analisi sistematiche in quanto parziale e/o occasionale.  In ogni caso, se il numero totale di contagi e decessi viene costantemente aggiornato dall’ISS, i dati di dettaglio risalgono tutti al mese di aprile. In dettaglio:

  • Il numero totale degli operatori sanitari contagiati è disponibile dal 9 marzo al 30 giugno, insieme alla distribuzione di contagi e decessi per fascia d’età, oltre che al tasso di letalità.
  • La distribuzione dei contagi per Regione è disponibile nell’appendice del bollettino epidemiologico sino al 2 aprile.
  • Il 9 aprile l’ISS ha condotto un’indagine tra le Regioni per raccogliere informazioni più dettagliate, riportando i dati nel bollettino come “focus sugli operatori sanitari”:
    • 17 aprile: contagiati per “Contesto assistenziale” (dati disponibili per 11.738/16.991 casi);
    • 30 aprile: contagiati per “Ruolo/qualifica professionale” (dati disponibili per 20.593/20.831 casi).

RISULTATI

  • Al 30 giugno risultano contagiati 29.476 operatori sanitari (figura) il 12,3% dei 240.578 contagi totali nazionali.
  • Al 23 giugno risultano 87 operatori sanitari deceduti per COVID-19, per un tasso di letalità dello 0,3%. Stride la discrepanza con il numero dei 171 medici deceduti resi noti dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e Odontoiatri.
  • Al 28 aprile su 20.593 operatori sanitari contagiati il 47,4% sono infermieri e ostetrici, il 22% medici prevalentemente ospedalieri, il 14,6% operatori sociosanitari e il 16% altre professioni sanitarie.
  • Al 16 aprile quasi il 90% degli 11.738 contagiati si concentra tra setting ospedaliero (70,9%) e territoriale (18,5%), mentre il restante 10,6% si divide tra case di riposo, residenze per anziani e altri setting di assistenza residenziale o ambulatoriale.
  • Al 2 aprile quasi l’81% degli operatori sanitari contagiati si concentravano in tre Regioni: Lombardia (61,6%), Emilia-Romagna (10,8%) e Veneto (8,4%).

Rispetto alla continua crescita dei contagi tra operatori sanitari, un dato di particolare rilievo che dal 4 maggio al 30 giugno sono stati identificati 7.596 operatori sanitari positivi, che corrispondono al 26,5% dei 28.640 nuovi positivi in Italia per lo stesso periodo. «Davanti a questi dati – precisa Cartabellotta – il dubbio sorge spontaneo: è possibile che mesi dopo l’inizio dell’epidemia non siamo ancora in grado di garantire agli operatori sanitari il massimo livello di protezione con adeguati dispositivi di protezione individuale e protocolli di sicurezza?  O questi numeri devono essere piuttosto interpretati alla luce della massiccia attività di testing condotta su questa categoria professionale, che ha permesso di identificare un numero molto più elevato di positivi rispetto alla popolazione generale?».

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ritiene inaccettabile la mancata disponibilità di dati analitici relativi alla distribuzione regionale, al contesto assistenziale e al ruolo/qualifica professionale degli operatori sanitari contagiati che consentirebbero di comprendere meglio il fenomeno e mettere in atto le opportune strategie preventive a tutela degli operatori e dei cittadini. L’ennesimo “buco nero” su una delle principali determinanti della diffusione dell’epidemia nel nostro Paese».


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25 giugno 2020
Casi in riduzione, ma tamponi in netto calo. Nuovi focolai attestano ampia circolazione coronavirus

CONTINUA IL CALO COSTANTE DEI PAZIENTI RICOVERATI CON SINTOMI E IN TERAPIA INTENSIVA CHE NON DEVE TUTTAVIA ESSERE CONFUSO CON L’ASSENZA DI NUOVI RICOVERI PER COVID-19. RISPETTO ALLA SETTIMANA PRECEDENTE SI RIDUCE L’INCREMENTO DEI NUOVI CASI (+0,6%), INEVITABILMENTE CONDIZIONATO DAL NETTO CALO DEI TAMPONI DIAGNOSTICI (-26.876). UNA DECINA DI FOCOLAI SEGNALATI NELL’ULTIMA SETTIMANA DIMOSTRANO CHE IL VIRUS CONTINUA A CIRCOLARE OVUNQUE E NON BISOGNA ABBASSARE LA GUARDIA: COMPORTAMENTI INDIVIDUALI, SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA E POTENZIAMENTO DELL’ATTIVITÀ DI TESTING RIMANGONO ARMI INDISPENSABILI PER UNA “TRANQUILLA” CONVIVENZA COL VIRUS.

Nella settimana 17-23 giugno il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma, rispetto alla settimana precedente, la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore frenata nell’incremento dei nuovi casi, condizionata tuttavia dal netto calo dei tamponi diagnostici, ovvero quelli finalizzati a identificare nuovi casi e non eseguiti per confermare le guarigioni o per altre necessità di ripetere il test (cd. tamponi di controllo). In sintesi:

  • Decessi: +270 (+0,8%)
  • Terapia intensiva: -62 (-35%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.448 (-43,9%)
  • Casi totali: +1.133 (+0,6%)
  • Tamponi diagnostici -26.876 (-12,4%)
  • Tamponi totali: -18.937 (-5%)

«I dati – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – confermano che il numero dei pazienti attualmente ospedalizzati è in discesa costante e progressiva dai primi di aprile, quando si contavano oltre 4.000 pazienti in terapia intensiva e più di 29.000 ricoverati con sintomi. Tuttavia, il progressivo decongestionamento degli ospedali non implica, come impropriamente si sente spesso affermare, l’azzeramento dei ricoveri». Infatti, i dati ufficiali relativi alle ospedalizzazioni per COVID-19 si riferiscono all’occupazione dei posti letto, utili per valutare i segnali di sovraccarico ospedaliero, ma che al di là del “saldo” in progressiva riduzione non permettono di conoscere il reale numero di pazienti quotidianamente entrano ed escono dalle statistiche ospedaliere (nuovi ricoveri, dimissioni, decessi).

Sul ridotto incremento dei casi totali (+0,6%) è evidente l’impatto della riduzione dei tamponi diagnostici, oltre 26.000 in meno rispetto alla settimana precedente, comunque superiore a quello dei tamponi di controllo (quasi 19.000 in meno).

«Considerato il numero di casi sempre più esiguo – spiega Cartabellotta – la nostra analisi settimanale si concentra sulle variazioni provinciali, dove gli incrementi sono conseguenti all’identificazione di focolai immediatamente circoscritti». L’analisi esclude le province della Sicilia, oggetto di consistenti ricalcoli. Complessivamente nella settimana 17-23 giugno, rispetto alla precedente, in 36 province si rileva un incremento complessivo di 186 casi, di cui si riportano i dati relativi a 13 province che registrano aumenti di almeno 5 casi, per un totale di 135 casi distribuiti in 9 Regioni (tabella): Calabria, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, P.A. Bolzano, P.A. Trento, Piemonte, Toscana. Tali incrementi sono in parte riconducibili a focolai identificati nell’ultima settimana, di seguito riportati con i relativi casi segnalati da fonti locali.

  • Mondragone (Caserta): quarantena per i residenti dei Palazzi ex Cirio (30 positivi)
  • Palmi (Reggio Calabria): “zona rossa” istituita nei quartieri Pietrenere-Tonnara-Scinà (8 positivi)
  • Bologna: in un’azienda (14 positivi) e in un’attività commerciale (12 positivi)
  • Montecchio (Reggio Emilia): focolaio in due famiglie con legami parentali (7 positivi)
  • Bolzano: focolaio familiare (11 positivi)
  • Como: casa di accoglienza per persone bisognose (7 positivi)
  • Province di Prato e Pistoia (19 positivi)
  • Porto Empedocle (Agrigento) focolaio nella nave dei migranti portati dalla Sea Watch (28 positivi)
  • Alessandria: casa di riposo (13 positivi)
  • Roma: istituto religioso (4 positivi), oltre ai ben noti focolai della Garbatella e dell’ospedale San Raffaele Pisana relativi alle settimane precedenti

 

«Tutte queste segnalazioni – precisa il Presidente – confermano, oltre ogni ragionevole dubbio, che il virus è sempre presente e rialza la testa ogni qualvolta le condizioni ambientali favoriscono una ripresa del contagio. In particolare, accanto alle ben note residenze per anziani, sembrano a rischio sia contesti familiari sia aree sociali disagiate, oltre gli inevitabili “casi di rientro” dall’estero. Di conseguenza, è indispensabile mantenere i comportamenti individuali raccomandati e continuare con una stretta sorveglianza epidemiologica, potenziando contestualmente l’attività di testing e tracciamento, di fatto in netta riduzione».

«Evidenze scientifiche e dati dal real world – conclude Cartabellotta – invitano a diffidare dal senso di falsa sicurezza che traspare da improvvide dichiarazioni prive di basi scientifiche e che rischia di alimentare pericolosi comportamenti individuali. Il peggio è indubbiamente passato, ma resta cruciale disinnescare ogni cortocircuito cognitivo-comportamentale che ci porta, complice anche la bella stagione, a mettere da parte ogni preoccupazione (legittimo), ma soprattutto ogni precauzione (inaccettabile)».

Tabella. Province con un incremento di almeno 5 casi nella settimana 17-23 giugno
rispetto a quella precedente

Regione*

Provincia

N° casi totali
10-16 giugno

N° casi totali
17-23 giugno

Incremento
casi

Focolai
segnalati

Calabria

Reggio di Calabria

1

12

+11

Campania

Caserta

2

13

+11

Emilia Romagna

Bologna

55

72

+17

Forlì-Cesena

4

10

+6

-

Reggio nell'Emilia

7

19

+12

Liguria

Genova

33

41

+8

-

Savona

3

9

+6

-

Lombardia

Bergamo

248

268

+20

-

Monza e Brianza

72

77

+5

-

P.A. Bolzano

Bolzano

7

22

+15

P.A. Trento

Trento

9

17

+8

-

Piemonte

Novara

18

29

+11

-

Toscana

Prato

1

6

+5

-

*Le province della Sicilia sono state escluse in quanto oggetto di ricalcoli rilevanti

 

 


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22 giugno 2020
Coronavirus: il disaccordo pubblico tra esperti disorienta la popolazione e genera pericolose fake news

SPOSTARE IL DIBATTITO SUI RISULTATI DELLA RICERCA DI BASE E DI STUDI CLINICI PRELIMINARI SPESSO NEMMENO PUBBLICATI OPPURE GENERALIZZARE LE PROPRIE ESPERIENZE SUL CAMPO DEFORMA IL PUZZLE DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE SULLA PANDEMIA, SOSTITUENDO LA LOGICA DELL’IPSE DIXIT AL RIGORE METODOLOGICO DELLA RICERCA. DALLA FONDAZIONE GIMBE UNA SINTESI PER IL GRANDE PUBBLICO DELLE RAGIONEVOLI (IN)CERTEZZE DELLA SCIENZA.

Nelle ultime settimane l’attenzione dei media sull’epidemia di coronavirus si è spostata dai numeri del contagio, sempre meno “sensazionali”, alle svariate dichiarazioni di esperti che disegnano scenari estremi, generando fazioni opposte. Per alcuni la pandemia è finita ed è tempo di tornare alla vita normale senza troppe preoccupazioni; altri invece, in linea con le raccomandazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, ritengono che non bisogna abbassare la guardia perché il virus continua a circolare, in particolare in alcune Regioni.

«In questa fase dell’epidemia – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – ricercatori, medici e scienziati che comunicano al grande pubblico hanno enormi responsabilità: ora che il pericolo non è più tangibile e la grande paura via via svanisce, il rischio di disorientare i cittadini è molto elevato. In particolare, affermazioni sostenute da studi preliminari o esperienze individuali alimentano un senso di falsa sicurezza che facilità comportamenti irresponsabili».

Occorre ricordare che la ricerca su COVID-19 è molto frammentata ed eterogenea: gli studi sono stati condotti in una situazione di emergenza; la disponibilità in poco tempo di moltissimi dati su scala mondiale ha fatto lievitare vertiginosamente il numero di pubblicazioni; la grande attenzione delle riviste scientifiche per il tema ha allentato il rigore dei criteri di valutazione, come dimostrano anche le clamorose ritrattazioni sulle riviste di grande prestigio: The Lancet, New England Journal of Medicine, Annals of Internal Medicine. «Questo scenario – spiega Cartabellotta – ostacola la produzione di revisioni sistematiche, sintesi affidabili per informare pratica clinica e politiche sanitarie: ogni singolo studio, infatti, per quanto ineccepibile, rimane solo una tessera nel puzzle delle conoscenze».

La Fondazione GIMBE, nel ribadire che la scienza convive con l’incertezza e con la continua evoluzione del sapere, riporta una sintesi destinata al grande pubblico sulle attuali ragionevoli (in)certezze della scienza.

  • Virus
    • Mutazioni. Le sequenze genetiche depositate nelle banche dati internazionali non dimostrano mutazioni del SARS-CoV-2 associate a diminuzioni di infettività, virulenza o altre caratteristiche epidemiologiche rilevanti per la sanità pubblica. Ovvero, allo stato attuale delle conoscenze il virus non è “meno aggressivo”.
    • Sensibilità alle elevate temperature. Non esistono robuste evidenze scientifiche sulla sensibilità di SARS-Cov-2 alle elevate temperature ma, come per tutti i virus a trasmissione respiratoria, è realistico presumere una sua ridotta circolazione nella stagione estiva, in ragione del maggior tempo trascorso all’aperto dalle persone oltre che della più rapida evaporazione delle droplets.
    • Ridotta contagiosità, minore carica virale, adattamento all’ospite. Numerosi studi preliminari condotti in laboratorio non permettono di trarre conclusioni definitive su queste avvincenti ipotesi. In generale, si tratta di studi che, prima di essere ampiamente replicati e validati, dovrebbero essere condivisi solo tra ricercatori, evitando di incendiare il dibattito pubblico.
  • Distanziamento: insieme alle misure di igiene personale, rimane l’unica strategia di provata efficacia per ridurre la probabilità di contagio. Peraltro va rilevato che la distanza di sicurezza raccomandata in Italia di 1 metro è quella minima efficace.
  • Mascherine. Le evidenze scientifiche le indicano come efficaci sia nei luoghi pubblici al chiuso, sia all’aperto in tutte le situazioni in cui non è possibile mantenere la distanza di sicurezza.
  • Vaccino. Auspicando il successo della ricerca, ipotizzando procedure di autorizzazione rapide e tenendo conto dei tempi di produzione, il vaccino sarà disponibile su larga scala solo per la stagione influenzale 2021-2022.
  • Terapie. Le prove di efficacia sui trattamenti di COVID-19 sono frammentate, eterogenee e spesso di qualità metodologica inadeguata. Ad oggi non è possibile raccomandare alcuna terapia specifica sulla base di robuste evidenze scientifiche. Tuttavia sembrano promettenti:
    • Dexametazone: lo studio RECOVERY – non ancora pubblicato in esteso – sembra aver dimostrato la sua efficacia nel ridurre la mortalità nei pazienti sottoposti a ventilazione e, in misura minore, in quelli che richiedono solo ossigeno.
    • Remdesevir: nei pazienti con malattia severa riduce i tempi di guarigione; approvato dalla FDA negli USA è ancora in valutazione dell’EMA.

In questo contesto di incertezza scientifica finiscono per prendere il sopravvento dichiarazioni di esperti che, indipendentemente dal loro prestigio professionale, posizione accademica o produzione scientifica, sono potenzialmente esposte al cosiddetto “bias del cappello bianco”. «Ovvero – spiega il Presidente – le opinioni di medici e scienziati possono riflettere inconsapevolmente distorsioni condizionate dai propri ambiti di ricerca o dalla propria esperienza clinica “sul campo”, oppure essere influenzate da interessi in conflitto di varia natura, non necessariamente finanziari».

«In un contesto di limitate evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – le decisioni di sanità pubblica devono essere prese nell’incertezza: durante la fase di convivenza con il virus, questo impone di affidarsi al principio di precauzione. Ecco perché dichiarazioni basate sulla propria esperienza clinica o su risultati di studi preliminari, spesso nemmeno pubblicati, aumentano il disaccordo tra esperti, disorientano la popolazione e rischiano di generare pericolose fake news».


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18 giugno 2020
Coronavirus: aumentano i casi nell’ultima settimana. Rendere pubblici tutti i dati per comprendere il fenomeno

NEGLI ULTIMI 7 GIORNI IL MONITORAGGIO INDIPENDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE RILEVA UN INCREMENTO DI 2.294 NUOVI CASI, RISPETTO AI 1.927 DELLA SETTIMANA PRECEDENTE. I 461 NUOVI CASI SONO RIPORTATI IN 11 REGIONI, DI CUI L’83% IN LOMBARDIA, DOVE SI ATTESTA UN MODESTO POTENZIAMENTO DELL’ATTIVITÀ DI TESTING. LA FONDAZIONE GIMBE RILEVA ALTRESÌ CHE DEI 21 INDICATORI DEFINITI DAL DECRETO DEL MINISTERO DELLA SALUTE DEL 30 APRILE 2020 PER IL MONITORAGGIO DELL’EPIDEMIA SONO NOTI SOLO 3 DEI 9 INDICATORI DI ESITO E NESSUNO DEI 12 INDICATORI DI PROCESSO.

«Nella settimana 11-17 giugno il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – conferma rispetto alla settimana precedente la costante riduzione dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e l’ulteriore rallentamento sul fronte dei decessi. Relativamente ai casi totali, si rileva un lieve incremento percentuale rispetto alla settimana precedente». In sintesi:

  • Casi totali: +2.065 (+0,9%)
  • Decessi: + 334 (+1,0%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.207 (-27,9%)
  • Terapia intensiva -86 (-34,5%)

«Considerato il maggior incremento dei casi totali negli ultimi 7 giorni rispetto alla settimana precedente – spiega Cartabellotta – la nostra analisi si è concentrata su due aspetti: la variazione regionale dei nuovi casi e dei tamponi diagnostici, ovvero i cosiddetti “casi testati” secondo la denominazione utilizzata dalla Protezione Civile».

Variazione dei nuovi casi. Negli ultimi 7 giorni si registra un incremento di 2.294 nuovi casi, rispetto ai 1.927 della settimana precedente. 11 Regioni hanno un incremento complessivo di 461 casi di cui 384 (83%) in Lombardia; a seguire Piemonte (33), Toscana (18), Emilia Romagna (13), Prov. Aut. di Trento (4), Friuli Venezia Giulia (3), Calabria (2), Prov. Aut. di Bolzano (1), Abruzzo (1), Sardegna (1), Veneto (1). Le altre 10 Regioni fanno registrare complessivamente 94 nuovi casi in meno rispetto alla settimana precedente con minime variazioni negative, ad eccezione della Liguria (-61 casi). Le variazioni dei nuovi casi per 100.000 abitanti oscillano da +3,8 della Lombardia a -3,9 della Liguria (figura 1).

Relazione n° tamponi diagnostici e incidenza nuovi casi. Nell’ultima settimana, rispetto alla precedente, i tamponi per diagnosticare nuovi casi (cd. “casi testati”) sono aumentati solo in Emilia Romagna (+7.819), Lombardia (+1.821), Lazio (+1.389), Campania (+1.087), Prov. Aut. di Trento (+834) e Valle D’Aosta (+76). Nelle rimanenti Regioni sono invece diminuiti, auspicabilmente per la situazione epidemiologica e per l’utilizzo sempre più esteso di test sierologici di screening (figura 2).

«Considerato che in questa fase dell’epidemia – continua il Presidente – è indispensabile uno stretto monitoraggio la Fondazione GIMBE ha verificato la disponibilità pubblica dei 21 indicatori che le Regioni dovrebbero trasmettere secondo quanto previsto dal Decreto del Ministero della Salute 30 aprile 2020». Nessuno dei 12 indicatori di processo (6 relativi alla capacità di monitoraggio, 6 a quella di accertamento diagnostico, indagine e di gestione dei contatti) è pubblicamente disponibile per cittadini e ricercatori. Dei 9 indicatori di esito solo 3 vengono pubblicati (tabella).

Indicatore di esito

Disponibilità pubblica

3.1. Numero di casi riportati alla Protezione Civile negli ultimi 14 giorni

Sì: bollettino sorveglianza integrata ISS, dati Protezione Civile

3.2. Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata ISS

Sì: bollettino sorveglianza integrata ISS*

3.3. Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella COVID-net per settimana (opzionale)       

No

3.4. Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata COVID-19 per giorno

Sì: bollettino sorveglianza integrata ISS* (appendice con dettagli regionali)

3.5. Numero di nuovi focolai di trasmissione (2 o più casi epidemiologicamente collegati tra loro o un aumento inatteso nel numero di casi in un tempo e luogo definito)

No

3.6. Numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per Regione non associati a catene di trasmissione note

No

3.7. Numero di accessi al PS con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a COVID-19 (opzionale)

No

3.8. Tasso di occupazione dei posti letto totali in Terapia Intensiva (codice 49) per pazienti COVID-19

No (riportata nel comunicato stampa  “assenza di segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali”)

3.9. Tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti COVID-19

* Nel report del 9 giugno non disponibili per tutte le Regioni

«I dati forniti dalla Protezione Civile – conclude Cartabellotta – documentano un lieve incremento dei casi nell’ultima settimana rispetto alla precedente, ma non permettono alcun monitoraggio accurato in questa fase dell’epidemia. Considerato che le fonti ufficiali riportano solo 3 dei 21 indicatori previsti dal sistema di monitoraggio nazionale, la Fondazione GIMBE invita le Regioni a trasmettere tutti i dati richiesti e chiede al Ministero della Salute di renderli pubblici, sia in formato open per i ricercatori, sia in un formato di facile comprensione per i cittadini».


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11 giugno 2020
Coronavirus: tamponi, indietro tutta

IL MONITORAGGIO INDIPENDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA L’ULTERIORE E COSTANTE ALLEGGERIMENTO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE. TUTTAVIA SUL FRONTE DEI TAMPONI DIAGNOSTICI, CHE CONDIZIONANO IL NUMERO DI NUOVI CASI, DOPO IL VERTIGINOSO CROLLO DELLA SETTIMANA SCORSA, 9 REGIONI ARRETRANO ULTERIORMENTE: LA STRATEGIA DI TESTING PER LA FASE 2 CONTINUA A NON ESSERE ADEGUATA.  

11 giugno 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

«Nella settimana 4-10 giugno, il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – conferma sia la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, sia l’ulteriore rallentamento dei contagi e, in misura minore, dei decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +1.927 (+0,8%)
  • Decessi: +513 (+1,5%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.422 (-24,8%)
  • Terapia intensiva: -104 (-29,5%)

Nel rimarcare l’affidabilità e le tempestività dei dati che provengono dagli ospedali, legati a flussi standard trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute, la Fondazione GIMBE rileva che:

  • il numero dei deceduti rimane ancora elevato per due ragioni: innanzitutto, il decesso può essere relativo a contagi non recenti; in secondo luogo, come dimostrato anche dal recente report ISTAT-ISS, la sottostima dei decessi è un fenomeno che si è progressivamente ridotto sino, verosimilmente, ad azzerarsi;
  • il numero dei nuovi casi rimane un indicatore dipendente dal numero di tamponi diagnostici eseguiti.

 

«Rispetto a quest’ultimo punto – spiega Cartabellotta – abbiamo valutato il trend dei tamponi totali e di quelli diagnostici effettuati a partire dal 23 aprile, ed esaminato l’attitudine delle Regioni all’esecuzione dei tamponi diagnostici nelle ultime due settimane».

Trend tamponi (figura 1). Esaminando il periodo 23 aprile-10 giugno, il trend dei tamponi totali risulta in picchiata libera nelle ultime 2 settimane (complessivamente -12,6%). Il trend dei tamponi diagnostici è crollato del 20,7% in prossimità delle riaperture del 4 maggio, per poi risalire e precipitare nuovamente del 18,1% in vista delle riaperture del 3 giugno. Nell’ultima settimana si assiste a un lieve rialzo (+4,6%).

Trend regionali tamponi diagnostici. L’incremento complessivo del 4,6% (+9.431) nella settimana 4-10 giugno, rispetto a quella precedente, non è il risultato di comportamenti omogenei su tutto il territorio nazionale: infatti, mentre 12 Regioni e Province Autonome fanno registrare un incremento assoluto dei tamponi diagnostici, nelle rimanenti 9 si attesta una ulteriore riduzione (figura 2).

Da queste analisi emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto il numero dei tamponi diagnostici, finalizzati all’identificazione di nuovi casi, è calato drasticamente alla vigilia delle due riaperture del Paese del 4 maggio e del 3 giugno; in secondo luogo, dopo il crollo nella settimana 28 maggio-3 giugno, complice la doppia festività, nell’ultima settimana poco più della metà delle Regioni hanno aumentato il numero dei tamponi diagnostici rispetto alla precedente; infine, proprio le Regioni con una circolazione del virus ancora sostenuta nell’ultima settimana hanno ulteriormente ridotto i tamponi diagnostici invece di potenziarli.

«L’attività di testing – conclude Cartabellotta – finalizzata all’identificazione dei nuovi casi, alla tracciatura dei contatti e a loro isolamento continua a non essere una priorità per molte Regioni: purtroppo, nella gestione di questa fase dell’epidemia, in particolare dove la diffusione del virus non sembra dare tregua, la strategia delle 3T non è adeguata».


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10 giugno 2020
Coronavirus: gli asintomatici trasmettono il virus. E sono almeno il 40-45% delle persone infette

LE SPIAZZANTI DICHIARAZIONI DELL’OMS, IN PARTE RETTIFICATE, SUL RISCHIO DI CONTAGIO DA PERSONE ASINTOMATICHE SI SCONTRANO CON I RISULTATI DELLA SCIENZA. LE EVIDENZE PARLANO CHIARO: GLI ASINTOMATICI POSSONO TRASMETTERE IL VIRUS ANCHE PER UN PERIODO MAGGIORE DI 14 GIORNI E HANNO UNA CARICA VIRALE SIMILE A QUELLA DEI SINTOMATICI.

10 giugno 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

La dottoressa Maria Van Kerkhove, capo del team tecnico anti-Covid-19 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), lo scorso 8 giugno ha rilasciato una dichiarazione decisamente forte: “È molto raro che una persona asintomatica possa trasmettere il coronavirus”, per poi rettificarla ieri sostenendo di essersi riferita “a un set di dati limitato”.

«Ancora una volta – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – è l’ipse dixit a condizionare l’informazione pubblica sul coronavirus. Questa volta non da parte di opinion leader nazionali, ma di una rappresentante della massima autorità sanitaria internazionale. E in questa fase molto delicata della pandemia, sarebbe opportuno conoscere i risultati della ricerca già disponibili, prima di lanciarsi in dichiarazioni tanto ardite quanto pericolose, rischiando di condizionare le politiche sanitarie dell’intero pianeta».

Ma cosa dicono oggi le evidenze scientifiche raccolte in maniera sistematica su questo tema di grande rilevanza per la sanità pubblica? Lo scorso 3 giugno Daniele Horan ed Eric Topol hanno pubblicato sugli Annals of Internal Medicine una revisione che sintetizza le migliori evidenze disponibili sull'infezione asintomatica da SARS-CoV-2. Dall’analisi dei dati di 16 coorti, tra cui quella italiana di Vo’, emergono le seguenti conclusioni:

  • Circa il 40-45% delle persone infette da SARS-CoV-2 risultano senza sintomi, suggerendo un elevato potenziale del virus di diffondersi nella popolazione in maniera silenziosa ed estesa. Considerato che nelle varie coorti non è sempre possibile distinguere gli asintomatici dai pre-sintomatici, i ricercatori riportano in maniera conservativa che gli infetti che non sviluppano alcun sintomo sono almeno il 30%.
  • I soggetti asintomatici possono trasmettere il virus per un periodo prolungato, verosimilmente anche maggiore di 14 giorni.
  • Diversi studi, tra cui uno condotto in Lombardia, dimostrano che soggetti asintomatici e sintomatici hanno una carica virale simile che non coincide con la trasmissibilità del virus, ancora non adeguatamente studiata.
  • L'assenza di sintomi non equivale ad assenza di lesioni: infatti, nelle 2 coorti  che hanno sottoposto alla TAC i soggetti inclusi (Diamond Princess, Corea del Sud), sono state rilevate negli asintomatici anomalie polmonari subcliniche di incerto significato che richiedono ulteriori studi.
  • A causa dell’elevato rischio di diffusione silente da parte di soggetti asintomatici, è indispensabile estendere le strategie di testing alle persone senza sintomi.

«Le evidenze ad oggi disponibili­ – conclude Cartabellotta – dimostrano che la prevalenza dei soggetti asintomatici è un fattore rilevante nella diffusione del contagio da Sars-Cov-2. Di conseguenza in questa fase della pandemia le misure di sanità pubblica devono essere orientate sia a identificare, tracciare e isolare i soggetti asintomatici, sia a fare rispettare il distanziamento sociale e utilizzare la mascherina quando non è possibile mantenere la distanza di sicurezza».


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4 giugno 2020
Coronavirus, fase 3: ridurre al minimo rischio seconda ondata. Il Paese non reggerebbe nuovi lockdown

LA FONDAZIONE GIMBE CONFERMA IL CONSISTENTE ALLEGGERIMENTO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE QUALE EFFETTO DEL LOCKDOWN, MA ESCLUDE UNA MINORE GRAVITÀ DELLA COVID-19. TUTTAVIA INVITA A NON ABBASSARE LA GUARDIA, SIA PERCHÉ LE IMPROROGABILI RIAPERTURE SI BASANO SU DATI RELATIVI A 2-3 SETTIMANE FA, SIA PERCHÉ CONTINUA A MANCARE UN SISTEMA DI MONITORAGGIO UNIVOCO TRA LE REGIONI. STRATEGIA DELLE 3T E COMPORTAMENTI INDIVIDUALI SONO ARMI FONDAMENTALI PER RIDURRE IL RISCHIO DI UNA SECONDA ONDATA

Nella conferenza stampa di ieri, il Premier Conte ha ribadito che “I dati sono incoraggianti, l'Italia può ripartire, ma serve ancora prudenza perché il virus non è scomparso”, confermando le parole del Ministro Speranza dello scorso 29 maggio: “I dati del monitoraggio sono incoraggianti. I sacrifici importanti del lockdown hanno prodotto questi risultati. Dobbiamo continuare sulla strada intrapresa con gradualità e cautela”. Dichiarazioni basate sui dati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), secondo cui “Al momento in Italia non vengono riportate situazioni critiche relative all’epidemia di Covid-19 secondo quanto emerge dal monitoraggio degli indicatori relativi alla settimana tra il 18 e il 24 maggio”.

«Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – conferma nella settimana 28 maggio-3 giugno sia la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, sia l’ulteriore rallentamento di contagi e decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +2.697 (+1,2%)
  • Decessi: +529 (+1,6%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.987 (-25,7%)
  • Terapia intensiva: -152 (-30,1%)

«In occasione dell’avvio della fase 3 – continua il Presidente – abbiamo effettuato un’analisi complessiva su dati ufficiali, strumenti di monitoraggio e livello di rischio per valutare se le azioni messe in campo da Governo e Regioni sono adeguati a fronteggiare i rischi di un’eventuale risalita del contagio».

DATI UFFICIALI

  • Dati ufficiali. Sono disponibili quelli relativi al monitoraggio delle singole Regioni e i valori di Rt contenuti nell’ultimo bollettino epidemiologico dell’ISS. Non sono invece pubblici i dati relativi ai 21 indicatori previsti dal Decreto 30 aprile 2020 del Ministero della Salute, né l’aggiornamento del “Quadro sintetico complessivo” sul monitoraggio regionale.
  • Finestra temporale. Nel report del 26 maggio l’ISS riporta che il valore di Rt è calcolato al 10 maggio, ribadendo che il consolidamento dei dati richiede 2 settimane e che gli altri indicatori sono relativi al periodo 11-24 maggio. In altre parole, l’impatto delle riaperture del 18 maggio sulla curva dei contagi non può ancora essere verificato e quello delle riaperture del 3 giugno sarà valutabile non prima di 2 settimane.

STRATEGIE DI MONITORAGGIO

  • 3T: testing, tracing, treating. Nel report ISS si legge che “Nel Paese continuano ad essere rafforzate a livello regionale politiche di testing e screening in modo da identificare il maggior numero di casi”. Le nostre analisi dimostrano tuttavia che, nelle ultime 2 settimane, la percentuale dei tamponi diagnostici non solo non è stata potenziata, ma si è ridotta mediamente del 6%, seppur in misura variabile tra le Regioni. Questo dato è influenzato dall’avvio in alcune Regioni dello screening con test sierologici, di cui tuttavia non esiste alcun monitoraggio nazionale, né una policy univoca tra le Regioni.
  • App Immuni. Utile solo se impiegata da almeno il 60-70% della popolazione e, soprattutto, se sostenuta da un potenziamento dell’attività di testing in tutte le Regioni. Altrimenti rimarrà una “scatola vuota”.
  • Indagine sieroepidemiologica. Considerato il notevole ritardo nell’avvio, non sono ancora disponibili i risultati che avrebbero potuto offrire un ulteriore elemento di valutazione sulla circolazione del virus.  

LIVELLO DI RISCHIO

  • Nuovi casi. I dati relativi al periodo 18 maggio-3 giugno (figura 1) dimostrano che la percentuale dei tamponi diagnostici positivi, seppur in riduzione, rispetto alla media nazionale (1,48%) è ancora elevata in Liguria (4,3%), Lombardia (3,83%) e Piemonte (2,69%). 3 Regioni riportano un’incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti nettamente superiore alla media nazionale (13): Lombardia (44), Liguria (36), Piemonte (26), ma la propensione all’esecuzione di tamponi diagnostici è sopra della media nazionale (891) in Lombardia (1.149) e Piemonte (952), mentre in Liguria (840) rimane poco al di sotto (figura 2).
  • Riapertura dei confini internazionali. A fronte del dibattito sulla mobilità interregionale, non è nota alcuna valutazione del rischio da persone provenienti dai Paesi dell’area Schengen e del Regno Unito, da ieri non più sottoposte all’obbligo di quarantena nel nostro Paese.
  • Comunicazione istituzionale. Con l’interruzione della conferenza stampa della Protezione Civile, l’unico appuntamento istituzionale, più per addetti ai lavori, rimane quella settimanale dell’ISS. Peraltro i dati completi del monitoraggio non sono pubblicamente disponibili a cittadini e ricercatori.

«Dai dati disponibili – spiega Cartabellotta – emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto, il via libera del 3 giugno è stato deciso sulla base del monitoraggio relativo a 2-3 settimane prima; in secondo luogo l’attitudine alla strategia delle 3T è molto variabile tra le Regioni e non esistono dati sistematici sugli screening sierologici; infine, rispetto al battage mediatico della fase 1, la comunicazione istituzionale si è notevolmente indebolita, alimentando un senso di falsa sicurezza che può influenzare negativamente i comportamenti delle persone».

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ribadisce la necessità di non abbassare la guardia perché il Paese non può permettersi nuovi lockdown: il rischio di una seconda ondata dipende, oltre che da imprevedibili fattori legati al virus, dalle strategie di tracciamento e isolamento dei casi attuate dalle Regioni e dai comportamenti individuali. Se tuttavia l’improrogabile scelta di riaprire per rilanciare l’economia si è basata solo sull’andamento dei ricoveri e delle terapie intensive, è giusto dichiararlo apertamente ai cittadini con un gesto di grande onestà e responsabilità politica».


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28 maggio 2020
Coronavirus: Lombardia, Liguria e Piemonte non sono pronte alla riapertura. Stop ai regionalismi, serve unità nazionale

LE ANALISI POST LOCKDOWN DELLA FONDAZIONE GIMBE DIMOSTRANO CHE IN QUESTE TRE REGIONI SI RILEVANO LA PERCENTUALE PIÙ ELEVATA DI TAMPONI DIAGNOSTICI POSITIVI E IL MAGGIOR INCREMENTO DI NUOVI CASI, A FRONTE DI UNA LIMITATA ATTITUDINE ALL’ESECUZIONE DI TAMPONI DIAGNOSTICI. CON I DATI CHE RIFLETTONO LE RIAPERTURE DEL 4 MAGGIO, MA NON ANCORA QUELLE MOLTO PIÙ AMPIE DEL 18, LA SCADENZA DEL 3 GIUGNO METTE IL GOVERNO DAVANTI A UNA DECISIONE CHE, OLTRE AD ESSERE GUIDATA DAI DATI, DEVE AVVENIRE SOTTO IL SEGNO DELLA SOLIDARIETÀ TRA REGIONI E DELL’UNITÀ NAZIONALE.

Secondo quanto previsto dal DL 33/2020, dal 3 giugno saranno nuovamente autorizzati i movimenti di persone tra le Regioni italiane. Non tutte, però, potrebbero avere il via libera o le stesse modalità: domani il Ministro della Salute Speranza valuterà il monitoraggio dei dati del contagio da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, i cui risultati saranno decisivi per formalizzare la decisione sulla ripresa della mobilità interregionale.

Tra le istituzioni, le forze di maggioranza e sindaci e governatori (in particolare del Sud) sembra prevalere un senso comune di massima cautela, nonostante il trend positivo dei dati. «Anche nella settimana 21-27 maggio, infatti – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il nostro monitoraggio indipendente conferma sia la costante riduzione del carico su ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento di contagi e decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +3.375 (+1,7%)
  • Decessi: +742 (+2,3%)
  • Ricoverati con sintomi: -1.895 (-19,7%)
  • Terapia intensiva: -171 (-25,3%)

Tenendo conto delle notevoli eterogeneità regionali nell’esecuzione dei tamponi, della limitata affidabilità dell’indice Rt, per informare la possibile riapertura dei confini regionali la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi indipendente relativa alla fase 2 nelle varie Regioni utilizzando due indicatori parametrati alla popolazione residente: l’incidenza di nuovi casi e il numero di tamponi “diagnostici”, escludendo quelli eseguiti per confermare la guarigione virologica o per necessità di ripetere il test.

Questi in sintesi i risultati dell’analisi sul periodo post lockdown (4-27 maggio 2020) (figure 1 e 2):

  • Percentuale di tamponi diagnostici positivi. Risulta superiore alla media nazionale (2,4%) in 5 Regioni: in maniera rilevante in Lombardia (6%) e Liguria (5,8%) e in misura minore in Piemonte (3,8%) Puglia (3,7%) ed Emilia-Romagna (2,7%).
  • Tamponi diagnostici per 100.000 abitanti Rispetto alla media nazionale (1.343), svettano solo Valle d’Aosta (4.076) e Provincia Autonoma di Trento (4.038). Nelle tre Regioni ad elevata incidenza dei nuovi casi, la propensione all’esecuzione di tamponi rimane poco al di sopra della media nazionale sia in Piemonte (1.675) che in Lombardia (1.608), mentre in Liguria (1.319) si attesta poco al di sotto.
  • Incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti: rispetto alla media nazionale (32), l’incidenza è nettamente superiore in Lombardia (96), Liguria (76) e Piemonte (63). Se il dato del Molise (44) non desta preoccupazioni perché legato a un recente focolaio già identificato e circoscritto, quello dell’Emilia-Romagna (33) potrebbe essere sottostimato dal numero di tamponi diagnostici (1.202 per 100.000 abitanti) ben al di sotto della media nazionale (1.343)

 

Si sottolinea che i dati analizzati riflettono quasi interamente le riaperture del 4 maggio, ma non quelle molto più ampie del 18 maggio che potranno essere valutate nel periodo 1-14 giugno, tenendo conto di una media di 5 giorni di incubazione del virus e di 9-10 giorni per ottenere i risultati del tampone. A 23 giorni dall’allentamento del lockdown, dunque, la Fondazione GIMBE dimostra che la curva del contagio non è adeguatamente sotto controllo in Lombardia, Liguria e Piemonte: in queste Regioni si rileva la percentuale più elevata di tamponi diagnostici positivi, il maggior incremento di nuovi casi, a fronte di una limitata attitudine all’esecuzione di tamponi diagnostici. In Emilia-Romagna, una propensione ancora minore potrebbe distorcere al ribasso il numero dei nuovi casi.

«Il Governo – commenta Cartabellotta – a seguito delle valutazioni del Comitato Tecnico-Scientifico si troverà di fronte a tre possibili scenari: il primo, più rischioso, di riaprire la mobilità su tutto il territorio nazionale, accettando l’eventuale decisione delle Regioni del sud di attivare la quarantena per chi arriva da aree a maggior contagio; il secondo, un ragionevole compromesso, di mantenere le limitazioni solo nelle 3 Regioni più a rischio, con l’opzione di consentire la mobilità tra di esse; il terzo, più prudente, di prolungare il blocco totale della mobilità interregionale, fatte salve le debite eccezioni attualmente in vigore».

«In questa difficile decisione – conclude Cartabellotta – occorre accantonare ogni forma di egoismo regionalistico perché la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni. Una decisione sotto il segno dell’unità nazionale darebbe al Paese un segnale molto più rassicurante di una riapertura differenziata, guidata più da inevitabili compromessi politici che dalla solidarietà tra le Regioni, oggi più che mai necessaria per superare l’inaccettabile frammentazione del diritto costituzionale alla tutela della salute».


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25 maggio 2020
Coronavirus: indice Rt poco affidabile per monitorare la fase 2

LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA I LIMITI DELL’INDICE RT: PARAMETRO MOLTO VARIABILE, IMPRECISO, NON TEMPESTIVO, CONDIZIONATO DA QUALITÀ DEI DATI E DA ELEVATE VARIABILITÀ TRA LE REGIONI NELL’ESECUZIONE DI TAMPONI DIAGNOSTICI. L’ULTIMA STIMA DISPONIBILE FOTOGRAFA ANCORA LA FASE DI LOCKDOWN ED È CALCOLATA SOLO SUL 30% DEI CASI CONFERMATI DALLA PROTEZIONE CIVILE.

Il decreto del Ministero della Salute del 30 aprile ha incluso, tra i 21 indicatori di monitoraggio della fase 2, l’indice Rt, elaborato settimanalmente dalla Fondazione Bruno Kessler sulla base dei dati della sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che ogni venerdì, in occasione della conferenza stampa, comunica i valori aggiornati.

«I valori di Rt – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – sono diventati oggetto di dibattito pubblico con inopportune classifiche tra le Regioni che, in relazione alle variazioni settimanali, lo trasformano da vessillo da sbandierare a pomo della discordia, e viceversa. Addirittura, si è arrivati a ventilare l’ipotesi, subito archiviata dal Presidente dell’ISS, di utilizzare il valore di Rt per la mobilità interregionale». Intanto le Regioni, tra gli emendamenti del Decreto Rilancio, hanno chiesto di escludere il parametro Rt per misurare la diffusione del virus “sostituendolo con il parametro R0, che rappresenta il numero in media di casi secondari di un caso indice”.

«Se la richiesta delle Regioni di abbandonare l’utilizzo dell’indice Rt ha un senso – commenta il Presidente –risulta assolutamente incomprensibile quella di sostituirlo con il valore di R0, visto che si tratta dello stesso indice in fasi diverse dell’epidemia, a dimostrazione che sul monitoraggio del contagio la confusione regna ancora sovrana». Se il significato di R0 e Rt è lo stesso, ovvero il numero medio di persone che possono essere contagiate da un individuo infetto, l’ambito di applicazione e il significato pratico sono differenti. Infatti:

  • R0 (erre con zero): è una misura statica della potenziale contagiosità del SARS-CoV-2 all’inizio dell’epidemia, che presuppone che tutta la popolazione sia suscettibile data l’assenza di immunità. In Italia, uno studio condotto in 6 Regioni su 62.843 casi al 24 marzo 2020 riporta stime di R0 variabili tra 2,13 e 3,33.
  • Rt (erre con t): è una misura dinamica, che nel corso dell’epidemia si riduce proporzionalmente alla diminuzione dei soggetti suscettibili (aumento di quelli immuni e dei “casi chiusi”, ovvero guariti e deceduti), oltre che in conseguenza delle misure di distanziamento sociale attuate, ma può risalire per il riaccendersi di focolai oppure dopo l’allentamento delle misure di lockdown.

«Il valore di Rt – commenta il Presidente – inserito tra gli indicatori del Ministero della Salute per il monitoraggio della fase 2, di fatto è stato trasformato in un numero magico su cui fare classifiche, previsioni e addirittura prendere decisioni politiche regionali senza considerarne i limiti intrinseci e le criticità che ne influenzano il calcolo nel nostro contesto nazionale, dove continua a mancare un’adeguata base di dati».

La Fondazione GIMBE, al fine di ridimensionare il ruolo dell’indice Rt nel monitoraggio della fase 2, sottolinea che questo parametro:

  • Viene stimato con modelli matematici basati su dati reali, per cui il suo valore dipende sia dal modello utilizzato che dalla qualità dei dati.
  • Viene calcolato sulla data d’insorgenza dei sintomi della malattia, o in alternativa su quella di accertamento virologico dell’infezione, che in Italia spesso viene notificata con molti giorni di ritardo e in misura variabile tra le Regioni. Peraltro, nei casi asintomatici la data di insorgenza dei sintomi non può essere rilevata per definizione.
  • È inversamente proporzionale al tasso dei “casi chiusi”, ovvero persone non più infette a seguito di decesso o guarigione, dati non molto affidabili viste le evidenze sulla sottostima dei decessi e sulla sovrastima delle guarigioni in Italia.
  • Presuppone che nella popolazione generale tutti abbiano la stessa probabilità di contrarre l’infezione, non distinguendo quindi i focolai circoscritti dalle situazioni di contagio diffuso.

Inoltre, secondo quanto riporta il bollettino dell’ISS del 20 maggio:

  • Il valore di Rt può essere stimato correttamente solo con un ritardo di 15 giorni.
  • La stima può essere poco accurata in conseguenza di cambiamenti nei criteri di esecuzione dei tamponi.
  • I valori di Rt sono calcolati solo sul 30% dei casi riportati alla Protezione Civile per la necessità di allinearsi alle Regioni con la percentuale più bassa di dati disponibili.
  • L’ultima stima di Rt è stata calcolata alla data del 19 maggio e, sottratti i 15 giorni necessari per il consolidamento dei dati, è riferibile quindi al 3 maggio.

«Le nostre valutazioni indipendenti – commenta il Presidente – confermano che il dibattito politico e scientifico si sta concentrando su un indice molto variabile, condizionato dalla qualità dei dati, non tempestivo (l’ultima stima riflette ancora la fase di lockdown), calcolato su meno di un terzo dei casi confermati dalla Protezione Civile e influenzato dalle notevoli differenze regionali nell’esecuzione di tamponi diagnostici».

«Se il valore di R0 rimane una pietra miliare dell’epidemiologia per stimare il grado di contagiosità del virus all’inizio di una epidemia – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE conferma che l’indice Rt è poco affidabile nella fase di monitoraggio post lockdown. Il suo ruolo dovrebbe essere ridimensionato, evitando di utilizzarlo come parametro univoco e soprattutto per elaborare classifiche regionali».


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21 maggio 2020
Coronavirus: fase 2 con le armi spuntate. No testing, no tracing

CON L’INDAGINE SIERO-EPIDEMIOLOGICA NON ANCORA AVVIATA E L’APP IMMUNI AL PALO, L’UNICA STRATEGIA PER LA FASE 2 SAREBBE UNA MIRATA ESTENSIONE DEI TAMPONI. MA DAL 23 APRILE AL 20 MAGGIO NE SONO STATI EFFETTUATI 1.658.468 DI CUI SOLO IL 61,7% “DIAGNOSTICI” CON UNA MEDIA NAZIONALE GIORNALIERA DI 61 PER 100.000 ABITANTI ED AMPIE VARIABILITÀ REGIONALI: DAI 18 DELLA PUGLIA AI 168 DELLA VALLE D’AOSTA. NEL PERIODO 7-20 MAGGIO SOLO PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO E VALLE D’AOSTA SVETTANO PER INCREMENTO DEI TAMPONI DIAGNOSTICI RISPETTO ALLE DUE SETTIMANE PRECEDENTI. LA FONDAZIONE GIMBE AVVERTE: SENZA UNA SISTEMATICA ATTIVITÀ DI TESTING E TRACING IN UNA CLAUDICANTE FASE 2 PARLERANNO SOLO I RICOVERI OSPEDALIERI.

Evidenze scientifiche e raccomandazioni internazionali puntano per la fase 2 su tre pilastri: mirata estensione dei tamponi per individuare i soggetti asintomatici (testing), strategie di tracciatura dei casi (tracing), inclusa l’app Immuni, e loro adeguato isolamento (treatment), oltre alle indagini siero-epidemiologiche per conoscere la diffusione del virus nella popolazione. Tuttavia, in Italia questi pilastri non possono contare su un’adeguata infrastruttura informativa, tecnologica e organizzativa necessaria per una ripartenza del Paese in sicurezza nel momento in cui i dati riflettono ancora la fase finale del lockdown. «Anche nella settimana 13-20 maggio – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma sia la costante riduzione del carico di ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento sul fronte di contagi e decessi». In sintesi:

  • Casi totali: +5.318 (+2,4%)
  • Decessi: +1.224 (+3,9%)
  • Ricoverati con sintomi: -2.528 (-20,8%)
  • Terapia intensiva: -217 (-24,3%)

«Se i dati ospedalieri sono affidabili e tempestivi – continua il Presidente – il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie, verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive». Peraltro, le indicazioni all’uso dei tamponi rimangono quelle ministeriali del 20 marzo e del 3 aprile che raccomandano di eseguirli prioritariamente ai casi sintomatici/paucisintomatici, ai contatti a rischio sintomatici e agli operatori sanitari e agli ospiti di residenze per anziani: in altre parole la fase 2 è partita senza definire una nuova policy nazionale per l’esecuzione dei tamponi.

Considerata la rilevanza della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), la Fondazione GIMBE ha aggiornato e approfondito l’analisi indipendente condotta sui dati della Protezione Civile che dal 19 aprile, oltre al numero totale dei tamponi effettuati da ciascuna Regione, rende disponibili i “casi testati”, ovvero il numero dei “soggetti sottoposti al test”.

«Per valutare la reale propensione di una Regione all’attività di testing e tracing – spiega Cartabellotta – sono stati considerati solo i tamponi “diagnostici” e non quelli “di controllo”, utilizzati per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test». In sintesi, nelle ultime 4 settimane (23 aprile-20 maggio):

  • In Italia sono stati effettuati 1.658.468 tamponi di cui il 38,3% “di controllo” e il 61,7% “diagnostici”: su questi le differenze regionali sono notevoli, si va dal 34,1% della Campania al 98,2% della Calabria.
  • A fronte di una media nazionale di 61 tamponi diagnostici/die per 100.000 abitanti, le Regioni hanno una propensione al testing molto eterogenea e non sempre correlata alla situazione epidemiologica: il range varia dai 18 della Puglia ai 168 della Valle D’Aosta (figura 1).
  • Confrontando il periodo 7-20 maggio (fase 2 già avviata) con le due settimane precedenti, 12 Regioni fanno registrare incrementi e 9 Regioni riduzioni nel numero medio giornaliero di tamponi diagnostici per 100.000 abitanti (figura 2). In particolare, svettano per incremento rilevante solo Provincia Autonoma di Trento (+99) e Valle D’Aosta (+66), mente gli aumenti restano modesti in Umbria (+24), Abruzzo (+ 19), Molise (+18), Campania (+13) e Lombardia (+13). Circa la metà delle Regioni si colloca nel range ±12 facendo registrare minime variazioni in aumento o in diminuzione. Si rileva un moderato decremento in Emilia-Romagna (-14) e consistenti decrementi in Puglia (-43) e nel Lazio (-64), condizionati da ricalcoli nei dati riportati dalla Protezione Civile.

 

Dalle analisi relative alle ultime 4 settimane emergono tre dati incontrovertibili: innanzitutto, il numero medio giornaliero di tamponi “diagnostici per 100.000 abitanti è incredibilmente esiguo rispetto alla massiccia attività di testing e tracing necessaria nella fase 2; in secondo luogo, la propensione ad eseguire tamponi diagnostici presenta enormi e non giustificate variabilità regionali che influenzano anche il valore di Rt incluso negli indicatori del Ministero della Salute; infine, nelle ultime due settimane solo Provincia Autonoma di Trento e Valle D’Aosta hanno potenziato in maniera rilevante l’attività di testing.

«Per quasi tutte le Regioni – conclude Cartabellotta – la ricerca attiva di contagi asintomatici e la tracciatura dei loro contatti non rappresentano una priorità nonostante siano strumenti indispensabili della fase 2. Dopo essere stati colti impreparati nella fase 1 senza mascherine, DPI, ventilatori, stiamo pericolosamente rinunciando a giocare d’anticipo affrontando la fase 2 con armi spuntate: considerati i clamorosi ritardi dell’app Immuni e dell’indagine siero-epidemiologica, l’unica arma a disposizione oggi sono i tamponi diagnostici. Eseguirne pochi aumenta il rischio di una seconda ondata perché il monitoraggio della fase 2 potrà essere effettuato solo tardivamente sulla base dell’aumento dei ricoveri ospedalieri».


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19 maggio 2020
Coronavirus, gestione sanitaria fase 2: il Governo abdica, pieni poteri alle Regioni

LE ANALISI DELLA FONDAZIONE GIMBE DIMOSTRANO CHE IN ASSENZA DI UNA STRATEGIA SANITARIA NAZIONALE PER GESTIRE LA FASE 2, CON UN SISTEMA DI MONITORAGGIO INCOMPLETO E LA TOTALE AUTONOMIA DELLE REGIONI NEL MONITORARE L’EPIDEMIA E INTRODURRE MISURE IN DEROGA, IL RISCHIO NON SOLO NON È CALCOLATO, MA NON È AFFATTO CALCOLABILE. DI FATTO I RISULTATI SUL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO SONO AFFIDATI ALLE RESPONSABILITÀ INDIVIDUALI, ATTRAVERSO IL RISPETTO DELLE NORME DI DISTANZIAMENTO SOCIALE E L’USO DELLE MASCHERINE.

19 maggio 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’agognata ripartenza del Paese si concretizza con una giravolta normativa senza precedenti nella storia della Repubblica: il DL 16 maggio 2020 n. 33 (art. 1, comma 16) demanda interamente alle Regioni la responsabilità del monitoraggio epidemiologico e delle conseguenti azioni, con il Ministero della Salute che rimane spettatore passivo da informare sui dati e sulle eventuali azioni intraprese dai governatori. Secondo il nuovo decreto spetta infatti a ciascuna Regione in totale autonomia monitorare la situazione epidemiologica nel proprio territorio, valutare le condizioni di adeguatezza del proprio sistema sanitario e introdurre misure in deroga, ampliative o restrittive, rispetto a quelle nazionali.

«L’emergenza coronavirus – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la “competizione” tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. Questo decentramento decisionale dimostra che, sulla tutela della salute, dalla leale collaborazione Stato-Regioni siamo passati ad una “ritirata” del Governo al fine di prevenire  conflitti con le Regioni».

Le analisi indipendenti condotte dalla Fondazione GIMBE sul nuovo Decreto rivelano incongruenze costituzionali, oltre che rischi non calcolabili di questo approccio.

Princìpi costituzionali. La Costituzione affida allo Stato da un lato la legislazione esclusiva in materia di profilassi internazionale (art. 117 lett. q) - come nel caso di una pandemia - dall’altro l'esercizio del potere sostitutivo a garanzia dell'interesse nazionale nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica (art. 120). Tuttavia, a fronte della più grave emergenza sanitaria della storia repubblicana, il Governo sin dall’inizio ha inspiegabilmente scelto di non esercitare i poteri conferiti dalla carta costituzionale.

Monitoraggio dell’epidemia. La decisione di affidare alle Regioni una totale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante. In dettaglio:

  • Il primo “Report di Monitoraggio della Fase 2” dimostra che le Regioni non hanno fornito a livello centrale tutti i 21 indicatori previsti dal decreto del Ministero della Salute del 30 aprile scorso. In particolare, non riporta nessuno dei 12 indicatori di processo e nel “Quadro sintetico complessivo” dettaglia solo 5 dei 9 indicatori di risultato, peraltro non tutti coincidenti con quanto previsto dal Decreto, e quindi non utilizzabili per l’applicazione degli algoritmi e la definizione del livello di rischio.
  • L’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento del lockdown può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio: in altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno.
  • Dal 3 giugno, data in cui inizieremo a intravedere le conseguenze sulla curva epidemica delle riaperture del 18 maggio, il via libera alla mobilità interregionale e alla riapertura delle frontiere sancirà la libera circolazione su tutto il territorio nazionale anche dei soggetti contagiati.

Strategia per la gestione sanitaria della fase 2. A fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale ma solo variabili orientamenti regionali variabili per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia. In particolare:

  • Le Regioni hanno una propensione molto diversificata ad effettuare tamponi diagnostici: a fronte di una media nazionale di 61 per 100.000 abitanti al giorno, si va dai 17 della Puglia ai 166 della Valle D’Aosta. In assenza di uno standard nazionale, tali differenze condizionano l’implementazione della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), permettono un utilizzo “opportunistico” dei tamponi e sanciscono ancora prima della sua introduzione il fallimento dell’app Immuni, che per definizione è uno strumento “tampone-dipendente”.
  • L’indagine siero-epidemiologica nazionale è partita in grande ritardo e non sappiamo quando saranno disponibili i risultati; le Regioni peraltro hanno adottato protocolli propri utilizzando test differenti.
  • Le modalità organizzative per la gestione territoriale dei casi positivi - Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA),  isolamento domiciliare in strutture dedicate, prescrivibilità dei tamponi da parte dei medici di famiglia, etc.), sono caratterizzate da immancabili diseguaglianze regionali.

Con queste premesse i DL 16 maggio 2020 n. 33 e DPCM 18 maggio 2020 concretizzano due ragionevoli certezze sulla fase 2:

  • Gli indicatori più affidabili per monitorare l’eventuale risalita della curva epidemica non possono che essere i ricoveri ospedalieri e l’occupazione delle terapie intensive, dati al tempo stesso tempestivi e affidabili in quanto raccolti dai flussi ospedalieri.
  • I risultati sul contenimento del contagio sono in larga misura affidati alle responsabilità individuali dei cittadini, attraverso il rispetto delle norme di distanziamento sociale e l’uso delle mascherine.

«È evidente che le decisioni sulle riaperture – conclude Cartabellotta – hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del Premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perché la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base ad una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono».


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14 maggio 2020
Coronavirus, Fase 2: riaprire su dati parziali aumenta rischio nuova ondata a inizio estate

SE LE RIAPERTURE ANNUNCIATE PER IL 18 MAGGIO SI BASERANNO ESCLUSIVAMENTE SUL TASSO DI OCCUPAZIONE DI POSTI LETTO IN TERAPIA INTENSIVA E IN AREA MEDICA TUTTE LE REGIONI SONO PRONTE.  SE INVECE NELLE DECISIONI ENTRANO IN GIOCO I CASI NOTIFICATI ALLA PROTEZIONE CIVILE E IL VALORE DI RT, GLI EFFETTI DELL’ALLENTAMENTO DEL LOCKDOWN DELLO SCORSO 4 MAGGIO POTRANNO ESSERE MISURATI SOLO DALLA PROSSIMA SETTIMANA. LA FONDAZIONE GIMBE LANCIA L’ALLARME: COSÌ SI RISCHIA NUOVO PICCO ALL’INIZIO DELL’ESTATE. 

Secondo quanto diffuso a mezzo stampa, al fine di decidere sulle riaperture differenziate annunciate per il 18 maggio, sono attesi per oggi i dati del monitoraggio del Ministero della Salute: tasso dei nuovi contagi, stima aggiornata del valore di Rt, tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva e in area medica, e gli altri parametri definiti dal decreto del 30 aprile.

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE nella settimana 7-13 maggio conferma sia il costante alleggerimento di ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento di contagi e decessi. In sintesi:

  • Casi totali: +7.647 (+3,6%)
  • Decessi: +1.422 (+4,8%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.597 (-22,8%)
  • Terapia intensiva: -440 (-33,0%)

«Se da un lato questi numeri alimentano l’ottimismo e invitano ad anticipare riaperture di attività e servizi, – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dall’altro bisogna essere consapevoli che l’epidemia è ancora attiva, che in Italia si stimano 3-4 milioni di persone contagiate e che i soggetti asintomatici rappresentano una fonte certa di contagio. Tuttavia, nel dibattito pubblico delle ultime settimane la vertiginosa rincorsa alle riaperture ha preso il sopravvento rispetto ad una scrupolosa programmazione sanitaria della fase 2 su cui non mancano criticità. Dall’assenza di una strategia di sistema ai problemi di approvvigionamento di mascherine e reagenti per i tamponi; dalla mancata applicazione  di misure per spezzare la catena dei contagi alle autonome interpretazioni regionali delle evidenze scientifiche su test diagnostici e trattamenti».

La Fondazione GIMBE riporta al centro del dibattito la gestione sanitaria della fase 2 ed esorta alla massima prudenza nelle riaperture, perché dalle proprie analisi indipendenti risulta che:

  • Il tempo medio tra il contagio e la comparsa dei sintomi è di 5 giorni, con un range da 2 a 14 giorni.
  • I tempi per la conferma della diagnosi dipendono da: richiesta del test, esecuzione del tampone, analisi di laboratorio e refertazione. Secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il tempo mediano tra insorgenza dei sintomi e conferma diagnostica è stato di 10 giorni nel periodo 21-30 aprile e di 9 giorni nel periodo 1-6 maggio.
  • La comunicazione dei nuovi casi dalle Regioni alla Protezione Civile non è immediata: i frequenti ricalcoli testimoniano ritardi non quantificabili in assenza di maggiori dettagli.

Sulla base di tali tempistiche l’impatto dell’allentamento del lockdown avvenuto lo scorso 4 maggio potrà essere valutato solo tra il 18 maggio e la fine del mese, peraltro presupponendo che la comunicazione dalle Regioni alla Protezione Civile avvenga in tempo reale (figura).

In sostanza i dati sull’andamento dei contagi che informeranno le eventuali riaperture del 18 maggio fotografano ancora la fase di lockdown e anche il valore di Rt viene calcolato sui dati delle due settimane precedenti come precisato dall’ISS: “Poiché la diagnosi di infezione da coronavirus SARS-CoV-2 che può avvenire anche due o tre settimane dopo l’infezione per via del tempo di incubazione (fino a 14 giorni) e dei tempi intercorsi tra l’inizio dei sintomi, la ricerca di assistenza medica e il completamento dei test di laboratorio, il valore di Rt può essere stimato solo fino a circa 15 giorni nel passato”. «Se lo scorso 8 maggio l’ISS ha reso noti i valori di Rt riferiti al 20 aprile – precisa Cartabellotta – domani potrà comunicare quelli riferiti al 27 aprile e solo tra due settimane conosceremo gli Rt conseguenti all’allentamento del 4 maggio».

Dunque, se le riaperture annunciate per il 18 maggio si basano esclusivamente sul tasso di occupazione di posti letto in terapia intensiva e in area medica, tutte le Regioni sono pronte perché il dato è molto affidabile e soprattutto disponibile in tempo reale. Se al contrario entrano in gioco i casi notificati alla Protezione Civile e il valore di Rt, bisogna essere consapevoli che le decisioni in questo momento non possono per definizione essere informate dai dati perché l’impatto dell’allentamento del lockdown sarà misurabile solo a partire dalla prossima settimana.

«Il “contagioso” entusiasmo per la fase 2 – conclude Cartabellotta – sta generando un pericoloso effetto domino sulle riaperture rischiando di vanificare i sacrifici degli italiani. Infatti, decidere la ripresa di attività e servizi sulla base di dati che, occupazione di posti letto a parte, riflettono ancora il periodo del lockdown, aumenta il rischio di una seconda ondata all’inizio dell’estate».


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7 maggio 2020
Coronavirus: la giungla dei tamponi. In alcune regioni test con il contagocce per paura di nuovi lockdown?

RACCOMANDAZIONI INTERNAZIONALI, EVIDENZE SCIENTIFICHE E DISPONIBILITÀ DI REAGENTI CONFERMANO CHE NELLA FASE 2 SERVE UNA STRATEGIA DI TESTING ESTESO. TUTTAVIA AD OGGI 1/3 DEI TAMPONI SONO DI CONTROLLO E NELLE ULTIME DUE SETTIMANE SONO STATI EFFETTUATI IN MEDIA 59 TEST PER 100.000 ABITANTI AL GIORNO, CON NOTEVOLI VARIABILITÀ REGIONALI: DAI 12 DELLA CAMPANIA AI 130 DELLA VALLE D’AOSTA. LA FONDAZIONE GIMBE RICHIAMA LE REGIONI A ESTENDERE IL NUMERO DEI TAMPONI E CHIEDE AL GOVERNO DI DEFINIRE UNA SOGLIA MINIMA GIORNALIERA DI 250 TEST PER 100.000 ABITANTI PER EVITARE COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI.

Il Decreto del Ministero della Salute del 30 aprile scorso ha definito 21 indicatori che le Regioni dovranno fornire per monitorare l’evoluzione dell’epidemia e gli algoritmi per valutare probabilità e impatto del rischio sanitario. La combinazione di questi due parametri permetterà al Governo di identificare le criticità regionali e rivalutare eventuali nuove chiusure durante questa fase dell’epidemia.

«Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – rileva sia il costante e notevole alleggerimento del carico su ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento sul fronte di contagi e decessi, tuttavia non ancora stabilizzati». In sintesi, nella settimana 30 aprile – 6 maggio:

  • Casi totali: +10.866 (+5,3%)
  • Decessi: +2.002 (+7,2%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.441 (-17,9%)
  • Terapia intensiva: -462 (-25,7%)

«Rispetto alla ridotta pressione sugli ospedali, tuttavia – continua il Presidente – il numero dei nuovi casi è influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni e pertanto soggetto a possibili distorsioni». Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha condotto un’analisi indipendente sui dati della Protezione Civile che dal 19 aprile, oltre al numero totale dei tamponi, riporta per ciascuna Regione il numero dei “casi testati” definiti come il “totale dei soggetti sottoposti al test”. In sintesi:

  • I “casi testati” identificano i “tamponi diagnostici” e la differenza tra “tamponi totali” e “casi testati” corrisponde ai “tamponi di controllo”, effettuati sullo stesso soggetto per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test. Dall’inizio dell’epidemia sono stati effettuati in Italia 2.310.929 tamponi di cui il 67,1% “diagnostici” e il 32,9% “di controllo”.
  • Sulla base della popolazione residente il numero di tamponi, sia totali che diagnostici, è stato parametrato a 100.000 abitanti/die, un indicatore più affidabile per i confronti regionali.
  • Le Regioni sono state suddivise secondo le 5 classi di propensione all’esecuzione dei tamponi di una recente analisi della Fondazione Hume, in relazione al numero di tamponi per 100.000 abitanti/die che risulta inversamente correlato alla mortalità.
  • Poiché il dato sui “casi testati” è stato oggetto di ricalcolo da parte di alcune Regioni fino al 21 aprile, il periodo di osservazione è stato fissato dal 22 aprile al 6 maggio.

«Le nostre analisi effettuate sugli ultimi 14 giorni – spiega il Presidente –forniscono tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, si conferma che circa 1/3 dei tamponi sono “di controllo”; in secondo luogo il numero di tamponi per 100.000 abitanti/die è molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella fase 2; infine, esistono notevoli variabilità regionali sia sulla propensione all’esecuzione dei tamponi, sia rispetto alla percentuale di tamponi “diagnostici”». In dettaglio, nel periodo di analisi 22 aprile - 6 maggio (tabella):

  • Tamponi totali: la media nazionale di 88 tamponi per 100.000 abitanti/die colloca l’Italia nella classe di propensione 4 con notevoli differenze regionali:
    • Classe 1 (>250): nessuna regione
    • Classe 2 (130-250): Provincia autonoma di Trento, Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Veneto, Friuli-Venezia Giulia
    • Classe 3 (100-129): Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Liguria
    • Classe 4 (60-99): Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, Molise, Abruzzo, Lazio
    • Classe 5 (<60): Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia
  • Tamponi diagnostici
    • A livello nazionale rappresentano il 67,1% dei tamponi totali, con ampie variabilità regionali: dal 25,3% della Campania al 98% della Puglia
    • La media nazionale per 100.000 abitanti/die è di 59, con notevoli variabilità regionali: dai 12 della Campania ai 130 della Valle D’Aosta

I dati confermano la resistenza di alcune Regioni ad estendere massivamente il numero di tamponi, in contrasto con raccomandazioni internazionali, evidenze scientifiche e disponibilità di reagenti. Infatti:

  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità incoraggia l’estensione dei tamponi.
  • La già citata analisi della Fondazione Hume ha dimostrato una correlazione inversa tra tamponi e mortalità: ovvero “più tamponi, meno morti”.
  • 150 docenti sostenitori della riapertura in sicurezza hanno lanciato un appello in 11 punti: “più tamponi per salvare la Fase 2”.
  • Il commissario Arcuri ha confermato che sono già stati distribuiti 3,7 milioni di tamponi alle Regioni, che nelle prossime settimane ne riceveranno altri 5 milioni già acquisiti.

«Alla luce di questi dati la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – da un lato richiama tutte le Regioni a implementare l’estensione mirata dei tamponi diagnostici, dall’altro chiede al Ministero della Salute di inserire tra gli indicatori di monitoraggio della fase 2 uno standard minimo di almeno 250 tamponi diagnostici al giorno per 100.000 abitanti. Il Governo infatti, oltre a favorire le strategie di testing, deve neutralizzare comportamenti opportunistici delle Regioni finalizzati a ridurre la diagnosi di un numero troppo elevato di nuovi casi che, in base agli algoritmi attuali, aumenterebbe il rischio di nuovi lockdown».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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30 aprile 2020
Coronavirus: fase 2, regole uguali per tutti. Troppi rischi al nord, eccessivi limiti per il sud

NELLA SETTIMANA 22-29 APRILE ULTERIORE ALLEGGERIMENTO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE, MA A 4 GIORNI DALL’AVVIO DELLA FASE 2 SI RILEVA ANCORA UN INCREMENTO DI 16.264 CASI DI CUI 2.597 DECESSI, CONCENTRATI PER L’80% IN 5 REGIONI. CON QUESTO QUADRO EPIDEMIOLOGICO SE DAL 4 MAGGIO ALCUNE REGIONI DOVRANNO SOTTOSTARE A RESTRIZIONI ECCESSIVE CHE FAVORISCONO IMPROPRIE FUGHE IN AVANTI, PER ALTRE LA RIAPERTURA AVVERRÀ SUL FILO DEL RASOIO PERCHÉ DEI 4,5 MILIONI DI PERSONE CHE TORNERANNO AL LAVORO LA MAGGIOR PARTE SI CONCENTRA DOVE L’EPIDEMIA È MENO SOTTO CONTROLLO.

Il DPCM del 26 aprile 2020 prevede un programma di progressive riaperture di attività produttive e commerciali omogeneo per tutto il territorio nazionale che, secondo il documento del Comitato Tecnico Scientifico, ha valutato il rischio dell’incremento dei contagi tenendo conto della “struttura demografica italiana, l’eterogeneità dei contatti sociali a diverse età e nei diversi luoghi di aggregazione, il rischio di esposizione stimato per diverse categorie professionali e la tipologia di attività da riaprire”.

«A 4 giorni dall’avvio della fase 2 – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il nostro monitoraggio indipendente sulle variazioni settimanali documenta un ulteriore alleggerimento del carico degli ospedali e in particolare delle terapie intensive. Tuttavia, sul fronte di contagi e decessi, nonostante il progressivo rallentamento, il numero dei nuovi casi non ha raggiunto quella prolungata stabilizzazione propedeutica alla ripartenza secondo le raccomandazioni della Commissione Europea». In sintesi, nella settimana 22-29 aprile:

  • Casi totali: +16.264 (+8,7%)
  • Decessi: +2.597 (+10,4%)
  • Ricoverati con sintomi: -4.595 (-19,3%)
  • Terapia intensiva: -589 (-24,7%)

«Se da un lato la Fondazione GIMBE condivide il principio di graduale riapertura del Governo – continua Cartabellotta – dall’altro rileva che l’avvio della fase 2 non rispecchia il principio della massima prudenza perché non tiene in considerazione le notevoli eterogeneità regionali delle dinamiche del contagio». A tal proposito è fondamentale rilevare che nella settimana 22-29 aprile l’80% sia dei nuovi casi, sia dei nuovi decessi si concentra in sole 5 regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria.

Il modello GIMBE (figura) che monitora l’evoluzione dell’epidemia tenendo conto della prevalenza (casi totali per 100.000 abitanti) e dell’incremento percentuale dei casi nell’ultima settimana a soli 4 giorni dalla ripartenza documenta che:

  • Piemonte, Liguria, Prov. Autonoma di Trento e Lombardia (quadrante rosso) non sono ancora fuori dalla fase 1: prevalenza e incrementi percentuali sopra la media nazionale, particolarmente elevati in Liguria (14%) e Piemonte (13,7%).
  • Ad esclusione del Friuli-Venezia Giulia, anche tutte le altre Regioni del nord (quadrante giallo) sono suscettibili di un incremento dei contagi, sia perché l’elevata prevalenza è un indicatore indiretto dei casi sommersi, sia perché si tratta proprio delle aree in cui si trovano la maggior parte delle attività produttive interessate dalla riapertura.
  • Eccezion fatta per le Marche, le Regioni del Centro e soprattutto del Sud hanno prevalenza e incrementi percentuali sotto la media nazionale.

«Con questo quadro epidemiologico – puntualizza il Presidente – se dal 4 maggio alcune aree dovranno sottostare a restrizioni eccessive che favoriscono autonome fughe in avanti, come dimostra il caso Calabria, per altre la riapertura avverrà sul filo del rasoio perché dei 4,5 milioni di persone che torneranno al lavoro la maggior parte si concentra proprio nelle Regioni dove l’epidemia è meno sotto controllo. E, soprattutto, occorre essere consapevoli che l’eventuale risalita della curva dei contagi sarà visibile non prima di 2 settimane».

«Come ogni decisione politica – conclude Cartabellotta – il DPCM sulla fase 2 rappresenta un inevitabile compromesso tra evidenze scientifiche ed interessi di altra natura. In particolare, il Governo ha dovuto necessariamente mediare tra le richieste dei governatori del Nord che spingono per la riapertura delle attività produttive e le istanze di quelli del Sud, contrari alla mobilità interregionale per timore di “importare” contagi. Con queste posizioni, modulare regole diverse secondo l’epidemiologia del contagio tra le varie Regioni avrebbe inevitabilmente fatto saltare il banco».


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27 aprile 2020
Coronavirus: nella fase 2 mascherina per tutti. La scienza dice s&#236;

NELLE ULTIME SETTIMANE LA SCIENZA HA CONFERMATO CHE IL CONTAGIO DA ASINTOMATICI È IL VERO TALLONE D’ACHILLE DELLE STRATEGIE PER CONTENERE IL CORONAVIRUS. CONSIDERATO CHE DAL 4 MAGGIO AUMENTERANNO I CONTATTI SOCIALI, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA IN ITALIANO LA SINTESI DELLE PIÙ RECENTI EVIDENZE SCIENTIFICHE SULL’USO DELLE MASCHERINE: PER RIDURRE IL RISCHIO DI CONTAGIO IL NUOVO DPCM OBBLIGA AL’USO DELLA MASCHERINA DOVE NON È POSSIBILE GARANTIRE IL DISTANZIAMENTO SOCIALE.

Durante la pandemia da Coronavirus organizzazioni internazionali, Istituzioni ed esperti hanno raccomandato la mascherina per la popolazione generale solo in presenza di sintomi. Tuttavia, nelle ultime settimane molti paesi consigliano, o hanno reso obbligatorio, l’utilizzo della mascherina facendo riferimento alla raccomandazione dei Centers for Disease Control and Prevention: “considerato che una rilevante percentuale di soggetti infetti da coronavirus sono asintomatici o pre-sintomatici, utilizzare la mascherina in tutti gli ambienti pubblici dove è difficile mantenere il distanziamento sociale, specialmente in aree con elevata trasmissione in comunità”.

«Mentre in Italia – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – il dibattito sulle mascherine veniva monopolizzato dall’inadeguata disponibilità dei dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari, i progressi della scienza nell’ultimo mese hanno messo in luce due aspetti cruciali. Innanzitutto, la trasmissione da soggetti asintomatici, largamente sottostimata, rappresenta il tallone d’Achille delle strategie per contenere la pandemia. In secondo luogo, le politiche di prevenzione devono essere guidate dal principio di precauzione e da princìpi di costo-efficacia; ovvero, anche in assenza di robuste evidenze scientifiche, è possibile concludere che un limitato utilizzo delle mascherine contribuisce alla crescita dei contagi».

Recentemente, dopo avere pubblicato l’analisi delle conflittuali raccomandazioni di autorità sanitarie internazionali e una revisione sistematica sulle prove di efficacia delle mascherine in comunità, Trisha Greenhalgh dell’Università di Oxford e Jeremy Howard dell’Università di San Francisco hanno realizzato una sintesi per il grande pubblico già tradotta in 17 lingue e oggi disponibile in italiano grazie alla Fondazione GIMBE. Tutte le valutazioni scientifiche convergono sul messaggio #Masks4All, ovvero mascherine per tutti:

  • Il contagio da soggetti asintomatici ha una notevole rilevanza: sia per il loro numero assoluto, sia perché i pazienti positivi sono più contagiosi nei primi giorni dell’infezione, quando sono asintomatici o presentano sintomi lievi.
  • Una semplice mascherina in tessuto indossata da un soggetto infetto riduce di 36 volte la quantità di virus trasmessa e permette di attuare il cosiddetto “controllo della sorgente”: ovvero, è molto più facile bloccare le goccioline (droplets) quando escono dalla bocca, piuttosto che arginarle quando si disperdono nell’aria.
  • Non esistono sperimentazioni cliniche che hanno valutato l’efficacia di mascherine da parte della popolazione generale per contenere l’epidemia di COVID-19, ma diverse sperimentazioni empiriche dimostrano che la mascherina potenzia gli effetti di altre misure di distanziamento sociale.
  • La mascherina non deve necessariamente arginare ogni singola particella virale, ma più ne blocca più si riduce la diffusione del virus. Infatti, gli effetti complessivi dell’uso delle mascherine nella popolazione generale dipendono dall’efficacia della mascherina e dalla percentuale della popolazione che la utilizza. Ovvero è possibile ottenere lo stesso risultato aumentando l’aderenza della popolazione, anche con mascherine meno efficaci.
  • Per aumentare l’aderenza della popolazione l’approccio più efficace è l’obbligo di indossarle in contesti specifici (es. mezzi di trasporto pubblico, supermercati), o ancora meglio sempre quando si esce da casa.
  • Se è vero che, in caso di obbligo di mascherina, alcune persone tendono ad attuare comportamenti a rischio (es. violare il lockdown, lavarsi meno le mani), a livello di popolazione l’effetto preventivo non viene compromesso.
  • Le analisi economiche dimostrano che ogni singola mascherina (dal costo trascurabile) indossata da una persona potrebbe generare enormi benefici economici e salvare molte vite.
  • Tenendo conto delle difficoltà di approvvigionamento e distribuzione, la scienza conferma l’opportunità del “fai da te”, perché non c’è alcuna evidenza che le mascherine debbano essere costruite con materiali o tecniche particolari.

In tal senso le indicazioni dei ricercatori sono molto chiare: “Per impedire la trasmissione di droplet puoi costruire tu stesso la mascherina: da una maglietta, un fazzoletto, una sciarpa, una bandana inserendo un tovagliolo di carta, come filtro usa e getta, tra due strati di un tessuto a maglie strette che ti permetta di respirare. Puoi lavare la mascherina di stoffa in lavatrice e riutilizzarla, esattamente come una maglietta”.

«Il nuovo DPCM sulla fase 2 – conclude Cartabellotta – sottolinea la necessità di mantenere la distanza di almeno un metro in qualsiasi contesto ci si trovi e dispone l’obbligo della mascherina in tutti i luoghi pubblici dove non è possibile mantenere il distanziamento sociale. Considerato che dal 4 maggio i contatti sociali aumenteranno progressivamente, al fine di ridurre il rischio di contagio è indispensabile la massima aderenza della popolazione, favorita dai prezzi calmierati e dalla possibilità di autoproduzione».

L’articolo “Mascherina per tutti? La scienza dice sì” è disponibile a: www.evidence.it/mascherine


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23 aprile 2020
Coronavirus, fase 2: i numeri impongono massima prudenza. Nell’ultima settimana +22.172 casi di cui 3.440 morti

NELLA SETTIMANA 15-22 APRILE SI CONFERMA L’ULTERIORE RIDUZIONE DEL SOVRACCARICO DI OSPEDALI E TERAPIE INTENSIVE, MA A 10 GIORNI DALL’AVVIO DELLA FASE 2 I RISULTATI SUL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO NON SONO OTTIMALI, NÈ STABILIZZATI COME RACCOMANDA LA COMMISSIONE EUROPEA. OVVERO I NUMERI INVITANO ALLA MASSIMA CAUTELA, SIA PERCHÉ ALCUNE REGIONI E NUMEROSE PROVINCE SONO ANCORA IN PIENA FASE 1, SIA PERCHÉ GLI EVENTUALI EFFETTI NEGATIVI DELLE RIAPERTURE SI VEDRANNO SOLO DOPO 2-3 SETTIMANE.

Il Presidente Conte martedì 21 aprile ha riferito in Senato sul programma di progressive riaperture di attività produttive e commerciali omogeneo per tutto il territorio nazionale, che secondo alcune indiscrezioni potrebbe partire già dal 27 aprile. Il Premier ha assicurato che l’avvio della fase 2 manterrà sotto controllo la curva del contagio, precisando che la soglia deve essere “commisurata alla recettività delle strutture ospedaliere delle aree di riferimento”.

«Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE sulle variazioni settimanali – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – documenta un trend in ulteriore miglioramento sul versante ospedaliero, in particolare sulle terapie intensive, ma non ancora sul numero di contagi e decessi». In sintesi, nella settimana 15-22 aprile rispetto alla precedente (figure 1, 2, 3, 4):

  • Casi totali: +22.172 (+13,4%)
  • Decessi: +3.340 (+15,9%)
  • Ricoverati con sintomi: -3.838 (-13,9%)
  • Terapia intensiva: -695 (- 22,6%)

Se la Commissione Europea nella roadmap per la ripartenza ha ribadito che è “fondamentale ridurre e stabilizzare il numero di ricoveri e/o dei nuovi casi per un periodo di tempo prolungato”, a 10 giorni dall’avvio della fase 2 il numero dei nuovi casi in Italia rimane elevato e non ha affatto raggiunto nessuna stabilizzazione prolungata.

«Se il parametro per la, seppur graduale, riapertura – conclude Cartabellotta –è il decongestionamento di ospedali e terapie intensive siamo quasi pronti; ma se non vogliamo rischiare una nuova impennata dei casi i numeri impongono la massima prudenza, sia perché alcune Regioni e numerose Province sono ancora in piena fase 1, sia perché gli eventuali effetti negativi della riapertura si vedranno solo dopo 2-3 settimane».


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20 aprile 2020
Coronavirus: pianificazione scientifica della fase 2. Osservare Regioni e Province sotto la stessa lente

LA GRADUALE RIAPERTURA DEL PAESE DOVREBBE ESSERE GUIDATA DA CRITERI SCIENTIFICI CHE TENGANO CONTO DI NUMEROSE VARIABILI AL FINE DI RIDURRE AL MINIMO IL RISCHIO DI UNA NUOVA IMPENNATA DI CASI. PER LA SUDDIVISIONE DEL PAESE IN AREE GEOGRAFICHE A DIFFERENTE LIVELLO DI RISCHIO, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA UN MODELLO UNIVOCO PER MAPPARE E MONITORARE L’EVOLUZIONE DEL CONTAGIO A LIVELLO REGIONALE E PROVINCIALE. LA FOTOGRAFIA SCATTATA IL 19 APRILE INVITA A MANTENERE ALTA L’ALLERTA AUSPICANDO UN CONSISTENTE RALLENTAMENTO DEL CONTAGIO NELLE PROSSIME DUE SETTIMANE.

Il Governo sta pianificando l’avvio della “fase 2” che dovrebbe partire dal 4 maggio. Il Premier Conte ha annunciato un piano nazionale, con linee guida omogenee per tutte le Regioni, che prenda in considerazione tutela della salute ed esigenze produttive.

«La fase 2 – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – deve essere guidata da criteri scientifici oggettivi condivisi tra Governo, Regioni ed enti locali, tenendo in considerazione i rischi legati a cinque variabili: attività produttive, libertà individuali, mezzi di trasporto, rischio di specifici sottogruppi di popolazione in relazione all’età e patologie concomitanti ed evoluzione del contagio nelle diverse aree geografiche». Su quest’ultimo aspetto, dalle prime indiscrezioni le riaperture sarebbero differenziate in relazione alla diffusione dei casi in tre macro-aree: Nord, Centro e Sud.

«La Fondazione GIMBE – dichiara Cartabellotta – pubblica oggi un modello dinamico per mappare e monitorare l’evoluzione del contagio a livello regionale e provinciale, al fine di fornire uno strumento univoco per informare le decisioni di Governo e Regioni troppo spesso concentrate sulle variazioni giornaliere che alimentano facili ottimismi sui tempi di riapertura e sottostimano i rischi in aree con pochi casi ma ad elevata prevalenza».

Considerato che per rallentare la diffusione del virus occorre ridurre in maniera costante la crescita percentuale dei casi, in particolare se la prevalenza aumenta, il modello GIMBE si basa su due variabili:

  • Prevalenza (casi totali per 100.000 abitanti): misura la “densità” dei casi confermati nella popolazione e rappresenta anche una stima indiretta dei contagi non noti.
  • Incremento percentuale dei casi totali: misura la “velocità” con cui si diffonde il virus. Tale valore viene calcolato su un arco temporale settimanale, viste le notevoli fluttuazioni dei dati giornalieri.

Utilizzando come “spartiacque” i valori medi nazionali di prevalenza e incremento percentuale le Regioni si posizionano in un grafico suddiviso in quattro quadranti (figura 1):

  • Verde: rappresenta l’area “fredda” con bassa prevalenza e basso incremento %.
  • Arancione: è l’area in corso di “riscaldamento”, con una prevalenza ancora bassa, ma un incremento percentuale elevato.
  • Rosso: rappresenta l’area “calda” caratterizzata da alta prevalenza che viene alimentata dall’elevato incremento % dei casi.
  • Giallo: rappresenta l’area in corso di “raffreddamento”, caratterizzata da un’alta prevalenza alimentata nelle settimane precedenti e da un incremento percentuale in corso di riduzione.

Considerato che la posizione di ciascuna Regione consegue a differenti dinamiche locali, la Fondazione GIMBE ha elaborato analoghi grafici regionali, che vedono le province distribuirsi in relazione ai valori medi regionali di prevalenza e di incremento percentuale (es. Regione Lombardia: figura 2).

«Questo modello – continua Cartabellotta – non ha l’obiettivo di stilare una classifica tra Regioni, ma solo di posizionarle e monitorarle nel tempo rispetto alla media nazionale di due variabili che condizionano l’evoluzione dell’epidemia». Ovvero, la distribuzione delle Regioni secondo il modello GIMBE dimostra che ad oggi la suddivisione del Paese in tre macro-aree (Nord, Centro, Sud) non riflette il rischio di evoluzione del contagio. Infatti:

  • Regioni del Nord: si posizionano quasi tutte nei due quadranti di destra (rosso, giallo) per l’elevata prevalenza, ma presentano diversi valori di incremento percentuale: dal 12,2% di Lombardia ed Emilia-Romagna al 26,4% del Piemonte. Il Friuli-Venezia Giulia si colloca invece nell’area verde.
  • Regioni del Centro: si collocano quasi tutte nei due quadranti di sinistra (arancione, verde) con incrementi percentuali che vanno dal 2,2% dell’Umbria al 18,8% del Lazio. Le Marche si collocano invece nell’area gialla.
  • Regioni del Sud, isole incluse: si trovano tutte nel quadrante verde, ad eccezione della Puglia che si posiziona nel quadrante arancione con un incremento percentuale del 18,1%.

«In generale – continua Cartabellotta – la fotografia scattata a 2 settimane dalla possibile riapertura non è affatto rassicurante perché gli incrementi percentuali negli ultimi 7 giorni sono ancora molto elevati anche nelle Regioni che si trovano nel quadrante verde, fatta eccezione per l’Umbria».

«Al di là delle indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni – conclude Cartabellotta – i criteri con cui il Governo ridisegnerà la mappa dell’Italia per l’avvio e il monitoraggio della “fase 2” non sono ancora noti. Il modello proposto dalla Fondazione GIMBE permette di applicare la stessa unità di misura a livello nazionale, regionale e provinciale, sia al fine di consentire una “personalizzazione” degli interventi di allentamento o restrizione, sia di evitare valutazioni locali finalizzate a improprie fughe in avanti che rischiano di danneggiare la salute pubblica».

Download figure "COVID-19. Posizionamento posizionamento delle Regioni e delle province della Regione Lombardia in relazione aprevalenza e ad incremento percentuale dei casi(settimana 12-19 aprile)"


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16 aprile 2020
Coronavirus: il contagio non è sotto controllo. Nell’ultima settimana + 25.733 casi di cui 3.976 morti

LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE IMPOSTE DAI DECRETI “#IORESTOACASA” E “CHIUDI ITALIA” HANNO RIDOTTO IL SOVRACCARICO DEGLI OSPEDALI E SOPRATTUTTO DELLE TERAPIE INTENSIVE. MA SUL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO I RISULTATI NON SONO AFFATTO RASSICURANTI E INVITANO ALLA MASSIMA CAUTELA. DALLA FONDAZIONE GIMBE UN’ANALISI DELLE POSSIBILI CAUSE PER INFORMARE LE ISTITUZIONI SUI PARAMETRI PER AVVIARE LA “FASE 2”, E PER SENSIBILIZZARE DECISORI, DATORI DI LAVORO E POPOLAZIONE SU INEFFICIENZE E RESPONSABILITÀ

«L’efficacia delle misure di distanziamento sociale sul contenimento dell’epidemia – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dipende da tre fattori: tempestività, intensità e aderenza della popolazione. Di conseguenza, per valutare gli effetti dei decreti “#IoRestoACasa” e “Chiudi Italia”, bisogna anzitutto essere consapevoli che siamo partiti in ritardo, che il lockdown non è stato affatto totale e che l’aderenza della popolazione è stata buona, ma non eccellente, a giudicare dal numero delle sanzioni elevate nel corso dei controlli».

Secondo la roadmap lanciata ieri dalla Commissione Europea per la ripartenza è fondamentale ridurre e stabilizzare il numero di ricoveri e/o dei nuovi casi per un periodo di tempo prolungato. «Di conseguenza – rileva Cartabellotta – una programmazione scientifica della “fase 2” non può inseguire i numeri del giorno, ma deve osservare almeno le variazioni settimanali». E in tal senso i dati degli ultimi 7 giorni sui contagi non sono affatto incoraggianti: se, infatti, si è ridotto il numero dei pazienti ricoverati con sintomi (-3,0%) e soprattutto di quelli in terapia intensiva (-16,6%), si rileva un aumento dei casi totali del 18,0% (+25.733), di cui 3.976 decessi (+22,5%) (figure).

«Considerato che la riduzione dei nuovi casi sembra inferiore a quanto atteso – continua il Presidente – la Fondazione GIMBE ha effettuato una revisione di evidenze scientifiche e narrative per identificare le possibili motivazioni, con il duplice obiettivo di informare le Istituzioni sui parametri per avviare la “fase 2” e di sensibilizzare decisori della sanità, datori di lavoro e popolazione sulle proprie responsabilità». In particolare, sono state identificate due macro-categorie di motivazioni:

Identificazione di casi in sottogruppi di popolazione non adeguatamente esplorati. È funzione diretta del maggior numero numero di tamponi eseguiti tra gli operatori sanitari, gli ospiti di residenze per anziani e case di riposo, i detenuti negli istituti penitenziari, oltre che di una tracciatura dei contatti più efficace e del crescente numero di casi oligo/asintomatici identificati sul territorio.

Ridotta efficacia delle misure di distanziamento sociale: consegue a differenti motivazioni in parte non prevenibili (ruolo dei soggetti asintomatici), in parte a carenze sanitarie (insufficiente tracciatura dei contatti, isolamento domiciliare inadeguato), oltre che a misure inadeguate sui luoghi di lavoro e negli spazi chiusi, inclusi mezzi di trasporto, e a comportamenti individuali impropri.

  • Contagi da:
    • soggetti asintomatici non noti
    • casi non identificati per insufficiente tracciatura dei contatti
    • persone conviventi in isolamento domiciliare: isolamento inadeguato o troppo breve
  • Contagi sui luoghi di lavoro che non hanno implementato adeguatamente i protocolli di sicurezza
  • Contagi sui mezzi di trasporto
  • Contagi da operatori sanitari, soprattutto in contesti non ospedalieri (residenze per anziani, case famiglia, assistenza domiciliare)
  • Contagi da persone infette che hanno violato la quarantena

In tutti i contesti regionali e locali dove il controllo dei nuovi casi risulta inadeguato tutte queste casistiche dovrebbero essere attentamente monitorate al fine di mettere in atto le opportune contromisure.

«Nonostante il contagioso entusiasmo per l’avvio della “fase 2” – conclude Cartabellotta – serve la massima prudenza: se oggi, infatti, ospedali e terapie intensive iniziano a “respirare”, i numeri confermano che la curva dei contagi non è affatto sotto controllo ed il rischio di una nuova impennata dei casi è sempre in agguato».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org


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10 aprile 2020
Coronavirus: i falsi guariti in Lombardia. GIMBE chiede di mettere fine alle ambiguità

La Regione Lombardia non trasmette il numero dei soggetti guariti, ma solo dei dimessi. Questi casi nel report della Protezione Civile vengono conteggiati tra i guariti, con conseguente distorsione della comunicazione pubblica sull’andamento dell’epidemia da coronavirus (figura). 

«Nonostante l’appello della Fondazione GIMBE – dichiara il Presidente Nino Cartabellotta – dopo un’analisi sui dati relativi ai soggetti guariti trasmessi da 8 Regioni realizzata in collaborazione con YouTrend, il resoconto giornaliero inviato dalla Lombardia alla Protezione Civile e le modalità con cui questa conteggia i casi rimangono invariati».

Ieri 9 aprile 2020, il tracciato della Regione Lombardia riportava nell’area verde:

  • 15.706 casi con “con almeno un passaggio in ospedale (anche solo in pronto soccorso) dichiarati dimessi/non ricoverati dagli ospedali lombardi. Questi pazienti sono in isolamento domiciliare fino a che non saranno dichiarati guariti”. In altre parole, la Lombardia dichiara esplicitamente che si tratta di casi che non possono essere considerati guariti
  • 16.042 “persone per cui non si rileva nessun passaggio in ospedale”

Nel report ufficiale della Protezione Civile:

  • 15.706 casi, che la Lombardia dichiara “in isolamento domiciliare”, vengono inseriti nella colonna “Dimessi/Guariti” per poi confluire nel “Totale Guariti”.
  • 16.042 vengono correttamente riportati nella colonna “Isolamento domiciliare”.

Considerato che:

  • il 55,2% del “Totale Guariti” in Italia proviene dalla Lombardia (15.706/28.470);
  • la maggior parte delle altre Regioni trasmettono i dati utilizzando i criteri di guarigione clinica e virologica definiti dal Comitato Tecnico Scientifico;

al fine di eliminare questa indebita distorsione dei casi guariti, la Fondazione GIMBE chiede:

  • alla Protezione Civile e al Ministero della Salute di non conteggiare più tra i “Guariti” i casi che la stessa Regione Lombardia dichiara “in isolamento domiciliare”;
  • alla Regione Lombardia di allinearsi alle altre Regioni sulle modalità per riportare i casi “Guariti”.

«La sovrastima del numero dei casi guariti – conclude Cartabellotta – condiziona la percezione pubblica sull’andamento dell’epidemia e influenza le decisioni sanitarie e politiche. In particolare, la pianificazione della “fase 2” deve essere informata da dati reali, evitando qualsiasi distorsione che induce decisioni finalizzate a tutelare interessi economici, piuttosto che la salute delle persone».

Il monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org
 


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8 aprile 2020
Coronavirus: verso la fase 2. Rischioso allentare misure prima di fine maggio

LE IMMINENTI DECISIONI DEL GOVERNO SU UN ALLENTAMENTO DELLE MISURE DI CONTENIMENTO NON POSSONO PRESCINDERE DA ALCUNE DOMANDE CRUCIALI: È POSSIBILE PREVEDERE IL GIORNO DEL CONTAGIO ZERO? QUALI RISULTATI HANNO OTTENUTO LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE? I NOSTRI RISULTATI SONO IN LINEA CON QUELLI DELLA CINA? DALLA FONDAZIONE GIMBE RISPOSTE BASATE SUI DATI E UN MODELLO PREDITTIVO PER INFORMARE UNA DELLE DECISIONI PIÙ DIFFICILI DELLA STORIA DELLA REPUBBLICA

Il quadro progressivamente meno funesto offerto dal bollettino giornaliero della Protezione Civile e l’imminente scadenza del decreto “Chiudi Italia” fissata per il 13 aprile hanno acceso il dibattito sull’avvio dell’agognata “Fase 2”, ovvero tempi e modi per allentare il lockdown. Dal vertice di ieri tra il Governo e il Comitato Tecnico Scientifico è emersa una linea di “gradualità e prudenza”, con l’ipotesi di una “Fase 2” in due step: il primo riguarderebbe piccole aperture per le attività produttive, il secondo la rimodulazione delle misure per spostamenti e uscite.

 

Ma cosa dicono oggi i dati? L’andamento dell’epidemia in Italia permette di programmare un allentamento delle misure? Con quali rischi?

«La Fondazione GIMBE – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – ha deciso di rendere pubblici i risultati delle proprie analisi indipendenti per offrire alcune risposte, utili ad informare le decisioni politiche ed aumentare la consapevolezza della popolazione in un momento estremamente delicato della gestione dell’epidemia nel nostro Paese».

È POSSIBILE PREVEDERE IL GIORNO DEL “CONTAGIO ZERO”?  Nell’impossibilità di prevedere il giorno in cui non ci sarà alcun nuovo caso, la Fondazione GIMBE pubblica il proprio modello predittivo che ha ormai raggiunto un’adeguata stabilità (figura 1). Il modello è stato elaborato con l’analisi della regressione utilizzando 2 variabili: l’incremento percentuale dei nuovi casi e il tempo espresso in giorni. Il modello prevede che il 16 aprile l’aumento dei casi scenderà al 2%, il 27 aprile all’1%, il 7 maggio allo 0,5% e il 2 giugno allo 0,1%, soglia utilizzata ad Hubei per allentare le misure. «Il modello – spiega Cartabellotta – viene aggiornato quotidianamente e deve sempre essere maneggiato con cautela perché l’andamento dei contagi potrebbe essere influenzato da variabili non considerate, spesso differenti nelle varie Regioni: insorgenza di nuovi focolai, numero di tamponi effettuati, aderenza alle misure di distanziamento sociale, sovraccarico degli ospedali».

QUALI RISULTATI HANNO OTTENUTO LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE?

  • Nuovi casi: nell’ultima settimana l’incremento medio giornaliero è stato del 3,9%, con trend in progressiva riduzione dal 4,5% al 2,3% (figura 2).
  • Rispetto alle categorie di casi riportati dalla Protezione Civile (figura 3):
    • Pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva: il crescente decongestionamento degli ospedali è il dato che infonde maggiore ottimismo (figura 4).
    • Isolamento domiciliare: il numero è in continuo aumento grazie ad una più efficace identificazione dei contatti e di casi sempre meno gravi.
    • Guariti: il numero aumenta, ma risulta sovrastimato perché vengono conteggiati in questa categoria i casi della Regione Lombardia dimessi dall’ospedale, senza informazioni sul loro status di guarigione clinica o virologica (ieri 59,4% dei “guariti”).
    • Deceduti: la curva continua a salire con una minima flessione negli ultimi 2-3 giorni.

I RISULTATI ITALIANI SONO IN LINEA CON QUELLI DELLA CINA? Il confronto è stato effettuato con la provincia di Hubei che conta 58,5 milioni di abitanti ed ha avuto una modalità di espansione iniziale dell’epidemia simile a quella italiana. Le curve di crescita dei contagi (figura 5) dimostrano che i risultati delle misure attuate in Italia sono ben lontani da quelli ottenuti in Cina. «Questa differenza – spiega Cartabellotta – è dovuta almeno a tre motivazioni: da noi misure non tempestive, meno rigorose e più frammentate e minore aderenza della popolazione».

«Il ruolo dei dati nelle decisioni politiche – continua Cartabellotta – dipenderà da quali indicatori sceglierà il Governo per stabilire criteri, tempi e modalità per l’avvio graduale della “Fase 2”, nella consapevolezza che, a differenza della Cina, non siamo in condizioni di applicare una sistematica tracciatura dei contatti tramite tecnologie avanzate e che i test sierologici non permettono ancora di fornire alcun “patentino di immunità”».

In sintesi, le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE suggeriscono che:

  • La curva del contagio è rallentata, ma l’aumento dei nuovi casi è ancora rilevante.
  • Le misure di distanziamento sociale hanno alleggerito il carico sugli ospedali, ma il loro effetto sul numero totale dei casi è ancora modesto
  • L’allentamento delle misure dovrà essere graduale e differenziato per tipologia di intervento e, ove possibile, “personalizzato” nelle varie Regioni monitorando strettamente l’insorgenza di nuovi focolai.  
  • Se nelle prossime settimane sarà confermato il rallentamento dei nuovi casi, con una certa dose di spavalderia la “Fase 2” potrebbe essere avviata tra fine aprile e inizio maggio, accettando il rischio di una nuova impennata dei contagi.
  • Se al contrario la linea vuole essere quella della gradualità e della prudenza, qualsiasi riapertura prima di fine maggio non si basa sulle dinamiche del contagio in Italia.

«Il Governo – conclude Cartabellotta – è chiamato a prendere una delle decisioni più difficili della storia della Repubblica, con effetti determinanti sulla nostra salute, sulle nostre libertà individuali e sull’economia del Paese. Guardando ai numeri è fondamentale conoscere quale indicatore guiderà la politica per l’attuazione della “Fase 2”: sarà, auspicabilmente, la riduzione dei contagi al di sotto di una soglia più bassa possibile? Oppure, ci si limiterà a contenere il verosimile aumento dei ricoveri e dei decessi, per il timore che la popolazione e l’economia non sono in grado di reggere un rigoroso prolungamento del lockdown?»

Il modello predittivo è quotidianamente aggiornato sul sito: https://coronavirus.gimbe.org


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2 aprile 2020
Coronavirus: la sovrastima dei casi guariti

LA FONDAZIONE GIMBE, IN COLLABORAZIONE CON YOUTREND, HA ANALIZZATO DEFINIZIONI E DISCREPANZE SUI CASI “DIMESSI/GUARITI”, CATEGORIA MOLTO ETEROGENEA CHE NELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA VIENE FATTA COINCIDERE CON LE GUARIGIONI. EMBLEMATICO IL CASO LOMBARDIA: A IERI 11.415 PAZIENTI DIMESSI DA SETTING OSPEDALIERI DI CUI NON SI CONOSCE LO STATUS CLINICO CONFLUISCONO NEL DATO NAZIONALE “DIMESSI/GUARITI” DOVE COSTITUISCONO IL  68%, SOVRASTIMANDO IL TASSO DI GUARIGIONE. LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE ALLE ISTITUZIONI DI ELIMINARE QUESTA AMBIGUA ETICHETTA, DI NON CONTEGGIARE TRA I “DIMESSI/GUARITI” I CASI CON STATUS DI GUARIGIONE NON NOTO E DISTINGUERE LE GUARIGIONI CLINICHE DA QUELLE VIROLOGICHE.

2 aprile 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

I dati ufficiali sui casi di COVID-19 comunicati in occasione della conferenza stampa quotidiana della Protezione Civile, pubblicati sulla dashboard ufficiale  e sul sito del Ministero della Salute, sono aggregati in tre macro-categorie, la cui somma corrisponde al totale dei casi riportati quotidianamente dal nostro Paese all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

  • Attualmente positivi: è la somma dei pazienti “Ricoverati con sintomi”, in “Terapia intensiva” e in “Isolamento domiciliare”.
  • Dimessi/Guariti: è un “contenitore” eterogeneo che include sia pazienti dimessi dall’ospedale (non sempre guariti), sia casi di guarigione clinica o virologica.
  • Deceduti: rimangono in attesa di conferma della causa di morte da parte dell’Istituto Superiore di Sanità che a cadenza bisettimanale pubblica il bollettino epidemiologico.

«In termini di sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – questa classificazione mira a distinguere i casi attivi (totale positivi), che possono contribuire alla diffusione dell’infezione, dai casi chiusi, ovvero i deceduti e i guariti che non possono contagiare altre persone. Se il numero dei casi chiusi è condizionato, nel bene e nel male, dalla qualità dell’assistenza sanitaria, quello dei casi attivi influenza sia le decisioni sanitarie per contenere l’epidemia, sia quelle politiche per l’eventuale rimodulazione delle misure di distanziamento sociale».

Dal monitoraggio GIMBE dei dati pubblici sono emerse alcune incongruenze, relative sia ai trend regionali dei “Dimessi/Guariti”, sia alle definizioni e alle modalità comunicative della Protezione Civile. In particolare, nella dashboard nazionale si rileva una discrepanza tra la denominazione del box “Dimessi/Guariti” e la legenda che riporta “Guariti: totale persone clinicamente guarite”. Inoltre, in calce al report quotidiano, dove vengono riportati i totali del giorno, il dato della colonna “Dimessi/Guariti” viene etichettato come “Totale guariti”.

«Di fronte a queste discrepanze – spiega Cartabellotta – abbiamo deciso di approfondire la questione con ulteriori analisi condotte in collaborazione con YouTrend, progetto digitale di informazione e analisi dati, edito dall'agenzia Quorum».

«Le nostre valutazioni – spiega Lorenzo Pregliasco, co-fondatore di YouTrend – evidenziano una notevole eterogeneità dei dati raccolti dalle Regioni e inviati alla Protezione Civile, vista anche l’assenza di un modello informatizzato univoco. Infatti, i dati sono trasmessi da ciascuna Regione con modalità diverse e i criteri sulla definizione dei casi “Dimessi/Guariti” sono estremamente variabili».

L’analisi effettuata il 1 aprile su 8 Regioni che rappresentano l’85,7% dei casi totali e il 91,6% dei “Dimessi/Guariti” comunicati dalla Protezione Civile (tabella) conferma l’estrema eterogeneità di questo “contenitore” nel quale confluiscono 4 tipologie di casi: pazienti virologicamente guariti (2 tamponi negativi a distanza di 24 ore), pazienti in via di guarigione virologica (primo tampone negativo, in attesa del risultato del secondo), pazienti guariti clinicamente (non sottoposti a tampone), pazienti “dimessi” da un setting ospedaliero senza alcuna informazione sullo stato di guarigione, sia essa clinica o virologica.

«Al fine di sanare questa misclassificazione e garantire la massima trasparenza – aggiunge Pregliasco – è indispensabile uniformare i dati comunicati dalle Regioni alla Protezione Civile, con la diffusione dei dettagli in formato open data per consentire ai ricercatori di effettuare analisi sui dati grezzi e su unità geografiche a livello di provincia e di comune».

Emblematico l’impatto del caso Lombardia. La Regione, infatti, nel bollettino quotidiano non menziona affatto il numero delle guarigioni, ma riporta solo il numero di pazienti dimessi dall’ospedale (o dal pronto soccorso) e inviati in isolamento domiciliare. Tutti questi casi (ieri 11.415, il 68% del totale) confluiscono nei “Dimessi/Guariti” del bollettino nazionale sovrastimando il tasso di guarigione. Infatti, il comunicato stampa giornaliero della Protezione Civile ieri riporta 16.847 persone guarite, dato confermato anche sul sito del Ministero della Salute.

«Al fine di non alimentare un irrealistico senso di ottimismo sul reale andamento dell’epidemia – conclude Cartabellotta – rischiando di affidare le decisioni sanitarie e politiche ad un numero che contiene anche casi ancora attivi, la Fondazione GIMBE chiede al Ministero della Salute e alla Protezione Civile di allineare la comunicazione pubblica ai criteri di guarigione clinica e virologica ribaditi  il 19 marzo dal Comitato Tecnico-Scientifico».

 

Richieste della Fondazione GIMBE al Ministero della Salute e alla Protezione Civile

  • Sostituire definitivamente l’ambigua etichetta “Dimessi/Guariti” con “Guariti”
  • I soggetti con status di guarigione non noto devono essere:
    • esclusi dal contenitore “Dimessi/Guariti”
    • riclassificati come casi attivi in isolamento domiciliare
  • Distinguere i soggetti guariti per:
    • guarigione clinica
    • guarigione virologica

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23 marzo 2020
Coronavirus: allarme operatori sanitari contagiati.A rischio salute pazienti e tenuta sanità

AL 22 MARZO L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ RIPORTA 4.824 PROFESSIONISTI SANITARI POSITIVI AL CORONAVIRUS, PARI AL 9% DEL TOTALE DEI CASI CONFERMATI. LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE DI ESTENDERE L’ESECUZIONE DEI TAMPONI A TUTTI I PROFESSIONISTI E OPERATORI SANITARI E INVITA L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ A MODIFICARE E INTEGRARE LE LINEE GUIDA NAZIONALI PER GARANTIRE LA MASSIMA PROTEZIONE DI CHI È IMPEGNATO IN PRIMA LINEA CONTRO L’EMERGENZA CORONAVIRUS.

23 marzo 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in Italia dall’inizio dell’epidemia sono 4.824 i professionisti sanitari che hanno contratto un’infezione da coronavirus, pari al 9% del totale delle persone contagiate, una percentuale più che doppia rispetto a quella della coorte cinese dello studio pubblicato su JAMA (3,8%). Peraltro, a giudicare dalle innumerevoli narrative e dalla mancata esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti e gli operatori sanitari, il numero ufficiale fornito dall’ISS è ampiamente sottostimato.

«Un mese dopo il caso 1 di Codogno – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti sanitari all’informazione alla popolazione». Tutte queste attività, inclusa la predisposizione dei piani regionali, erano previste dal “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006. «È inspiegabile – continua il Presidente – che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio».

«Inoltre la mancanza di policy regionali univoche sull’esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari, conseguente anche al timore di indebolire gli organici – spiega Cartabellotta – si è trasformata in un boomerang letale. Infatti, gli operatori sanitari infetti sono stati purtroppo i grandi e inconsapevoli protagonisti della diffusione del contagio in ospedali, residenze assistenziali e domicilio di pazienti». Per tale ragione la Fondazione GIMBE invita tutte le Regioni, sulla scia di quanto già deliberato in Emilia Romagna e Calabria, a mettere in priorità assoluta l’esecuzione di tamponi a tutti gli operatori sanitari, sia in ospedale, sia sul territorio, con particolare attenzione ai professionisti coinvolti nell’assistenza domiciliare e nelle residenze assistenziali assistite, oltre che in case di riposo.

Riguardo l’elaborazione dei protocolli regionali e locali di protezione degli operatori sanitari, l’ISS ha pubblicato il 14 marzo la seconda versione delle “Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-COV-2” che riprendono quasi interamente le raccomandazioni pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 27 febbraio 2020, senza tenere conto delle più recenti raccomandazioni dell’European Centre for Diseases Prevention and Control e dei Centers for Disease Control and Prevention.

L’analisi GIMBE del documento originale dell’OMS identifica una distorsione di fondo: le raccomandazioni si basano sul presupposto che le scorte mondiali di DPI, in particolare mascherine e respiratori medici, sono insufficienti per fronteggiare l’emergenza pandemica di COVID-19. Al contrario, le linee guida dovrebbero essere basate sulle migliori evidenze scientifiche, lasciando poi ai singoli paesi, la possibilità di definire le priorità in relazione a necessità, disponibilità ed eventuali difficoltà di approvvigionamento.

«Le raccomandazioni nazionali – sottolinea Claudio Beltramello, medico igienista, componente della faculty GIMBE, già collaboratore del Dipartimento Prevenzione e Controllo delle Malattie Infettive dell’OMS –devono indicare gli interventi più efficaci per prevenire l’infezione del personale sanitario. Se esistono difficoltà locali ad attuarle per carenza di DPI, in particolare mascherine chirurgiche e FFP2, è un altro problema. Raccomandare l’utilizzo appropriato dei DPI è fondamentale per garantirli; se invece viene legittimato che in vari scenari a rischio i DPI non servono, sarà meno probabile predisporre un adeguato piano di approvvigionamento».

«Non è accettabile dal punto di vista scientifico ed etico – ribadisce Cartabellotta – “tarare al ribasso” le raccomandazioni nazionali e, a cascata, i protocolli regionali e locali per proteggere gli operatori sanitari, visto che le conseguenze non ricadono solo sulla salute dei professionisti, ma soprattutto su quella dei pazienti, oltre che sulla tenuta del servizio sanitario».

Peraltro il documento dell’ISS contiene raccomandazioni inapplicabili in ambito ospedaliero e/o insufficienti a garantire la massima protezione degli operatori sanitari, che la Fondazione GIMBE invita pertanto a rettificare ed integrare (box). «Le evidenze scientifiche – sottolinea Beltramello – dimostrano che in setting assistenziali le mascherine chirurgiche non proteggono adeguatamente professionisti e operatori sanitari. Infatti, sin dall’inizio dell’epidemia Istituzioni ed esperti indipendenti ribadiscono che la mascherina chirurgica non conferisce sufficiente protezione ai soggetti sani che vengono a contatto con un soggetto infetto».

«Confidiamo – conclude Cartabellotta – che l’Istituto Superiore di Sanità proceda ad una revisione del documento per garantire la massima protezione di professionisti e operatori sanitari, che tutte le Regioni dispongano di effettuare i tamponi a tutti gli operatori in prima linea contro l’emergenza e che la fornitura di mascherine per medici, operatori sanitari e pazienti – annunciata ieri da Domenico Arcuri, commissario straordinario per l’emergenza coronavirus – sia adeguata secondo quanto previsto dalle le migliori evidenze scientifiche».

PROPOSTA DI MODIFICHE AL DOCUMENTO

Rapporto ISS COVID-19 n. 2/2020

“Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-COV-2”

 

AREE DI DEGENZA

Stanza di pazienti COVID-19

  • Per gli operatori sanitari che assistono pazienti con COVID-19, sostituire l’indicazione della mascherina chirurgica con quella FFP2; la mascherina chirurgica può essere un’opzione di seconda scelta solo se anche il paziente è in grado di indossarla, circostanza poco probabile perché molti pazienti ricoverati hanno distress respiratorio.
  • Per gli operatori sanitari che eseguono i tamponi oro-faringei raccomandare la mascherina FFP2. Estendere la raccomandazione anche a setting diversi dalla stanza di degenza dei COVID-19 positivi, visto che il tampone si esegue soprattutto su casi sospetti, che non sono già ricoverati in stanze dedicate.

 

Altre aree di transito e trasporto interno dei pazienti

  • Raccomandare la mascherina chirurgica al personale addetto ai trasporti interni in tutte le aree di transito/reparti e la FFP2 se il transito prevede partenza/arrivo/passaggio in aree COVID-19 positivi.
  • Tutti i pazienti trasportati dovrebbero indossare la mascherina chirurgica, se tollerata, per ridurre il rischio di contagio durante il trasporto.

 

Triage

  • Eliminare o modificare tutte le raccomandazioni che prevedono di mantenere la distanza di un metro, in quanto inapplicabili nelle attività di triage che prevedono il contatto con i pazienti.
  • Pazienti: sostituire “sintomi respiratori” con “sintomi compatibili con infezione da SARS-COV2” (es. febbre e/o tosse e/o mal di gola e/o congiuntivite e/o distress respiratorio).
  • Raccomandare l’uso di mascherine chirurgiche, ad eccezione degli operatori che lavorano dietro al vetro con interfono.
  • Prevedere una raccomandazione specifica per gli operatori che effettuano il triage e la valutazione a diretto contatto con i pazienti, per i quali deve essere indicato l’uso della mascherina FFP2.

 

AMBULATORI OSPEDALIERI E DEL TERRITORIO NEL CONTESTO DI COVID-19

Ambulatori

  • Operatori sanitari: raccomandare l’utilizzo della mascherina FFP2 per gli operatori (es. medici di medicina generale) che visitano pazienti con sintomi sospetti di COVID-19.
  • Pazienti: sostituire “sintomi respiratori” con “sintomi compatibili con infezione da SARS-COV2” (es. febbre e/o tosse e/o mal di gola e/o congiuntivite e/o distress respiratorio).

 

Triage

  • Operatori sanitari: eliminare la raccomandazione di rispettare la distanza di almeno 1 metro in quanto inapplicabile e raccomandare almeno la mascherina chirurgica.
  • Prevedere una raccomandazione specifica per gli operatori che effettuano il triage e la valutazione a diretto contatto con i pazienti, per i quali deve essere indicato l’uso della mascherina FFP2.

 

 

AMBULANZA O MEZZI DI TRASPORTO

Operatori sanitari

  • Indicare FFP2 se si trasportano pazienti con COVID-19; prevedere in alternativa la mascherina chirurgica solo se anche il paziente è in grado di indossarla in quanto stabile, ovvero non si prevede che debba essere tolta durante il trasporto per somministrargli ossigeno o eseguire manovre.

Autisti

  • Raccomandare l’utilizzo della mascherina chirurgica anche in caso di abitacolo separato visto che aiutano a caricare e scaricare i pazienti e la distanza di un metro non può essere garantita. Per gli autisti prevedere una mascherina FFP2 a disposizione nel mezzo da indossare in caso debbano aiutare l’operatore sanitario a gestire una crisi respiratoria di un paziente positivo trasportato.

 

ULTERIORI RACCOMANDAZIONI SUGGERITE

  • In tutte le aree di degenza dove si presuppone che i pazienti siano COVID-19 negativi dovrebbe essere raccomandato l’utilizzo sistematico della FFP2 o, se non disponibile, della mascherina chirurgica da parte di tutti gli operatori sanitari. Infatti, la maggior parte delle epidemie ospedaliere che hanno coinvolto i professionisti sanitari sono partite da unità operative non dedicate a pazienti COVID-19 positivi (es. ginecologia, geriatria, medicina interna, ortopedia, neurologia, etc.). Di conseguenza, è necessario considerare potenzialmente infetto ogni paziente ospedalizzato per altre patologie e prevedere la protezione dei professionisti di aree non COVID-19, secondo il concetto di precauzione universale.
  • In aree geografiche ad elevata endemia sarebbe opportuno prevedere l’uso della mascherina chirurgica per tutti i pazienti che accedono a qualsiasi setting sanitario, sia ospedaliero che territoriale.

 


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18 marzo 2020
Coronavirus 25 giorni dopo: i numeri rispondono ai dubbi degli italiani e esortano l’Europa a non perdere altro tempo

DALLE ANALISI INDIPENDENTI DELLA FONDAZIONE GIMBE SULL’EPIDEMIA DI COVID-19 EMERGONO ALCUNE CERTEZZE: GRAVITÀ E TASSO DI LETALITÀ SONO AMPIAMENTE SOVRASTIMATI PERCHÈ CI SONO ALMENO 100.000 CASI, DI CUI 70.000 NON IDENTIFICATI. I TASSI DI LETALITÀ IN LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA, PROSSIMI AL 10%, DOCUMENTANO UN SOVRACCARICO DEGLI OSPEDALI. LE REGIONI DEL SUD SONO QUELLE CHE POSSONO BENEFICIARE AL MEGLIO DELLE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE AL FINE DI EVITARE UN DISASTRO SANITARIO. INACCETTABILI I TENTENNAMENTI E RITARDI DI EUROPA E USA CHE DEVONO AFFRONTARE LA STESSA BATTAGLIA DELL’ ITALIA

17 marzo 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Dal 21 gennaio 2020 la Fondazione GIMBE alimenta con i dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Protezione Civile una dataroom per attività indipendenti di ricerca e divulgazione.

«Abbiamo da sempre ritenuto – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che le attività di un’organizzazione indipendente finalizzate a informare il Paese sulla salute, l’assistenza sanitaria e la ricerca biomedica possono determinare grandi benefici sociali ed economici. Ecco perché abbiamo convogliato i nostri sforzi su analisi dei dati e comunicazione dell’epidemia da coronavirus».

A poco più di 3 settimane dal primo caso di Codogno, la Fondazione GIMBE risponde con i dati ai quesiti più frequenti e rilevanti di cittadini, decisori, professionisti sanitari e media.

Gravità della COVID-19. Il quadro restituito dai dati ufficiali spaventa gli italiani che percepiscono una patologia molto grave (figura 1). L’aggiornamento del 16 marzo (che non include i dati della Puglia e della Prov. Aut. di Trento), riporta 27.980 casi: 1.851 (6,6%) pazienti in terapia intensiva; 11.025 (39,4%) ricoverati con sintomi; 10.197 (36,4%) in isolamento domiciliare; 2.749 (9,8%) dimessi guariti; 2.158 i decessi (7,7%). «Questa distribuzione di gravità della malattia – spiega il Presidente – appare molto più severa di quella cinese: infatti, lo studio condotto sulla coorte cinese e  pubblicato su JAMA riportava 44.415 casi confermati di cui 81% lievi, 14% severi (ospedalizzati) e 5% critici (in terapia intensiva), con un tasso grezzo di letalità del 2,3%».

Considerato che in Italia i tamponi vengono effettuati prevalentemente sui soggetti sintomatici, la gravità di COVID-19 è ampiamente sovrastimata perché vediamo solo la punta dell’iceberg. «Assumendo una distribuzione di gravità della malattia sovrapponibile a quella delle coorte cinese – spiega Cartabellotta – si può ipotizzare che la parte sommersa dell’iceberg contenga oltre 70.000 casi lievi/asintomatici non identificati». Prendendo in considerazione questi casi, la casistica italiana si “ricompone” riducendo la percentuale di pazienti ricoverati e in terapia intensiva (figura 2), oltre che del tasso di letalità che si riallinea a quello della coorte cinese.

«La sottostima del numero totale dei contagiati – continua il Presidente – se da un lato può attenuare le preoccupazioni sulla gravità della COVID-19, dall’altro non deve in alcun modo fare abbassare la guardia. Tutti dobbiamo essere consapevoli della necessità di rimanere a casa e di applicare rigorosamente tutte le misure di distanziamento sociale imposte dal Governo con l’obiettivo di ridurre la circolazione del virus, di evitare il contagio di altre persone, in particolare di soggetti anziani e fragili, al fine di evitare il sovraccarico degli ospedali».

Tasso di letalità della COVID-19. Oltre che dall’esecuzione dei tamponi prevalentemente ai soggetti sintomatici, viene anche sovrastimato dai soggetti positivi deceduti per altre cause, per i quali si deve attendere la conferma della causa di morte dall’Istituto Superiore di Sanità. In ogni caso, il tasso grezzo di letalità ieri ha raggiunto il 7,7%, con ampie variabilità regionali: in particolare è del 9,8% in Emilia Romagna e 9,7% in Lombardia, rispetto al 4% nelle altre Regioni (figura 3). «Questo dato – spiega Cartabellotta – rappresenta una spia rossa sul sovraccarico degli ospedali, in particolare delle terapie intensive, allineando i numeri alla narrativa di chi lavora in prima linea».

Diffusione del coronavirus in Italia. Il vertiginoso aumento giornaliero dei casi genera un’attesa spasmodica del momento in cui sarà raggiunto il picco. Al di là dei numeri assoluti, bisogna tenere d’occhio l’incremento percentuale dei nuovi casi che, dopo alcuni zig-zag iniziali, nelle ultime 2 settimane si è attestato intorno al 20-25% (figura 4), ovvero ogni 4-5 giorni si è raddoppiato il numero di casi (il dato di ieri del 13% non è definitivo). Tuttavia, le modalità di diffusione dell’epidemia in Italia permettono di identificare 4 “contenitori” con dinamiche differenti: Lombardia; Emilia Romagna e Veneto; Regioni confinanti; tutte le altre Regioni. I 4 “contenitori” hanno un’impennata della curva molto simile, ma ritardata di 4-5 giorni l’uno rispetto all’altro (figura 5). «Se da un lato – spiega il Presidente – il numero di casi limitati nelle “altre Regioni”, prevalentemente del centro-sud, genera un pericoloso e fallace senso di tranquillità, dall’altro rappresenta un grande vantaggio per ridurre la circolazione del virus grazie alle misure di distanziamento sociale che in quelle regioni sarebbero molto più tempestive».

Diffusione del coronavirus in Europa. La recente impennata dei casi in Spagna, Francia, Germania, dimostra che per tutti i paesi europei la battaglia è analoga a quella italiana, con un ritardo di 7-9 giorni (figura 6) «Tutti i paesi hanno avuto la possibilità di giocare d’anticipo – spiega Cartabellotta – avendo già visto il film italiano, ma hanno perseguito politiche attendiste contro un virus che si diffonde alla velocità della luce, e da cui si ritenevano immuni. Considerato che l’efficacia delle misure di distanziamento dipende dalla loro rigorosità, dalla tempestività e dall’aderenza dei cittadini, Europa, Stati Uniti e tutti i paesi del mondo, dovrebbero fare tesoro dell’esperienza (e degli errori) dell’Italia».

Modelli predittivi. Alla domanda “quando finirà?”, purtroppo è impossibile rispondere perché la validità dei modelli predittivi è influenzata da due fattori imprevedibili: la diffusione asincrona del coronavirus tra i vari paesi e l’assenza di un piano pandemico unico in Europa, dove i singoli Paesi stanno adottando differenti modalità di gestione dell’epidemia. «Le conseguenze di questo approccio frammentato – ammonisce il Presidente – sono al contrario piuttosto prevedibili. Innanzitutto, si rischia di vanificare le misure draconiane messe in atto da alcuni paesi (in primis l’Italia), a causa degli inevitabili “casi di rientro”; in secondo luogo, i picchi dell’epidemia avverranno in tempi diversi tra i vari paesi e le conseguenze saranno legate all’efficacia dei vari sistemi sanitari; infine, sarà molto più difficile predisporre misure straordinarie per fronteggiare la recessione economica se i paesi del G7 e del G20 si troveranno disallineati nella gestione dell’epidemia e delle sue conseguenze sui mercati finanziari».

«Nonostante alcuni evitabili ritardi – conclude Cartabellotta – l’Italia è sulla giusta strada per contrastare l’avanzata del coronavirus. Adesso spetta a noi tutti fare i necessari sacrifici individuali per contribuire alla tutela della salute e alla tenuta del nostro insostituibile Servizio Sanitario Nazionale. Serve molta pazienza perché è ragionevolmente certo che i tempi non saranno affatto brevi».


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6 marzo 2020
Coronavirus: le misure di distanziamento sociale sono efficaci per rallentare l’epidemia ed evitare il collasso della sanità

CORONAVIRUS: LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE SONO EFFICACI PER RALLENTARE L’EPIDEMIA ED EVITARE IL COLLASSO DELLA SANITÀ

IN ASSENZA DI UN VACCINO, LE MISURE DI DISTANZIAMENTO SOCIALE SONO L’UNICA RISPOSTA POSSIBILE ALL’EMERGENZA CORONAVIRUS: ISOLAMENTO DEI MALATI, QUARANTENA DEI SOGGETTI ESPOSTI, TRACCIATURA DEI CONTATTI, CHIUSURA DELLE SCUOLE, MISURE PER GLI AMBIENTI DI LAVORO E DIVIETO DI ASSEMBRAMENTI. DALLA FONDAZIONE GIMBE UNA REVISIONE SISTEMATICA DELLE PROVE DI EFFICACIA DI QUESTI INTERVENTI PER INFORMARE SCELTE POLITICHE, DECISIONI DI AMMINISTRATORI LOCALI E COMPORTAMENTI DEI CITTADINI. LA CHIAVE DEL SUCCESSO? ATTUAZIONE TEMPESTIVA DELLE MISURE ED ELEVATA ADERENZA DA PARTE DELLA POPOLAZIONE.

6 marzo 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il 4 marzo il Presidente del Consiglio Conte ha firmato un nuovo DPCM che prevede misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza da COVID-19 valide sull’intero territorio nazionale. Misure drastiche e impopolari che hanno subito scatenato il dibattito scientifico e politico: la miccia si è accesa alla notizia che il Comitato Tecnico-Scientifico istituito dalla Protezione Civile avrebbe espresso parere contrario alla sospensione delle attività scolastiche, una misura considerata priva di efficacia in assenza di evidenze scientifiche a supporto.

«Le infezioni da virus influenzali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – si diffondono prevalentemente tramite stretto contatto nelle comunità e in assenza di un vaccino per il COVID-19 le misure di distanziamento sociale sono l’unica arma a nostra disposizione per contrastare l’epidemia». Queste misure infatti, riducendo la trasmissione del virus, ritardano il picco dell'epidemia, ne riducono l’entità e distribuiscono i casi su un arco temporale più lungo per consentire al sistema sanitario di prepararsi adeguatamente e consentire una migliore gestione dei casi sintomatici (figura).

Per fornire una base scientifica al dibattito in corso, oltre che per informare ulteriori scelte politiche, la Fondazione GIMBE ha tradotto e adattato una revisione sistematica pubblicata lo scorso 2 febbraio sulla rivista dei Center for Disease and Control and Prevention (CDC). La revisione analizza le prove di efficacia relative a sei misure per contrastare le pandemie influenzali: isolamento domiciliare dei malati, quarantena dei soggetti esposti, tracciatura dei contatti, misure relative alle scuole e agli ambienti di lavoro e divieto di assembramenti di persone.

Isolamento domiciliare dei malati: 15 studi documentano un’efficacia moderata nel ridurre la trasmissione e l’impatto dell’epidemia. Presupponendo un’elevata aderenza da parte dei soggetti sintomatici, l'isolamento volontario domiciliare potrebbe essere preferibile rispetto ad altre misure di protezione personale. «Due aree di incertezza sul COVID-19 – spiega il Presidente – condizionano la durata del periodo di isolamento volontario: la durata dell'infettività e l’entità della trasmissione da parte dei casi lievi o asintomatici».

Quarantena dei soggetti esposti: 16 studi documentano un’efficacia moderata nel ridurre la trasmissione e l’impatto dell’epidemia. Tuttavia, identificare tempestivamente i casi e i loro contatti stretti può essere complicato nelle fasi iniziali di un’epidemia e impossibile successivamente. «Peraltro – precisa Cartabellotta – la quarantena solleva rilevanti questioni etiche relative alla libertà di movimento». Di conseguenza, l’auto-quarantena sembra preferibile a quella obbligatoria nella maggior parte degli scenari, ma sulla durata ottimale non esistono evidenze scientifiche.

Tracciatura dei contatti: 4 studi documentano che in associazione con altre misure (es. isolamento e quarantena) può ridurre la diffusione e l’impatto dell’epidemia. «Tuttavia la tracciatura dei contatti apporta benefici marginali a fronte delle risorse necessarie – spiega Cartabellotta – perché dopo la fase iniziale dell’epidemia il numero di casi cresce esponenzialmente in poco tempo». Per questo non esiste un razionale per l'uso routinario della tracciatura dei contatti nella popolazione generale per il contenimento dell’epidemia.

Misure relative alle scuole:

  • Vacanze pianificate: 28 studi dimostrano che la diffusione dell’epidemia si riduce durante il periodo di vacanza, ma può aumentare dopo la riapertura delle scuole
  • Chiusura reattiva delle scuole: 16 studi documentano un’efficacia variabile nel ridurre la diffusione dell’epidemia quando la chiusura viene disposta dopo il verificarsi di focolai influenzali
  • Chiusura preventiva delle scuole: 13 documentano un’efficacia variabile nel ridurre la diffusione dell’epidemia

«Se fortunatamente i bambini non sembrano particolarmente suscettibili al COVID-19 – sottolinea Cartabellotta – la frequenza scolastica svolge un ruolo importante nella diffusione di tutti i virus influenzali a causa di più elevati tassi di contatto tra le persone. Infatti, numerosi studi osservazionali confermano che la trasmissione complessiva dell'influenza nella comunità si riduce quando le scuole sono chiuse». Tuttavia, l’efficacia di questo intervento è condizionata dalla tempestività e dalla durata, talora difficili da definire nel turbine di un'epidemia, tra ritardi informativi e difficoltà nell'interpretazione dei dati di sorveglianza.

Misure relative agli ambienti di lavoro: 18 studi dimostrano un’efficacia variabile nel ridurre la diffusione e l’impatto dell’epidemia. Incentivazione del telelavoro, scaglionamento dei turni, congedi retribuiti, ferie pianificate possono ridurre in parte la trasmissione all'interno della comunità, ma con un effetto minore rispetto alla chiusura delle scuole. 10 studi (tutti di simulazione) sulla chiusura dei luoghi di lavoro dimostrano un’efficacia moderata nel ridurre la trasmissione e l’impatto dell’epidemia. «Considerato che tali misure determinano conseguenze economiche rilevanti – puntualizza il Presidente – occorre identificare attentamente gli ambienti di lavoro a cui applicare gli interventi, stabilire se compensare dipendenti o aziende per eventuali perdite di reddito o produttività e evitare diseguaglianze sociali nelle fasce a basso reddito e tra i lavoratori occasionali».

Divieto di assembramenti: 3 studi documentano un’efficacia moderata nel ridurre la diffusione dell’epidemia, ma solo se l’applicazione è tempestiva e prolungata.

«Le evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – documentano l'efficacia delle misure di distanziamento sociale per ridurre l’impatto delle epidemie influenzali, in particolare quando combinate tra loro. La scelta delle misure di sanità pubblica, oltre che dalla qualità e quantità delle evidenze scientifiche, è condizionata da fattori epidemiologici, geografici, economici e sociali. In ogni caso, la loro efficacia è sempre condizionata da due fattori: attuazione tempestiva ed elevata aderenza da parte di amministratori locali e cittadini».

L’articolo “Efficacia delle misure di distanziamento sociale per contrastare le pandemie influenzali” è disponibile a: www.evidence.it/distanziamento-sociale.


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11 febbraio 2020
Coronavirus: tra numeri ufficiali e incognite vietato abbassare la guardia

LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA I CASI CONFERMATI DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ E CON ALCUNE INFOGRAFICHE OFFRE UN QUADRO AGGIORNATO E COMPLETO A DECISORI, PROFESSIONISTI SANITARI, CITTADINI E MEDIA. AD OGGI L’EPIDEMIA APPARE CONFINATA IN CINA E LA SUA DIFFUSIONE NEL RESTO DEL MONDO È BEN CONTROLLATA: PER OGNI 1.000 CASI IN CINA, 8 NEL RESTO DEL MONDO DI CUI 1 IN EUROPA. SULL’AFFIDABILITÀ DEI NUMERI UFFICIALI PESANO PERÒ ALCUNE INCOGNITE: SOTTOSTIMA DEI CASI IN CINA, ASSENZA DI SEGNALAZIONI DALL’AFRICA PER MANCANZA DEI KIT DIAGNOSTICI, INQUIETANTE SILENZIO DAL SUD-AMERICA. CRUCIALE MANTENERE TUTTE LE MISURE DI MASSIMA PRECAUZIONE PERCHÈ LA TUTELA DELLA SALUTE VIENE PRIMA DI TUTTO.

11 febbraio 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’overdose d’informazioni sul coronavirus, spesso finalizzate alla ricerca della notizia a tutti i costi, distrae dai numeri confermati dalle istituzioni internazionali, oltre che dalle dinamiche di diffusione del virus, gli unici punti di riferimento per le decisioni di sanità pubblica e per l’informazione alla popolazione. Questa asimmetria informativa ha generato una dissociazione tra la minaccia reale dell’epidemia e la sua percezione pubblica, alimentata ogni giorno da notizie irrilevanti, allarmanti, incomplete o imprecise. A ciò si aggiungono anche le discordanti interpretazioni degli esperti di dati ed evidenze scientifiche che aumentano la disinformazione e disorientano la popolazione.

«Per tali ragioni – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo deciso di pubblicare le nostre analisi sui casi confermati con le relative infografiche per fornire a decisori, professionisti sanitari, cittadini e media un quadro sintetico e completo sui numeri dell’epidemia da coronavirus, che oggi non può essere etichettata come pandemia, visto che non si tratta di un’epidemia di dimensioni globali con focolai in vari paesi anche distanti tra loro».

La Fondazione GIMBE dal 27 gennaio alimenta un database con i dati pubblicati dal report quotidiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), integrati con alcuni dettagli del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) per ciò che riguarda l’Europa. «Al fine di facilitare la comunicazione per i non addetti ai lavori – spiega il Presidente – i dati sono stati aggregati per le principali aree geografiche, privilegiando la rilevanza per il nostro Paese rispetto ai dettagli analitici, per i quali si rimanda alle fonti originali». Al 10 febbraio 2020 l’OMS riporta i seguenti dati:

CASI CONFERMATI 40.554 così distribuiti:

  • Cina: 40.235 casi (99,2% del totale) di cui:
    • Provincia di Hubei: 29.631 casi (73,1% del totale)
    • Province confinanti a Hubei: 4.234 casi (10,4% del totale)
    • Altre province: 6.370 casi (15,7% del totale)
  • Resto del mondo: 319 casi (0,8% del totale)
    • Europa: 39 casi (0,1% del totale)
    • Altri paesi: 280 casi (0,7% del totale), di cui la maggior parte nei paesi del Sud-Est asiatico (n. 143) e del Pacifico occidentale (n. 37), oltre che sulla nave Diamond Princess in quarantena al largo delle coste giapponesi (n.67).

«Questi numeri – spiega Cartabellotta – dimostrano che per ogni 1.000 casi confermati in Cina si conta 1 solo caso in Europa e 7 negli altri paesi quasi tutti vicini alla Cina. È evidente che l’affidabilità dei dati dell’OMS è condizionata da alcune incognite oggi non valutabili: verosimile sottostima dei casi in Cina, assenza di segnalazioni dall’Africa per la mancanza di kit diagnostici, silenzio totale dal Sud America».

910 DECESSI, di cui solo 1 fuori dalla Cina, nelle Filippine. «Il tasso grezzo di mortalità – precisa Cartabellotta – è del 2,2%, percentuale maggiore a quella dell’influenza stagionale in Italia, ma indubbiamente sovrastimata perché il numero dei casi in Cina potrebbe essere di gran lunga superiore».

39 CASI CONFERMATI IN EUROPA: Germania (n. 14), Francia (n. 11), Regno Unito (n. 4), Italia (n. 3), Spagna (n. 2), Belgio, Finlandia e Svezia (n. 1). I casi riportati dall’OMS includono anche i 2 della Russia che l’ECDC non conteggia tra quelli europei. 20 dei 39 casi confermati in Europa sono “importati”, ovvero diagnosticati in persone con recente storia di viaggi in Cina, mentre 12/14 in Germania, 5/6 casi in Francia e 2/4 nel Regno Unito sono classificati “contratti localmente”, ovvero in soggetti senza storia di viaggi in Cina. Al momento l’ECDC afferma che, grazie alle misure di contenimento adottate, il rischio di infezione per la popolazione europea rimane molto basso, ma sottolinea le numerose incertezze sulla trasmissione del virus e la verosimile sotto-rilevazione dei casi, in particolare quelli lievi o asintomatici.

«Ad oggi – conclude Cartabellotta – il numero e la distribuzione geografica dei casi accertati confermano che l’epidemia è contenuta in Cina, prevalentemente nella provincia di Hubei, e che la diffusione al resto del mondo è ben controllata, in particolare in Europa dove la “cintura di sicurezza” sta funzionando adeguatamente. Tuttavia, se i dati attestano che non esiste alcun motivo di allarme in Europa e in Italia, le numerose incertezze supportano sia la scelta politica della massima precauzione per tutelare la salute delle persone, sia la necessità per i cittadini di seguire le raccomandazioni del Ministero della Salute, diffidando delle notizie sensazionalistiche perché la paura individuale può alimentare il panico collettivo, oggi molto più pericoloso del coronavirus».

Tutte le infografiche GIMBE sono disponibili a: www.gimbe.org/coronavirus.


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3 febbraio 2020
Overdose di notizie e giostra dei numeri: virus del panico più pericoloso del coronavirus

COMUNICATO STAMPA

OVERDOSE DI NOTIZIE E GIOSTRA DEI NUMERI:
VIRUS DEL PANICO PIÙ PERICOLOSO DEL CORONAVIRUS

LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE AL MINISTRO SPERANZA DI POTENZIARE L’INFORMAZIONE ISTITUZIONALE E CEMENTARE UN PATTO CON ESPERTI E MEDIA AL FINE DI PREVENIRE INUTILI ALLARMISMI PERCHÉ L’IMPATTO DEL PANICO SULLA SANITÀ PUBBLICA RISCHIA DI ESSERE MOLTO PIÙ GRAVE DELL’EPIDEMIA DI CORONAVIRUS, AL MOMENTO BEN CONTROLLATA DALLE MISURE IN VIGORE.  
IL PAESE DEVE FARE SQUADRA PER EVITARE CHE INFORMAZIONI FALSE, IMPRECISE E INCOMPLETE OSCURINO LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE, AMPLIFICANDO DISINFORMAZIONE E PAURA. INTANTO L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ LANCIA L’ALLARME INFODEMIA.

3 febbraio 2020 - Fondazione GIMBE, Bologna

Qual è il numero degli infetti dal nuovo coronavirus? Quanti i morti? Come e da chi si trasmette il virus? Quali sono le misure di prevenzione efficaci? Esiste una terapia? Quando arriverà il vaccino? Tutti alla ricerca spasmodica di informazioni, ma pochi in grado di identificare le ragionevoli certezze in un oceano di fake news in continua espansione, anche per le voci di esperti improvvisati che forniscono ai media informazioni parziali, inaccurate o sensazionalistiche. La diffusione incontrollata delle notizie sui social media amplifica la narrativa della paura, promuove la voce dei fatalisti e alimenta le strumentalizzazioni politiche, innescando un circolo vizioso: più la narrativa si diffonde, maggiore è la richiesta di copertura mediatica e minore la competenza degli esperti coinvolti. E visto che le paure individuali rischiano di trasformarsi in panico collettivo, ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’allarme “infodemia” mettendo in guardia dall’eccesso d’informazioni, non sempre accurate, che rende molto difficile alle persone reperire fonti affidabili quando ne hanno bisogno.

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – in particolare dopo la conferma dei due casi in Italia, la popolazione è sempre di più dedita ad uno zapping compulsivo che assorbe informazioni dal web, dalle dichiarazioni spesso contraddittorie di esperti, dai titoli allarmistici di testate giornalistiche, dai social media, sino ai gruppi WhatsApp. E le informazioni false, imprecise e incomplete indeboliscono, sino ad oscurare, la già difficile comunicazione istituzionale».

Quanto sappiamo è che il nuovo coronavirus, a fronte di una elevata contagiosità, ha una mortalità di poco superiore alla normale influenza, malattia che paradossalmente sembra non spaventare affatto, a giudicare dalla bassissima copertura della vaccinazione anti-influenzale in Italia, in particolare nelle fasce a rischio. «È evidente – puntualizza il Presidente – che la distanza tra la minaccia reale e quella percepita genera due focolai diversi: il primo è quello del nuovo coronavirus, il secondo quello delle fake news, la cui velocità di diffusione è di gran lunga superiore».

Peraltro le evidenze scientifiche sono ancora esigue: in data odierna, utilizzando la parola chiave “coronavirus”, a fronte di oltre 850 milioni di risultati restituiti da Google (il motore di ricerca più utilizzato), Pubmed (la principale banca dati biomedica) riporta solo 148 pubblicazioni di cui meno della metà relative al nuovo coronavirus: articoli divulgativi, ricerche di base di esclusivo interesse dei ricercatori, pochi studi clinici che descrivono le caratteristiche di pazienti infetti nella zona di Whuan e segnalazioni, anche su casi singoli, delle modalità di trasmissione del virus.

«L’abisso tra evidenze scientifiche e impatto mediatico – spiega Cartabellotta – dimostra che siamo di fronte al primo scenario di comunicazione sociale in cui un’epidemia convive con la potenza di Internet e la viralità dei social media. Nel novembre 2002, ad esempio, la SARS si muoveva in un mondo senza Facebook e Twitter e il sovraccarico di informazioni tramite il web era di gran lunga inferiore». In tal senso Facebook, Google e Twitter si sono già mobilitate per mettere un freno alla disinformazione sul coronavirus.

«In queste circostanze – continua il Presidente – le responsabilità dei media sono enormi: titoli sensazionalistici sfidano, oscurandoli, i toni pacati delle comunicazioni istituzionali e generano ulteriore paura con il rischio di compromettere le misure di prevenzione della salute pubblica. Infatti, il dilagare della falsa narrativa sul coronavirus erode la fiducia nelle istituzioni, minaccia la comprensione pubblica dei rischi reali e può generare un utilizzo improprio dei servizi sanitari con conseguenze imprevedibili».

In un contesto in cui le evidenze sono ancora limitate, il quadro epidemiologico in continua evoluzione e il rischio di disinformazione elevatissimo, la Fondazione GIMBE invita a fidarsi solo di dati e raccomandazioni istituzionali: in Italia Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, a livello internazionale Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie. «Purtroppo – spiega il Presidente – la loro autorevolezza nel diffondere dati ed evidenze viene diluita “a dosi omeopatiche” nell’oceano di persone che comunicano in tempo reale con i loro smartphone».

Ecco perché la Fondazione GIMBE si appella al Ministro Speranza per mettere la comunicazione istituzionale al centro del piano di emergenza per il coronavirus, tramite interventi coordinati per potenziare la circolazione di notizie vere e arginare il più possibile quelle false, incerte e allarmistiche:

  • Garantire l’aggiornamento costante delle informazioni sul sito del Ministero della Salute, in particolare nella sezione delle FAQ, diversificandole per operatori sanitari e cittadini e mantenendole perfettamente allineate con quelle dell’Istituto Superiore di Sanità.
  • Standardizzare le modalità per diffondere tali informazioni a Regioni, ASL e cittadini.
  • Istituire un bollettino ufficiale del Ministero della Salute da diffondere quotidianamente su tutti i canali: web, social media, reti televisive e stampa.
  • Richiamare i giornalisti alla propria deontologia professionale al fine di evitare titoli sensazionalistici e ingiustificati e limitare la pubblicazione di notizie superflue, ma allarmanti.
  • Fare appello alla scienza e coscienza degli esperti che devono evitare da un lato di occultare evidenze in grado di tranquillizzare la popolazione, dall’altro arginare i proclami su scoperte scientifiche senza immediato beneficio per la comunità, ma soprattutto astenersi dalla comunicazione pubblica se non adeguatamente informati sul tema.
  • Invitare tutti al buon senso, per far circolare sui social media esclusivamente informazioni istituzionali, evitando di amplificare in maniera virale quelle francamente distorte o false.

«In questo momento di paura e disorientamento – conclude Cartabellotta – la popolazione deve ricevere solo informazioni valide e aggiornate e il Paese deve fare squadra per evitare che il panico collettivo, faccia più danni del coronavirus. Oggi, infatti, il vero rischio è che persone con banali sintomi influenzali, terrorizzate da una “malattia killer” mandino in tilt pronto soccorsi e ospedali, già messi a dura prova come ogni anno dall’influenza stagionale».

 

Coronavirus: fonti raccomandate

 

Istituzioni nazionali

 

Istituzionali internazionali

 

Riviste internazionali

 


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20 gennaio 2020
Medici in corsia sino a 70 anni: a rischio la sicurezza dei pazienti

PER FRONTEGGIARE LA CARENZA DI PERSONALE IL PATTO PER LA SALUTE 2019-2021 HA PREVISTO LA POSSIBILITÀ PER I MEDICI OSPEDALIERI DI RIMANERE IN CORSIA SINO A 70 ANNI. TUTTAVIA, CONSISTENTI EVIDENZE SCIENTIFICHE DIMOSTRANO CHE QUESTA MISURA RISCHIA DI RIDURRE LA SICUREZZA DEI PAZIENTI E LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA E DI AUMENTARE IL CONTENZIOSO MEDICO-LEGALE. CONSIDERATO CHE QUESTA MISURA DI EMERGENZA DOVREBBE ESSERE CONTENUTA IN UN EMENDAMENTO AD HOC AL MILLEPROROGHE, LA FONDAZIONE GIMBE LANCIA UN APPELLO AL MINISTRO SPERANZA PER INSERIRE NEL TESTO L’OBBLIGO DI UNA PROCEDURA NAZIONALE STANDARDIZZATA PER VALUTARE LE PERFORMANCE FISICHE E COGNITIVE DEI MEDICI CHE OFFRIRANNO LA LORO DISPONIBILITÀ A RIMANERE IN CORSIA SINO A 70 ANNI.

Il Patto per la Salute 2019-2021, approvato lo scorso dicembre da Governo e Regioni, contiene una sezione (Scheda 3. Risorse umane) dedicata a varie misure volte a fronteggiare la carenza di medici e altri professionisti sanitari. Tra gli interventi in grado di garantire un tamponamento immediato dell’emergenza la facoltà, sino al 31 dicembre 2022, per i “medici specialisti, su base volontaria e per esigenze dell’azienda o dell’ente di appartenenza, di permanere in servizio anche oltre il limite di 40 anni di servizio effettivo […] e comunque non oltre il 70° anno di età.”.  Secondo le stime del Ministero della Salute sarebbero almeno 10.000 i medici potenzialmente interessati a questa misura, fortemente criticata da ANAAO, il sindacato più rappresentativo dei medici ospedalieri, anche perché l’attuale età media dei medici in servizio è già tra le più elevate d’Europa.

Al fine di trasformare gli intenti contenuti nel Patto in provvedimenti normativi e accelerarne l’entrata in vigore, le Regioni hanno già chiesto al Ministro Speranza specifici emendamenti al decreto Milleproroghe che possono essere presentati entro le 15 di oggi, 20 gennaio, anche al fine di allineare l’età di uscita dei dirigenti medici a quella dei medici universitari, dei medici di medicina generale e dei pediatri di famiglia, i quali possono già rimanere in servizio sino a 70 anni.

«Se è certo che tale misura non avrà alcun impatto sulla finanza pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – spiace constatare che, a dispetto della legge 24/2017 sulla sicurezza delle cure,  il dibattito non ha tenuto conto né dei potenziali rischi per i pazienti, né il fatto che i dati di letteratura sulla relazione tra età dei medici e performance professionali sono contrastanti, quando non decisamente allarmanti».

Ad esempio, una revisione sistematica sulla relazione tra qualità dell’assistenza ed anni di carriera condotta su 62 studi e oltre 33.000 medici ha dimostrato che in 15 (25%) degli studi inclusi i medici più anziani hanno performance analoghe o migliori dei più giovani, ma in 32 studi (52%) i medici a fine carriera hanno minori conoscenze cliniche, aderiscono meno alle raccomandazioni delle linee guida ed hanno performance peggiori sull’appropriatezza dei processi preventivi, diagnostici e terapeutici.

«Più in generale – spiega Cartabellotta – anche se i medici sono più resilienti al decadimento fisico e cognitivo legato all’età, robuste evidenze scientifiche dimostrano che con l’aumentare degli anni apportano al contempo benefici e rischi sia ai pazienti, sia all’organizzazione sanitaria». Infatti, se da un lato la cosiddetta “intelligenza cristallizzata”, ovvero la capacità di utilizzare rapidamente conoscenze, abilità ed esperienze acquisite, aumenta dai 40 ai 70 anni, dall’altro l’“intelligenza fluida”, che include bisogno di aggiornamento, velocità di elaborazione dei dati e risoluzione di scenari clinici e problemi insoliti, inizia a declinare molto lentamente a partire dai 40 anni, per ridursi drasticamente dopo i 60-65 anni. Infine, accanto al fisiologico declino cognitivo, gli studi epidemiologici documentano che la malattia di Alzheimer in fase precoce, le patologie cerebro-vascolari silenti ed altre condizioni asintomatiche compromettono un numero sempre crescente di persone, medici inclusi, limitando la consapevolezza dei loro limiti cognitivi.

«Di conseguenza – continua il Presidente – se da un lato va dato atto a Governo e Regioni di aver finalmente messo nero su bianco diverse misure integrate per affrontare la gravissima carenza di personale sanitario, dall’altro questa contromisura d’emergenza richiederebbe una valutazione psico-fisica standardizzata dei medici che intendono avvalersene, al fine di minimizzare i rischi per i pazienti, aumentare la sicurezza delle cure e ridurre il potenziale contenzioso medico-legale».

Peraltro, mentre in Italia la politica è pronta a sdoganare la permanenza dei medici in corsia sino al compimento dei 70 anni, il prestigioso Journal of American Medical Association (JAMA) nel fascicolo del 14 gennaio dedica ben 4 articoli su opportunità e sfide di valutare i medici anziani, sulla loro responsabilità nel mantenere la competence professionale con l’avanzare degli anni, sui risultati dell’utilizzo di una batteria di test neurocognitivi e, soprattutto, sulle best practice che tutti i sistemi sanitari dovrebbero utilizzare per valutare la competence professionale dei medici che hanno superato una certa età.

«Considerato che la sicurezza dei pazienti e la qualità delle cure vengono prima di tutto – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE chiede al Ministro Speranza di inserire nell’emendamento al Milleproroghe l’obbligo di una procedura nazionale standardizzata per valutare le performance fisiche e cognitive dei medici che offriranno la loro disponibilità a rimanere in corsia sino a 70 anni, oltre ad un potenziamento del monitoraggio degli eventi sentinella nelle strutture in cui lavoreranno questi professionisti. Esattamente come accade per i piloti che, per garantire la sicurezza dei voli, devono sottoporsi a visita medica almeno una volta l'anno, dopo i 60 anni devono farlo ogni sei mesi e a 65 anni devono improrogabilmente appendere la cloche al chiodo».


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14 gennaio 2020
Ipertensione in gravidanza: frequente e insidiosa, ma sottovalutata

I DISORDINI IPERTENSIVI IN GRAVIDANZA RAPPRESENTANO UN RILEVANTE PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA GESTITO ANCORA IN MANIERA FRAMMENTATA E SUBOTTIMALE, NONOSTANTE LA LORO FREQUENZA E IL RISCHIO DI PREECLAMPSIA CHE PUÒ ANCHE ESSERE FATALE. CRUCIALE IL COINVOLGIMENTO ATTIVO DEI MEDICI DI FAMIGLIA PER ATTUARE ADEGUATE STRATEGIE DI PREVENZIONE E MONITORAGGIO NEL POST PARTUM AL FINE DI RIDURRE IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE FUTURO. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E TERAPIA DELL’IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA PER L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE E L’INFORMAZIONE ALLE DONNE.

L’ipertensione arteriosa in gravidanza rappresenta un rilevante problema di salute pubblica per donne e neonati, sia per la frequenza (interessa circa il 10% delle donne gravide) sia per la gravità, in quanto – se non correttamente diagnosticata e trattata – può determinare gravi conseguenze per la donna (es. ictus, mortalità materna e aumento del rischio cardiovascolare) e per il neonato (es. basso peso alla nascita, necessità di cure intensive neonatali).

«Di questa patologia si parla relativamente poco – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – spesso affrontando solo la punta dell’iceberg, ovvero la preeclampsia, già nota come gestosi, che complica circa il 5% delle gravidanze». Per massimizzare l’efficacia delle strategie preventive, invece, bisogna prendere in considerazione sia l’ipertensione cronica (diagnosticata prima della gravidanza o entro la 20a settimana di gestazione), sia quella gravidanza-correlata che include ipertensione gestazionale e preeclampsia, condizione a volte fatale. Infatti, il Primo Rapporto sulla sorveglianza della mortalità materna documenta che i disordini ipertensivi della gravidanza sono al secondo posto tra le cause dirette di morte materna nel periodo 2006-2012 e al terzo posto nel periodo 2013-2017.

«Caratteristiche e storia naturale dell’ipertensione in gravidanza – dichiara Cartabellotta – dimostrano che questa condizione, spesso sottovalutata e la cui gestione va oltre il periodo della gravidanza, viene trattata esclusivamente dal team ginecologico. Al contrario, le cure primarie devono giocare un ruolo chiave nella prevenzione, nel trattamento di prima linea e nel monitoraggio in gravidanza e dopo il parto». I medici di famiglia, adeguatamente coinvolti, devono saper gestire adeguatamente questa condizione, ove opportuno indirizzare la donna verso l’assistenza specialistica e monitorarla nel post partum, perché i disturbi ipertensivi in gravidanza aumentano sia il rischio di ipertensione in gravidanze successive, sia quello di patologie cardiovascolari a lungo termine.

«In tal senso è indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra cure primarie, assistenza specialistica e ospedaliera – continua il Presidente – guidato da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) basati su linee guida di elevata qualità metodologica». Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a giugno 2019, già pubblicate nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. Le linee guida NICE formulano raccomandazioni su vari aspetti: dal trattamento dell’ipertensione cronica e gestazionale alle strategie per la diagnosi precoce della preeclampsia e al suo trattamento, inclusa la definizione delle tempistiche di un eventuale parto pre-termine. Inoltre, le linee guida affrontano le conseguenze a lungo termine dell’ipertensione in gravidanza, stimando sia la loro prevalenza in future gravidanze, sia il rischio cardiovascolare complessivo nel corso della vita.

«Le linee guida – puntualizza il Presidente – enfatizzano la necessità di un’adeguata e completa informazione alla donna, con la quale vanno condivise sia le opzioni terapeutiche dell’ipertensione in gravidanza e nel post partum (anche per non compromettere l’allattamento al seno), sia le adeguate strategie di prevenzione per ridurre il rischio di morbilità cardiovascolare a lungo termine».

«Auspichiamo che la versione italiana di queste linee guida del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti un’autorevole base scientifica per la costruzione dei PDTA regionali e locali, per la sensibilizzazione e l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione delle donne gravide rispetto al rischio di insorgenza di ipertensione e delle sue conseguenze precoci e tardive, e di quelle già ipertese che intendono affrontare una gravidanza».

Le “Linee guida per la diagnosi e la terapia dell’ipertensione arteriosa in gravidanza” sono disponibili a: www.evidence.it/ipertensione-gravidanza.


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18 dicembre 2019
Manovra: per la Sanità ben € 8,5 miliardi dal 2020, ma niente risorse vincolate per il personale e lo sblocco dei nuovi LEA. Cala il silenzio sul finanziamento 2022

LA LEGGE DI BILANCIO ESCE DAL SENATO CON UN “PANIERE” MOLTO RICCO, SEMPRE CHE OGGI GOVERNO E REGIONI RIESCANO A SCRIVERE LA PAROLA FINE ALLA SAGA INFINITA DEL PATTO PER LA SALUTE SBLOCCANDO L’INCREMENTO DI € 3,5 MILIARDI DEL FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE. VA IN SOFFITTA IL SUPERTICKET, ARRIVANO € 2 MILIARDI IN 11 ANNI PER RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA E AMMODERNAMENTO TECNOLOGICO, € 879 MILIONI IN 4 ANNI PER DISABILITÀ E NON AUTOSUFFICIENZA E € 157 MILIONI PER OLTRE 1.200 CONTRATTI DI FORMAZIONE SPECIALISTICA. RIMANGONO NEL DIMENTICATOIO SIA LE RISORSE VINCOLATE PER RINNOVI CONTRATTUALI E SBLOCCO DEI NUOVI LEA, SIA LA DEFINIZIONE DEL FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE PER IL 2022.

18 dicembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Dopo il via libera del Senato, la Fondazione GIMBE porta all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica un’analisi indipendente delle misure sanitarie e socio-sanitarie contenute nella Legge di Bilancio 2020, al fine di fornire un contributo al dibattito parlamentare conclusivo, anche se difficilmente alla Camera potranno esserci modifiche prima del voto finale. «Fondamentale innanzitutto offrire un prospetto sulle cifre destinate alla sanità sino a fine legislatura – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – perché le dichiarazioni informali che si rincorrono su stampa, TV e social media riportano dati parziali e incompleti e si prestano a strumentalizzazioni politiche».

LEGGE DI BILANCIO 2020
Misure sanitarie e socio-sanitarie al 18/12/2019

MILIONI DI EURO

Stanziati

2020

2021

2022

2023

Aumento del fabbisogno sanitario nazionale standard1

3.500

2.000

1.500

-

 

Abolizione del superticket

1.847

1852

554

554

554

Edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico

2.0003

-

-

100

100

Fondo per la disabilità e la non autosufficienza

829

29

200

300

300

Fondo per la non autosufficienza

504

50

-

-

-

Contratti di formazione specialistica (c. 271)

79,95

5,4

10,9

16,5

22,1

Ulteriori contratti di formazione specialistica (c. 859)

102

25

25

26

26

Assunzioni di medici INPS

21,6

-

7,2

7,2

7,2

Sperimentazione della farmacia dei servizi

50,6

-

25,3

25,3

-

Altre misure

33

-

1 Risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 e subordinate alla stipula del Patto per la Salute entro il 31/12/2019

2 L’importo incrementa il fabbisogno sanitario nazionale standard; nel 2020 agli € 185 milioni si aggiungono € 40 milioni del fondo per il superamento del superticket, assegnati dalla Legge di Bilancio 2018

3 Modalità di ripartizione: € 100 milioni per il 2022 e 2023 e € 200 milioni/anno dal 2024 al 2032

4 L’importo incrementa i € 571 milioni del fondo per la non autosufficienza (L. 296/2006)

5 L’importo include i € 25 milioni stanziati per il 2024

  • Fabbisogno sanitario nazionale standard (FSN). Se il testo della Manovra non menziona gli incrementi previsti dal precedente Esecutivo con la Legge di Bilancio 2019, i € 3,5 miliardi per il 2020-2021 rimangono appesi alla stipula del nuovo Patto per la Salute che oggi auspicabilmente dovrebbe vedere la luce. «La Fondazione GIMBE – afferma il Presidente – oltre a lanciare un ultimo appello a Governo e Regioni per la stipula del Patto chiede di mettere nero su bianco il finanziamento per il 2022, su cui al momento la casella sta a zero euro».
  • Abolizione del superticket. Dal 1° settembre 2020 sarà definitivamente abolito l’iniquo balzello applicato dalle Regioni per la compartecipazione alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. «Per garantire le coperture – spiega Cartabellotta – il FSN viene aumentato di € 185 milioni per il 2020 e di € 554 milioni annui a decorrere dal 2021. Per il 2020 vengono utilizzati ulteriori € 40 milioni del fondo per il superamento del superticket, stanziato dalla Legge di Bilancio 2018».
  • Programma di edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico. € 2 miliardi in più per il programma pluriennale ma «si tratta di risorse – commenta il Presidente – “spalmate” su 11 anni: le Regioni infatti potranno disporre di € 100 milioni per il 2022 e 2023 e € 200 milioni/anno dal 2024 al 2032». A valere su tale programma anche i € 235,8 milioni destinati ad apparecchiature sanitarie per erogare prestazioni di competenza dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. «Tuttavia non è chiaro se questo investimento attingerà da quanto già stanziato dalla precedente Legge di Bilancio – precisa Cartabellotta – perché in caso contrario l’importo totale non sarà disponibile prima del 2024».
  • Disabilità e non autosufficienza. Istituito il fondo per la disabilità e non autosufficienza con una dotazione di € 29 milioni per il 2020, € 200 milioni per il 2021 e € 300 milioni dal 2022. «Tali risorse – spiega il Presidente – integrano i € 571 milioni del Fondo nazionale per la non autosufficienza a cui la manovra aggiunge € 50 milioni per il 2020».
  • Contratti di formazione specialistica. Oltre alle risorse già previste dal testo arrivato in Senato, il comma 859 aggiunge ulteriori € 102 milioni. «Complessivamente – commenta Cartabellotta – si tratta di € 182 milioni che permetteranno di stipulare 1.217 contratti di formazione specialistica».
  • Personale sanitario. La Manovra stabilizza i precari, grazie all’estensione della Legge Madia, e i ricercatori di IRCCS e Istituti Zooprofilattici, ma non prevede nessun finanziamento dedicato, a parte i medici INPS, al piano straordinario per le assunzioni più volte annunciato. Gli incrementi retributivi 2019-2021 per il personale dipendente e convenzionato del SSN (1,3% nel 2019, 1,9% nel 2020, 3,5% dal 2021) rimangono a carico dei bilanci regionali. «In altri termini – puntualizza il Presidente – la Manovra non prevede risorse vincolate e spetta alle Regioni reperirle dalla quota di riparto, grazie anche all’innalzamento del tetto di spesa dal 5% al 15% previsto dal Decreto fiscale».
  • Nuovi LEA. Nonostante la bozza del Patto per la Salute preveda di completare l’approvazione del “decreto tariffe” per dare il via libera ai nomenclatori della specialistica ambulatoriale e della protesica, la Legge di Bilancio non stanzia risorse dedicate.
  • Altre misure. La Manovra assegna ulteriori risorse per specifici obiettivi: osservatorio sulla formazione specialistica e definizione del fabbisogno di medici e professionisti sanitari (€ 21 milioni); disposizioni per l’acquisto di sostitutivi del latte materno (€ 7 milioni); ricerca sull’endometriosi (€ 4 milioni), rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza (€ 1 milione).

«Pur riconoscendo a Governo e Parlamento un grande impegno per rifinanziare la sanità pubblica – conclude Cartabellotta – le nostre analisi permettono di rivalutare, numeri alla mano, le recenti dichiarazioni del Premier Conte che ha espresso il desiderio di “sforare o sfiorare i 10 miliardi di investimenti sulla salute entro la fine della legislatura”. Infatti, se apparentemente le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2020 ammontano ad oltre € 8,5 miliardi, bisogna anzitutto ricordare che i € 3,5 miliardi di incremento del FSN, già stanziati dal precedente Esecutivo, non sono formalmente inclusi nella Manovra. In secondo luogo, dei € 2 miliardi per il programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico solo € 200 milioni saranno esigibili entro il 2023. Infine, mancano all’appello sia il FSN per il 2022, sia le risorse vincolate ai rinnovi contrattuali, al piano straordinario delle assunzioni per il personale e allo sblocco dei nuovi LEA, pilastri portanti per garantire quell’universalismo tanto caro al Ministro Speranza».


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10 dicembre 2019
Oltre 3,5 milioni di persone con BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva: puntare su prevenzione, diagnosi precoce e coinvolgimento dei pazienti

PER LA BPCO IN ITALIA PREVALENZA IN CONTINUO AUMENTO, OLTRE UN MILIONE/ANNO DI GIORNATE DI RICOVERO OSPEDALIERO E RILEVANTE IMPATTO ECONOMICO. INDISPENSABILE POTENZIARE LA DIAGNOSI PRECOCE E COINVOLGERE ATTIVAMENTE I PAZIENTI PER MIGLIORARE GLI STILI DI VITA ED AUMENTARE L’ADERENZA TERAPEUTICA. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E TERAPIA DELLA BPCO, CHE PUNTA SU 5 “PILASTRI”: STOP AL FUMO, PIANO PERSONALIZZATO DI SELF MANAGEMENT, VACCINAZIONE ANTI-PNEUMOCOCCICA E ANTINFLUENZALE, TRATTAMENTO DELLE COMORBIDITÀ E RIABILITAZIONE POLMONARE, SE INDICATA.

10 dicembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria caratterizzata da tosse, produzione di espettorato, difficoltà respiratorie (dispnea) e ridotta resistenza agli sforzi; è frequentemente associata a comorbidità e nelle forme più gravi evolve in enfisema polmonare e insufficienza respiratoria.
I principali fattori di rischio della BPCO sono il fumo di tabacco, quindi l’esposizione a fumi, polveri o irritanti chimici da inquinamento atmosferico, domestico e lavorativo e, in misura minore, le infezioni respiratorie croniche.

Secondo i dati ISTAT, in Italia la BPCO colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie. Tuttavia, la prevalenza della malattia è verosimilmente più elevata perché la BPCO viene spesso diagnosticata nelle fasi avanzate, spesso in occasione del ricovero ospedaliero per riacutizzazione, mentre le forme iniziali e lievi non vengono diagnosticate.

L’impatto economico complessivo della BPCO sul SSN è molto rilevante, sia per la durata di malattia, sia per il notevole impiego di risorse nelle fasi di riacutizzazione, gestite per lo più con ricoveri ospedalieri. Infatti, il Programma Nazionale Esiti (PNE) riporta per il 2017 un tasso grezzo di ospedalizzazione per BPCO dell’1,94 per mille, per un totale di 109.674 ricoveri ordinari e 3.394 in day hospital che, in base ai dati sulla degenza media del Rapporto annuale 2017 sull’attività di ricovero ospedaliero del Ministero della Salute, corrispondono ad oltre un milione di giornate di degenza ospedaliera. Il PNE documenta inoltre che i pazienti con BPCO riacutizzata hanno un tasso di mortalità a 30 giorni del 9,8% e del 13,45% di riammissioni ospedaliere a 30 giorni, per un totale di 73.222 ricoveri.    

«A fronte dei dati nazionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il PNE documenta notevoli differenze inter- ed intra-regionali relative a tassi di ospedalizzazione, riammissioni ospedaliere a 30 giorni e mortalità ospedaliera. Questo conferma indirettamente l’estrema variabilità della qualità dell’assistenza sia ospedaliera che territoriale». Ecco perché è indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, oltre a reti clinico-assistenziali integrate tra ospedale e territorio guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) che devono sempre essere basati su linee guida di elevata qualità metodologica.

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate al luglio 2019, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. Le linee guida NICE, destinate prevalentemente ai professionisti delle cure primarie, in particolare a medici di medicina generale e infermieri, formulano raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: dalla diagnosi all’educazione e self management del paziente; dalla terapia inalatoria alla profilassi antibiotica; dall’ossigenoterapia ai criteri per la riduzione chirurgica del volume polmonare. Cinque i “pilastri” del trattamento della BPCO identificati dalla linea guida NICE, da considerare ad ogni visita di controllo ed offrire a tutti i pazienti, ove necessario:

  • Prescrivere un trattamento e fornire supporto per smettere di fumare
  • Condividere un piano personalizzato di self management
  • Effettuare le vaccinazioni anti-pneumococcica ed antinfluenzale
  • Prescrivere la riabilitazione polmonare, se indicata
  • Ottimizzare la terapia delle comorbidità

 

«Fondamentali le raccomandazioni sul coinvolgimento del paziente – puntualizza Cartabellotta – che prevedono sia di fornire un set standardizzato di informazioni scritte, sia di predisporre un piano di azione per prevenire e gestire le riesacerbazioni». Infatti, le evidenze scientifiche dimostrano che, grazie a questi strumenti, i programmi di self management migliorano la qualità della vita e riducono le ospedalizzazioni.

«Auspichiamo che la versione italiana di questa linea guida del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti un’autorevole base scientifica sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le “Linee guida per la diagnosi e la terapia della broncopneumopatia cronica ostruttiva negli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/BPCO.  


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3 dicembre 2019
Vaccinazione anti-pneumococcica in età pediatrica: il delicato equilibrio tra evidenze, epidemiologia e mercato

UN REPORT INDIPENDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA SOTTO LA LENTE DELLA VALUE-BASED HEALTHCARE IL CASO DELLA VACCINAZIONE ANTI-PNEUMOCOCCICA IN ETÀ PEDIATRICA. PER GARANTIRE IL MASSIMO RITORNO IN TERMINI DI SALUTE DEL DENARO INVESTITO IN SANITÀ È INDISPENSABILE INTEGRARE LE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE CON I DATI EPIDEMIOLOGICI, ENTRAMBI IN CONTINUA EVOLUZIONE.

2 dicembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Le malattie invasive batteriche (MIB) hanno un rilevante impatto clinico, organizzativo ed economico sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN): lo pneumococco è l’agente più comune di MIB ed è causa delle malattie invasive pneumococciche (MIP), che includono patologie gravi quali meningite e sepsi, o meno gravi come polmoniti, infezioni delle alte vie respiratorie, otiti. Sono noti oltre 90 sierotipi diversi di pneumococco, solo alcuni dei quali sono contenuti nei due vaccini autorizzati per la vaccinazione in età pediatrica (PCV13 e PCV10), offerta gratuitamente dalle Regioni a tutti i nuovi nati.

«La vaccinazione anti-pneumococcica in età pediatrica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rappresenta un caso di studio concreto per verificare nel nostro Paese l’applicazione dei princìpi dell’evidence-based healthcare (EBHC), che prevede l’integrazione delle migliori evidenze nelle decisioni che riguardano la salute delle popolazioni  e della value-based healthcare (VBHC), che mira ad ottenere il massimo risultato in termini di salute dalle risorse investite in sanità».

In Italia, nonostante la disponibilità di due vaccini registrati per l’età pediatrica, la scelta delle Regioni è caduta esclusivamente sul PCV13 in ragione della protezione verso un maggior numero di ceppi: una scelta che ha generato di fatto un regime monopolistico rilevato anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. «Nel 2018 la Regione Piemonte – spiega Cartabellotta – si è dissociata da questo “pensiero unico” innescando un vespaio di polemiche, strumentalizzazioni politiche oltre che una battaglia legale tra le due aziende produttrici culminata davanti al Consiglio di Stato».

La Fondazione GIMBE ha pubblicato un report indipendente per rispondere a due semplici domande che tutti i decisori dovrebbero porsi: tenendo conto delle evidenze scientifiche e dei dati epidemiologici, la più ampia copertura dei sierotipi del PCV13 rispetto al PCV10 giustifica le Regioni a non considerare equivalenti i due prodotti? Ovvero il potenziale mancato impatto sulle MIP legittima l’esclusione dalle gare del PCV10, con evidenti mancati risparmi dovuti al monopolio di mercato del PCV13?

Il report GIMBE contiene tutte le informazioni necessarie a decisori, professionisti e pazienti per effettuare scelte informate e consapevoli: dalla descrizione delle MIP al quadro normativo vigente; dai dati di sorveglianza nazionale delle MIP ai vaccini disponibili sul mercato; dalle prove di efficacia alle raccomandazioni nazionali e internazionali sulla scelta del vaccino; dall’analisi di evidenze sullo switch da PCV13 a PCV10 alle coperture vaccinali. Il report analizza tutti i documenti istituzionali sul tema, effettua una revisione sistematica della letteratura sulle prove di efficacia dei due vaccini, riporta le raccomandazioni formulate da istituzioni nazionali e internazionali ed analizza i casi di querelle giudiziaria tra le aziende produttrici.  

In sintesi:

  • Dal punto di vista teorico, e in misura marginale da evidenze di immunogenicità, la “miglior protezione disponibile” nei confronti dello pneumococco sembrerebbe offerta dal PCV13, che include tre sierotipi in più del PCV10. In altre parole, basandosi esclusivamente sul principio di precauzione, la scelta delle Regioni parrebbe obbligata. In realtà, il presupposto che i 3 sierotipi aggiuntivi del PCV13 riducano l’incidenza delle MIP non è dimostrato da studi testa a testa tra i due vaccini. Pertanto, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, l’efficacia di PCV10 e PCV13 nel ridurre l’overall burden delle MIP, secondo il recente statement dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è assolutamente comparabile.
  • La mancata corrispondenza tra numero di sierotipi aggiuntivi del PCV13 e prevenzione delle MIP è dovuta a numerosi fattori non sempre noti: variabile circolazione dei sierotipi; efficacia dei due vaccini per ciascun sierotipo; durata della protezione; protezione crociata (cross protection); capacità di indurre protezione indiretta (herd immunity); fenomeno del rimpiazzo (replacement) dei sierotipi; quadri clinici di MIP non sottoposti a sorveglianza o di difficile diagnosi eziologica.
  • Sulla scelta del vaccino mancano prese di posizione nette da parte delle Istituzioni:
    • Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 raccomanda “il raggiungimento della massima protezione possibile in relazione al profilo epidemiologico prevalente e alla diffusione dei ceppi”: se da un lato dunque raccomanda implicitamente il PCV13, dall’altro contestualizza la raccomandazione ai sierotipi circolanti.
    • Il Ministero della Salute afferma che entrambi i vaccini sono sicuri ed efficaci nei confronti dei sierotipi riportati nelle specifiche schede tecniche; propone il concetto di ““accettabile vaccinoprofilassi”, che prevede la considerazione del contesto epidemiologico e il monitoraggio dei sierotipi circolanti; affida a Regioni e Province autonome sia la gestione dei capitolati destinati all’acquisto dei vaccini, sia la definizione dei criteri da inserire nei bandi di gara per l’approvvigionamento.
    • L’AIFA continua a non prendere alcuna posizione.
  • Il monitoraggio epidemiologico dei sierotipi circolanti è cruciale per l’EBHC, in quanto a parità di evidenze scientifiche, le Regioni potrebbero trovarsi ad effettuare scelte differenti: in particolare, la scelta del PCV10 deve essere giustificata da una condizione epidemiologica locale di assente o ridotta circolazione dei sierotipi 3 e 19A e accompagnata da un costante monitoraggio per eventuali azioni correttive della strategia vaccinale. Monitoraggio necessario anche per confermare la scelta del PCV13, perché indicazioni e strategia d’uso dei vaccini devono essere periodicamente rivalutate per aumentare il value for money.
  • Qualsiasi forma di monopolio in sanità limita i controlli sul fornitore, aumenta i costi e riduce il ritorno in termini di salute del denaro investito. Di conseguenza, a fronte di una documentata bassa prevalenza dei sierotipi aggiuntivi del PCV13, la decisione di indire una gara tra i due prodotti concretizza l’applicazione dei princìpi della VBHC, permettendo attraverso la competizione di ridurre i costi di acquisto e reinvestire le risorse recuperate in altri interventi di sanità pubblica (es. fornitura gratuita di vaccino anti-meningococco, istituzione di anagrafe vaccinale regionale, etc.).

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – auspica che le analisi indipendenti del report rappresentino la base per un costruttivo confronto scientifico e di politica sanitaria che deve inevitabilmente tener conto sia delle numerose aree di incertezza sulla vaccinazione anti-pneumococco in età pediatrica, sia della variabilità che caratterizza questo batterio».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La vaccinazione anti-pneumococcica in età pediatrica” è disponibile a: http://www.gimbe.org/vaccinazione-antipneumococcica


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27 novembre 2019
Sanità: inaccettabili diseguaglianze regionali nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza 2010-2017

L’ANALISI GIMBE ATTESTA UNA PERCENTUALE CUMULATIVA 2010-2017 DI ADEMPIMENTI REGIONALI AI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA DEL 73,7% CON UNA FORBICE ESTREMAMENTE AMPIA: DAL 92,5% DELL’EMILIA ROMAGNA AL 53,9% DELLA CAMPANIA. OVVERO, SE I PUNTEGGI DELLA “GRIGLIA LEA” RAPPRESENTANO L’INDICATORE UFFICIALE PER MONITORARE L’EROGAZIONE DELLE PRESTAZIONI, NEL PERIODO 2010-2017 IL 26,3% DELLE RISORSE ASSEGNATE DALLO STATO ALLE REGIONI NON HA PRODOTTO SERVIZI PER I CITTADINI. GIMBE INVOCA UN RADICALE CAMBIO DI ROTTA PARALLELO ALL’IMPLEMENTAZIONE DEL NUOVO SISTEMA DI GARANZIA CHE DAL 2020 SOSTITUIRÀ LA GRIGLIA LEA, PERCHÉ IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE NON PUÒ PIÙ ESSERE LEGATO AL CAP DI RESIDENZA DELLE PERSONE.

27 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Ogni anno il Ministero della Salute pubblica il documento “Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA” per verificare l’effettiva erogazione delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai cittadini. Per le Regioni considerate inadempienti e sottoposte a Piano di rientro, il Ministero della Salute prevede uno specifico affiancamento nell’ambito dei rispettivi programmi operativi.

«Il nostro Osservatorio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rileva ormai da anni che la griglia LEA si è progressivamente “appiattita” e non è uno strumento adeguato per verificare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini». Infatti, le già modeste capacità dello strumento nel “catturare” gli inadempimenti per numero limitato di indicatori e modalità di rilevazione (autocertificazione delle Regioni) si sono progressivamente ridotte sia per la stabilità della griglia (indicatori e soglie non hanno subìto negli anni rilevanti variazioni e non vengono modificati dal 2015), sia per l’invarianza della soglia di adempimento (per essere “promosse” alle Regioni è sufficiente raggiungere 160/225 punti).

«In altre parole, dal 2008 – continua il Presidente – lo Stato certifica l’erogazione regionale delle prestazioni con uno strumento sempre meno adeguato per valutare la qualità dell’assistenza sanitaria. Infatti, a fronte dei risultati dell’ultimo monitoraggio (2017) che documenta un trend dei punteggi LEA in progressivo aumento dal 2012 e identifica come inadempienti solo Calabria e Campania, numerosi report indipendenti nazionali e internazionali attestano invece un peggioramento della qualità dell’assistenza, in particolare secondo la prospettiva del cittadino/paziente».

Considerato che Governo e Regioni sono impegnati nella stesura del nuovo Patto per la Salute, dove Piani di rientro e commissariamenti rappresentano uno dei nodi più critici da sciogliere, la Fondazione GIMBE rende disponibili i risultati preliminari dello studio “Adempimenti LEA 2008-2017” avviato con l’obiettivo di valutare le performance regionali negli ultimi 10 anni. Rispetto ai metodi:

  • Sono stati analizzati i 10 monitoraggi annuali del Ministero della Salute pubblicati dal 2008 al 2017.
  • Dal report preliminare sono stati esclusi gli anni 2008 e 2009 che richiedono analisi complesse attualmente in corso; pertanto, i risultati sono relativi al periodo 2010-2017, 8 anni durante i quali ciascuna Regione poteva raggiungere un punteggio massimo di 1.800.
  • Utilizzando i dati regionali relativi a ciascun indicatore e la griglia di attribuzione dei punteggi disponibili nei monitoraggi ministeriali, sono stati calcolati per gli anni 2010-2016 i punteggi per le Regioni non sottoposte a verifica degli adempimenti (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Valle D’Aosta, Province autonome di Trento e di Bolzano) e per tutte le Regioni per gli anni 2010-2011 per cui il Ministero non riporta il punteggio totale, ma solo lo status adempiente/non adempiente.
  • Le “percentuali di adempimento” delle 21 Regioni e Province autonome sono state calcolate come rapporto tra punteggio cumulativo ottenuto nel periodo 2010-2017 e punteggio massimo raggiungibile.
  • Non sono stati considerati criteri e soglie per rinviare le Regioni al Piano di rientro, sia perché modificate nel tempo, sia per evitare bias di interpretazione.
  • La classifica finale è stata elaborata secondo le percentuali cumulative di adempimento 2010-2017 e suddivisa, attraverso la definizione dei quartili, in quattro gruppi.


Dall’analisi degli adempimenti LEA 2010-2017 (tabella) è possibile trarre alcune considerazioni:

  • La percentuale cumulativa di adempimento delle Regioni è del 73,7% (range 53,9-92,2%): in altri termini, se i punteggi rappresentano l’indicatore ufficiale per monitorare l’erogazione dei LEA, il 26,3% (range 7,8-46,1%) delle risorse assegnate dallo Stato alle Regioni nel 2010-2017 non ha prodotto servizi per i cittadini. Interessante rilevare che la percentuale di mancato adempimento relativa al 2017 (18,7%) è simile alla stima di sprechi e inefficienze (19%) dell’ultimo Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN.
  • Il trend 2010-2017 documenta un aumento progressivo della percentuale di adempimento: dal 64,1% del 2010 all’81,3% del 2017, un miglioramento inevitabilmente sovrastimato per il fenomeno di “appiattimento” della griglia LEA sopra descritto.
  • Regioni e Province autonome non sottoposte a verifica degli adempimenti hanno performance peggiori di quelle sottoposte a verifica, ma con trend di miglioramento molto differenti: in particolare, se Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento hanno raggiunto elevate percentuali di adempimento, le performance di Valle D’Aosta e soprattutto di Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano sono allineate a quelle delle Regioni in Piano di rientro.
  • Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento cumulativo del 75% e, ad eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord, confermando sia la “questione meridionale” in sanità, sia la sostanziale inefficacia dei Piani di rientro nel migliorare l’erogazione dei LEA.

 

«Questa valutazione pluriennale – commenta Cartabellotta – fornisce numerosi spunti per definire le regole di implementazione del Nuovo Sistema di Garanzia che, salvo ulteriori ritardi, dovrebbe mandare in soffitta la griglia LEA dal gennaio 2020». Infatti, se il nuovo strumento è stato sviluppato per meglio documentare gli adempimenti regionali, oltre a mettere in atto strategie per prevenirne il progressivo “appiattimento”, è necessario utilizzarlo per rivedere interamente le modalità di attuazione dei Piani di rientro e permettere al Ministero di effettuare “interventi chirurgici” selettivi sia per struttura, sia per indicatore, evitando di paralizzare con lo strumento del commissariamento l’intera Regione. 

«In un momento storico per il SSN – conclude Cartabellotta – in cui il Ministro Speranza ha ripetutamente dichiarato che l’articolo 32 è il faro del suo programma di Governo, i dati del nostro report parlano chiaro.  Senza una nuova stagione di collaborazione politica tra Governo e Regioni e un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei LEA, sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria e il diritto alla tutela della salute continuerà ad essere legato al CAP di residenza delle persone».

Tabella adempimenti LEA 2010-2017

La mappa delle performance


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18 novembre 2019
Patto per la Salute: stop al braccio di ferro tra Governo e Regioni perché la Sanità rischia di perdere 3,5 miliardi

LA FONDAZIONE GIMBE ESORTA GOVERNO E REGIONI A SIGLARE AL PIÙ PRESTO IL PATTO PER LA SALUTE, AL QUALE SONO LEGATE LE RISORSE ASSEGNATE ALLA SANITÀ PER IL 2020-2021. DA 11 MESI DI STERILE CONFRONTO ISTITUZIONALE EMERGONO L’ETERNO CONFLITTO GOVERNO-REGIONI, INTERESSI DELLE REGIONI SEMPRE PIÙ CONFLITTUALI E LA PREOCCUPAZIONE DEL MEF PER LA TENUTA DEI CONTI. FATTI E DATI DIMOSTRANO, IN OGNI CASO, CHE È TEMPO DI MANDARE IN SOFFITTA UNO STRUMENTO FALLIMENTARE DI PROGRAMMAZIONE SANITARIA E TERRENO DI CONTINUO SCONTRO POLITICO A CUI NON PUÒ ESSERE AFFIDATA LA TUTELA DELLA SALUTE.

18 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il Patto per la Salute è l’accordo finanziario e programmatico tra Governo e Regioni per la gestione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la cui stipula costituisce quest’anno per la prima volta conditio sine qua non per garantire l’incremento di risorse per la sanità pubblica (€ 2 miliardi nel 2020 e ulteriori € 1,5 miliardi nel 2021) come sancito dall’ultima Legge di Bilancio. La scadenza per la stipula del Patto, fissata al 31 marzo 2019, è poi slittata al 31 dicembre.

«Bisogna avere l’onestà intellettuale e politica di riconoscere – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – che il Patto per la Salute è uno strumento anacronistico per varie ragioni. Innanzitutto, l’arco temporale di riferimento (3 anni) è troppo breve; in secondo luogo, la sua durata reale è sempre inferiore a quanto programmato e l’obiettivo di rinnovarlo ogni tre anni viene spesso disatteso per la scadenza dei mandati elettorali; infine, non essendo di fatto sottoposto ad alcun monitoraggio, finisce per avere un impatto residuale sull’organizzazione dei servizi sanitarie sostanzialmente nullo sulla salute delle persone, perché la maggior parte delle misure concordate rimangono inattuate».

L’analisi indipendente della Fondazione GIMBE (box) dimostra che Governo e Regioni hanno bruciato quasi 11 mesi senza una tabella di marcia ben definita e con continui cambi di rotta, senza riuscire a siglare un Patto che per la prima volta condiziona l’incremento delle risorse che, se dovessero malauguratamente andare in fumo, farebbero precipitare nel baratro il SSN.

«I fatti documentano senza appello – spiega il Presidente – che il Patto per la Salute non è che un terreno di acceso scontro politico, non solo per la storica difficoltà di sintonizzare le priorità di Governo e Regioni, ma soprattutto per l’impossibilità di allineare sulla salute delle persone gli interessi divergenti e conflittuali delle varie Regioni. Infatti, gli orientamenti partitici, le istanze di regionalismo differenziato, l’incolmabile gap Nord-Sud e la variabile penetrazione del privato accreditato rendono impossibili accordi unanimi, facendo largo a compromessi e mediazioni. Infine, dopo l’abolizione della clausola di salvaguardia finanziaria fortemente voluta dai Ministri Grillo e Speranza, l’occhio vigile del MEF vuole evitare che alcuni accordi mettano a rischio l’equilibrio finanziario delle Regioni».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE esorta Governo e Regioni a:

  • Siglare al più presto e senza ulteriori indugi il Patto per la Salute: i tempi sono ormai strettissimi e la posta in gioco è troppo alta.
  • Modificare l’orizzonte temporale del Patto per la Salute 2019-2021 in 2020-2022, allineandolo a quello della Legge di Bilancio 2020, al fine di assegnare anche le risorse per il 2022.
  • Avviare una riflessione costruttiva sulla necessità di una profonda revisione del Patto per la Salute, ripartendo dalla denominazione anacronistica, dai contenuti inappropriati, visto che si tratta di un contenitore di volta in volta riempito in maniera strumentale, dall’orizzonte temporale troppo breve per una adeguata programmazione sanitaria, dalle inesistenti modalità di monitoraggio e verifica.

«Non è più accettabile – conclude Cartabellotta – affidare la tutela della salute ad un documento che, a dispetto della denominazione, configura un terreno di continuo scontro politico, alimenta compromessi sempre più al ribasso delegittimando le Istituzioni ed è di provata inefficacia sulla sanità e soprattutto sulla salute. Per non parlare delle conseguenze che vengono scaricate, oltre che su aziende sanitarie e professionisti, su pazienti e famiglie delle fasce socio-economiche più deboli, in particolare al Centro-Sud, rendendo evanescente il ruolo della Repubblica, che dovrebbe tutelare la nostra salute proprio tramite una leale collaborazione Governo-Regioni».

 

Verso la stipula del Patto per la Salute 2019-2021: cronistoria di un’odissea

1 gennaio - 5 settembre 2019: Ministro Giulia Grillo

  • 13 febbraio. Le Regioni definiscono la cornice politico-istituzionale per la stesura del Patto al fine di un primo confronto con la Ministra, che tuttavia non si presenta al primo incontro ufficiale del 27 febbraio.
  • 14 marzo. La Ministra invia al presidente della Conferenza delle Regioni Bonaccini una contro-proposta, bocciata senza appello perché giudicata “invasiva”.
  • 16 aprile. Nel secondo incontro ufficiale Governo e Regioni abbandonano l’ipotesi di una cornice politico-istituzionale, dando via libera ai tavoli tecnici.
  • 22 maggio. La Ministra convoca 11 gruppi di lavoro per la stesura del Patto: LEA e Piani di rientro, risorse umane, mobilità sanitaria, Enti vigilati, governance farmaceutica e dei dispositivi medici, investimenti, reti strutturali di assistenza territoriale sociosanitaria, fondi integrativi, modelli previsionali, ricerca, efficienza e appropriatezza utilizzo fattori produttivi.
  • 27 maggio. La bozza del Patto finisce sotto i riflettori per la clausola di salvaguardia che rischia di vanificare le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio: le Regioni si irrigidiscono, recuperando poi la sintonia con la Ministra sulla necessità di abolire la clausola.
  • 8-10 luglio. Il Ministero della Salute organizza la “Maratona Patto per la Salute”, kermesse per raccogliere le proposte di tutti gli stakeholder della sanità.
  • 17 luglio. La Ministra Grillo davanti alle Commissioni Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato dichiara che «le interlocuzioni con Regioni e Province autonome stanno proseguendo per arrivare ad […] un Patto per la Salute che restituisca alla sanità centralità nelle politiche del Paese».

Dal 5 settembre a oggi: Ministro Roberto Speranza.

  • 19 settembre. Luigi Icardi, neo-coordinatore della Commissione sanità delle Regioni, dichiara che «Sul Patto abbiamo ingranato la quinta […] e siamo già al 90% del lavoro […] con l’obiettivo di portare le nostre proposte all’attenzione della Conferenza delle Regioni del 26 settembre».
  • 25 settembre. Il Ministero invia alle Regioni un documento suddiviso in 15 schede tematiche, da cui viene definitivamente eliminata la clausola di salvaguardia finanziaria. Ma il Patto per la Salute non risultava tra i punti all’ordine del giorno del 26 settembre della Conferenza delle Regioni.
  • 2 ottobre. Le Regioni accolgono positivamente il documento, concordando sulla volontà di chiudere il testo entro ottobre.
  • 10 ottobre. Governo e Regioni stabiliscono di posticipare la scadenza per la stipula del Patto al 31 dicembre.
  • 24 ottobre. Il Ministro Speranza di fronte alle Commissioni congiunte Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato dichiara che «Ci sono le condizioni per dare un'accelerazione nelle prossime settimane e arrivare nel più breve tempo possibile all'approvazione di questo documento strategico».
  • 26 ottobre. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Fiscale che sancisce lo slittamento della stipula Patto per la Salute al 31 dicembre 2019.
  • 30 ottobre. Rispetto all’impianto generale del Patto, ormai chiuso, il MEF esprime perplessità sul nuovo sistema di Piani di rientro e commissariamenti e sulla flessibilità dei tetti di spesa per il personale sanitario.
  • 13 novembre. Il Ministro Speranza esclude stralci del testo da parte del MEF con cui conferma una interlocuzione positiva e costruttiva.

 

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11 novembre 2019
GIMBE: nasce l’Osservatorio mondiale sulle evidenze scientifiche per il futuro della ricerca e della sanità

PER UNA RICERCA REALMENTE FINALIZZATA A MIGLIORARE LA SALUTE DELLE PERSONE E LA SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI SANITARI, LA FONDAZIONE GIMBE HA LANCIATO IL PROGETTO “GLOBEE”. L’OBIETTIVO È MONITORARE PUBBLICAZIONE, IMPLEMENTAZIONE E IMPATTO DEGLI STANDARD INTERNAZIONALI REALIZZATI PER OTTIMIZZARE PRODUZIONE, SINTESI E TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE ALLA PRATICA PROFESSIONALE, ALLE POLITICHE SANITARIE E ALLE SCELTE DEI PAZIENTI.

11 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

La 9a edizione della International Conference for Evidence-based Healthcare Teachers and Developers, (Taormina, 6-9 novembre 2019) organizzata dalla Fondazione GIMBE, ha riunito in Italia oltre 200 tra i massimi esperti mondiali provenienti da 33 paesi di tutti i continenti per discutere delle sfide che deve affrontare l’ecosistema delle evidenze scientifiche.

«Analogamente agli ecosistemi presenti in natura – ha esordito Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – l’ecosistema delle evidenze scientifiche è influenzato da tre componenti: gli esseri viventi, ovvero gli innumerevoli attori della sanità e della ricerca con le loro competizioni, collaborazioni e conflitti di interesse; i fattori ambientali, ossia le determinanti sociali, culturali economiche e politiche; la componente non vivente, ovvero le evidenze scientifiche attraverso i processi di produzione, sintesi e trasferimento alle decisioni professionali e di politica sanitaria e alle scelte di cittadini e pazienti».

«Al di là dei sofismi metodologici – ha ribadito il Presidente – il fine ultimo dell’evidence-based healthcare (EBHC) consiste nel migliorare la salute delle popolazioni, la sostenibilità dei servizi sanitari e le esperienze dei pazienti, integrando a tutti i livelli le migliori evidenze scientifiche nelle decisioni che riguardano la salute delle persone. Purtroppo, la produzione, la sintesi e il trasferimento delle evidenze scientifiche, i tre pilastri che reggono l’intero ecosistema, sono “erosi” da molteplici criticità e le loro interazioni non sono ben armonizzate». Cartabellotta, oltre a rilevare gli interessi commerciali che condizionano la ricerca, ha analizzato le criticità che oggi mettono in crisi l’intero movimento dell’EBHC:

  • Produzione delle evidenze. Dalle innumerevoli aree di incertezza dove gli studi mancano o sono di scarsa qualità e/o conflittuali agli sprechi nella conduzione e pubblicazione della ricerca, classificati in 5 aree: definizione delle priorità; disegno, conduzione e analisi; regolamentazione e gestione; accessibilità; completezza e usabilità.
  • Sintesi delle evidenze. Dalla proliferazione “epidemica” di inutili revisioni sistematiche prodotte solo per aumentare il numero di pubblicazioni, a linee guida metodologicamente inadeguate, spesso duplicate sulle stesse patologie/condizioni e incapaci di prendere in considerazione la multi-morbidità.
  • Trasferimento delle evidenze. I consistenti gap tra le migliori evidenze disponibili e pratica professionale, politiche sanitarie e scelte dei pazienti condizionano negativamente la sostenibilità dei servizi sanitari, lo stato di salute delle popolazioni e le esperienze dei pazienti. Infatti, ingenti risorse vengono sprecate per sovra-utilizzo di interventi sanitari (farmaci, test diagnostici, dispositivi) inefficaci e inappropriati, sotto-utilizzo di quelli efficaci e appropriati e inadeguato coordinamento dell’assistenza, in particolare tra ospedale e cure primarie, determinando esiti di salute non ottimali e esperienze negative dei pazienti.

«Se è vero che negli ultimi 20 anni – ha spiegato Cartabellotta – la letteratura metodologica internazionale ha prodotto numerosi standard e strumenti per migliorare i processi di produzione, sintesi e implementazione delle evidenze, la loro qualità è molto variabile e non si conosce il loro impatto reale. Ma soprattutto, manca una visione globale sull’ecosistema delle evidenze scientifiche».

Ecco perché la Fondazione GIMBE ha lanciato il progetto GLOBEE (GLobal OBservatory on Ecosystem of Evidence), un osservatorio mondiale in cui saranno coinvolte tutte le organizzazioni internazionali impegnate nel migliorare i tre pilastri dell’ecosistema delle evidenze scientifiche «con l’obiettivo – ha spiegato il Presidente – di rilevare i bisogni, tracciare la pubblicazione e monitorare implementazione e impatto di tutti gli standard internazionali finalizzati a migliorare produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze».

«I più autorevoli esperti mondiali nel campo dell’EBHC – conclude Cartabellotta – hanno espresso grande entusiasmo e massima disponibilità a collaborare con la Fondazione GIMBE per il lancio di GLOBEE. E soprattutto hanno condiviso che, in un momento caratterizzato dalla crisi dell’EBHC è indifferibile sia orientare al miglioramento della salute pubblica i processi di produzione e sintesi della ricerca, sia favorire un adeguato trasferimento delle migliori evidenze alla pratica professionale, alle politiche sanitarie ed alle decisioni di cittadini e pazienti».

La Fondazione GIMBE invita a manifestare il proprio interesse ad essere coinvolti nel progetto a: www.globee.online.


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5 novembre 2019
Manovra 2020: per la sanità luci e ombre, ma è buio pesto su personale e sblocco dei nuovi LEA

ANALISI GIMBE DEL TESTO DELLA LEGGE DI BILANCIO INVIATO ALLE CAMERE: IMPLICITAMENTE CONFERMATI I 3,5 MILIARDI DI AUMENTO DEL FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE PER IL 2020-2021, MA NESSUN CENNO ALLE RISORSE PER IL 2022. RILEVANTE INVESTIMENTO DI ULTERIORI € 2 MILIARDI PER EDILIZIA SANITARIA E AMMODERNAMENTO TECNOLOGICO, IN PARTE DESTINATI ALLA DOTAZIONE DI APPARECCHIATURE DEL MEDICO DI FAMIGLIA. BENE ELIMINAZIONE SUPERTICKET, MA PER GARANTIRE L’UNIVERSALISMO VOLUTO DAL MINISTRO SPERANZA, GOVERNO E PARLAMENTO DEVONO SBLOCCARE I NUOVI LEA. GRANDE ASSENTE DALLA MANOVRA IL RILANCIO DELLE POLITICHE PER IL PERSONALE SANITARIO, NONOSTANTE LE ENORMI CRITICITÀ CHE PARALIZZANO LA SANITÀ PUBBLICA.

5 novembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il testo della Legge di Bilancio 2020 approda in Parlamento con buone nuove per la sanità pubblica: implicitamente confermati i € 3,5 miliardi di aumento del fabbisogno sanitario nazionale (FSN) standard per il biennio 2020-2021, eliminazione del superticket, aumento di € 2 miliardi per il programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico, in parte destinati alla dotazione tecnologica dei medici di famiglia. Ma è realmente tutto oro quello che luccica? «Al fine di favorire il dibattito parlamentare – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – oltre che il confronto tra Governo e Regioni al fine della stipula del Patto per la Salute, la Fondazione GIMBE ha realizzato un’analisi indipendente degli investimenti previsti per la sanità nella Legge di Bilancio 2020». Dall’analisi sono escluse le misure finalizzate al recupero di risorse (rimodulazione detrazioni fiscali, sugar tax, accise tabacchi, etc.) che non necessariamente saranno reinvestite in sanità.

Fabbisogno sanitario nazionale (FSN) standard 2020-2022. Il testo della manovra non menziona gli aumenti previsti dalla Legge di Bilancio 2019, ovvero € 2 miliardi nel 2020 e € 1,5 miliardi nel 2021. «Un incremento di € 3,5 miliardi in due anni – puntualizza Cartabellotta – rappresenta un grande risultato, tenendo conto che nel periodo 2010-2019 il FSN è aumentato di soli € 8,8 miliardi». Tali risorse, tuttavia, rimangono appese al filo del Patto per la Salute 2019-2021 la cui stipula, con scadenza slittata dal 31 marzo al 31 dicembre, sembra ancora in alto mare: il MEF è infatti molto scettico su due punti che hanno trovato la convergenza di Ministero della Salute e Regioni: il superamento di Piani di rientro e commissariamenti e la maggiore flessibilità dei tetti di spesa per il personale. «Oltre a sollecitare Governo e Regioni ad accelerare la stipula del Patto – rileva il Presidente – la Fondazione GIMBE chiede di mettere nero su bianco il finanziamento del FSN per il 2022 e richiamare esplicitamente gli incrementi 2020-2021».

Il testo della Legge di Bilancio 2020 prevede risorse finalizzate a specifici obiettivi:

  • Eliminazione del superticket. Dal 1° settembre 2020 sarà abolito l’iniquo balzello applicato dalle Regioni per la compartecipazione alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. Per garantire le coperture il FSN standard viene aumentato di € 185 milioni per il 2020 e di € 554 milioni annui a decorrere dal 2021. «Il Ministro Speranza – commenta il Presidente – ha finalmente portato a casa un risultato storico per ridurre le diseguaglianze, anche se il processo di riduzione/eliminazione del superticket era già stato avviato da alcune Regioni».
  • Programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico. Aumenta di € 2 miliardi il fondo per il programma pluriennale. «Riconoscendo l’impegno del Governo – commenta Cartabellotta – è bene precisare che tali risorse non saranno immediatamente disponibili: ad esempio, i € 4 miliardi messi sullo stesso piatto dalla precedente Legge di Bilancio saranno distribuiti alle Regioni durante un arco temporale che si estende sino al 2033».
  • Apparecchiature sanitarie dei medici di medicina generale. € 235,8 milioni del fondo per la ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento tecnologico saranno destinati ad apparecchiature sanitarie per erogare prestazioni di competenza dei medici di medicina generale. «Si tratta – spiega il Presidente – di un segnale storico per il rilancio delle cure primarie nella gestione dei pazienti cronici, anche se l’efficacia di questo investimento per ridurre le liste di attesa è un’avvincente ipotesi tutta da dimostrare. Inoltre, per massimizzarne il ritorno, l’investimento dovrebbe essere accompagnato da misure normative, contrattuali, organizzative e formative. Infine, opportuno rilevare che rispetto ai test diagnostici di primo livello (elettrocardiogramma, spirometria, etc.), eseguibili in qualsiasi ambulatorio, gli innovativi sistemi di tele-assistenza, di per sé efficaci, rischiano di rimanere sottoutilizzati in assenza adeguate infrastrutture, formazione di professionisti e pazienti».
  • Fondo per la disabilità e la non autosufficienza. Istituito per “finanziare interventi finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alla disabilità”, prevede una dotazione di € 50 milioni per il 2020, € 200 milioni per il 2021 e € 300 milioni dal 2022. «Vista la parziale sovrapposizione nella denominazione – commenta Cartabellotta – sarebbe opportuno sia esplicitare che queste risorse vanno ad integrare il Fondo nazionale per la non autosufficienza che oggi ammonta a circa € 570 milioni, sia specificarne meglio la destinazione d’uso».
  • Rinnovi contrattuali 2019-2021. L’art. 13 incrementa le risorse a carico dello Stato da destinare alla contrattazione collettiva nazionale per il triennio 2019-2021 con incrementi retributivi (1,3% nel 2019, 1,9% nel 2020, 3,5% dal 2021) per il personale della Pubblica Amministrazione. Invece, per il personale dipendente e convenzionato del SSN gli oneri rimangono carico dei bilanci delle relative amministrazioni ed enti. «Traducendo il politichese – puntualizza il Presidente – non esistono risorse dedicate per i rinnovi contrattuali del personale sanitario e le Regioni dovranno reperirle dal FSN».

I grandi assenti. Restano fuori dalla manovra alcune rilevanti priorità per la tenuta del SSN.

  • Personale sanitario. A fronte del grave impoverimento del capitale umano della sanità pubblica, il testo della manovra non contiene alcun investimento dedicato né per i rinnovi contrattuali, né per lo sblocco del turnover secondo i parametri fissati dal Decreto Calabria, né prevede l’incremento del numero delle borse di specializzazione.
  • Nuovi LEA. A quasi 3 anni dalla pubblicazione del DPCM 12 gennaio 2017 continua l’assordante silenzio sulla mancata esigibilità dei nuovi LEA: i nomenclatori tariffari relativi a specialistica e protesica restano “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria, impedendo l’esigibilità delle nuove prestazioni nella maggior parte delle Regioni. Le stime per la copertura oscillano tra € 800 milioni (Ragioneria Generale dello Stato) e € 1.600 milioni (Conferenza Regioni e Province autonome).
  • Fondi per i farmaci innovativi. Nel testo della manovra non c’è traccia del rinnovo dei due fondi destinati a farmaci innovativi e innovativi oncologici, ciascuno di € 500 milioni. «Vero è – precisa Cartabellotta – che la Legge di Bilancio 2017 istituiva i fondi senza definirne alcuna scadenza, ma dopo il primo triennio è opportuno che la manovra metta nero su bianco la conferma con i relativi capitoli di bilancio (quota premiale vs FSN)».

«Nonostante il seducente vestito confezionato per la sanità – conclude Cartabellotta – il testo della Legge di Bilancio sbarca in Parlamento con incertezze e ambiguità. Dalla mancata esplicitazione dell’incremento del FSN per il 2020-2021 all’omessa definizione delle risorse per il 2022; dal silenzio sui fondi per i farmaci innovativi all’istituzione di un Fondo per “disabilità e non autosufficienza” senza precisare che integra quello esistente. Riguardo alla tutela dell’universalismo, grande merito al Ministro Speranza di aver definitivamente eliminato il superticket: tuttavia, visto che l’articolo 32 della Costituzione rappresenta il faro del suo programma è indispensabile che Governo e Parlamento lo supportino, vincolando almeno € 1 miliardo per sdoganare i “nuovi LEA” e soprattutto, concretizzando un rilancio delle politiche per il personale sanitario che non hanno diritto di cittadinanza nel testo della manovra».


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29 ottobre 2019
Agenzia Italiana del Farmaco: serve un cambio di rotta per designare chi gestisce oltre 29 miliardi l’anno

IN OCCASIONE DELLA PROSSIMA NOMINA DEL NUOVO DIRETTORE GENERALE DELL’AIFA, LA FONDAZIONE GIMBE CHIEDE AL MINISTRO SPERANZA DI RENDERE PUBBLICI SIA IL PROFILO DELLE COMPETENZE, SIA LE PROCEDURE E I CRITERI DI VALUTAZIONE UTILIZZATI PER SCEGLIERE UN PLENIPOTENZIARIO CHE DEVE GARANTIRE LA GOVERNANCE DEL FARMACO TRA INNOVAZIONE, ETICA E SOSTENIBILITÀ. GIMBE INVITA INOLTRE A PRENDERE ATTO CHE, DOPO 15 ANNI, È OPPORTUNO AVVIARE UNA DISCUSSIONE PIÙ AMPIA PER MODIFICARE IL REGOLAMENTO SU ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELL'AIFA, INCLUSI I CRITERI DI NOMINA DEL DIRETTORE GENERALE.

29 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Il 24 ottobre il Ministero della Salute ha pubblicato un avviso pubblico per la manifestazione di interesse per l’incarico di direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), certificando che il Ministro Speranza ha avviato lo spoils system che porterà alla sostituzione di Luca Li Bassi entro il prossimo 9 dicembre. Modalità che ricalcano quelle inaugurate dall’ex Ministra Giulia Grillo che pubblicò un identico avviso per sostituire l’allora direttore Mario Melazzini.

«Il direttore generale dell’AIFA – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è una figura chiave per la sostenibilità e l’innovazione farmaceutica del Servizio Sanitario Nazionale: infatti se da un lato gestisce la quota di spesa sanitaria più elevata, visto che il mercato dei farmaci vale più di € 29 miliardi di cui oltre € 22 di spesa pubblica, dall’altro il Regolamento sull'organizzazione ed il funzionamento dell'AIFA (DM 245/2004) ne fa una figura plenipotenziaria che, oltre ai poteri di rappresentanza legale dell’Ente, mantiene tutti quelli di gestione e direzione delle attività».

Se la normativa prevede che sia il Ministro della Sanità a nominare il direttore generale dell’AIFA, «rispetto alla nomina fiduciaria – puntualizza Cartabellotta – l’avviso pubblico di manifestazione di interesse lanciato da Giulia Grillo è stato un primo passo verso la trasparenza, anche se la successiva procedura di selezione è stata assolutamente opaca». Infatti, prima della selezione è stato pubblicato solo il numero di richieste pervenute (93) e solo dopo la nomina di Luca Li Bassi sono stati resi noti i 3 esperti che hanno selezionato la rosa dei candidati più adatti al ruolo. Al contrario, i metodi con cui gli esperti hanno valutato i curricula e le motivazioni della decisione della Ministra Grillo di proporre Li Bassi alla Conferenza delle Regioni e Province autonome sono rimasti nell’ombra.

«Peraltro, a fronte dell’enorme complessità dell’AIFA – continua Cartabellotta – i requisiti richiesti per ricoprirne il ruolo di direttore generale sono troppo generici e non è mai stato definito un profilo di competenze specifiche». Infatti, l’art. 10 del DM 245/2004 indica criteri talmente minimalisti da lasciare massima discrezionalità nella scelta: diploma di laurea specialistica e, molto genericamente, “qualificata e documentata competenza ed esperienza sia sul piano tecnico-scientifico nel settore dei farmaci, sia in materia gestionale e manageriale”.

Un minimalismo che stride, ad esempio, con l’ultima call della Commissione Europea per la nomina del direttore esecutivo della European Medicines Agency (EMA), che include una descrizione molto analitica delle competenze richieste: dall’esperienza in funzione dirigenziale alle conoscenze tecniche, dalle capacità di comunicazione e negoziazione ai requisiti formali, sino ai criteri di indipendenza e conflitto di interessi. Ma soprattutto descrive minuziosamente il processo che porta alla selezione dei candidati e quindi alla nomina del direttore esecutivo da parte della Commissione Europea.

«Considerate le enormi criticità nella governance della spesa farmaceutica – precisa Cartabellotta – la delicata gestione dei rapporti con l’industria, l’indifferibile revisione del prontuario, l’esigenza di conciliare sostenibilità e innovazione, l’insolita “doppia veste” di agenzia regolatoria e di health technology assessment, la necessità di rilanciare l’informazione indipendente sui farmaci e di potenziare la ricerca indipendente, è indubbio che la selezione del direttore generale dell’AIFA debba avvenire su basi meritocratiche in assenza di conflitti di interesse». Ecco perché sarebbe opportuno rendere pubblici, prima della nomina, sia una descrizione analitica delle competenze richieste, sia le procedure e i criteri di valutazione che porteranno il Ministro alla scelta fiduciaria di una figura che nel 2018 ha gestito oltre € 22 miliardi di spesa pubblica.

«Certi che il Ministro Speranza – conclude Cartabellotta – sceglierà la figura più idonea, la Fondazione GIMBE da un lato chiede di rendere il processo di nomina più esplicito e trasparente, dall’altro rileva che il DM 245/2004 ha ormai fatto il suo tempo. Dopo 15 anni è dunque necessario avviare una discussione più ampia sulla necessità di modificarlo, in particolare rispetto alle modalità di conferimento dell’incarico di direttore generale, sia perché il ruolo dell’AIFA è profondamente mutato, sia perché la riforma degli enti vigilati è nell’agenda del nuovo Patto per la Salute».


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15 ottobre 2019
Un milione di pazienti con scompenso cardiaco: riorganizzare l’assistenza per ridurre ricoveri e mortalità

L’IDENTIKIT DELLO SCOMPENSO CARDIACO IN ITALIA DOCUMENTA UNA PREVALENZA IN CONTINUO AUMENTO, TASSI DI OSPEDALIZZAZIONE ALLE STELLE RISPETTO AD ALTRE MALATTIE CRONICHE, MORTALITÀ ELEVATA ED IMPATTO ECONOMICO MOLTO RILEVANTE. INDISPENSABILE SPOSTARE L’ASSE DELL’ASSISTENZA SUL TERRITORIO CON NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI CHE INTEGRANO TEAM SPECIALISTICI E DI CURE PRIMARIE, COINVOLGENDO ATTIVAMENTE I PAZIENTI PER AUMENTARE L’ADERENZA TERAPEUTICA E MIGLIORARE GLI STILI DI VITA. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E TERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO DESTINATE A MEDICI DI FAMIGLIA, INFERMIERI, OLTRE CHE A PAZIENTI FAMILIARI E CAREGIVER.

15 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Lo scompenso cardiaco cronico costituisce un problema di salute pubblica sempre più rilevante perché, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei progressi terapeutici nell’ambito delle malattie cardiovascolari, il numero dei malati è in costante aumento. In Italia si stimano circa 1 milione di pazienti con scompenso cardiaco, pari all’1,7% della popolazione, con circa 90.000 nuovi casi all’anno. La prevalenza della malattia aumenta di circa il 2% per ogni decade di età sino a raggiungere almeno il 10% nei pazienti over 70. Lo scompenso cardiaco cronico è gravato da un elevato tasso di mortalità: circa il 10% dei pazienti muore in occasione del primo ricovero ospedaliero, oltre il 25% decede entro un anno dalla diagnosi e circa la metà entro 5 anni; inoltre, quasi il 60% viene re-ospedalizzato entro un anno dal primo ricovero.

Secondo il Rapporto annuale 2017 sull’attività di ricovero ospedaliero del Ministero della Salute, lo scompenso cardiaco è la prima causa di ricovero per malattie non chirurgiche: 176.254 dimissioni con una degenza media di 9,2 giorni, un totale di 1.626.769 giornate di degenza e una remunerazione teorica di oltre € 527 milioni. A questi si aggiungono 6.331 ricoveri in regime di riabilitazione con una degenza media di 19,9 giorni, un totale di 131.956 giorni di ricovero e 14.638 accessi in regime diurno. Il tasso di ospedalizzazione è di gran lunga superiore a quello di tutte le altre malattie croniche: 312 per 100.000 abitanti nei pazienti maggiorenni e 1.052 per 100.000 abitanti negli over 65, con ampie variabilità regionali che documentano una notevole eterogeneità della presa in carico territoriale.

L’impatto economico della malattia è enorme: secondo i dati dell’Osservatorio ARNO pubblicati nel 2015 un paziente con scompenso cardiaco costa quasi € 12.000 euro l’anno di cui l’85% assorbito dal ricovero ospedaliero, il 10% dai farmaci e il 5% dalle prestazioni specialistiche.

«I dati del Programma Nazionale Esiti – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – documentano in questi pazienti range molto ampi dei tassi di re-ospedalizzazione e della mortalità a 30 giorni, confermando indirettamente l’estrema variabilità della qualità dell’assistenza sia ospedaliera che territoriale. Ecco perché è indispensabile sia un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, sia reti clinico-assistenziali integrate tra ospedale e territorio guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) che devono sempre essere basati su linee guida di elevata qualità metodologica».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate al settembre 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. Le linee guida NICE sono destinate prevalentemente ai professionisti delle cure primarie, in particolare a medici di medicina generale e infermieri, formulando raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: diagnosi, approccio multidisciplinare, sviluppo del piano assistenziale, terapia farmacologica, monitoraggio dei pazienti, consigli su stili di vita e programmi di riabilitazione, sino alle cure palliative. Le linee guida sono corredate di due flow chart per guidare l’approccio diagnostico e quello terapeutico.

«II dati epidemiologici – puntualizza Cartabellotta – quelli provenienti dal real world e le evidenze scientifiche suggeriscono che per la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco è indispensabile puntare su modelli organizzativi a gestione extra-ospedaliera, efficaci nel migliorare la qualità di vita e nel ridurre la mortalità e le re-ospedalizzazioni, i cui costi rischiano di diventare insostenibili per la sanità pubblica». In tal senso, le linee guida NICE puntano sulla riorganizzazione territoriale dei servizi grazie ad una stretta collaborazione tra un team multiprofessionale specializzato e un team di cure primarie, definendone le specifiche responsabilità.

«I pazienti con scompenso cardiaco – continua il Presidente – possono essere ospedalizzati oppure assistiti in setting specialistici in occasione di riacutizzazioni e “restituiti” alle cure primarie una volta stabilizzati. Considerato che spesso presentano comorbidità rilevanti (ipertensione, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva, etc.), gestire tutte le informazioni è un processo complesso con ruoli e responsabilità non sempre chiari». Ecco perché le linee guida NICE raccomandano di redigere e aggiornare periodicamente piani assistenziali personalizzati e strutturati da condividere con pazienti, familiari e caregiver oltre che con tutti i professionisti coinvolti nell’assistenza. «Tutto ciò – precisa Cartabellotta – senza trascurare gli interventi sugli stili di vita: dalla necessità di ridurre consumo di sali e apporto di liquidi, ai programmi riabilitativi personalizzati basati sull’esercizio fisico con obiettivi ben definiti e adeguatamente monitorati».

«Auspichiamo che la versione italiana di questo documento del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti un’autorevole base scientifica sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le “Linee guida per la diagnosi e la terapia dello scompenso cardiaco cronico negli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/scompenso-cardiaco.  


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9 ottobre 2019
Cronicità e invecchiamento: non può esistere assistenza sanitaria senza assistenza sociale

LA FONDAZIONE GIMBE HA PRESENTATO AL CONGRESSO NAZIONALE FIMMG UN REPORT CHE ANALIZZA LA SPESA SOCIALE DI INTERESSE SANITARIO CHE NEL 2017 SFIORA I 42 MILIARDI DI EURO. CONSIDERATO CHE L’IMPATTO COMPLESSIVO DELLA SPESA DELLE FAMIGLIE PER LA LONG-TERM CARE SUPERA I 12 MILIARDI, OLTRE IL SOMMERSO, PER UNA GESTIONE OTTIMALE DI CRONICITÀ, MULTIMORBIDITÀ E INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE È INDISPENSABILE RIVEDERE LE MODALITÀ DI FINANZIAMENTO, ORGANIZZAZIONE, EROGAZIONE E MONITORAGGIO DELL’ASSISTENZA SOCIO-SANITARIA CON L’OBIETTIVO DI DEFINIRE, NEL MEDIO TERMINE, UN FABBISOGNO SOCIO-SANITARIO NAZIONALE.

9 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Villasimius (CA)

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi al 76° Congresso Nazionale FIMMG-METIS nella sessione “Tendenze demografiche e nuove povertà” un report che analizza la spesa sociale di interesse sanitario, in larga parte riconducibile al grande contenitore della long term care (LTC) e stimata per il 2017 in quasi € 42 miliardi. Il Presidente Nino Cartabellotta ha enfatizzato che le attuali modalità di finanziamento, organizzazione, erogazione e monitoraggio dell’assistenza socio-sanitaria sono inadeguate e che per la gestione di invecchiamento, cronicità e multimorbidità è indispensabile gettare presto le basi per un servizio socio-sanitario nazionale, al fine di pervenire nel medio termine un fabbisogno socio-sanitario nazionale.

«La salute e la qualità di vita delle persone – esordisce il Presidente– sono condizionate, oltre che dall’assistenza sanitaria, anche da tutte le prestazioni sociali finalizzate a soddisfare i bisogni legati a patologie e condizioni che determinano non solo disabilità, ma anche limitazioni funzionali o parziale non-autosufficienza. Tali prestazioni sono in larga parte riconducibili al grande contenitore della LTC».

La spesa sanitaria per LTC include l’insieme delle prestazioni sanitarie erogate a persone non autosufficienti che, per senescenza, malattia cronica o limitazione mentale, necessitano di assistenza continuativa. Secondo i conti ISTAT-SHA nel 2017 questa spesa ammonta a € 15.511 milioni: € 11.757 milioni (75,8%) di spesa pubblica, € 3.618 milioni (23,3%) a carico delle famiglie e € 136 milioni (0,9%) di spesa intermediata.

«Se formalmente – continua Cartabellotta – i livelli essenziali di assistenza dovrebbero essere integralmente coperti dalla spesa pubblica, tutte le forme di assistenza socio-sanitaria (domiciliare, territoriale, residenziale e semiresidenziale) vengono finanziate prevalentemente dalla spesa sociale di interesse sanitario. In altre parole, i servizi assistenziali destinati alla LTC escono dal perimetro della spesa sanitaria, sfuggendo a tutte le analisi che non considerano la spesa sociale di interesse sanitario».

Considerato che tra i punti del “Piano di Salvataggio del SSN” elaborato dalla Fondazione GIMBE rientra “Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali condizionano la salute e il benessere delle persone”, è fondamentale integrare la spesa sanitaria con la quella sociale di interesse sanitario, che il report GIMBE stima per il 2017 in € 41.888, così ripartiti:

  • Fondo Nazionale per la non autosufficienza: € 513,6 milioni
  • Fondi regionali per la non autosufficienza: € 435,5 milioni, importo riferito alla sola Regione Emilia Romagna per impossibilità di reperire i dati di altre Regioni
  • INPS: € 27.853,4 milioni che includono pensioni di invalidità previdenziale (€ 8.475,9 milioni), le prestazioni assistenziali (€ 13.802 milioni per indennità di accompagnamento e € 3.524,3 milioni per pensioni agli invalidi civili) e i permessi retribuiti (€ 2.051,2 milioni)
  • Comuni: € 3.977 milioni per prestazioni in denaro e natura
  • Famiglie: la stima della spesa diretta ammonta a € 9.109 milioni che includono i servizi regolari di badantato (€ 5.009 milioni) e i costi indiretti per mancato reddito dei caregiver (stimabili in € 4.100 milioni). Le stime della spesa per le badanti irregolari (compresa tra € 6.185,9 e € 9.776,4 milioni) non sono state incluse nel computo totale.

«Se l’assistenza sanitaria – puntualizza il Presidente – configura un sistema di prestazioni in natura, la spesa sociale per la LTC è quasi interamente rappresentata da erogazioni in denaro senza vincolo di destinazione, né sottoposte ad alcuna verifica. Di conseguenza, sfuggendo a qualsiasi meccanismo di governance pubblica, è impossibile stimare il ritorno in termini di salute di questi investimenti pubblici. D’altro canto, senza considerare il sommerso, l’impatto complessivo della LTC sulle famiglie supera i € 12,2 miliardi di euro».

Al fine di avviare un dibattito pubblico sulla complessa integrazione tra assistenza sociale e sanitaria la Fondazione GIMBE fornisce nel report alcune raccomandazioni perché tale integrazione può migliorare gli esiti di salute, ottimizzare l’uso del denaro pubblico e preparare il SSN alle ardue sfide che lo attendono. In particolare, è necessario potenziare e formare adeguatamente le risorse umane, implementare tecnologie informatiche innovative e introdurre nuovi modelli di finanziamento, dove decisori politici, responsabili della programmazione sanitaria, professionisti sanitari e operatori sociali devono attuare un gioco di squadra perché tutti rivestono un ruolo primario.

«Evidenze scientifiche e dati dal real world – conclude Cartabellotta – dimostrano che non può esistere assistenza sanitaria senza assistenza sociale: di conseguenza è indispensabile avviare una profonda revisione delle modalità attuali di finanziamento, organizzazione, erogazione e monitoraggio dell’assistenza socio-sanitaria, al fine di integrare la spesa sanitaria con quella sociale e pervenire, nel medio termine, alla definizione di un fabbisogno socio-sanitario nazionale».

La versione integrale del Report “La spesa sociale di interesse sanitario nel 2017” è disponibile all’indirizzo web: www.gimbe.org/spesa-sociale-2017


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2 ottobre 2019
Verso la manovra 2020: per sostenere la Sanità belle parole, ma nessun rilancio del finanziamento pubblico

L’ANALISI GIMBE DELLA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DEF 2019 DOCUMENTA CHE I GOVERNI CAMBIANO MA PER LA SANITÀ PUBBLICA LA MUSICA È SEMPRE LA STESSA. PAROLE APPASSIONATE SULLA VOLONTÀ DI SOSTENERE E RAFFORZARE UN SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO E UNIVERSALISTICO, MA SENZA RILANCIARE IL FINANZIAMENTO. IL “PIANO STRAORDINARIO” DI ASSUNZIONI DI MEDICI E INFERMIERI PREVISTO DAL PROGRAMMA DI GOVERNO DIVENTA UN “ORDINARIO PROSEGUIMENTO” DI ASSUNZIONI E STABILIZZAZIONI PER COPRIRE LE CARENZE DI PERSONALE. SI CONFERMA LA LINEA DI TUTTI I PRECEDENTI GOVERNI: L’EVENTUALE RIPRESA DELL’ECONOMIA NON DETERMINERÀ ALCUN RILANCIO DEL FINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA.

2 ottobre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

La linea programmatica relativa alla sanità nella Nota di aggiornamento al DEF (NaDEF) 2019 conferma - almeno a parole – quanto previsto dal Programma di Governo: “Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) rappresenta un patrimonio da tutelare e rafforzare intervenendo anche per ridurre disuguaglianze crescenti. Occorre consolidare la natura universalistica del servizio sanitario nazionale e il ruolo cruciale della sanità pubblica nell’assicurare a tutti i cittadini il pieno diritto ad accedere ai migliori servizi per la salute”.

«A fronte di questa premessa – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dopo 10 anni di saccheggio che hanno sottratto alla sanità pubblica oltre € 37 miliardi, dalla NaDEF 2019 era lecito aspettarsi un forte segnale di discontinuità. Invece, i numeri sono inequivocabili: nessun rilancio del finanziamento pubblico che, nella migliore delle ipotesi, per il 2020-2021 aumenterà dei € 3,5 miliardi già assegnati dalla scorsa Legge di Bilancio, pericolosamente legati al nuovo Patto per la Salute, ancora sul tavolo di Governo e Regioni».

Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio 2020, al fine di stemperare gli entusiasmi e ridurre vane aspettative, la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2019.

Revisione delle stime finanziarie

  • La NaDEF 2019 stima una crescita del PIL del 2% nel 2020 che raggiunge il 2,7% nel 2021 per poi flettere al 2,6% nel 2022, ma contiene l’aumento percentuale della spesa sanitaria all’1,7% nel 2020, 1,2% nel 2021 e 1,4% nel 2022. Questo primo dato conferma che la crescita della spesa sanitaria nel triennio 2020-2022 rimane sempre inferiore a quella stimata per il PIL nominale: -0,3% nel 2020, -1,5% nel 2021 e -0,8% nel 2022. Peraltro, considerato che l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale dei prezzi al consumo, la restrizione in termini di spesa reale è ancora più marcata.
  • Rispetto al DEF 2019, la NaDEF 2019 aumenta il rapporto spesa sanitaria/PIL solo di un misero 0,1% nel 2022 riallineandolo al 6,5% del 2021. Nessuna inversione di tendenza dunque e, soprattutto, nessuna traccia della proposta “Quota 10” del Partito Democratico, ovvero “10 miliardi di risorse aggiuntive nei prossimi 3 anni”.
  • Le stime della spesa sanitaria aumentano rispetto al DEF 2019: € 120.596 milioni per il 2020 (+ € 643 milioni), € 122.003 per il 2021 (+ € 645 milioni) e € 123.696 per il 2022 (+ € 644 milioni), ma si rileva un anomalo incremento di € 3,150 miliardi (+ 2,7%) dal 2018 al 2019: da € 115.410 milioni certificati nel 2018 dalla Ragioneria Generale dello Stato ai € 118.560 stimati dalla NaDEF per il 2019. «Considerato che il deficit ante-coperture nel 2018 – afferma Cartabellotta –  ammonta a € 1.200 milioni e che il finanziamento pubblico aggiuntivo nel 2019 è pari a € 1 miliardo, si tratta di un via libera per le Regioni a spendere in libertà nei prossimi mesi aumentando il deficit? Oppure è una sofisticata mossa contabile?». Parallelamente, non tornano i conti rispetto all’incremento del finanziamento pubblico previsto dall’ultima Legge di Bilancio: nel 2020 l’aumento stimato della spesa sanitaria è di soli € 645 milioni (invece che € 2.000) e nel 2021 di € 645 (invece che € 1.500).

 

Azioni e contraddizioni. Se da un lato si riconosce la volontà di attenuare le disuguaglianze in termini di accesso ai servizi e di variabilità regionale garantendo l'erogazione dei LEA in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, dall’altro il Programma di Governo intende proseguire nel processo di autonomia differenziata, che realisticamente aumenterà proprio le diseguaglianze. Si propone di “aumentare l'attenzione per la promozione e la prevenzione della salute” senza azioni correlate né risorse dedicate. «Inoltre – commenta il Presidente – è anacronistico affermare che bisogna “prepararsi ai cambiamenti derivanti dal progresso scientifico e tecnologico”, ignorando il ritardo decennale nell’adozione di tecnologie innovative, prima tra tutte la telemedicina non ancora inclusa nei LEA». Rispetto alla compartecipazione della spesa sanitaria, la NaDEF ripropone la progressiva rivisitazione dell’attuale sistema aggravato dall’introduzione del superticket la cui abolizione è obiettivo prioritario per il Ministro Speranza, ma paradossalmente l’iniquo balzello potrebbe essere scaricato sul fondo sanitario nazionale». Dulcis in fundo puntualizza Cartabellotta «il “piano straordinario” di assunzioni di medici e infermieri annunciato dal Programma di Governo si è ridimensionato in un “ordinario proseguimento” dei processi di assunzione e stabilizzazione per coprire le carenze di personale».

«Il Governo Conte bis – conclude Cartabellotta – con la NaDEF conferma la linea dei precedenti Esecutivi perdendo la prima vera occasione per confermare che il rafforzamento del SSN annunciato nel Programma di Governo rappresenta una reale priorità politica. Infatti, la mancata inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL dimostra che l’eventuale ripresa dell’economia non determinerà alcun rilancio del finanziamento pubblico della sanità nel prossimo triennio».

 

Rapporto spesa sanitaria/PIL

2019

2020

2021

2022

DEF 2019

6,6%

6,6%

6,5%

6,4%

NaDEF 2019

6,6%

6,6%

6,5%

6,5%

Differenza

0,0%

0,0%

0,0%

0,1%

Spesa sanitaria (in milioni di euro)

2019

2020

2021

2022

DEF 2019

118.061

119.953

121.358

123.052

NaDEF 2019

118.560

120.596

122.003

123.696

Differenza

499

643

645

644

Aumento % spesa sanitaria

2019

2020

2021

2022

DEF 2019

2,3%

1,6%

1,2%

1,4%

NaDEF 2019

2,7%

1,7%

1,2%

1,4%

Differenza

0,4%

0,1%

0,0%

0,0%

 


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24 settembre 2019
Stop ai check-up periodici: per la scienza nessun beneficio, possibili rischi e aumento dei costi

APPELLO DELLA FONDAZIONE GIMBE CHE RILANCIA IL VERDETTO DEL CENTRE FOR EVIDENCE-BASED MEDICINE DI OXFORD: SOTTOPORSI A CHECK-UP PERIODICI NON DETERMINA ALCUN BENEFICIO PER LA SALUTE, AUMENTA IL RISCHIO DI SOVRA-DIAGNOSI E SOVRA-TRATTAMENTO E CONSUMA PREZIOSE RISORSE PUBBLICHE E PRIVATE. A FRONTE DI QUESTE INEQUIVOCABILI EVIDENZE, LE OFFERTE PROMOZIONALI DI CHECK-UP PERIODICI, ANCHE DA PARTE DI AZIENDE SANITARIE PUBBLICHE, SI MOLTIPLICANO DIFFONDENDO UN CONCETTO DISTORTO DI PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE.

24 settembre 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

I check-up periodici con comuni test di laboratorio (esami del sangue) e strumentali sono estremamente diffusi in tutti i paesi industrializzati e quasi sempre a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Eppure, le evidenze scientifiche suggeriscono che nella popolazione generale i check-up, lungi dal migliorarne lo stato di salute, possono peggiorarlo in conseguenza di fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento, determinando al tempo stesso uno spreco di risorse sia pubbliche che private.

Recentemente i ricercatori del Centre for Evidence-Based Medicine di Oxford hanno pubblicato sulla rivista BMJ Evidence-based Medicine il seguente “verdetto” basato sulle migliori evidenze scientifiche: «Non esistono convincenti evidenze per supportare l’utilizzo dei check-up generici nell’ambito delle cure primarie. Non sembrano efficaci nel modificare esiti di salute rilevanti e non esistono evidenze di elevata qualità a supporto della loro costo-efficacia, in particolare se confrontati con le modalità standard di cure primarie». In altre parole il “verdetto” conferma l’inefficacia dei check-up e il conseguente spreco di risorse, ribadendo che nelle persone sane l’esecuzione periodica di test di laboratorio e strumentali deve essere sempre personalizzata dal medico di famiglia in relazione ad età, sesso, specifici fattori di rischio di malattia, storia personale e familiare.

«Eppure digitando su Google la parola “check-up” – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la ricerca restituisce innumerevoli siti web che offrono “pacchetti” di test diagnostici proponendoli come insostituibile strumento di prevenzione e diagnosi precoce». Alla popolazione sana viene così trasmesso un messaggio al tempo stesso anti-scientifico e consumistico: frequenti e completi check-up periodici aumentano la probabilità di migliorare la salute in quanto consentono la diagnosi precoce e il successivo trattamento di malattie asintomatiche, in particolare tumori.

«Tali “pacchetti” – precisa Cartabellotta – vengono proposti soprattutto da chi in sanità genera profitti, ovvero centri medici privati, compagnie assicurative e fondi sanitari, con una terminologia più consona ad un catalogo commerciale che alla tutela della salute: per uomo e per donna, base, avanzato, plus. Tuttavia, è inaccettabile che alcune Regioni abbiano deliberato la possibilità per le aziende sanitarie di promuovere check-up a pagamento, che peraltro includono screening oncologici già inclusi nei livelli essenziali di assistenza».

Il verdetto dei ricercatori di Oxford si basa sull’ultima revisione sistematica Cochrane che ha valutato benefici e rischi dei check-up definiti come “l’esecuzione di test diagnostici per più di una malattia o fattore di rischio in più di un organo o un apparato”. «Sostanzialmente – puntualizza il Presidente – si tratta di un periodico “tagliando” effettuato con l’inverosimile obiettivo di identificare tutte le malattie in tutte le persone tramite esami strumentali non invasivi (elettrocardiogramma, radiografia del torace, ecografia addominale) e test di laboratorio (emocromo, esame delle urine, glicemia, test di funzionalità renale, epatica, tiroidea, profilo lipidico)».

La revisione Cochrane include 17 studi clinici randomizzati di cui 15 riportano dati relativi ad oltre 250.000 partecipanti: i risultati dimostrano che i check-up non riducono la mortalità totale né quella per tumori e non hanno un impatto significativo su mortalità cardiovascolare, ictus e infarto fatale e non fatale. Nonostante alcuni limiti metodologici e di generalizzabilità rilevati dagli autori, questi risultati sono coerenti con quelli di altre revisioni, in particolare relative all’ambito delle cure primarie.

«Peraltro la revisione Cochrane – continua Cartabellotta – non valuta l’impatto clinico ed economico della sovra-diagnosi (overdiagnosis), vera epidemia del 21° secolo: l’utilizzo inappropriato di test diagnostici sempre più sensibili, infatti, porta ad etichettare come malate persone il cui stadio di malattia è troppo precoce, molto lieve e/o non evolutivo, generando a cascata ulteriori approfondimenti diagnostici e trattamenti non necessari che configurano il fenomeno del sovra-trattamento (overtreatment)». In queste situazioni test diagnostici invasivi e trattamenti non necessari possono generare effetti avversi anche gravi, oltre che aumentare i costi sanitari.

I ricercatori di Oxford sottolineano l’inutilità dei check-up rispetto all’efficacia e costo efficacia di numerosi interventi di prevenzione primaria: attività fisica, educazione alimentare, disassuefazione al fumo, riduzione del consumo di alcool.

«Le evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – dimostrano che è ormai indifferibile una presa di coscienza professionale, sociale e politica che nelle persone sane i check-up periodici non determinano alcun beneficio in termini di salute, possono peggiorarla in conseguenza dei fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento e consumano preziose risorse che potrebbero essere reinvestite in strategie di prevenzione primaria più efficaci e costo-efficaci, in Italia ampiamente sotto-finanziate e sotto-utilizzate».


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16 settembre 2019
Sanità pubblica, in 10 anni un saccheggio da 37 miliardi. Al nuovo Governo GIMBE chiede fatti, non solo parole

IL REPORT DELLA FONDAZIONE GIMBE SUL DEFINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE DOCUMENTA CHE NELL’ULTIMO DECENNIO TUTTI I GOVERNI HANNO ATTINTO ALLA SPESA SANITARIA PER ESIGENZE DI FINANZA PUBBLICA, SGRETOLANDO PROGRESSIVAMENTE LA PIÙ GRANDE OPERA PUBBLICA MAI COSTRUITA IN ITALIA. SERVONO DECISIONI POLITICHE E AZIONI IMMEDIATE PERCHÉ LA REPUBBLICA POSSA NUOVAMENTE GARANTIRE IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE: DALLA FONDAZIONE GIMBE UN APPELLO IN CINQUE PUNTI AL NUOVO ESECUTIVO

«Nell’ultimo decennio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – tutti i Governi hanno contribuito a sgretolare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la maestosa opera pubblica costruita per tutelare la salute delle persone. Con il nuovo Esecutivo a breve impegnato nell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2019 e, soprattutto, nella stesura della Legge di Bilancio, la Fondazione GIMBE pubblica un report sul definanziamento 2010-2019 del SSN al fine di stimare, al di là dei proclami, la reale entità delle risorse necessarie a rilanciare la sanità pubblica».

Il Report GIMBE analizza entità e trend del definanziamento del SSN nel periodo 2010-2019, traccia le prospettive a medio termine tenendo conto delle risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 e delle previsioni del DEF 2019, analizza le ragioni della mancata stipula del Patto per la Salute che rischia di compromettere le risorse aggiuntive 2020-2021 e illustra la posizione dell’Italia rispetto ai paesi dell’OCSE e del G7 in termini di spesa sanitaria. Dal report emerge l’imponenza del definanziamento pubblico 2010-2019, visto che tutti i Governi per fronteggiare le emergenze finanziarie del Paese hanno ridotto la spesa sanitaria, di fatto il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile:

  • Il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre € 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica.
  • In termini assoluti il finanziamento pubblico in 10 anni è aumentato di € 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07%).
  • Il DEF 2019 ha ridotto progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022.
  • L’aumento del fabbisogno sanitario nazionale per gli anni 2020 (+€ 2 miliardi) e 2021 (+€ 1,5 miliardi) è subordinato alla stipula tra Governo e Regioni del Patto per la Salute 2019-2021, tuttora al palo.
  • I dati OCSE aggiornati al luglio 2019 dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media OCSE, sia per la spesa sanitaria totale ($3.428 vs $ 3.980), sia per quella pubblica ($ 2.545 vs $ 3.038), precedendo solo i paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, rispetto a una media OCSE del 37%.
  • Tra i paesi del G7 le differenze assolute sulla spesa pubblica sono ormai incolmabili: ad esempio, se nel 2009 la Germania investiva “solo” $ 1.167 (+50,6%) in più dell’Italia ($ 3.473 vs $ 2.306), nel 2018 la differenza è di $ 2.511 (+97,7%), ovvero $ 5.056 vs $ 2.545.

«Le prime dichiarazioni del neo Ministro della Salute – continua Cartabellotta – non lasciano dubbi sulla volontà di preservare e rilanciare una sanità pubblica e universalistica e di rifinanziare il SSN». Infatti, Roberto Speranza ha identificato nella carta Costituzionale il “faro” per il suo programma, affermando che “la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento per la salute”. Tuttavia, il Programma di Governo e il discorso per la fiducia alle Camere del Premier Conte, al di là della volontà di attuare “un piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri”, contengono solo un generico impegno a difendere la sanità pubblica, senza prevedere esplicitamente il rilancio del finanziamento per il SSN. «In tal senso – puntualizza Cartabellotta – la prima cartina al tornasole è rappresentata dall’imminente Nota di Aggiornamento del DEF 2019: ad esempio, se si volesse attuare la cosiddetta “Quota 10” proposta dal Partito Democratico (€ 10 miliardi di investimenti aggiuntivi nei prossimi 3 anni) occorrerebbe incrementare il rapporto spesa sanitaria/PIL almeno dello 0,2-0,3% per ciascuno degli anni 2020-2022».

«Inoltre – continua il Presidente – considerato che almeno il 50% degli oltre € 37 miliardi sottratti alla sanità pubblica negli ultimi 10 anni sono stati “scippati” al personale dipendente e convenzionato, il piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri citato dal Programma di Governo se da un lato sicuramente contribuirà a risolvere la carenza di risorse umane, dall’altro non concretizza nessun rilancio delle politiche per il personale sanitario che non deve solo essere adeguatamente “rimpiazzato”, ma soprattutto (ri)motivato con l’allineamento delle retribuzioni a standard europei».

«Pertanto se tutte le forze politiche del nuovo Esecutivo dichiarano in maniera convergente di voler “difendere la sanità pubblica” – conclude il Presidente – devono prendere atto che il tempo è ormai scaduto: le parole non sono più sufficienti, ma servono azioni concrete in tempi rapidi».

La Fondazione GIMBE lancia dunque un appello al nuovo Governo chiedendo di:

  • Prendere reale consapevolezza che il rilancio della sanità pubblica richiede volontà politica, investimenti rilevanti, un programma di azioni a medio-lungo termine e innovazioni di rottura.
  • Accelerare la stipula del Patto per la Salute 2019-2021 per non perdere il finanziamento aggiuntivo già assegnato dall’ultima Legge di Bilancio.
  • Rilanciare la mozione già elaborata dalla Commissione Affari Sociali della Camera, che richiede al Governo di adottare iniziative per mettere in sicurezza le risorse per la sanità pubblica.
  • Definire un piano di rifinanziamento del SSN che, nonostante le criticità della finanza pubblica, dovrebbe già trovare riscontri oggettivi sia nella Nota di Aggiornamento del DEF 2019, sia nella prossima Legge di Bilancio.
  • Mettere in campo in maniera tempestiva e integrata tutte le azioni per aumentare il ritorno in termini di salute (value for money) delle risorse investite in sanità: dalla ridefinizione del perimetro dei LEA secondo principi di efficacia e costo-efficacia all’integrazione della spesa sanitaria con la spesa sociale di interesse sanitario; dalla revisione delle detrazioni/deduzioni per spese sanitarie e contributi versati a fondi sanitari integrativi, al disinvestimento da sprechi e inefficienze.

Il Report GIMBE “Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale” è disponibile a: www.gimbe.org/definanziamento-SSN.


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28 agosto 2019
Tumori cerebrali: informare i pazienti, coinvolgere le cure primarie

CON OLTRE 6.000 NUOVE DIAGNOSI OGNI ANNO, I BISOGNI ASSISTENZIALI DEI PAZIENTI AFFETTI DA TUMORI CEREBRALI RAPPRESENTANO UNA SFIDA MOLTO ARDUA PERCHÉ, INSIEME ALLA DISABILITÀ FISICA, TUMORE E TERAPIE CONDIZIONANO IL COMPORTAMENTO, LE FUNZIONI COGNITIVE E LA PERSONALITÀ DEL PAZIENTE. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER L’ASSISTENZA AI PAZIENTI CON NEOPLASIE CEREBRALI DESTINATE A MEDICI DI FAMIGLIA, INFERMIERI, OLTRE CHE A PAZIENTI, FAMILIARI E CAREGIVER.

Anche se rappresentano solo il 3% di tutte le neoplasie, i tumori cerebrali primitivi (ossia quelli che si sviluppano direttamente nel sistema nervoso centrale) sono responsabili del maggior numero di anni di vita persi rispetto ad altre neoplasie maligne. Infatti, nonostante i progressi diagnostico-terapeutici, la sopravvivenza media a 5 anni rimane intorno al 25%. In Italia, i tumori cerebrali rappresentano la 12a causa di morte, pari al 3% del totale dei decessi per tumori maligni: nel 2018 sono stati diagnosticati circa 6.000 nuovi casi di tumori cerebrali primitivi, di cui poco più della metà negli uomini. I tumori cerebrali colpiscono prevalentemente i giovani, visto che tra i soggetti di età inferiore a 15 anni sono al terzo posto in termini di frequenza e rappresentano il 13% del totale dei tumori, mentre il 7% nella fascia 15-19 anni.  

«Anche se diagnosi, stadiazione e terapia dei tumori cerebrali sono affidate a team multispecialistici – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – le cure primarie rivestono un ruolo rilevante nella gestione degli effetti cognitivi, fisici e mentali a lungo termine del tumore e della terapia. Per un’adeguata presa in carico di questi pazienti è dunque indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, oltre a reti integrate guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA)».

Per tali ragioni la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a luglio 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità. I contenuti di queste linee guida integrano quelle pubblicate dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), destinate prevalentemente ad un target specialistico e ultraspecialistico con obiettivi diagnostici e terapeutici. Le linee guida NICE, infatti, si rivolgono ai non specialisti e ai professionisti delle cure primarie, in particolare ai medici di medicina generale e infermieri, formulando raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: dalla valutazione dei bisogni assistenziali dei pazienti all’identificazione di un professionista sanitario di riferimento; dalla condivisione delle informazioni con pazienti, familiari e caregiver alla valutazione neuroriabilitativa; dalla gestione degli effetti precoci e tardivi di radioterapia e chemioterapia al follow-up a lungo termine dei pazienti.

«Considerato il notevole impatto emotivo su pazienti e familiari – puntualizza Cartabellotta – è bene precisare che la diagnosi di tumore cerebrale non è necessariamente infausta, perché esistono numerosissime varianti molto eterogenee per morfologia, sede d’insorgenza, aspetti biologici, clinici, prognostici ed eziologici». I tassi di sopravvivenza sono pertanto molto variabili in relazione a tipo di tumore, efficacia e tollerabilità delle terapie disponibili, trattabilità, dimensione delle lesioni craniche. In tal senso, le linee guida NICE identificano due principali categorie prognostiche: i tumori a lunga sopravvivenza (5-10 anni) che richiedono assistenza a lungo termine e quelli con aspettativa di vita limitata (1-3 anni), che necessitano di rapida valutazione diagnostica, trattamento tempestivo e massima attenzione ad assistenza e supporto per preservare la qualità di vita.

«Le linee guida NICE – puntualizza Cartabellotta – enfatizzano come i bisogni assistenziali dei pazienti affetti da tumori cerebrali rappresentino una sfida molto ardua in quanto, insieme alla disabilità fisica, tumore e relativi trattamenti possono condizionare il comportamento, le funzioni cognitive e la personalità del paziente». Per questo le linee guida raccomandano il coinvolgimento di pazienti, familiari e caregiver per fronteggiare la complessità dei loro potenziali bisogni assistenziali e sociali (psicologici, cognitivi, fisici, spirituali, emotivi) e, soprattutto, di prevedere un tempo adeguato per discutere del potenziale rilevante impatto del tumore cerebrale sulla vita del paziente e di chi lo circonda.

«Auspichiamo che la versione italiana di questo documento del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le linee guida “Linee guida per il trattamento di tumori cerebrali primitivi e metastatici degli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/tumori-cerebrali.


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31 2019
Migrazione sanitaria 2017: 4,6 miliardi di euro si spostano dal sud al nord. Le 3 regioni capofila dell’autonomia differenziata incassano l’88% del saldo attivo

IL REPORT DELL’OSSERVATORIO GIMBE ANALIZZA CREDITI, DEBITI E SALDI DELLE REGIONI SULLA MOBILITÀ SANITARIA 2017 DOCUMENTANDO UN FENOMENO DALLE ENORMI IMPLICAZIONI SANITARIE, SOCIALI, ETICHE ED ECONOMICHE CHE COINVOLGE OGNI ANNO QUASI UN MILIONE DI PAZIENTI, OLTRE AI FAMILIARI. IL FIUME DI DENARO SCORRE PREVALENTEMENTE DA SUD A NORD: INFATTI L’88% DEL SALDO IN ATTIVO ALIMENTA LE CASSE DI LOMBARDIA, EMILIA ROMAGNA E VENETO E IL 77% DI QUELLO PASSIVO GRAVA SU PUGLIA, SICILIA, LAZIO, CALABRIA E CAMPANIA. PER ANALISI PIÙ DETTAGLIATE SULLA MOBILITÀ SANITARIA GIMBE HA INOLTRATO RICHIESTA UFFICIALE DEI DATI AL MINISTERO DELLA SALUTE.

I cittadini italiani hanno il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, concretizzando il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale che include la mobilità attiva (voce di credito che identifica l’indice di attrazione di una Regione) e quella passiva (voce di debito che rappresenta l’indice di fuga da una Regione). Le compensazioni finanziarie tra Regioni vengono effettuate secondo regole e tempistiche definite da un Intesa Stato-Regioni per rendicontare 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato accreditato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso.

«Le nostre analisi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono state effettuate esclusivamente sui dati economici della mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma per studiare al meglio questo fenomeno abbiamo già inoltrato formale richiesta dei flussi integrali trasmessi dalle Regioni al Ministero che permetterebbero di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione di strutture pubbliche e private accreditate e la Regione di residenza dei cittadini che scelgono di curarsi lontano da casa, identificando le dinamiche della mobilità, alcune “fisiologiche” ed altre francamente “patologiche”».

Nel 2017 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.578,5 milioni, importo approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome lo scorso 13 febbraio, previa compensazione dei saldi.

Mobilità attiva. 6 Regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a € 200 milioni: in testa Lombardia (25,5%) ed Emilia Romagna (12,6%) che insieme contribuiscono ad oltre 1/3 della mobilità attiva. Un ulteriore 29,2% viene attratto da Veneto (8,6%), Lazio (7,8%), Toscana (7,5%) e Piemonte (5,2%). Il rimanente 32,7% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 15 Regioni, oltre che all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (€ 217,4 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (€ 39,7). In generale emerge una forte attrazione delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.

Mobilità passiva. Le 6 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre € 300 milioni: in testa Lazio (13,2%) e Campania (10,3%) che insieme contribuiscono a circa 1/4 della mobilità passiva; un ulteriore 28,5% riguarda Lombardia (7,9%), Puglia (7,4%), Calabria (6,7%), Sicilia (6,5%). Il restante 48% si distribuisce nelle altre 15 Regioni. Più sfumate le differenze Nord-Sud nella mobilità passiva. In particolare, se quasi tutte le Regioni del Sud hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in tutte le grandi Regioni del Nord con elevata mobilità attiva, testimoniando specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento tra Regioni del Nord con elevata qualità dei servizi sanitari: Lombardia (-€ 362,3 milioni), Piemonte (-€ 284,9 milioni), Emilia Romagna (-€ 276 milioni), Veneto (-€ 256,6 milioni) e Toscana (-€ 205,3 milioni).

Saldi. Le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud. In particolare:

  • Saldo positivo rilevante: Lombardia (€ 784,1 milioni), Emilia Romagna (€ 307,5 milioni), Veneto (€ 143,1 milioni) e Toscana (€ 139,3 milioni)
  • Saldo positivo minimo: Molise (€ 20,2 milioni), Friuli Venezia Giulia (€ 6,1 milioni), Provincia Autonoma di Bolzano (€ 1,1 milioni)
  • Saldo negativo minimo: Provincia Autonoma di Trento (-€ 0,1 milioni), Valle d'Aosta (-€ 1,8 milioni), Umbria (-€ 4,17 milioni)
  • Saldo negativo moderato: Marche (-€ 43 milioni), Piemonte (-€ 51 milioni), Basilicata (-€ 53,3 milioni), Liguria (-€ 71,2 milioni), Sardegna (-€ 77,2 milioni), Abruzzo (-€ 80 milioni)
  • Saldo negativo rilevante: Puglia (-€ 201,3 milioni), Sicilia (-€ 236,9 milioni), Lazio (-€ 239,4 milioni), Calabria (-€ 281,1 milioni), Campania (-€ 318 milioni)

Saldo pro-capite di mobilità sanitaria. «Con questo nuovo indicatore elaborato dalla Fondazione GIMBE – precisa Cartabellotta –  la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente». In particolare: il Molise conquista il podio nella classifica per saldo pro-capite; si riducono le differenze delle prime tre Regioni nel saldo pro-capite: Lombardia (€ 78), Emilia Romagna (€ 69), Molise (€ 65); la Calabria precipita in ultima posizione con un saldo pro-capite negativo di € 144, pari circa a tre volte quello della Campania (€ 55) e di poco inferiore alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia Romagna (€ 147).

«In tempi di regionalismo differenziato – conclude Cartabellotta – il report GIMBE non solo dimostra che il denaro scorre prevalentemente da Sud a Nord, ma che l’88% del saldo in attivo alimenta proprio le casse di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, mentre il 77% del saldo passivo grava sulle spalle di Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria e Campania. Anche se la bozza del Patto per la Salute 2019-2021 prevede numerose misure per analizzare la mobilità sanitaria e migliorarne la governance, difficilmente la “fuga” in avanti delle tre Regioni potrà ridurre l’impatto di un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2017” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita2017


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24 2019
3 miliardi di euro di ticket sanitari nel 2018: ma il 38% serve per acquistare i farmaci di marca

IL REPORT DELL’OSSERVATORIO GIMBE ANALIZZA I DATI SUI TICKET 2018 CHE AMMONTANO A QUASI 50 EURO PRO-CAPITE CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI. IN PROGRESSIVA RIDUZIONE I TICKET “VERI” PER PRESTAZIONI SPECIALISTICHE E QUOTA FISSA RICETTA FARMACI, IN AUMENTO QUELLI “FACOLTATIVI” PER L’ACQUISTO DI FARMACI DI MARCA. DA GIMBE LE PROPOSTE PER UN’ADEGUATA GOVERNANCE: REVISIONE DEI CRITERI DI COMPARTECIPAZIONE ALLA SPESA, SUPERAMENTO DEFINITIVO DEL SUPERTICKET E POLITICHE PER INCENTIVARE L’USO DEI FARMACI EQUIVALENTI, IL CUI MANCATO UTILIZZO VALE OLTRE € 1,1 MILIARDI

Tutte le Regioni prevedono sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia tale da generare negli anni una vera e propria “giungla dei ticket”: infatti, le differenze regionali riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia gli importi che i cittadini devono corrispondere, sia le regole per le esenzioni. 

Integrando i dati del Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti con quelli del Rapporto OSMED 2018 sull’utilizzo dei farmaci in Italia, il report dell’Osservatorio GIMBE analizza in dettaglio composizione e differenze regionali della compartecipazione alla spesa sanitaria che nel 2018 sfiora i 3 miliardi di euro.

«Introdotta come moderatore dei consumi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrata per le Regioni, in un periodo caratterizzato da un imponente definanziamento della sanità pubblica». Nel 2018 le Regioni hanno incassato per i ticket € 2.968 milioni (€ 49,1 pro-capite), di cui € 1.608 milioni (€ 26,6 pro-capite) relativi ai farmaci e € 1.359 milioni (€ 22,5 pro-capite) per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, incluse quelle di pronto soccorso. 

«Nel periodo 2014-2018 – spiega Cartabellotta –  l’entità complessiva della compartecipazione alla spesa sanitaria si è mantenuta relativamente stabile, ma è avvenuta una sua progressiva ricomposizione. Infatti, rispetto al 2014, quando gli importi dei ticket per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, nel 2018 si sono ridotti del 6,1% quelli per le prestazioni e sono aumentati quelli per i farmaci (+12%)». In particolare, nell’ultimo anno i ticket sono aumentati complessivamente di € 83,4 milioni (+2,9%), di cui € 22,4 milioni (+1,7%) per le prestazioni specialistiche e € 61 milioni (+3,9%) per i farmaci.

Dalle analisi emergono notevoli differenze regionali relative sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche: in particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 88 in Valle d’Aosta a € 33,7 in Sardegna, per i farmaci l’importo varia da € 36,2 in Campania a € 16 in Piemonte, mentre per le prestazioni specialistiche si passa da € 64,2 della Valle d’Aosta a € 8,5 della Sicilia.

«Un dato di estremo interesse – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che scelgono di acquistare il farmaco di marca al posto dell’equivalente». Nel 2018 dei € 1.608 milioni sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, solo il 30% è relativo alla quota fissa per ricetta (€ 482,6 milioni pari a € 8 pro-capite), mentre i rimanenti € 1.126,4 milioni (€ 18,6 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come confermato dall’OCSE che ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore, sia per volume del consumo dei farmaci equivalenti. Dal canto suo, il Rapporto OSMED 2018 documenta che nel periodo 2013-2018 si è ridotta del 14% la quota fissa sulle ricette (-€ 76 milioni) mentre è aumentata del 28% la quota prezzo di riferimento per la preferenza accordata ai farmaci di marca (+ € 248 milioni).

«In questo ambito – rileva il Presidente – spicca l’ostinata e ingiustificata resistenza ai farmaci equivalenti nelle Regioni del Centro-Sud nelle quali si rileva, oltre al trend in aumento dal 2017 al 2018, una spesa per i farmaci di marca più elevata della media nazionale di € 18,6 pro-capite». In particolare: Lazio (€ 24,7), Sicilia (€ 24,2), Calabria (€ 23,6), Campania (€ 23), Basilicata (€ 22,1), Puglia (€ 21,9), Abruzzo (€ 21,5), Molise (€ 21,3), Umbria (€ 20,7) e Marche (€ 20,2).

«Considerato che la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa – conclude Cartabellotta –  è un obiettivo fissato dalla Legge di Bilancio 2019 per la stesura del nuovo Patto per la Salute, le eterogeneità regionali relative alle tipologie di ticket, ovvero prestazioni specialistiche vs farmaci e quota ricetta fissa vs quota prezzo di riferimento, richiedono azioni differenti. Innanzitutto, è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione e le regole per le esenzioni; in secondo luogo, anche al fine di arginare “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket per il quale sono già stati ripartiti € 60 milioni; infine, sono indispensabili azioni concrete per incrementare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, visto che la preferenza per i farmaci di marca oggi “pesa” per il 38% del totale sborsato dai cittadini per i ticket e per il 70% della compartecipazione per i farmaci».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Ticket 2018” è disponibile a: www.gimbe.org/ticket2018 


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17 2019
Riconoscere la vera scienza con l’Evidence-based Practice: il nuovo curriculum per tutti i professionisti sanitari

DALLA FONDAZIONE GIMBE LA VERSIONE ITALIANA DEL NUOVO SET INTERNAZIONALE DI COMPETENZE CORE PER L’EVIDENCE-BASED PRACTICE AL FINE DI GUIDARE L’ELABORAZIONE DI CURRICULA UNIVERSITARI E SPECIALISTICI E PROGRAMMI DI FORMAZIONE CONTINUA. OGGI L’ECCESSO D’INFORMAZIONI SCIENTIFICHE RENDE INDISPENSABILI TALI COMPETENZE PER RICERCARE, VALUTARE CRITICAMENTE E INTEGRARE LE MIGLIORI EVIDENZE NELLE DECISIONI PROFESSIONALI, PERCHÉ MIGLIORANO LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA, RIDUCONO GLI SPRECHI CONSEGUENTI AL SOVRA- E SOTTO-UTILIZZO DI FARMACI, TEST DIAGNOSTICI E ALTRI INTERVENTI SANITARI E FACILITANO LA COMUNICAZIONE CON I PAZIENTI.

Ogni anno in oltre 20.000 riviste vengono pubblicati più di 2 milioni di articoli, di cui solo il 7-8% possono essere definiti “evidenze scientifiche”, ovvero studi condotti con metodi rigorosi che producono risultati rilevanti per la salute delle persone e per la sanità pubblica. Le evidenze scientifiche rispondono ai criteri di qualità definiti dall’Evidence-based Medicine, termine coniato nel 1991, che oggi ha lasciato il posto a quello di Evidence-based Practice (EBP), visto che la metodologia si è progressivamente estesa a tutte le professioni sanitarie.

«Negli ultimi vent’anni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’EBP è stata integrata come componente del curriculum di base per medici e altri professionisti sanitari, dei programmi specialistici e di quelli di formazione continua. Tuttavia, in assenza di set di competenze definiti in maniera sistematica, esiste una estrema variabilità di qualità e contenuti dei programmi di insegnamento dell’EBP». In Italia, uno studio condotto dalla Fondazione GIMBE, in collaborazione con il Segretariato Italiano degli Studenti in Medicina, ha dimostrato che nonostante l’EBM sia formalmente prevista dal core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, gli insegnamenti e i programmi sono estremamente variabili.

Al fine di raggiungere il consenso sulle competenze core da includere nei programmi formativi di EBP per studenti e professionisti sanitari è stata recentemente pubblicata una consensus internazionale che, attraverso un processo metodologico estremamente rigoroso, ha definito un set di 68 competenze core relative ai principali step dell’EBP: aspetti generali (n. 5), formulazione dei quesiti (n. 3), ricerca delle evidenze (n. 4), valutazione critica e interpretazione delle evidenze (n. 9), applicazione delle evidenze (n. 4), valutazione delle proprie performance (n. 2). Il set include la descrizione e il livello di approfondimento di ciascuna competenza: menzionata (M), spiegata in dettaglio (S), praticata con esercitazioni (P).

«Rispetto al Sicily Statement on Evidence-based Practice – spiega il Presidente – le principali novità riguardano gli strumenti di accesso alla letteratura biomedica, in particolare le risorse “pre-valutate”, la necessità di esaminare fonti di finanziamento e conflitti di interesse nella valutazione critica della letteratura, le modalità per valutare le performance individuali e soprattutto il processo decisionale condiviso, una innovativa modalità di comunicazione con il paziente che, informato sui rischi e benefici degli interventi sanitari, sceglie consapevolmente la migliore opzione in relazione alle sue preferenze, valori e aspettative»

«Considerato che le competenze core per l’EBP – conclude Cartabellotta – migliorano la qualità dell’assistenza, riducono gli sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di farmaci, test diagnostici e altri interventi sanitari e facilitano la comunicazione con i pazienti, la Fondazione GIMBE oltre alla versione italiana dello statement ha realizzato un pratico handbook sia per rendere consapevoli tutti i professionisti sanitari delle irrinunciabili competenze da acquisire, sia per guidare l’elaborazione dei curricula universitari e specialistici e dei programmi di formazione continua».

L’handbook “Competenze core per l’Evidence-based Practice” è disponibile a: www.gimbe.org/EBP


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2 2019
Sanità, per la salute delle persone servono risorse certe: le proposte GIMBE nella mozione M5S-Lega per blindare il finanziamento pubblico

LE PROPOSTE DEL 4° RAPPORTO GIMBE PER METTERE IN SICUREZZA LE RISORSE PER LA SANITÀ PUBBLICA, GIÀ ACCOLTE DAL MINISTRO GRILLO, IN UNA MOZIONE DEGLI ESPONENTI DI MAGGIORANZA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI. L’OBIETTIVO È IMPEGNARE IL GOVERNO A GARANTIRE LA CERTEZZA DELLE RISORSE E RECUPERARE PROGRESSIVAMENTE QUELLE SOTTRATTE NELL'ULTIMO DECENNIO. LA FONDAZIONE GIMBE AUSPICA LA CONVERGENZA DI TUTTE LE FORZE POLITICHE PERCHÉ IL RILANCIO DELLA SANITÀ PUBBLICA NON PUÒ ESSERE CONDIZIONATO DA IDEOLOGIE PARTITICHE, NÉ DALLA SCADENZA DEI MANDATI ELETTORALI.

Il 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ampiamente divulgato dagli organi di stampa e dalle principali rappresentanze professionali (ENPAM, FNOMCeO, FIMMG, FIMP, FNOPI, FNOPO, FNOVI), ha indicato nel definanziamento pubblico una delle maggiori determinanti della crisi di sostenibilità. In particolare, il Rapporto GIMBE ha documentato che nel periodo 2010-2019 tra tagli e definanziamenti sono stati sottratti al SSN circa € 37 miliardi, mentre l’aumento nominale del fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è stato di soli € 8,8 miliardi, con un incremento medio annuo dello 0,9%, inferiore a quello dell’inflazione (+ 1,07%). Guardando al futuro, il DEF 2019 riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022.

«D’altro canto – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – in linea con il Contratto per il Governo del Cambiamento, la Legge di Bilancio ha previsto per il triennio 2019-2021 un consistente rilancio del finanziamento pubblico. Si tratta complessivamente di € 8,5 miliardi, seppur subordinati ad ardite, e già smentite, previsioni di crescita economica e alla stipula del Patto per la Salute 2019-2021 che si configura tutta in salita». Infatti, la bozza del Patto in esame ha riacceso il conflitto istituzionale Governo-Regioni perché, se da un lato conferma le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 (€ 116,4 miliardi per il 2020 e € 117,9 miliardi per il 2021), dall’altro contiene la clausola di salvaguardia (“salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblico e a variazione del quadro macroeconomico”) che rischia di vanificare la disponibilità di tali risorse, come già accaduto al Patto 2014-2016.

«Il vulnus principale della spesa sanitaria – precisa Cartabellotta – consegue al fatto che rappresenta il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile, rispetto ad esempio alle pensioni o al debito pubblico. Infatti, i dati dimostrano che dal 2010 tutti i Governi hanno sempre trovato nella spesa sanitaria le risorse per fronteggiare ogni emergenza finanziaria, certi che il nostro SSN possa fornire sempre e comunque buoni risultati in termini di salute e consapevoli che spetterà a qualcun altro più avanti raccogliere i cocci». Per tale ragione, al fine di non vanificare ogni tentativo di rilancio del finanziamento pubblico, il Rapporto GIMBE ha proposto di “sanare” questo vulnus per evitare le periodiche revisioni al ribasso. Ovvero, considerato che il livello di definanziamento della sanità ha ormai raggiunto un tale livello di allarme, è necessario “mettere in sicurezza” le risorse tramite la definizione di:

  • una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/PIL;
  • un incremento percentuale annuo del FSN in termini assoluti, pari almeno al doppio dell'inflazione.

«Tale azione – puntualizza il Presidente – dimostrerebbe sia il reale impegno della politica a programmare, stabilizzandolo, il rilancio il finanziamento pubblico per la sanità, sia di poter contare su risorse certe nella Legge di Bilancio, indipendentemente dal colore dei Governi che verranno».

Dopo che la Ministra Giulia Grillo ha pubblicamente manifestato il suo interesse per le proposte della Fondazione GIMBE e il suo impegno a “blindare” le risorse per la sanità, i parlamentari di maggioranza hanno firmato la mozione 1-00195, un atto politicamente rilevante che richiede l'impegno al Governo ad adottare iniziative per “mettere in sicurezza” le risorse per la sanità pubblica. La mozione, presentata il 13 giugno scorso dall'On. Marialucia Lorefice, è già stata firmata dai deputati di M5S e Lega della Commissione Affari Sociali.

«La mozione – spiega Cartabellotta –  riprende dati e proposte del Rapporto GIMBE e sottolinea la necessità di recuperare integralmente tutte le risorse economiche sottratte in questi anni per garantire la reale sostenibilità dei livelli essenziali di assistenza attraverso il rifinanziamento del fondo sanitario nazionale». I firmatari della mozione chiedono inoltre al Governo di “adottare le opportune iniziative affinché, da un lato, sia definita una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/prodotto interno lordo, dall’altro sia previsto un incremento percentuale annuo del FSN (pari almeno al doppio dell’inflazione), al fine di garantire le esigenze di pianificazione e organizzazione degli interventi necessari in sanità nel rispetto dei princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da 40 anni caratterizzano il SSN”.

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ringrazia la Ministra Grillo, tutti i parlamentari che hanno elaborato e firmato la mozione, oltre che le organizzazioni e i media che hanno diffuso analisi e proposte del nostro Rapporto. L’Osservatorio GIMBE effettuerà monitorerà gli esiti della mozione, auspicando la convergenza di tutte le forze politiche, perché il rilancio della sanità pubblica non può essere condizionato da ideologie partitiche, né dalla scadenza dei mandati elettorali».

La versione integrale della mozione 1-00195 è disponibile a: https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-00195&ramo=C&leg=18


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25 giugno 2019
Verso la privatizzazione della sanità: oltre 4 miliardi di agevolazioni fiscali per fondi integrativi e welfare aziendale

UN FIUME DI DENARO PUBBLICO SOTTO FORMA DI INCENTIVI FISCALI ALIMENTA PROFITTI PRIVATI SENZA INTEGRARE REALMENTE L’OFFERTA DEI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA, PERMETTENDO L’ESPANSIONE DI UN SERVIZIO SANITARIO “PARALLELO” CHE AUMENTA LE DISEGUAGLIANZE, NON RIDUCE LA SPESA DELLE FAMIGLIE E ALIMENTA IL CONSUMISMO SANITARIO. LA CRISI DI SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E LA GRAVE CARENZA DI PERSONALE IMPONGONO ALLA POLITICA DI SPEZZARE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO INDIRIZZANDO QUESTE RISORSE AL RILANCIO DELLA SANITÀ PUBBLICA, EVITANDO DI RENDERSI COMPLICE DELLA SUA PRIVATIZZAZIONE.

Nel gennaio 2019, con il report sulla sanità integrativa e con l’audizione parlamentare nell’ambito della “Indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale”, la Fondazione GIMBE ha invocato un riordino legislativo per restituire alla sanità integrativa il suo ruolo originale, ovvero rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA, evitando che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, alimenti i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa. Con il 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale la Fondazione ha confermato che l’espansione incontrollata del cosiddetto “secondo pilastro” rientra tra le determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

«In un momento di gravissima difficoltà della sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – pesantemente segnata dalla carenza e dalla demotivazione del personale, non è accettabile che le agevolazioni fiscali destinate a fondi integrativi e welfare aziendale favoriscano la privatizzazione del SSN. I dati documentano infatti che siamo di fronte alla progressiva espansione di un servizio sanitario “parallelo” che sottrae denaro pubblico per alimentare anche profitti privati, senza alcuna connotazione di reale “integrazione” rispetto a quanto già offerto dai livelli essenziali di assistenza». Ma al di là della tipologia di prestazioni offerte, chi paga oggi la sanità integrativa, continuamente sbandierata come win-win solution e proposta come àncora di salvataggio per il SSN?

«Finalmente da quest’anno – spiega il Presidente – sono disponibili i dati ufficiali dell’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi mantenuta dal Ministero della Salute e soprattutto gli importi relativi alle detrazioni e deduzioni di imposta presentati dall’Agenzia delle Entrate nel corso di un’audizione parlamentare e ripresi dal Rapporto della Corte dei Conti 2019 sul coordinamento della finanza pubblica». Le analisi effettuate dalla Fondazione GIMBE su varie fonti documentano per l’anno 2017:

  • 322 fondi sanitari integrativi attestati dal Ministero della Salute
  • 10.616.847 di iscritti ai fondi di cui il 73% lavoratori, il 22,3% familiari e il 4,7% pensionati
  • 85% dei fondi sanitari riassicurati e/o gestiti da compagnie assicurative
  • 40% dei contributi versati erosi da costi amministrativi, oneri di riassicurazione e utili delle assicurazioni
  • € 2.329 milioni le risorse utilizzate per rimborsare prestazioni agli iscritti
  • 32% la percentuale di risorse destinate a prestazioni integrative quali odontoiatria e long term care
  • € 11.164 milioni l’ammontare dei contributi versati ai fondi portati in deduzione da persone fisiche per una spesa fiscale complessiva di € 3.361 milioni, considerando un’aliquota IRPEF media del 30%
  • € 2.053 milioni l’ammontare dei contributi versati da datori di lavoro/società di capitali, per una spesa fiscale complessiva di € 493 milioni, considerando l’aliquota IRES del 24%

Ai € 3.854 milioni di spesa fiscale per fondi sanitari bisogna aggiungere il mancato gettito fiscale per i premi di risultato previsti dal welfare aziendale. Su questo, in assenza di dati ufficiali dall’Agenzia delle Entrate, la Fondazione GIMBE ha stimato per il 2017 un importo di circa € 311 milioni sulla base dei seguenti dati:

  • 2.038.647 lavoratori hanno percepito premi di risultato
  • € 1.270 stima del premio di risultato individuale medio
  • 40% dei servizi di welfare aziendale riguardano forme di sanità integrativa
  • € 1.036 milioni il totale dei premi di risultato, per una spesa fiscale complessiva di € 311 milioni, considerando un’aliquota IRPEF media del 30%

Le analisi della Fondazione GIMBE confermano che una normativa frammentata e incompleta ha favorito l’involuzione dei fondi sanitari ri-assicurati in strumento di privatizzazione del SSN in quanto:

  • I contributi versati ai fondi sanitari integrativi iscritti all’anagrafe del Ministero della Salute sono deducibili, da parte dell’iscritto e/o dell’impresa, sino a € 3.615,20.
  • Per l’iscrizione all’anagrafe ministeriale il fondo deve solo autocertificare che “impegna” almeno il 20% delle risorse in prestazioni extra-LEA, ovvero sino all’80% delle risorse possono essere destinate a prestazioni già offerte dal SSN pur mantenendo le agevolazioni fiscali.
  • Le compagnie assicurative, oltre a riassicurare i fondi, svolgono sempre più il ruolo di gestori “propositivi”: offrono una rete capillare di erogatori privati accreditati e propongono “pacchetti” di prestazioni che alimentano il consumismo sanitario, facendo leva sulle inefficienze del SSN (tempi di attesa) e su un concetto distorto di prevenzione (più esami = più salute).
  • Le imprese stipulano polizze collettive con le compagnie assicurative che selezionano un fondo sanitario iscritto all’anagrafe; il fondo, dal canto suo, assume la gestione del contratto ai fini fiscali e contributivi e riversa alla compagnia assicurativa i contributi dei dipendenti sotto forma di premio.
  • La normativa sul welfare aziendale ha ridotto ulteriormente il gettito fiscale con il benestare dei sindacati che hanno barattato una quota di salario e TFR con agevolazioni minime per i lavoratori.

«Alla Commissione Affari Sociali della Camera – spiega Cartabellotta – va riconosciuto il merito di aver riportato al centro del dibattito politico il ruolo dei fondi sanitari con l’avvio dell’indagine parlamentare. Tuttavia, con il Decreto crescita il Governo del Cambiamento ha riconosciuto la natura non commerciale dei fondi sanitari nonostante oltre 4/5 dei fondi sanitari siano gestiti da compagnie assicurative, permettendo così alle agevolazioni fiscali concesse ad enti non commerciali di alimentare i profitti di imprese commerciali».

«Come organizzazione indipendente impegnata da anni nella tutela di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico – conclude il Presidente – abbiamo il dovere morale di informare politica, sindacati, professionisti sanitari, lavoratori e cittadini che, a legislazione vigente, fondi sanitari integrativi e welfare aziendale costituiscono un sofisticato strumento di privatizzazione che erode sempre più risorse alla finanza pubblica, le redistribuisce in maniera iniqua, aumenta la spesa sanitaria totale senza ridurre quella delle famiglie ed alimenta il consumismo sanitario aumentando i rischi per la salute delle persone legati a fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento».


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11 giugno 2019
4° Rapporto GIMBE: la sanità pubblica, trascurata dalla politica, cade a pezzi e nel silenzio dei cittadini si avvia verso la privatizzazione

SPESA PUBBLICA ALLINEATA AI PAESI DELL’EUROPA ORIENTALE, TROPPI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA GARANTITI SOLO SULLA CARTA, SPRECHI, INEFFICIENZE E CHIARI SEGNALI DI PRIVATIZZAZIONE DOVUTI ALL’ESPANSIONE DEL “SECONDO PILASTRO” RENDONO INFAUSTA LA PROGNOSI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. SENZA UN ADEGUATO RILANCIO IL DISASTRO SANITARIO, SOCIALE ED ECONOMICO È DIETRO L’ANGOLO, MA NEGLI ULTIMI 10 ANNI NESSUN ESECUTIVO HA AVUTO IL CORAGGIO DI METTERE LA SANITÀ PUBBLICA AL CENTRO DELL’AGENDA POLITICA, NÉ I CITTADINI SONO MAI SCESI IN PIAZZA PER DIFENDERE UN FONDAMENTALE DIRITTO COSTITUZIONALE. DA GIMBE ANALISI INDIPENDENTI, UN PIANO DI SALVATAGGIO E PROPOSTE DI RIFORME DI ROTTURA PER COSTRUIRE LA SANITÀ CHE MERITANO I CITTADINI.

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): «Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti».

Dal Rapporto GIMBE emerge la mancanza di un disegno politico di lungo termine per “preservare e potenziare” la sanità pubblica – già invocato dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno –  oltre che la scarsa attitudine degli attori della sanità a rinunciare ai privilegi acquisiti per tutelare il bene comune e soprattutto, constata amaramente il Presidente, che «cittadini e pazienti, ignorando il valore inestimabile del SSN di cui sono “azionisti di maggioranza” non sono mai scesi in piazza per rivendicare la tutela della sanità pubblica e costringere la politica a tirarla fuori dal dimenticatoio».

«L’Italia – affonda il Presidente – siede nel G7 tra le potenze economiche del mondo, ma la politica ha fatto precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale, considerando la sanità come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe solo il 6,6% del PIL e l’intera filiera della salute ne produce circa l’11%. In tal senso, mentre il mondo professionale e i pazienti aspirano alle grandi (e costose) conquiste della scienza e l’industria investe in questa direzione, l’entità del definanziamento pubblico allontana sempre di più l’accessibilità per tutti alle straordinarie innovazioni farmacologiche e tecnologiche oggi disponibili».

«Peraltro – continua il Presidente – la scarsa attitudine ad investire in sanità va a braccetto con la facilità a disinvestire, visto che dal 2010 tutti i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie, fiduciosi che il SSN fornirà sempre risultati eccellenti e consapevoli che qualcun altro raccoglierà i cocci». Ma al tempo stesso, con l’obiettivo (fallito) di aumentare il consenso elettorale, hanno puntato sui sussidi individuali (bonus 80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100), indebolendo di fatto le tutele pubbliche in sanità ed aumentando la spesa delle famiglie.

«Per progettare il SSN del futuro – puntualizza il Presidente – bisogna innanzitutto uscire dal perimetro della spesa sanitaria, perché la spesa sociale di interesse sanitario e la spesa fiscale per detrazioni e deduzioni sono custodite nello stesso “salvadanaio”: quello utilizzato per la salute degli italiani». Secondo le analisi effettuate la spesa per la salute in Italia 2017 ammonta complessivamente a € 204.034 milioni:

  • Spesa sanitaria: € 154.920 di cui € 113.131 milioni di spesa sanitaria pubblica e € 41.789 milioni di spesa sanitaria privata. Di questa € 35.989 milioni a carico delle famiglie e € 5.800 milioni intermediati da fondi sanitari/polizze collettive (€ 3.912 milioni), polizze individuali (€ 711 milioni) e da altri enti (€ 1.177 milioni).
  • Spesa sociale di interesse sanitario: € 41.888,5 milioni di cui € 32.779,5 milioni di spesa pubblica, in larga misura relative alle provvidenze in denaro erogate dall’INPS, e € 9.109 milioni stimati di spesa delle famiglie.
  • Spesa fiscale: € 7.225,5 milioni per deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie (€ 3.864,3 milioni) e € 3.361,2 milioni per contributi versati a fondi sanitari integrativi, cifra ampiamente sottostimata per l’indisponibilità dei dati relativi al welfare aziendale e alle agevolazioni fiscali a favore delle imprese).

 

«Al di là delle cifre – spiega Cartabellotta – oggi la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità (value for money): secondo le nostre analisi il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella delle famiglie ed il 50% di quella intermediata non migliorano salute e qualità di vita delle persone». Ecco perché bisogna avviare riforme sanitarie e fiscali, oltre che azioni di governance a tutti i livelli, per ridurre al minimo i fenomeni di sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, aumentando il value for money delle tre forme di spesa sanitaria e pervenendo ad una loro distribuzione ottimale.

Il Rapporto conferma le 4 determinanti della crisi di sostenibilità del SSN: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze ed espansione del “secondo pilastro”.

  • Definanziamento pubblico. «Nel periodo 2010-2019 – precisa Cartabellotta – sono stati sottratti al SSN circa € 37 miliardi e l’incremento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale è stato di € 8,8 miliardi, con una media annua dello 0,9% insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+ 1,07%)». Nessuna luce in fondo al tunnel visto che il DEF 2019 riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022 e le buone intenzioni della Legge di Bilancio 2019 (+€ 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021) sono subordinate ad ardite previsioni di crescita e alla stipula, tutta in salita, del Patto per la Salute.
  • Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. Il Rapporto analizza le criticità per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni e quelle che condizionano l’omogenea erogazione ed esigibilità dei nuovi LEA : «È ormai inderogabile – sottolinea il Presidente – un consistente “sfoltimento” delle prestazioni basato su evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia per mettere fine ad un paradosso inaccettabile: in Italia il finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa convive con il “paniere LEA” più ampio, garantito però solo sulla carta». Quale prova tangibile, la mancata pubblicazione del “decreto tariffe” in ostaggio del MEF per mancata copertura finanziaria non permette l’esigibilità dei nuovi LEA su tutto il territorio nazionale, trasformando un grande traguardo politico in una cocente delusione collettiva.
  • Sprechi e inefficienze. Il Rapporto aggiorna le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017: € 21,49 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), inefficienze amministrative (€ 2,37 mld) e inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld).
  • Espansione del secondo pilastro. Ruolo e potenzialità dei fondi sanitari integrativi sono compromessi da una normativa frammentata e incompleta, che da un lato ha permesso loro di diventare prevalentemente sostitutivi, con la garanzia di cospicue agevolazioni fiscali, dall’altro consente all’intermediazione assicurativa di gestire i fondi invadendo il mercato della salute con “pacchetti” di prestazioni superflue che alimentano il consumismo sanitario e possono danneggiare la salute. «Continuare a dirottare risorse pubbliche sui fondi sanitari tramite le agevolazioni fiscali e non riuscire a rinnovare contratti e convenzioni e, più in generale ad attuare le inderogabili politiche sul personale – spiega il Presidente –  è un chiaro segnale di privatizzazione del SSN che configura un grave atto di omissione politica».

 

Accanto a queste quattro “patologie”, due “fattori ambientali” peggiorano ulteriormente lo stato di salute del SSN: la non sempre leale collaborazione tra Governo e Regioni, oggi ulteriormente perturbata dalle istanze di regionalismo differenziato, e le irrealistiche aspettative di cittadini e pazienti che da un lato condizionano la domanda di servizi e prestazioni, anche se inutili, dall’altro non accennano a cambiare stili di vita inadeguati che aumentano il rischio di numerose malattie.

Con questa diagnosi, la prognosi per il SSN al 2025 non può che essere infausta: secondo le stime del Rapporto GIMBE per riallineare il SSN a standard degli altri paesi europei e offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico sarà necessaria nel 2025 una spesa sanitaria di € 230 miliardi. Visto che la soluzione offerta dal “secondo pilastro” non è che un clamoroso abbaglio collettivo, il rilancio del SSN richiede la convergenza di tutte le forze politiche e un programma di azioni coraggiose e coerenti: dal consistente aumento del finanziamento pubblico alla ridefinizione del perimetro dei LEA, dalla rivalutazione delle agevolazioni fiscali per i fondi sanitari al ripensamento delle modalità con le quali viene erogata la spesa sociale di interesse sanitario al fine di pervenire ad un fabbisogno socio-sanitario nazionale. «Ma soprattutto – spiega il Presidente – bisogna “mettere in sicurezza” le risorse ed evitare le periodiche revisioni al ribasso, ovvero definire sia una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/PIL, sia un incremento percentuale annuo del fabbisogno sanitario nazionale pari almeno al doppio dell'inflazione».

«Riprendendo parole di gattopardiana memoria – conclude Cartabellotta – se vogliamo rilanciare il SSN dobbiamo cambiare tutto – entità del finanziamento, criteri di riparto, verifica adempimenti LEA, pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari, modalità di rimborso delle prestazioni – affinché non cambi nulla, ovvero per non perdere i princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da 40 anni costituiscono il DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale».

La versione integrale del 4° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it


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3 giugno 2019
Reti pediatriche: una nuova piattaforma per la salute dei bambini

DA UNA COLLABORAZIONE TRA L’ASSOCIAZIONE OSPEDALI PEDIATRICI ITALIANI E LA FONDAZIONE GIMBE UNA INNOVATIVA PIATTAFORMA IN GRADO DI GEOLOCALIZZARE DI SERVIZI PEDIATRICI PRESENTI IN AZIENDE SANITARIE PUBBLICHE E IRCCS PUBBLICI E PRIVATI E QUALIFICARE I SERVIZI OFFERTI: UNO STRUMENTO DALLE ENORMI POTENZIALITÀ PER GARANTIRE QUALITÀ E SICUREZZA DELLE CURE PER I PAZIENTI PIÙ PICCOLI, OLTRE CHE PER MIGLIORARE L’USO DEL DENARO PUBBLICO.

Fondazione GIMBE e Associazione Ospedali Pediatrici Italiani

Il 21 dicembre 2017 è stato siglato l’Accordo Stato-Regioni “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali in area pediatrico-adolescenziale” integrato dal documento “Rete dell’emergenza-urgenza pediatrica”. Anche se tale accordo fa ampio riferimento alle reti pediatriche attualmente manca uno strumento in grado di mappare nelle varie Regioni i “nodi” della rete da connettere, ovvero strutture e servizi pediatrici ospedalieri e territoriali, al fine di costruire i percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA).

«Tale lacuna – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – comporta un’estrema eterogeneità dell’offerta, la duplicazione di servizi che determina lo spreco di preziose risorse oltre a una riduzione della qualità dell’assistenza sanitaria con conseguente peggioramento degli esiti di salute. Per questo, in collaborazione con l’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI) abbiamo sviluppato una piattaforma per la geocalizzazione di servizi pediatrici presenti in aziende sanitarie pubbliche e IRCCS pubblici e privati e per la qualificazione dei servizi offerti».

La piattaforma, presentata in occasione del 75° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria, permette di visualizzare, anche su mappa geografica, tutti i dati relativi 472 strutture di ricovero per un totale di 2.148 servizi pediatrici.

 

«AOPI e GIMBE – precisa Paolo Petralia, Presidente AOPI –  hanno realizzato questo strumento operativo per tradurre le buone intenzioni in fatti: una piattaforma web based che intende fornire elementi conoscitivi e decisionali a Regioni e Aziende sanitarie per bilanciare domanda e offerta pediatriche e quindi programmare le attività tenendo conto delle peculiarità dei singoli territori».

 

La piattaforma permette di classificare le strutture di ricovero secondo il DM 70/2015 (base, I livello, II livello), inserire eventuali strutture di ricovero private accreditate con relativi servizi pediatrici, qualificare per ciascuna struttura di ricovero la presenza/assenza di pronto soccorso pediatrico, trasporto neonatale, trasporto materno assistito, punto nascita, sede di Scuola di Specializzazione, rapporti con l’Università; mappare le discipline/specialità cliniche previste dal DM 70/2015 (cardiochirurgia infantile; chirurgia pediatrica; genetica medica; neuropsichiatria infantile; pediatria; onco-ematologia pediatrica; terapia intensiva neonatale; neurochirurgia pediatrica; nefrologia pediatrica; urologia pediatrica); inserire per le Aziende sanitarie locali Aggregazioni Funzionali Territoriali, Unità Complesse di Cure Primarie, Pediatri di libera scelta; inserire nuovi Dipartimenti, UU.OO. e Servizi; indicare la tipologia di servizi offerti.

«Il modello di rete clinico-assistenziale – concludono Cartabellotta e Petralia – ha l’obiettivo di assicurare che la presa in carico del paziente avvenga in condizioni di appropriatezza, efficacia, efficienza, qualità e sicurezza delle cure, mettendo in relazione professionisti, strutture e servizi che erogano interventi sanitari e socio-sanitari di differente intensità e tipologia. In ambito pediatrico, la nostra piattaforma rappresenta il mezzo con cui raggiungere questo ambizioso obiettivo».


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20 maggio 2019
Sperimentazioni cliniche: migliorare la trasparenza per tutelare la salute e favorire l’innovazione

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI TRIAL CLINICI LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA VERSIONE ITALIANA DI UNA GUIDA DESTINATA AI DECISORI ISTITUZIONALI PER MIGLIORARE LA TRASPARENZA DELLE SPERIMENTAZIONI CLINICHE. AL FINE DI RIDURRE GRAVI CONSEGUENZE CLINICHE, SOCIALI ED ECONOMICHE SONO NECESSARIE AZIONI NORMATIVE E REGOLATORIE PER CONSOLIDARE I CINQUE PILASTRI CHE SOSTENGONO LA TRASPARENZA DEI TRIAL CLINICI: REGISTRAZIONE, REPORT TEMPESTIVO DEI RISULTATI PRINCIPALI, DISPONIBILITÀ DEL REPORT INTEGRALE, PUBBLICAZIONE DEL TRIAL E CONDIVISIONE DEI DATI INDIVIDUALI DEI PARTECIPANTI.

Le sperimentazioni cliniche, in particolare quelle controllate e randomizzate rappresentano lo standard della ricerca per valutare l’efficacia di farmaci, dispositivi medici ed altri interventi sanitari, oltre che un’insostituibile strumento per il progresso e l’innovazione della medicina e della sanità pubblica. Tuttavia negli ultimi decenni consistenti evidenze hanno dimostrato che le prove di efficacia disponibili in letteratura sono incomplete e distorte per vari fattori che influenzano la trasparenza dei trial clinici.

«La scarsa trasparenza delle sperimentazioni cliniche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – comporta gravi conseguenze cliniche, sociali ed economiche, visto che si tratta di studi che arruolano esseri umani per valutare l’efficacia e la sicurezza delle terapie: dai danni ai pazienti all’impossibilità per le agenzie regolatorie di prendere decisioni realmente informate, dallo spreco di risorse pubbliche al rallentamento dei progressi in campo medico, sino ai rischi per gli azionisti delle multinazionali».

Per diffondere questa consapevolezza a livello istituzionale, professionale e sociale, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana della guida di Transparency International, destinata ai decisori istituzionali per promuovere la trasparenza delle sperimentazioni cliniche che poggia su cinque pilastri:

  • Registrazione. Tutti i trial clinici devono essere registrati prima del loro avvio in uno dei registri riconosciuti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
  • Report dei risultati principali. I risultati principali dei trial clinici devono essere resi pubblici entro 12 mesi dal loro completamento negli stessi registri dove sono stati inizialmente registrati.
  • Report integrale. I risultati dettagliati dei trial clinici contenuti nei clinical study reports, devono essere divulgati in maniera proattiva.
  • Pubblicazione. Tutte le sperimentazioni cliniche devono essere pubblicate su riviste scientifiche o su piattaforme ad accesso libero.
  • Condivisione dei dati individuali dei partecipanti. Occorre stabilire norme e regolamenti per una condivisione efficace e attenta dei dati individuali dei partecipanti.

Per ciascuno dei “pilastri della trasparenza” la guida, riportando numerosi casi di studio, fornisce la definizione, ne spiega l’importanza, elenca i traguardi raggiunti, riporta gli standard internazionali e formula alcune raccomandazioni per i decisori istituzionali.

«Le Nazioni Unite – puntualizza il Presidente – hanno recentemente esortato i governi a risolvere questo rilevante problema di salute pubblica, anche perché numerosi interventi per migliorare la trasparenza dei trial clinici possono essere attuati nell’ambito dell’attuale quadro normativo con semplici azioni amministrative dal modesto impatto economico e dall’elevata costo-efficacia».

Tre le azioni concrete suggerite ai decisori istituzionali per aumentare la trasparenza dei trial clinici e migliorare l’accountability nei confronti di cittadini, pazienti, contribuenti e investitori:

  • Garantire la trasparenza del reporting dei trial clinici finanziati con risorse pubbliche. I decisori dovrebbero richiedere a tutti gli enti pubblici che finanziano la ricerca di adottare e seguire gli standard di trasparenza dell’OMS per la divulgazione dei risultati dei trial clinici e di garantirne la completa implementazione.
  • Far rispettare gli standard internazionali esistenti sul reporting dei trial clinici. I decisori dovrebbero fornire alle agenzie regolatorie risorse, poteri e supporto politico per fare rispettare normative e regolamenti esistenti ma non adeguatamente applicati, oltre che supportarle per definire meccanismi efficienti di monitoraggio e sanzionamento.
  • Potenziare il quadro normativo e regolatorio. I decisori dovrebbero allineare normative e regolamenti ai migliori standard internazionali e assicurare che vengano applicati a tutti i trial clinici, passati e presenti, attraverso i cinque i pilastri della trasparenza.

«Auspichiamo – conclude Cartabellotta – che la pubblicazione di questa guida alimenti il dibattito pubblico anche nel nostro Paese e favorisca tutte le azioni normative e regolatorie per aumentare la trasparenza delle sperimentazioni cliniche al fine di migliorare la salute delle persone, di permettere una migliore allocazione delle risorse pubbliche destinate alla ricerca, di favorire lo sviluppo di nuove terapie e di ridurre i rischi per gli azionisti».

La versione integrale del documento: “La trasparenza dei trial clinici: guida per decisori istituzionali”
è disponibile a: www.gimbe.org/trasparenza-trial.


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13 maggio 2019
Tempi di attesa: la trasparenza di Regioni e Aziende sanitarie è ancora lontana

CON L’AVVIO DEL NUOVO PROGRAMMA NAZIONALE PER IL GOVERNO DELLE LISTE DI ATTESA, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA IL MONITORAGGIO INDIPENDENTE SULLA RENDICONTAZIONE PUBBLICA DEI TEMPI DI ATTESA DA PARTE DI REGIONI E AZIENDE SANITARIE. SOLO 9 REGIONI DISPONGONO DI PORTALI INTERATTIVI, MA NESSUNA FORNISCE INFORMAZIONI SIA SUL RISPETTO DEI TEMPI MASSIMI DI ATTESA, SIA PER CIASCUNA PRESTAZIONE L’INDICAZIONE DELLA PRIMA DISPONIBILITÀ PER IL CITTADINO CON I TEMPI DI ATTESA DELLE STRUTTURE EROGANTI

Il Piano Nazionale di Governo delle Liste d'attesa (PNGLA) 2010-2012 aveva previsto, a garanzia della trasparenza e dell’accesso alle informazioni su liste e tempi di attesa, un monitoraggio annuale sistematico della loro presenza sui siti web di Regioni e Province Autonome e di Aziende sanitarie. Tali informazioni, secondo quanto previsto dal successivo “decreto trasparenza”, dovrebbero essere rese pubblicamente disponibili a tutti i cittadini con l'obiettivo di favorire il controllo diffuso sull'operato delle Istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

«L’Osservatorio GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha rilevato che il Ministero della Salute non ha mai pubblicato i risultati del monitoraggio previsto dal PNGLA 2010-2012. In particolare, non è disponibile alcun report sui recepimenti regionali del PNGLA e sulla redazione dei piani attuativi aziendali, né tantomeno sulla rendicontazione pubblica dei tempi di attesa, oggetto solo di studi a campione effettuati da varie organizzazioni. Al fine di colmare tale vuoto istituzionale abbiamo finanziato una ricerca indipendente con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta”».

L’obiettivo generale dello studio era di valutare il livello di trasparenza e il dettaglio delle informazioni fornite sulle liste di attesa dai siti web di Regioni e Aziende sanitarie, verificando la disponibilità delle delibere di recepimento del PNGLA 2010-2012 da parte di Regioni e Province autonome e dei piani attuativi regionali; la disponibilità dei piani attuativi aziendali; la disponibilità e lo stato di aggiornamento su siti web regionali e aziendali dei tempi di attesa relativi alle 43 prestazioni ambulatoriali oggetto di monitoraggio del PNGLA 2010-2012.

La ricerca delle informazioni è stata effettuata sia consultando direttamente i siti web istituzionali di Regioni, Province autonome e Aziende sanitarie, sia tramite ricerche Google utilizzando specifiche parole chiave. I dati relativi ai siti di Regioni e Province autonome sono aggiornati al 6 maggio 2019, mentre quelli relativi ai siti delle Aziende sanitarie si riferiscono a dicembre 2018. Si riportano di seguito i risultati principali dello studio.

Regioni e Province autonome

  • Piani Regionali: tutte le Regioni e Province autonome rendono disponibili sia le delibere di recepimento del PNGLA 2010-2012 sia i Piani Regionali per il governo delle liste di attesa che nel periodo 2010-2018 sono stati aggiornati e/o integrati in misura molto variabile.
  • Trasparenza tempi di attesa: la rendicontazione pubblica relativa alle 43 prestazioni ambulatoriali previste dal PNGLA 2010-2012 è ancora lontana da standard ottimali ed estremamente variabile tra le diverse Regioni, nonostante il netto miglioramento rispetto ai risultati preliminari dello studio pubblicati a luglio 2018; in particolare:
    • 9 Regioni (Provincia autonoma di Bolzano, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta) dispongono di portali interattivi;
    • 8 Regioni (Provincia autonoma di Trento, Abruzzo, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) rendono disponibili solo l’archivio storico con dati, range temporali e frequenza di aggiornamento estremamente variabili;
    • 3 Regioni (Campania, Sicilia, Umbria) rimandano ai siti web delle aziende sanitarie senza effettuare alcuna aggregazione dei dati, rendendo impossibile valutare il range temporale e la frequenza di aggiornamento degli archivi storici;
    • 1 Regione (Calabria) non fornisce alcuna informazione sui tempi di attesa.

 

Dall’analisi dei 9 portali interattivi, i più avanzati strumenti di trasparenza, emerge la notevole eterogeneità di struttura e funzioni da cui deriva la differente utilità per la programmazione sanitaria e per l’informazione al cittadino. Più in generale, nessuna Regione oggi fornisce informazioni complete sulle performance regionali sul rispetto dei tempi massimi di attesa, né i tempi di attesa delle strutture eroganti per ciascuna prestazione con indicazione della prima disponibilità per il cittadino.

Aziende sanitarie. Solo 49/269 (18%) aziende sanitarie rendono disponibile il piano attuativo aziendale, mentre l’83% effettua una rendicontazione pubblica sui tempi di attesa sul proprio sito o rimandando a quello della Regione; tuttavia, le informazioni disponibili sono frammentate ed notevolmente eterogenee rispetto alla potenziale utilità per gli utenti.

Durante la conduzione dello studio il tema delle liste di attesa è finalmente tornato al centro dell’agenda politica: per il triennio 2019-2021 il Governo ha stanziato complessivi € 400 milioni per “l’implementazione e l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica per l’accesso alle strutture sanitarie” e lo scorso 21 febbraio 2019 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il PNGLA 2019-2021 che apporta diverse novità rispetto al piano precedente.

«Con il PNGLA 2019-2021 ai nastri di partenza – conclude Cartabellotta – l’auspicio è che i risultati del nostro studio vengano utilizzati a livello istituzionale per informare il riallineamento dei sistemi informativi regionali e aziendali, fornendo così una base univoca di dati per confrontare le performance regionali, anche al fine di includere il rispetto dei tempi di attesa negli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza».

Il report integrale “Tempi di attesa: trasparenza di Regioni e Aziende sanitarie” è disponibile a: www.gimbe.org/liste-attesa.


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9 maggio 2019
Sostenibilità della Sanità Pubblica: una nuova generazione di decisori alla scuola GIMBE

AL VIA IL SECONDO BANDO NAZIONALE PER 25 BORSE DI STUDIO DESTINATE A SPECIALIZZANDI IN IGIENE E MEDICINA PREVENTIVA PER LA PARTECIPAZIONE AL CORSO AVANZATO SU “METODI E STRUMENTI DI CLINICAL GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ DEL SSN”, REALIZZATO GRAZIE AD UNA EROGAZIONE LIBERALE DI MSD ITALIA AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

Diversi fattori oggi minano la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche, il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti. Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate: estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value, incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, sprechi che si annidano a tutti i livelli.

«Per affrontare queste sfide – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – numerosi sono gli interventi normativi messi in campo negli ultimi anni. In particolare, il DM 70/2015 ovvero il “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” ha avviato il processo di qualificazione e riorganizzazione della rete ospedaliera che, insieme a quella delle cure primarie, costituisce la fondamentale linea di programmazione sanitaria per la sostenibilità del SSN».

Il DM 70/2015 promuove standard organizzativi secondo il modello di clinical governance, i cui strumenti utilizzati con un approccio di sistema contribuiscono ad erogare un’assistenza basata sulle evidenze, ad elevato value, sostenibile e centrata sui bisogni della persona: l’utilizzo integrato di strumenti di gestione del rischio clinico, evidence-based medicine, percorsi assistenziali, health technology assessment, valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche (audit clinico, misurazione della performance clinica, degli esiti e della qualità percepita), documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente, formazione continua del personale, team work e il team training sono dunque gli ingredienti fondamentali per la sostenibilità della sanità pubblica.

«Considerato che nei programmi di formazione universitaria e specialistica – precisa Cartabellotta – questi strumenti non vengono trasferiti in maniera sistematica, GIMBE punta a trasmettere queste competenze alle nuove generazioni di decisori della sanità, al fine di garantire continuità assistenziale tra ospedale e territorio, migliorare l’appropriatezza organizzativa, ridurre gli sprechi ed aumentare la soddisfazione dei pazienti».

Con questi obiettivi, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE ha lanciato un secondo bando nazionale per l’erogazione di 25 borse di studio che consentiranno a specializzandi in Igiene e Medicina Preventiva di partecipare al corso avanzato “Metodi e strumenti di clinical governance per la sostenibilità del SSN” che si terrà a Bologna da settembre 2019 a gennaio 2020.

L’iniziativa verrà realizzata grazie anche al sostegno di MSD Italia al programma GIMBE4young: «Con l’allungamento dell’aspettativa di vita – dichiara Nicoletta Luppi, Amministratore Delegato di MSD Italia – la cronicità rappresenta un fattore chiave che “erode” la sostenibilità del sistema sanitario. Le malattie croniche non trasmissibili quali diabete, malattie cardiovascolari metaboliche e patologie oncologiche, infatti, sono le principali responsabili di anni di salute persi e dell’assorbimento di risorse economiche».

«La ricetta per aiutare la sostenibilità del SSN nel lungo termine – continua Luppi – deve prevedere il rilancio del finanziamento pubblico, adeguati investimenti in prevenzione, anche attraverso i vaccini, riduzione degli sprechi e apertura a forme nuove di finanziamento. È necessario altresì introdurre un nuovo approccio di gestione manageriale basato sulle evidenze scientifiche e sull’utilizzo degli strumenti di clinical governance, previa un’adeguata formazione dei medici. Da queste premesse nasce il sostegno di MSD a questa iniziativa della Fondazione GIMBE che intende formare i giovani medici, già dalle scuole di specializzazione, creando una nuova generazione di professionisti in grado di erogare un’assistenza sanitaria generale prestazioni ad elevato impatto per la salute dei pazienti, coniugando innovazione e sostenibilità (value-based healthcare)».

Le candidature possono essere inviate online entro il 24 maggio 2019.

Tutte le informazioni sul bando sono disponibili a: www.gimbe4young.it/CG


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29 aprile 2019
Sanità: incombe lo spettro di nuovi tagli

DALL’OSSERVATORIO GIMBE ALLARME SU POSSIBILI TAGLI AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE DOVUTI AL FORTE RIDIMENSIONAMENTO DELLA CRESCITA ECONOMICA NEL DEF 2019. PARALLELAMENTE NUMEROSE CRITICITÀ POLITICHE, ECONOMICHE E TECNICHE RISCHIANO DI RIACCENDERE IL CONFLITTO TRA GOVERNO E REGIONI, ARENANDO LA STIPULA DEL PATTO PER LA SALUTE A CUI È LEGATO L‘AUMENTO DEL FINANZIAMENTO PER LA SANITÀ. IL RISCHIO CONCRETO È DI RIDURRE ULTERIORMENTE L’EQUITÀ DI ACCESSO ALLE CURE E PEGGIORARE GLI ESITI DI SALUTE INCLUSA L’ASPETTATIVA DI VITA.

Dalle recenti analisi indipendenti dell’Osservatorio GIMBE sul DEF 2019 sono emerse forti preoccupazioni per la sanità pubblica sia perché la crescita economica del Paese è stata drammaticamente ridimensionata, rendendo poco realistici gli aumenti previsti dalla Legge di Bilancio per il 2020-2021, sia perché il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane stabile sino al 2020 per poi ridursi dal 2021. «Se da un lato tali preoccupazioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – vengono confermate dalle audizioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e della Corte dei Conti, dall’altro stupisce la sbrigativa superficialità con cui le risoluzioni di Camera e Senato sul DEF 2019 ignorano la polveriera sanità».

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, snocciolando i drammatici numeri del disavanzo, conferma che esistono pochi margini per una spending review e che “ulteriori tagli alla spesa sanitaria rischierebbero di incidere sulla qualità dei servizi offerti oppure sul perimetro dell’intervento pubblico in questo settore”. La Corte dei Conti, sottolineando che “al termine del 2018 […] non risultano sottoscritti gli accordi relativi alle aree della dirigenza sanitaria” rileva preoccupazioni per “la forte riduzione di personale, anche in relazione al tempo occorrente per l’assunzione di nuovo personale, con particolare riferimento a settori come la sanità […] in cui la diminuzione degli addetti rischia di incidere sull’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e sulla qualità dei servizi”.

A fronte di queste preoccupazioni per la tenuta della sanità pubblica, le speculari risoluzioni di Camera e Senato si limitano ad impegnare il Governo “a procedere dal 2019 ad un piano di assunzioni che argini il fenomeno della "fuga dei cervelli" e supporti la promozione di innovazione e ricerca in campo sanitario, valorizzando la funzione dei centri sanitari di nuova generazione e investendo in politiche di formazione ed inserimento lavorativo delle nuove professionalità, ad aggiornare a livello regionale il parametro di riferimento della spesa per il personale degli enti del SSN”.

«Il DEF 2019 – puntualizza il Presidente – indica il nuovo Patto per la Salute come strumento di governance per ottimizzare la spesa pubblica, ma in realtà il Patto condiziona anche le risorse per la sanità, come previsto dalla Legge di Bilancio 2019». Infatti, oltre al miliardo stanziato per il 2019, le risorse aggiuntive previste per il biennio 2020-2021 (+€ 2 miliardi nel 2020 e +€ 1,5 miliardi nel 2021) sono condizionate dalla stipula di un’intesa Stato-Regioni di un nuovo Patto per la Salute contenente “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”.

La scadenza per la sottoscrizione del Patto era fissata al 31 marzo, ma visto che il suo mancato rispetto non avrebbe avuto conseguenze le motivazioni del ritardo inizialmente sono imputabili al dilatarsi della “fase esplorativa”. In dettaglio:

  • 13 febbraio. Le Regioni elaborano un documento fissando alcuni “paletti” per un primo confronto politico con la Ministra Grillo, assente alla riunione perché ritenuta meramente tecnica.
  • 27 febbraio. Nel primo incontro ufficiale riprende il dialogo politico ma il Ministero prende tempo sui “paletti” proposti dalle Regioni per definire la cornice politico istituzionale.
  • 14 marzo. La Ministra Grillo invia al presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini una contro-proposta, bocciata senza appello dalle Regioni perché giudicata “invasiva”.
  • 16 aprile. Nel secondo incontro ufficiale Governo e Regioni accantonano la cornice politico-istituzionale e danno il via libera ai tavoli tecnici: piani di rientro e commissariamenti, formazione e personale, governance del farmaco, investimenti in edilizia e tecnologie.

«Mentre Governo e Regioni bruciavano 4 mesi per annusarsi a vicenda – precisa il Presidente –  gli scenari politici, economici e tecnici tuttavia sono mutati, rendendo la strada per la stipula del Patto per la Salute sempre più in salita e lastricata di ostacoli».

  • Quadro economico. Il DEF 2019 ha certificato che gli aumenti del fabbisogno sanitario nazionale 2020-2021 sono utopistici, considerate le previsioni di aumento del PIL cui sono legati. Inoltre, nonostante il DEF annunci solo “un paziente lavoro di revisione della spesa corrente che porterà a un primo pacchetto di misure nella legge di bilancio per il 2020”, con la clausola di salvaguardia il blocco di € 2 miliardi di spesa pubblica nel 2020 finirà inevitabilmente per aggredire la sanità pubblica. In questo scenario, rispetto alle richieste delle Regioni, da un lato la Ministra Grillo non può offrire alcuna garanzia sull’aumento delle risorse previste per il 2020-2021, dall’altro per esigenze di finanza pubblica il Governo potrà in qualsiasi momento operare tagli alla sanità.
  • Scenario politico. Il rovente clima di competizione elettorale per le imminenti consultazioni europee genera attriti quotidiani sulle tematiche più disparate tra i due partiti di maggioranza indebolendo il Governo. Ma anche il fronte delle Regioni è altrettanto sfibrato sia dalla minore compattezza conseguente al regionalismo differenziato, sia dall’incertezza sulle risorse condizionate, oltre che dal quadro economico, proprio dalla necessità di stipulare il Patto.
  • Ostacoli tecnici. Il tema del regionalismo differenziato rende molto più complesso raggiungere un accordo sulle “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi” che, di fatto, rientrano tra le maggiori autonomie richieste in sanità da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.

«La Fondazione GIMBE, sulla base delle proprie valutazioni indipendenti – conclude Cartabellotta – invita Governo e Regioni a stipulare in tempi rapidi il Patto per la Salute, sia per garantire le condizioni necessarie all’aumento del fabbisogno sanitario nazionale (MEF permettendo), sia perché la sanità pubblica non può oggi reggere ad un conflitto tra Governo e Regioni. Infatti, il rischio concreto, oltre che di ridurre ulteriormente l’equità di accesso alle cure, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli e al Centro-Sud, è di peggiorare gli esiti di salute inclusa l’aspettativa di vita».


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12 aprile 2019
DEF 2019: solo incongruenze e grandi incertezze per la sanità

DALL’ANALISI INDIPENDENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE SUL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2019 EMERGONO CONTRADDIZIONI E INCERTEZZE PER IL FUTURO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. RISPETTO ALLE RISORSE ASSEGNATE DALLA LEGGE DI BILANCIO, LE STIME SULLA SPESA SANITARIA SONO INCONGRUENTI CON LE RISORSE GIÀ ASSEGNATE PER IL 2019, MENTRE PER GLI ANNI 2020-2021 CONTINUANO A DIPENDERE DA UTOPISTICHE PREVISIONI DI CRESCITA ECONOMICA. SU TUTTO ALEGGIA LO SPETTRO DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA, OVVERO IL BLOCCO DI 2 MILIARDI DI SPESA PUBBLICA CHE SICURAMENTE COLPIRÀ LA SANITÀ.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2019, secondo il quale nel triennio 2020-2022 il PIL nominale dovrebbe crescere in media del 2,5% per anno e l’aumento della spesa sanitaria attestarsi sul tasso medio annuo dell’1,4%. In termini finanziari la spesa sanitaria aumenterebbe così dai € 119.953 milioni stimati per il 2020 ai € 121.358 nel 2021 ai € 123.052 milioni nel 2022. Per l’anno in corso, invece, a fronte di una crescita del PIL nominale dell’1,2%, il DEF 2019 stima una spesa sanitaria di € 118.061 milioni che corrisponde ad una crescita del 2,3% rispetto ai € 115.410 del 2018.

«Le previsioni di crescita economica del Paese – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – emergono in tutta la loro evanescenza se si confrontano le stime messe nero su bianco appena 6 mesi fa». La Nota di aggiornamento del DEF 2018 (NaDEF) infatti aveva azzardato per il 2019 una crescita del PIL del 3,1%, che sarebbe dovuto schizzare al 3,5% nel 2020 per poi tornare al 3,1% nel 2021: tali previsioni sono precipitate all’1,2% per il 2019 (-1,9%), al 2,6% per il 2020 (-0,9%) ed al 2,5% per il 2021 (-0,6%).

Anche se le stime fossero corrette, la spesa sanitaria non potrà coprire nemmeno l'aumento dei prezzi sia perché cresce meno del PIL nominale, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale dei prezzi al consumo e che l’inflazione media si è attestata oltre l’1% (1,2% nel 2017 e nel 1,1% nel 2018). «In altre parole – puntualizza Cartabellotta – la crescita media della spesa sanitaria dell’1,4% nel triennio 2020-2021 stimata dal DEF 2019 nella migliore delle ipotesi potrà garantire al SSN lo stesso potere di acquisto solo se la ripresa economica rispetterà previsioni più che ottimistiche, ovvero una crescita media del PIL del 2,5% per il triennio 2020-2021».

«Delle cifre assolute riportate nel DEF – continua il Presidente – è bene non fidarsi, soprattutto nel medio termine, perché le risorse assegnate alla sanità dalle Leggi di Bilancio risultano sempre inferiori alle stime del DEF sulla spesa sanitaria». Ad esempio, per l’anno 2018 la stima di € 121,3 miliardi di spesa sanitaria del DEF 2014 è precipitata a € 117,7 con il DEF 2015, quindi a € 116,2 con il DEF 2016 e a € 115,1 con il DEF 2017, per arrivare ad un finanziamento reale di € 113,4 miliardi con la Legge di Bilancio 2018».

Nel DEF 2019 il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane identico al 2018 (6,6%) per gli anni 2019 e 2020, per poi ridursi al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022. «Queste previsioni – afferma Cartabellotta – smentiscono l’inversione di tendenza incautamente annunciata dal Premier Conte nel giugno 2018 in occasione del discorso per la fiducia e sono identiche a quelle dei DEF (e dei Governi) precedenti, dove all’incremento atteso della crescita economica corrisponde sempre una riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL. Questa strategia di finanza pubblica documenta inequivocabilmente che per tutti i Governi che si sono succeduti negli anni, compreso il cosiddetto Governo del Cambiamento, la sanità non ha mai rappresentato una priorità politica. Infatti, quando l’economia è stagnante la sanità si trasforma automaticamente in un bancomat al portatore, mentre in caso di crescita economica i benefici per il SSN non sono proporzionali, rendendo di fatto impossibile un rilancio del finanziamento pubblico».

Analizzando le previsioni per l’anno 2019, emergono infine alcune incongruenze, visto che il DEF stima una spesa sanitaria di € 118.061 milioni con un aumento rispetto al 2018 di ben € 2.651 milioni, in buona parte da destinare al personale sanitario. Il DEF 2019 precisa infatti che per i redditi da lavoro dipendente si stima un livello di spesa pari a € 36.502 milioni, ovvero quasi un miliardo di euro in più rispetto al 2018, quando la spesa era di € 35.540 milioni. «Tuttavia – puntualizza Cartabellotta – se la Legge di Bilancio 2019 ha già destinato alla sanità solo € 1 miliardo, peraltro senza alcun vincolo sul personale, da tali previsioni emergono due legittimi interrogativi. Il DEF intende certificare per l’anno 2019 un aumento del deficit per la sanità di € 1.651 milioni? Con quali modalità il Governo intende convincere le Regioni a destinare un miliardo, di fatto quello previsto dall’aumento del FSN 2019, interamente al personale sanitario?».

In conclusione, dalle analisi GIMBE del DEF 2019 emergono alcune ragionevoli (e preoccupanti) certezze per il Servizio Sanitario Nazionale:

  • La crescita economica del Paese, rispetto alle previsioni della NaDEF 2018 è stata drammaticamente ridimensionata, in particolare per il 2019 (-1,9%).
  • Non viene definita alcuna inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL, che rimane stabile sino al 2020 e inizia a ridursi dal 2021.
  • Per il 2019 si stima, rispetto al 2018, un aumento di spesa sanitaria di € 2,65 miliardi prevedendo di destinare quasi un miliardo al personale dipendente; tali previsioni sono incongruenti con le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019, sia rispetto all’entità, sia rispetto alla destinazione.
  • Gli aumenti della spesa sanitaria stimati per il 2020 (+ € 1.892 milioni) e per il 2021 (+ € 1.405 milioni) sono in linea con l’incremento del FSN previsto dalla Legge di Bilancio 2019, rispettivamente € 2.000 milioni per il 2020 e € 1.500 milioni per il 2021.

«Il DEF 2019 – conclude Cartabellotta – se da un lato mette a nudo tutte le incertezze sulla crescita economica del Paese, dall’altro aumenta le preoccupazioni per la sanità per tre ragioni fondamentali: innanzitutto, per il 2019 le stime sono incongruenti con le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio; in secondo luogo, se le stime per il 2020-2021 sono allineate con gli incrementi previsti del FSN, questi oltre che alla sottoscrizione di un Patto per la Salute ancora in stallo, sono legati ad utopistiche previsioni di crescita economica; infine, su tutto aleggia lo spettro della clausola di salvaguardia, ovvero il blocco di € 2 miliardi di spesa pubblica in caso di deviazione dall’obiettivo di indebitamento netto, che sicuramente colpirà la sanità».


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11 aprile 2019
Metodologia delle sperimentazioni cliniche: nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

AL VIA LA SELEZIONE NAZIONALE PER LA TERZA EDIZIONE DELLA SUMMER SCHOOL SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI: 30 BORSE DI STUDIO DESTINATE A STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI UNDER 32 SOSTENUTE DA ASSOGENERICI

Dopo il successo delle passate edizioni la Fondazione GIMBE lancia il terzo bando nazionale per la partecipazione alla “Summer School on... Metodologia dei trial clinici” (Loiano, 9-13 settembre 2019), corso residenziale sostenuto da Assogenerici e finalizzato a preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente: determinando la persistenza di numerose aree grigie, oltre che lo spreco di preziose risorse».

La campagna internazionale Lancet-REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), promossa in Italia dalla Fondazione GIMBE e già integrata nei programmi di ricerca istituzionale del Ministero della Salute, punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il Cartabellotta – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità: per questo molti trial rispondono a quesiti irrilevanti e/o misurano outcome clinicamente irrilevanti e oltre la metà delle sperimentazioni cliniche vengono pianificate senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando evitabili duplicazioni». Inoltre più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

«Siamo sempre più convinti – dichiara Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici – delle ragioni che da tre anni ci spingono a sostenere questa iniziativa: oggi più che mai il Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno di risorse umane qualificate e formate ad una maggiore consapevolezza sulla corretta allocazione e gestione delle risorse. L’ultima Conferenza nazionale GIMBE ha lanciato un allarme sullo “stato di salute” del SSN, definito come un paziente in “codice rosso” la cui semplice “manutenzione ordinaria” non basterà per garantirlo alle future generazioni».

«Crediamo fermamente che qualsiasi “salvataggio” del nostro sistema sanitario pubblico – prosegue Häusermann – non possa prescindere dal coinvolgimento in prima linea dei professionisti sanitari che hanno contribuito alla sua eccellenza e grandezza. Per questo abbiamo scelto di sostenere un’iniziativa di formazione qualificata indirizzata ai giovani professionisti del settore sanitario sui temi della ricerca farmacologica, dell’accesso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse».

Considerato che le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici non costituiscono ancora parte integrante dei percorsi universitari e specialistici, la Fondazione GIMBE lancia un bando nazionale per selezionare 30 giovani studenti, medici e farmacisti, al fine di colmare questo gap formativo.

La scadenza del bando è fissata al 17 maggio 2019.

Per ulteriori informazioni e invio candidature: www.gimbe4young.it/trial


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8 aprile 2019
Artrite reumatoide: è tempo di un'alleanza tra cure primarie e assistenza specialistica

A FRONTE DI OLTRE CIRCA 400.000 PAZIENTI AFFETTI DA ARTRITE REUMATOIDE E CIRCA € 2,5 MILIARDI DI COSTI, IN ITALIA MANCA UNA RETE INTEGRATA DI SERVIZI PER LA GESTIONE DI QUESTA INVALIDANTE PATOLOGIA. IN ASSENZA DI LINEE GUIDA NAZIONALI AGGIORNATE, PER INFORMARE L’ELABORAZIONE DI PERCORSI ASSISTENZIALI, OLTRE CHE PER L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE E L’INFORMAZIONE DEI PAZIENTI, LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DEI PAZIENTI CON ARTRITE REUMATOIDE.

L’artrite reumatoide è una patologia autoimmune caratterizzata da infiammazione delle piccole e grandi articolazioni, in particolare quelle di mani, piedi e ginocchia, che si manifesta con tumefazione, rigidità, dolore e progressiva erosione articolare.  Può inoltre coinvolgere vari organi e apparati: dai polmoni all’apparato cardiovascolare, dagli occhi alla cute. La malattia colpisce soprattutto le donne di età generalmente compresa tra i 40 e i 60 anni, anche se può esordire a qualsiasi età. In Italia è la forma più comune di artrite infiammatoria e rappresenta il 6% delle malattie reumatiche: secondo dati ISTAT del 2001 la prevalenza della malattia nel nostro Paese è dello 0,73%, che corrisponde a circa 400.000 pazienti affetti, di cui il 75% donne e 5.000 casi gravi. L’artrite reumatoide ha un significativo impatto sulla vita dei malati: disabilità nell’80-90% dei casi, abbandono dell’attività lavorativa nel 20% e necessità di assistenza continua nel 10%. Se la malattia non è adeguatamente trattata l’aspettativa di vita si riduce di circa 4 anni negli uomini e di 10 nelle donne.

«I segni precoci dell’artrite reumatoide – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –vengono spesso riscontrati nell’ambito delle cure primarie, dove i pazienti si rivolgono al medico di medicina generale per dolore e tumefazione articolare. Un adeguato sospetto clinico della malattia con invio tempestivo e appropriato ai servizi reumatologici è cruciale sia per una precoce remissione della malattia, sia per prevenire o ridurre la disabilità. In altre parole, prognosi della malattia e qualità di vita dipendono da una diagnosi tempestiva e da un trattamento appropriato».

L’artrite reumatoide è una malattia con un rilevante impatto economico: in Italia si stimano complessivamente costi diretti di circa € 1,4 miliardi l’anno, mentre quelli indiretti sfiorano il miliardo di euro e sono riconducibili prevalentemente all'assenza dal lavoro del paziente e dei suoi familiari.

«Per un’adeguata presa in carico dei pazienti con artrite reumatoide – continua il Presidente – è indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra cure primarie e assistenza specialistica, oltre a reti specialistiche guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA). Tuttavia, in assenza di linee guida nazionali aggiornate, manca la base scientifica per informare la costruzione dei PDTA a livello regionale e locale». Per questo la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a luglio 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.

Le linea guida NICE, destinate in particolare a medici non specialisti coinvolti nella valutazione iniziale dei sintomi dell’artrite reumatoide e nell’assistenza a lungo termine, forniscono raccomandazioni relative a vari aspetti della gestione della malattia: dai criteri di sospetto clinico per l’appropriata richiesta di consulto specialistico ai test diagnostici iniziali; dalle valutazioni prognostiche alla strategia treat-to-target; dalla terapia farmacologica iniziale al controllo dei sintomi, sino al monitoraggio dei pazienti.

«In attesa dell’elaborazione di linee guida nazionali sull’artrite reumatoide – conclude Cartabellotta – auspichiamo che la versione italiana di questo autorevole documento del NICE rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari sia per la corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le linee guida “Diagnosi e terapia dell’artrite reumatoide negli adulti” sono disponibili a: www.evidence.it/artrite-reumatoide.


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1 aprile 2019
Vaccini: la tutela della salute dei bambini ostaggio di compromessi politici

LA FONDAZIONE GIMBE ESPRIME PROFONDO SCONCERTO SULL’EMENDAMENTO CHE PROPONE DI CANCELLARE OBBLIGO CERTIFICAZIONE QUALE REQUISITO DI ACCESSO SCOLASTICO APPENA DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL REPORT GIMBE CHE HA DIMOSTRATO SIA CHE L’INTRODUZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE È ASSOCIATO AD UN AUMENTO DELLE COPERTURE, SIA CHE DIVERSE REGIONI DEVONO ANCORA RAGGIUNGERE I TARGET DEL PIANO NAZIONALE DI PREVENZIONE VACCINALE. LA FONDAZIONE GIMBE RINNOVA L’INVITO ALLA POLITICA A NON STRUMENTALIZZARE NORME E LEGGI CHE TUTELANO LA SALUTE DELLE PERSONE, IGNORANDO OPPORTUNISTICAMENTE EVIDENZE SCIENTIFICHE E DATI EPIDEMIOLOGICI E SUBORDINANDO LA SALUTE PUBBLICA A COMPROMESSI POLITICI E ACCORDI PRE-ELETTORALI.

1 aprile 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Lo scorso 21 marzo la Fondazione GIMBE ha caldeggiato tutte le forze politiche ad interrompere il dibattito sulla rimodulazione dell’obbligo vaccinale, visti i risultati del report indipendente “Vaccinazioni in età pediatrica: impatto dell’obbligo sulle coperture vaccinali in Italia” che, analizzando i dati ufficiali del Ministero della Salute, ha documentato che:

  • l’entrata in vigore del DL 73/2017, convertito in Legge 119/2017, è associata ad un netto incremento delle coperture vaccinali: in particolare nella coorte 2014 l’incremento medio è del 2,21% per i vaccini dell’esavalente , del 7,3% per quelli del trivalente e del 7,95% per la varicella;
  • se la copertura nazionale risulta ≥95% per i vaccini dell’esavalente, poco al di sotto del 95% per quelli del trivalente e ben al di sotto del 60% per l’anti-varicella, analizzando le coperture delle singole Regioni emerge un quadro molto eterogeneo: infatti la copertura vaccinale media tra le Regioni varia dall’89,2% al 98,4% per l’esavalente, dall’82,2% al 97,5% per il trivalente e dal 3,4% al 91,7% per la varicella;
  • non sono ancora disponibili evidenze sul mantenimento delle coperture massime, ove raggiunte.

Esattamente una settimana dopo la pubblicazione del report GIMBE ecco vedere la luce l’emendamento Cantù-Sileri-Fregolent al DdL S770 che - tramite un nuovo articolo 7-bis – intende abrogare il caposaldo del DL Lorenzin prevedendo che a decorrere dall'entrata in vigore della nuova legge la presentazione della documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni non costituirà più requisito di accesso ai servizi educativi per l'infanzia, alle scuole e ai centri di formazione professionale regionale.

«Considerato che il report GIMBE è stato inviato individualmente a tutti i parlamentari – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –  questo emendamento non può che avere finalità esclusivamente politiche e ignora consapevolmente evidenze scientifiche e dati di copertura vaccinale, subordinando la tutela della salute pubblica a compromessi politici e accordi pre-elettorali».

Non stupisce, infatti, che l’emendamento sia figlio di un recente strappo giallo-verde tra il vice-premier Salvini che lo scorso 5 marzo aveva inviato alla Ministra Giulia Grillo formale richiesta di decreto legge per differire la scadenza del 10 marzo, al fine di consentire l’accesso ai servizi scolastici anche ai bambini non vaccinati, facendo addirittura leva sulla sensibilità di una neo-mamma ad “evitare traumi ai più piccoli”. Richiesta che la Ministra ha, giustamente, rigettato con convinzione visto che le Regioni avevano avuto tutto il tempo per mettersi in regola.  L’emendamento 7.0.1. ha tuttavia nel frattempo trovato nel Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato – all’insaputa e in contrasto con la linea della Ministra Grillo – l’ariete “giallo” per raccogliere tutte le istanze no-vax del Movimento 5 Stelle e proporre un emendamento formalmente bipartisan, ma in questo momento pre-elettorale fortemente voluto dai “verdi”.

«Se è obiettivo della discussione parlamentare – puntualizza il Presidente – è pervenire ad una politica vaccinale scientificamente valida e socialmente responsabile, bisogna innanzitutto abbandonare l’idea dell’obbligo flessibile: mancano infatti le condizioni per attuare l’obbligo solo dove si verifichino significativi scostamenti dagli obiettivi del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale». Infatti, se da un lato l’obbligo ha funzionato e le coperture vaccinali non sono ancora ottimali in tutte le Regioni, né stabilizzate in quelle che le hanno raggiunte, dall’altro la brusca transizione ad un modello basato su raccomandazione e persuasione richiede investimenti massivi (e tempi medio-lunghi) di implementazione per informazione e formazione, messa a punto di sanzioni severe per chi diffonde messaggi no-vax e anagrafi vaccinali accurate che permettano di conoscere lo stato di copertura in tempo reale.

«Ecco perché – conclude Cartabellotta  – come organizzazione indipendente che da anni si batte per la tutela della salute pubblica e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale tramite l’integrazione delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche, non possiamo che rinnovare l’invito alla politica a non strumentalizzare norme e leggi che tutelano la salute delle persone, ignorando opportunisticamente evidenze scientifiche e dati epidemiologici».


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21 marzo 2019
Obbligo vaccini: coperture in aumento, ma è troppo presto per cantar vittoria

L’ANALISI INDIPENDENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE DIMOSTRA CHE L’INTRODUZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE È ASSOCIATO AD UN AUMENTO DELLE COPERTURE, SIA PER I VACCINI OBBLIGATORI SIA PER QUELLI CONSIGLIATI. TUTTAVIA DIVERSE REGIONI DEVONO ANCORA RAGGIUNGERE I TARGET DEL PIANO NAZIONALE DI PREVENZIONE VACCINALE 2017-2019 E ALCUNE RIMANGONO BEN LONTANE. A FRONTE DI QUESTI DATI, PER LA TUTELA DELLE SALUTE PUBBLICA LA FONDAZIONE GIMBE INVITA AD INTERROMPERE OGNI DIBATTITO SULLA RIMODULAZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE, VISTA ANCHE L’ASSENZA DI EVIDENZE SUL MANTENIMENTO DELLE COPERTURE MASSIME, OVE RAGGIUNTE.

21 marzo 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

La Legge di conversione 119/2017 del DL 17/2017 (cd. Decreto Lorenzin) ha previsto 10 vaccinazioni obbligatorie: 6 incluse nel vaccino esavalente (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b), tre nel vaccino trivalente (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite), oltre all’anti-varicella. La legge ha inoltre indicato ad offerta attiva e gratuita da parte di Regioni e Province autonome, ulteriori 4 vaccinazioni non obbligatorie: anti-meningococco B, anti-meningococco C, anti-pneumococco, anti-rotavirus.

Al 30 giugno 2018 il Ministero della Salute ha effettuato una rilevazione “straordinaria” delle coperture vaccinali con l’obiettivo di valutare il potenziale impatto del DL 73/2017. «Se tale rilevazione – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – intendeva fornire una base epidemiologica per un confronto politico sull’opportunità di rimodulare l’obbligo vaccinale, l’obiettivo non risulta raggiunto in quanto manca un’analisi comparativa dell’incremento delle coperture nelle varie Regioni per ciascun vaccino. Inoltre, concentrandosi esclusivamente sull’incremento assoluto delle coperture al 30 giugno 2018, rispetto a quelle rilevate al 31 dicembre 2017, il rischio è di sottostimare l’impatto del DL 73/2017 sulle coperture vaccinali».

Considerato il rischio di strumentalizzazione dei dati su una tematica di estrema rilevanza per la salute pubblica, troppo spesso oggetto di dibattiti ideologici e non basati su evidenze scientifiche e dati epidemiologici, l’Osservatorio GIMBE ha condotto uno studio indipendente con due obiettivi: valutare le coperture vaccinali raggiunte dalle Regioni al 30 giugno 2018 nella coorte 2015, rispetto ai target definiti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019; stimare le variazioni delle coperture dopo l’entrata in vigore del DL 73/2017.

Coperture vaccinali al 30 giugno 2018. Lo studio ha esaminato la coorte 2015, valutata a 24+6 mesi. Premesso che i dati di Campania e Molise non sono disponibili, la copertura nazionale risulta ≥95% per i vaccini dell’esavalente, poco al di sotto del 95% per quelli del trivalente e ben al di sotto del 60% per l’anti-varicella. La copertura vaccinale media tra le Regioni varia dall’89,2% al 98,4% per l’esavalente, dall’82,2% al 97,5% per il trivalente e dal 3,4% al 91,7% per la varicella. Analizzando le coperture delle singole Regioni emerge un quadro molto eterogeneo: dalla Toscana dove superano tutte il target massimo, alle Marche dove tutte si attestano al di sotto del target massimo, sino alla Provincia autonoma di Bolzano dove nessuna copertura raggiunge il target minimo. Alcune Regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Umbria e Lazio) superano i target massimi per esavalente e trivalente, ma sono ben al di sotto dei target minimi per l’anti-varicella. La Provincia autonoma di Trento e il Veneto non raggiungono le coperture massime per tutti i vaccini dell’esavalente e del trivalente. Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna presentano coperture simili (sopra soglia massima per l’esavalente e sotto soglia massima per il trivalente), ma raggiungono una copertura superiore al target 2018 per l’anti-varicella (eccetto l’Abruzzo). 

Analisi delle coperture vaccinali dopo la pubblicazione del DL 73/2017. Sono state condotte due analisi per confrontare le coperture vaccinali prima e dopo la pubblicazione del DL 73/2017:

  • Analisi A: sulla coorte 2014 è stato calcolato l’incremento delle coperture vaccinali tra la rilevazione al 31 dicembre 2016 (a 24 mesi) e quella al 30 giugno 2018 (a 42 mesi).
  • Analisi B: è stato effettuato un confronto delle coperture a 24+6 mesi nella coorte 2015, rilevate al 30 giugno 2018, con quelle a 24 mesi della coorte 2014, rilevate al 31 dicembre 2016.

L’analisi A dimostra che nella coorte 2014 l’incremento medio di copertura per i vaccini dell’esavalente è del 2,21%, del 7,3% per quelli del trivalente e del 7,95% per la varicella. L’entità degli incrementi medi nelle singole Regioni e per i singoli vaccini, oltre che essere influenzati dall’implementazione delle politiche vaccinali, sono inevitabilmente correlati anche alle coperture rilevate al 31 dicembre 2016. L’analisi B mostra risultati sovrapponibili per l’esavalente e per il trivalente, mentre documenta un incremento di copertura più consistente per l’anti-varicella (12,03%) conseguente alla mancanza di dati della Lombardia nella coorte 2014.

Il report GIMBE documenta che le coperture vaccinali, rispetto ai target previsti dal PNPV 2017-2019, sono ancora subottimali in numerose Regioni, sia per le vaccinazioni obbligatorie, sia per quelle consigliate. Inoltre, con due analisi differenti, dimostra che l’entrata in vigore del DL 73/2017 si associa ad un incremento delle coperture sia per i 10 vaccini obbligatori, sia per alcuni di quelli consigliati, in particolare anti-meningococco B e C e, in misura inferiore, anti-pneumococco.

«Un eventuale confronto politico sulla rimodulazione dell’obbligo vaccinale – conclude Cartabellotta – dovrebbe essere avviato solo in presenza di consistenti evidenze che dimostrino l’inefficacia del DL 73/2017 nell’aumentare le coperture vaccinali, oppure quando tutte le Regioni raggiungeranno e manterranno stabili nel tempo target ottimali di copertura. Considerato che i risultati del nostro report vanno in direzione completamente opposta, per la tutela della salute pubblica la Fondazione GIMBE ritiene al momento inopportuno discutere della rimodulazione dell’obbligo vaccinale per tre ragioni: la pubblicazione del DL 73/2017 è associata ad un netto incremento delle coperture vaccinali; numerose Regioni devono ancora raggiungere i target del PNPV 2017-2019 e alcune rimangono ben lontane; non sono ancora disponibili evidenze sul mantenimento delle coperture massime, ove raggiunte».

La versione integrale del report GIMBE “Vaccinazioni in età pediatrica: impatto dell’obbligo sulle coperture vaccinali in Italia” è disponibile a: www.gimbe.org/coperture-vaccinali-2018.


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8 marzo 2019
Servizio Sanitario Nazionale: un paziente in codice rosso

ALLA 14a CONFERENZA NAZIONALE LA FONDAZIONE GIMBE PUNTA I RIFLETTORI SULLA SCARSA SENSIBILITÀ DELLA POLITICA AD INVESTIRE E INNOVARE LA PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE DEI CITTADINI ITALIANI. IN ASSENZA DI UN CONSISTENTE RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO E UN PIANO ORGANICO DI RIFORME, LA “MANUTENZIONE ORDINARIA” NON SARÀ PIÙ SUFFICIENTE A TUTELARE LA SALUTE DELLE PERSONE. DALLA FONDAZIONE GIMBE LA DIAGNOSI DELLE PATOLOGIE CHE COMPROMETTONO LA SALUTE DEL SSN E UN INNOVATIVO PIANO TERAPEUTICO PERSONALIZZATO CHE RICHIEDE CORAGGIO POLITICO, RILANCIO DEGLI INVESTIMENTI E LAVORO DI SQUADRA DI TUTTI GLI ATTORI DEL SISTEMA SALUTE, CITTADINI INCLUSI.

La 14a Conferenza Nazionale GIMBE si è aperta con la lettura inaugurale del Presidente Nino Cartabellotta che ha dichiarato: «A sei anni dal lancio del programma #salviamoSSN, le nostre analisi dimostrano che il SSN si presenta come un paziente il cui stato di salute è compromesso da quattro “malattie” e due “fattori ambientali”».

  • Definanziamento pubblico. Nel periodo 2010-2019 al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi, il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato di € 8,8 miliardi, con un incremento percentuale inferiore all’inflazione media. Guardando al futuro nessuna luce in fondo al tunnel: la Nota di Aggiornamento del DEF 2018 ha eseguito un impercettibile lifting sul rapporto spesa sanitaria/PIL (+0,1% nel 2020 e nel 2021), mentre la Manovra 2019 porta in dote per il 2019 il miliardo già assegnato dalla precedente legislatura e prevede un incremento del FSN (+€ 2 miliardi nel 2020, +€ 1,5 miliardi nel 2021) legato ad ardite previsioni di crescita economica.
  • Ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA. Dopo quasi 2 anni, i nomenclatori tariffari rimangono ancora “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria e la maggior parte delle nuove prestazioni ed esenzioni non sono esigibili. Peraltro la Commissione LEA non ha ancora pubblicato alcun aggiornamento/delisting delle prestazioni.
  • Sprechi e inefficienze. Sei le categorie nella tassonomia elaborata dalla Fondazione GIMBE: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, (conseguenze del) sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. Secondo le stime GIMBE nel 2017 oltre € 21 miliardi di spesa pubblica non hanno prodotto alcun miglioramento di salute, come confermato dal Rapporto OCSE Health at a Glance 2018.
  • Espansione incontrollata del secondo pilastro. L’idea di affidarsi al un complicato intreccio di fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata grazie a raffinate strategie di marketing basate su irrealistici dati di rinuncia alle cure e indebitamento dei cittadini. Purtroppo, non vengono adeguatamente valutati i numerosi potenziali effetti collaterali su “organi e apparati” del SSN: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei PDTA.

Il SSN affetto da queste patologie ingravescenti vive in un habitat fortemente influenzato da due fattori ambientali: la (leale?) collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute (ulteriormente minata dal contagioso virus del regionalismo differenziato) e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione.

«Per mantenere un SSN a finanziamento prevalentemente pubblico, preservandone i princìpi di equità e universalismo – ha continuato il Presidente – abbiamo elaborato ed aggiornato secondo le migliori evidenze scientifiche un “piano terapeutico personalizzato” efficace nel modificare la storia naturale delle quattro malattie, minimizzare l’impatto dei fattori ambientali e intervenire su altri “patogeni” che minano la salute del SSN». Il piano di salvataggio GIMBE prevede infatti misure per orientare le scelte politiche, organizzative, professionali, oltre che quelle di cittadini e pazienti: dal rilancio del finanziamento pubblico all’avvio di un piano nazionale per la riduzione di sprechi e inefficienze; dalla ridefinizione del perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia alla riforma della sanità integrativa; dall’attuazione del principio della “salute in tutte le politiche” all’informazione scientifica a cittadini e pazienti; dall’aumento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni alla costruzione di un servizio socio-sanitario nazionale; dal rilancio delle politiche e degli investimenti per il personale alla programmazione del fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari; dalla regolamentazione dell’integrazione pubblico-privato e della libera professione secondo i reali bisogni di salute al finanziamento della ricerca clinica e organizzativa con almeno l’1% del fabbisogno sanitario nazionale; dalla ridefinizione dei criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria all’eliminazione del superticket.

«Considerato che, per assicurare lunga vita al SSN – ha precisato Cartabellotta – non basta più la “manutenzione ordinaria”, occorre rilanciare in maniera consistente il finanziamento pubblico e mettere in campo riforme di rottura, per creare discontinuità rispetto al passato. Ecco perché, attivando il pensiero laterale, abbiamo sviluppato “innovazioni terapeutiche” indispensabili per garantire il SSN alle generazioni future». Ecco in sintesi ecco le principali proposte di riforme per salvare il “paziente SSN”:

  • Rilancio del finanziamento pubblico. Sganciare il finanziamento pubblico dal PIL, il cui aumento è legato alla salute e al benessere della popolazione, incrementando il FSN di una percentuale annua minima pari almeno al doppio dell'inflazione. Occorre inoltre uscire fuori dal perimetro del FSN, sia rivalutando il sistema delle detrazioni fiscali per spese sanitarie, fondi sanitari integrativi e welfare aziendale, sia definendo un fabbisogno socio-sanitario nazionale dove far confluire le risorse oggi destinate ad alcune spese sociali (es. indennità di accompagnamento, invalidità civile) e fondi per le politiche sociali (es. fondo per la non autosufficienza).
  • Aumento delle capacità di verifica dello Stato sulle Regioni. Modificare i criteri di riparto del FSN, prevedendo una quota fissa da destinare a costi standard di personale sanitario e di beni e servizi e una quota variabile vincolata ad adempimenti LEA secondo il nuovo sistema di garanzia con meccanismi bonus/malus a valere sul riparto dell’anno successivo: questo permetterebbe gradualmente anche di superare gli attuali Piani di rientro. Inderogabile la riforma degli enti vigilati favorendo sinergie ed evitando duplicazioni sia tra gli enti, sia con le DG del Ministero della Salute.
  • Piano nazionale contro gli sprechi. È indispensabile allineare a cascata i sistemi premianti a tutti i livelli del SSN, utilizzare criteri di rimborso value-based e favorire i processi di disinvestimento e riallocazione rendendo più flessibili tetti di spesa e budget.
  • Definizione dei LEA. I LEA devono essere informati da un piano nazionale per la valutazione di tutte le tecnologie sanitarie, idealmente gestito da un ente indipendente. AIFA dovrebbe mantenere il solo ruolo di agenzia regolatoria.
  • Riordino sanità integrativa. Definire le prestazioni LEA ed extra-LEA che possono/non possono essere coperte dai fondi sanitari integrativi, limitando le agevolazioni fiscali alle prestazioni extra-LEA e regolamentare i rapporti tra fondi sanitari integrativi e compagnie assicurative.
  • Politiche per il personale. È tempo di un contratto unico per il personale medico del SSN, oltre che di introdurre la revalidation per tutti i professionisti sanitari.
  • Integrazione pubblico-privato e regolamentazione libera professione. Stabilire un tetto massimo delle risorse del riparto regionale che possono essere destinate al privato accreditato. Necessario definire una consistente indennità di esclusività del rapporto pubblico, rendendo incompatibile la progressione di carriera con l’attività extramoenia.
  • Ricerca comparativa indipendente. Identificare le aree grigie e finanziare la ricerca comparativa indipendente al fine di includere ed escludere prestazioni sanitarie nei LEA. Prevedere meccanismi premiali per le Regioni che investono in ricerca indipendente per rispondere a quesiti di interesse nazionale.

«Dopo 40 anni – ha concluso il Presidente Cartabellotta – è tempo di acquisire una reale e piena consapevolezza del bene più prezioso di cui dispone il nostro Paese. Un SSN che si prende cura della nostra salute e che, in qualità di “azionisti di maggioranza”, siamo tenuti a tutelare, ciascuno secondo le proprie responsabilità siano esse pubbliche o individuali perché… la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta».


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4 marzo 2019
14a Conferenza GIMBE per garantire il Servizio Sanitario Nazionale alle generazioni future. A Roberto Burioni il premio “Evidence”

VENERDÌ 8 MARZO, IN OCCASIONE DELLA 14a CONFERENZA NAZIONALE, LA FONDAZIONE GIMBE ASSEGNERÀ IL PRESTIGIOSO RICONOSCIMENTO AL NOTO VIROLOGO PER “AVERE INVASO IL CAMPO DELL’ANTISCIENZA CON UNO STILE COMUNICATIVO INSOLITO PER IL MONDO DELLA MEDICINA, MA EFFICACE PER COMBATTERE CIARLATANI E FAKE NEWS CHE MINACCIANO LA SALUTE DELLE PERSONE”.
LA CONFERENZA PUNTA I RIFLETTORI SULLE POSSIBILI SOLUZIONI PER FRONTEGGIARE LA CRISI DI SOSTENIBILITÀ DEL SSN E IL PROGRESSIVO DEPAUPERAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA: UNA PRIORITÀ POLITICA DALLE ENORMI IMPLICAZIONI SOCIALI, ECONOMICHE E SANITARIE, TRASCURATA DAI GOVERNI DI OGNI COLORE POLITICO.

Fondazione GIMBE - Bologna, 4 marzo 2019

L’Italia è tristemente nota come la patria degli incresciosi fenomeni Vannoni e Di Bella, punta di un pericoloso iceberg di imbonitori che assicurano di curare le più disparate malattie con le loro “pozioni miracolose” prive di qualsiasi base scientifica, lucrando sulla disperazione di pazienti per i quali la ricerca non ha ancora trovato terapie efficaci. Negli ultimi anni poi il nostro Paese ha conquistato i titoli di prestigiose riviste internazionali per la contagiosa diffusione di movimenti anti-vax basati su teorie antiscientifiche: dai contaminanti dei vaccini al numero di vaccini somministrati contemporaneamente, al richiamo ostinato all’inesistente relazione causale vaccini-autismo. Infatti, lo studio pubblicato da The Lancet nel 1998 è stato successivamente ritrattato perché fraudolento e il suo autore Andrew Wakefield radiato dall’ordine dei medici britannico con una dichiarazione di falsificazione disonesta della ricerca.

«In un contesto caratterizzato da aspettative irrealistiche della popolazione per una medicina mitica e una sanità infallibile – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la democratizzazione delle informazioni nell’era di internet, la scarsa alfabetizzazione sanitaria e la viralità dei contenuti sui social media hanno prodotto una miscela letale: ricerca di scarsa qualità, presunzioni e fake news hanno spesso il sopravvento sulle migliori evidenze scientifiche, condizionando le scelte di cittadini e pazienti e, indirettamente, le politiche sanitarie che, legate alla politica partitica, non possono permettersi di scontentare gli elettori».

Considerata l’efficacia dei media e l’influenza dei social media nell’orientare le scelte di cittadini e pazienti, la Fondazione GIMBE assegna al Prof. Roberto Burioni il Premio Evidence 2019 per “avere invaso il campo dell’antiscienza con uno stile comunicativo insolito per il mondo della medicina, ma efficace per combattere ciarlatani e fake news che minacciano la salute delle persone”. Il prestigioso riconoscimento, è stato precedentemente assegnato a Luigi Pagliaro, Silvio Garattini, Walter Ricciardi, Aldo Maggioni, Giuseppe Remuzzi, Elena Cattaneo.

La cerimonia di consegna del Premio Evidence è prevista in occasione della 14a Conferenza Nazionale GIMBE che si terrà a Bologna il prossimo 8 marzo, dove «al giro di boa dei 40 anni del SSN – spiega il Presidente – la Fondazione GIMBE avvia la pars construens della campagna #salviamoSSN con proposte di rottura che saranno condivise con autorevoli esponenti di politica, management, professionisti sanitari, ricercatori, industria, pazienti e cittadini».

«Se la salute è il bene più prezioso delle persone – continua Cartabellotta – e il Servizio Sanitario Nazionale è lo strumento con cui attuare il principio costituzionale della sua tutela, la crisi di sostenibilità e il progressivo depauperamento della sanità pubblica rappresentano una priorità politica per le enormi implicazioni sociali ed economiche, oltre che sanitarie. Ma nessun Governo, indipendentemente dal colore, ha mai avuto il coraggio e la determinazione di mettere questa priorità al centro dell’agenda politica».

«Per tali ragioni la 14a Conferenza Nazionale GIMBE – conclude il Presidente – punterà i riflettori su 5 “parole chiave” per garantire il servizio sanitario nazionale alle generazioni future: risorse, riforme, equità, universalismo, innovazioni. In particolare, proveremo a trovare una risposta a due grandi interrogativi: quante risorse e quali riforme sono necessarie per garantire alle generazioni future il SSN, mantenendo i princìpi di equità e universalismo della L. 833 del 1978 che lo ha istituito? Con quali modalità il SSN può offrire a tutte le persone l’accesso alle vere innovazioni?».

Il programma della 14a Conferenza Nazionale GIMBE è disponibile a: www.conferenzagimbe.it/programma


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27 febbraio 2019
Finanziamenti dell’industria farmaceutica a professionisti e organizzazioni sanitarie: dati accessibili, trasparenza da migliorare

LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA IL PRIMO REPORT NAZIONALE SUI TRASFERIMENTI DI VALORE, SECONDO QUANTO PREVISTO DAL CODICE DEONTOLOGICO DI FARMINDUSTRIA. 14 AZIENDE CHE SUPERANO IL 50% DEL FATTURATO TOTALE DI SETTORE TRASFERISCONO € 288 MILIONI A OPERATORI SANITARI (16%), A ORGANIZZAZIONI SANITARIE (43%) E ALLA RICERCA E SVILUPPO (41%). PER ARGINARE STRUMENTALIZZAZIONI E IPOTESI COMPLOTTISTE, DA GIMBE NUMEROSE PROPOSTE PER MIGLIORARE LA TRASPARENZA DEI DATI AD ESCLUSIVO BENEFICIO DEL RAPPORTO DI FIDUCIA CHE DALL’INDUSTRIA, ATTRAVERSO PROFESSIONISTI E ORGANIZZAZIONI SANITARIE, ARRIVA DIRETTAMENTE AI PAZIENTI.

27 febbraio 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Da quando Farmindustria ha recepito nel proprio codice deontologico il codice EFPIA (European Federation of Pharmaceutical Industries and Association), entro il 30 giugno le aziende farmaceutiche associate pubblicano i trasferimenti di valore effettuati nell’anno precedente. In particolare, tramite un modulo standardizzato vengono rendicontati gli importi trasferiti a operatori e organizzazioni sanitarie relativi a erogazioni liberali e donazioni, eventi formativi, servizi e consulenze, oltre a quelli destinati alla ricerca e sviluppo. Purtroppo, nonostante questa fondamentale azione di trasparenza nelle relazioni tra industria del farmaco e professionisti sanitari, l’assenza di un report annuale e di un database unico ha generato solo “estrazioni selettive” dei dati volte ad alimentare ipotesi complottiste.

«Al fine di aumentare la consapevolezza pubblica sui trasferimenti di valore – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e favorire la collaborazione tra industria, professionisti sanitari, organizzazioni sanitarie e pazienti, l’Osservatorio GIMBE ha realizzato un report indipendente per fornire un quadro oggettivo dei dati resi disponibili e identificare le aree per migliorare la trasparenza. Volutamente esclusa l’elaborazione di classifiche sulle somme percepite da singoli operatori o organizzazioni sanitarie, per evitare strumentalizzazioni e alimentare la “cultura del sospetto” che danneggia le relazioni di fiducia tra i protagonisti del sistema salute».

Le analisi sono state effettuate sui trasferimenti di valore di 14 aziende farmaceutiche che, insieme, rappresentano il 51,5% del fatturato totale di settore nel 2017 (€ 10.997/€ 21.337 milioni). Sui siti web delle aziende sono stati innanzitutto identificati i file relativi ai trasferimenti di valore, quindi i dati sono stati inseriti in un database unico tramite importazione o input manuale. Successivamente, sono stati effettuati gli allineamenti necessari per garantire la comparabilità dei dati provenienti dalle differenti fonti e sono state uniformate le denominazioni delle organizzazioni sanitarie, poi classificate in categorie omogenee.

Vengono di seguito riportati i risultati principali.

Trasferimenti di valore totali e loro distribuzione

  • Nel 2017 le 14 aziende hanno trasferito complessivamente € 288,1 milioni con un valore medio dei trasferimenti per azienda di € 20,58 milioni (range € 8,1-41,9 milioni). La percentuale media dei trasferimenti di valore sul fatturato è del 2,9% (range 0,8%-4,3%). Sulla base di questi dati, si stima un  trasferimento totale di tutte le aziende associate a Farmindustria di circa € 550-580 milioni.
  • € 45,9 milioni (15,9%) sono stati destinati ad operatori sanitari, € 124,8 milioni (43,3%) ad organizzazioni sanitarie e € 117,3 milioni (40,7%) alla ricerca e sviluppo con notevoli differenze tra le diverse aziende.

Trasferimenti a operatori sanitari

  • Le 14 aziende destinano ad operatori sanitari il 15,9% dei trasferimenti di valore (€ 45,9 milioni) con ampia variabilità: in media € 3,3 milioni (range € 0,5-6,0 milioni).
  • Quando gli operatori sanitari non forniscono il consenso alla pubblicazione dei dati, i corrispondenti importi vengono riportati in forma “aggregata”, una circostanza che secondo il codice deontologico di Farmindustria dovrebbe essere “del tutto eccezionale”. Il report GIMBE dimostra che i trasferimenti riportati in forma aggregata sono oltre un terzo (€ 15,1 milioni).
  • Dall’analisi della destinazione d’uso dei trasferimenti, effettuata solo sui dati aggregati, emerge una ripartizione omogenea tra eventi (€ 8 milioni) e servizi e consulenze (€ 7,9 milioni).

Trasferimenti a organizzazioni sanitarie

  • Le 14 aziende destinano a 1.448 organizzazioni sanitare il 43,7% dei trasferimenti di valore (€ 124,8 milioni) con ampia variabilità: in media € 8,9 milioni (range € 2,0-24,2 milioni).
  • Il 56,6% (€ 70,6 milioni) viene trasferito a società di servizi, il 14% (€ 17,5 milioni) a società scientifiche; ricevono tra il 6% e l’8% Università (€ 9,9 milioni), strutture di ricovero (€ 8,7 milioni) ed enti di ricerca (€ 7, 4 milioni). A tutte le altre organizzazioni va il rimanente 8,5% (€ 10,6 milioni).
  • Le 48 organizzazioni che ricevono oltre € 500.000 ciascuna rappresentano il 3,2% del totale e raccolgono il 39,7% dei trasferimenti; di queste, le 21 organizzazioni che ricevono oltre € 1 milione ciascuna rappresentano l’1,4% del totale e ricevono il 25% circa dei trasferimenti.
  • Per quanto riguarda le destinazioni d’uso dei trasferimenti, € 31,5 milioni sono relative ad erogazioni liberali e donazioni, quasi € 80 milioni ad eventi e € 12,5 milioni a servizi e consulenze.

Trasferimenti per ricerca e sviluppo

  • Le 14 aziende destinano alla ricerca e sviluppo il 41,1% dei trasferimenti di valore (€ 117,3 milioni) con ampia variabilità: in media € 8,4 milioni (range € 1,2-20,3 milioni).
  • Considerato che il codice EFPIA richiede solo di riportare l’importo totale destinato alla ricerca e sviluppo, non si conosce alcun dettaglio relativo ai destinatari (operatori e/o organizzazioni) e alla specifica destinazione d’uso (compensi, viaggio e alloggio e altre spese).

Il report GIMBE ha rilevato alcuni “problemi strutturali” che condizionano negativamente il livello di trasparenza dei dati pubblicati dalle singole aziende: inadeguatezza dei formati dei file per l’importazione e l’analisi, frequente mancanza di dati facoltativi, impossibilità di identificare i trasferimenti indiretti in favore degli operatori sanitari. Inoltre le aziende non sempre interpretano in maniera univoca alcuni punti del codice deontologico di Farmindustria, influenzando l’uniformità nel reporting dei dati.

«Nel ringraziare pubblicamente Farmindustria per aver adottato l’EFPIA disclosure code e tutte le aziende associate per aver reso pubblici i trasferimenti di valore – conclude il Presidente –  la Fondazione GIMBE invita ad esaminare dati e criticità emerse dal report e a prendere in considerazione le proposte formulate per migliorare la trasparenza ad esclusivo beneficio del rapporto di fiducia che dall’industria, attraverso professionisti e organizzazioni sanitarie, arriva direttamente ai pazienti».

Il report Trasferimenti di valore 2017 dell’industria farmaceutica a operatori e organizzazioni sanitarie è disponibile a: www.gimbe.org/trasferimenti-valore-2017.


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18 febbraio 2019
Regionalismo differenziato: le maggiori autonomie in sanità bocciate su tutta la linea

LA CONSULTAZIONE PUBBLICA PROMOSSA DALLA FONDAZIONE GIMBE RESTITUISCE UN VERDETTO SENZA APPELLO: SECONDO QUASI 4.000 PARTECIPANTI LE MAGGIORI AUTONOMIE IN SANITÀ AVRANNO UN IMPATTO RILEVANTE SULLE DISEGUAGLIANZE REGIONALI. DALL’ANALISI PRELIMINARE DI OLTRE 5.000 COMMENTI EMERGONO SERIE PREOCCUPAZIONI: IMPREVEDIBILITÀ DELLE CONSEGUENZE, AUMENTO DEL DIVARIO NORD-SUD E DIFFERENZIAZIONE DEL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE. LA FONDAZIONE GIMBE INVITA TUTTE LE FORZE POLITICHE A PROMUOVERE IL DIBATTITO CON LA PIÙ AMPIA PARTECIPAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE.

18 febbraio 2019 - Fondazione GIMBE, Bologna

Lo scorso 6 febbraio la Fondazione GIMBE ha lanciato la consultazione pubblica “Maggiori autonomie in termini di tutela della salute richieste da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto ai sensi dell’art. 116 della Costituzione Italiana” per far luce sui potenziali rischi del regionalismo differenziato sulla tutela della salute. Infatti, «in un Paese democratico – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è inaccettabile l’assenza di dibattito su un tema le cui conseguenze rischiano di compromettere i diritti civili delle persone». La consultazione pubblica, promossa tramite i canali della Fondazione, è stata divulgata da numerose istituzioni e organizzazioni: dalla Camera dei Deputati alle Regioni, da FNOMCeO a FNOPI, da Cittadinanzattiva a CONAPS, dall’Associazione EPAC a Federspecializzandi, da vari sindacati (CIMO, SNAMI, Sindacato Nazionale Area Radiologica, CGIL Toscana e Veneto, ANAAO ASSOMED Veneto, SUMAI Lombardia, Nursind) a decine di testate giornalistiche.

«Nel ringraziare pubblicamente tutti coloro che hanno diffuso e partecipato alla consultazione pubblica – continua il Presidente – abbiamo ritenuto opportuno pubblicare immediatamente i risultati preliminari per informare il dibattito politico che si intravede dopo la brusca frenata nell’ultimo Consiglio dei Ministri».

La consultazione pubblica chiedeva di stimare l’impatto di ciascuna autonomia in sanità sulle diseguaglianze regionali, tramite uno score da 1 (minimo) a 4 (massimo), con possibilità di “astenersi” e di aggiungere commenti. Dal 6 al 17 febbraio hanno completato la consultazione 3.920 persone, un campione rappresentativo della popolazione italiana con un margine di errore inferiore all’1,6%. Sono stati inviati 5.610 commenti, pari a 1,43 per partecipante. Per ciascuna delle autonomie vengono riportati i risultati in termini di score medio (± deviazione standard), % di “Non so” e numero di commenti.

  • Maggiore autonomia finalizzata a rimuovere specifici vincoli di spesa in materia di personale stabiliti dalla normativa statale.
    Media 3,4 (± 0,9) - Non so 4.3% - Commenti n. 640
  • Maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione […]
    Media 3,3 (± 0,9) - “Non so” 3,3% - Commenti n. 540
  • Possibilità di stipulare, per i medici, contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” […] Media 3,2 (± 1,0) - “Non so” 7,9% - Commenti n. 510
  • Possibilità di stipulare accordi con le Università del rispettivo territorio: per l'integrazione operativa dei medici specializzandi con il sistema aziendale [Emilia Romagna e Veneto], per rendere possibile l'accesso dei medici titolari del contratto di "specializzazione lavoro" alle scuole di specializzazione [Emilia Romagna e Veneto], per l'avvio di percorsi orientati alla stipula dei contratti a tempo determinato di "specializzazione lavoro" [Lombardia]

Media 3,2 (± 1,0) - “Non so” 6,4% - Commenti n. 470

  • Maggiore autonomia nello svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, limitatamente agli assistiti residenti nella Regione
    Media 3,4 (± 1,0) - “Non so” 2% - Commenti n. 490
  • Maggiore autonomia nella definizione del sistema di governance delle aziende e degli enti del SSN
    Media 3,4 (± 1,0) - “Non so” 4,1% - Commenti n. 440
  • Possibilità di sottoporre all'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) valutazioni tecnico-scientifiche relative all'equivalenza terapeutica tra diversi farmaci […]
    Media 3,2 (± 1,0) - “Non so” 6,1% - Commenti n. 510
  • Competenza a programmare gli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSN […]

Media 3,1 (± 1,0) - “Non so” 4,8% - Commenti n. 360

  • Maggiore autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi

Media 3,1 (± 0,9) - “Non so” 3,6% - Commenti n. 440

Maggiore autonomia in materia di gestione del personale del SSN, inclusa la regolamentazione dell'attività libero-professionale [solo Veneto]
Media 3,4 (± 0,9) - “Non so” 7,4% - Commenti n. 360

  • Facoltà, in sede di contrattazione integrativa collettiva, di prevedere, per i dipendenti del SSN, incentivi e misure di sostegno […] [solo Veneto]

Media 3,0 (± 1,1) - “Non so” 8,2% - Commenti n. 390

  • In tema di distribuzione ed erogazione dei farmaci: competenza a definire, sotto profili qualitativi e quantitativi, le forme di distribuzione diretta dei farmaci per la cura dei pazienti soggetti a controlli ricorrenti […] [solo Emilia Romagna]

Media 3,0 (± 1,1) - “Non so” 10,5% - Commenti n. 460

Dai dati quantitativi e dall’analisi preliminare dei commenti emergono alcune ragionevoli certezze:

  • L’esigua percentuale di “non so” (range 2-8,2%) e l’elevato numero di commenti riflette un campione composto prevalentemente da stakeholder della sanità.
  • L’impatto delle maggiori autonomie in sanità sulle diseguaglianze regionali viene percepito rilevante (media score da 3,0 a3,4), con deviazioni standard omogenee tra le diverse autonomie (da 0,9 a 1,1).
  • Tra le preoccupazioni più frequenti: imprevedibilità delle conseguenze, ulteriore spaccatura Nord-Sud, aumento del divario tra Regioni ricche vs povere, differenziazione del diritto costituzionale alla tutela della salute.
  • Le numerose proposte per “mitigare” i possibili effetti collaterali delle maggiori autonomie in sanità riconducono in sintesi a due contromisure: il contestuale aumento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni e la messa in atto di meccanismi di solidarietà tra Regioni.

«Seppur limitati alla sanità – conclude il Presidente – questi risultati suggeriscono che il regionalismo differenziato deve essere “maneggiato con cura” con l’irrinunciabile obiettivo di rispettare gli equilibri previsti dalla Costituzione e garantire i diritti civili a tutti i cittadini sull’intero territorio nazionale. Ecco perché, la Fondazione GIMBE invita tutte le forze politiche a mettere da parte posizioni superficiali e sbrigative e ad avviare un vero dibattito favorendo la più ampia partecipazione della società civile, ripartendo dalla consapevolezza che il regionalismo differenziato non è un fenomeno univoco perché le richieste delle 3 Regioni sono guidate da differenti presupposti politici ed economici».


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6 febbraio 2019
Il regionalismo differenziato minaccia i nostri diritti costituzionali, soprattutto la tutela della salute

LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA LE RICHIESTE AVANZATE DALLE REGIONI E LANCIA UNA CONSULTAZIONE PUBBLICA PER VALUTARE IL POTENZIALE IMPATTO DELLE MAGGIORI AUTONOMIE SULLA TUTELA DELLA SALUTE, PERCHÉ SENZA UN VERO DIBATTITO SUL REGIONALISMO DIFFERENZIATO SI RISCHIA UNA SILENZIOSA DISGREGAZIONE DELLO STATO SOCIALE. PER FRONTEGGIARE GLI EFFETTI SU UNA SANITÀ GIÀ FLAGELLATA DA INACCETTABILI DISEGUAGLIANZE, GIMBE RITIENE INDISPENSABILE POTENZIARE LE CAPACITÀ DI INDIRIZZO E VERIFICA DELLO STATO SULLE REGIONI.

Il prossimo 15 febbraio i Presidenti di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto incontreranno il Premier Conte per riprendere la discussione sul regionalismo differenziato, in attuazione dell’art. 116 della Costituzione che attribuisce alle Regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” sulla base di un'intesa tra lo Stato e le Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta. Stabilita l’intesa, il Governo formulerà il DDL che dovrà essere quindi approvato dalle Camere con maggioranza assoluta.

«Dopo che le 3 Regioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – avevano sottoscritto al fotofinish gli accordi preliminari sul regionalismo differenziato con il Governo Gentiloni, il Contratto per il Governo del Cambiamento ha ribadito come «questione prioritaria […] l'attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell'art. 116 della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte». Nel frattempo, altre 7 Regioni (Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria) hanno conferito ai Presidenti il mandato di avviare il negoziato; Basilicata, Calabria e Puglia sono alla fase iniziale dell'iter, mentre Abruzzo e Molise non risultano aver avviato iniziative formali.

In un quadro di maggiori autonomie la cartina al tornasole è rappresentata dalla sanità dove già oggi, precisa Cartabellotta, «il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale collaborazione tra Stato e Regioni, è condizionato da 21 sistemi sanitari che generano diseguaglianze sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, sia soprattutto negli esiti di salute». In questo contesto, l'attuazione tout court dell'art. 116 non potrà che amplificare le diseguaglianze di un servizio sanitario nazionale, oggi universalistico ed equo solo sulla carta. In altre parole, puntualizza il Presidente, «senza un contestuale potenziamento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, il regionalismo differenziato finirà per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini».

Infatti, le maggiori autonomie richieste dalle 3 Regioni sulla tutela della salute lasciano intravedere conseguenze non sempre prevedibili: dalla rimozione dei vincoli di spesa in materia di personale all'accesso alle scuole di specializzazione; dalla stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici agli accordi con le Università; dallo svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del SSR; dalla richiesta all'AIFA di valutazioni tecnico-scientifiche sull'equivalenza terapeutica tra diversi farmaci agli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSR, sino all'autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. Ulteriori autonomie per Emilia Romagna (distribuzione diretta di farmaci) e Veneto che punta alla gestione del personale: regolamentazione dell'attività libero-professionale e definizione di incentivi e misure di sostegno per i dipendenti del SSR in sede di contrattazione collettiva.

«Le posizioni delle varie forze politiche – incalza Cartabellotta – oscillano, come un pendolo schizofrenico, dal potenziamento del centralismo al regionalismo differenziato in ragione di opportunismi, alleanze e compromessi politici, senza ponderare i rischi per la coesione nazionale e sociale, né soprattutto le conseguenze sui diritti costituzionali, visto che con le maggiori autonomie nascere e vivere al Sud significherà avere meno diritti di chi risiede nelle Regioni più ricche: dalla sanità al welfare, dalla scuola all'Università».  Davanti a questo potenziale attentato allo Stato sociale, un’insolita congiunzione astrale ha allineato tutte le forze politiche, senza alimentare alcun dibattito sui rischi del regionalismo differenziato e sulla contestuale necessità di potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, per evitare che l’attuazione dell’art. 116 si trasformi in elemento di disgregazione del Paese. In particolare:

  • Il Premier Conte, in qualità di arbitro ufficiale, si limita a parlare per ossimori affermando che il Governo “lavora seriamente sull'autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna”, ma deve "salvaguardare la coesione nazionale e sociale”.
  • Le ultradecennali spinte secessioniste della Lega, silenziosamente avallate da Forza Italia, non solo hanno trovato con l’art. 116 il cavallo di Troia per disgregare l’unità del Paese, ma provano ad andare oltre, visto che i referendum di Veneto e Lombardia hanno proposto quesiti incostituzionali, tra cui trattenere l'80% del gettito fiscale, rilanciando il secessionismo 1.0 di Umberto Bossi.
  • La Ministra per il Sud, Barbara Lezzi (MS5) –  garante politico di chi avrebbe la peggio dal regionalismo differenziato – ha rivendicato il ruolo attivo del M5S sulle autonomie, affermando la necessità di un confronto tra la Ministra Stefani (Lega), coordinatrice del negoziato, e i Ministri della Salute, dell'Ambiente e dei Trasporti (tutti in quota MS5). Nel frattempo però la Ministra Grillo aveva già aperto al regionalismo differenziato contraddicendo la dichiarazione d'intenti con cui si apre il capitolo Sanità del Contratto per il Governo del Cambiamento: “È prioritario […] tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del SSN. Tutelare il SSN significa […] garantire equità nell'accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”.
  • Il Partito Democratico, sebbene all’opposizione, di fatto è allineato con gli obiettivi di Governo perché l’Emilia Romagna è sulla stessa barca di Lombardia e Veneto, seppur con richieste più orientate alla qualità dei servizi ed efficienza amministrativa, piuttosto che all’identità regionale.

Risuonano così inascoltate le parole del Presidente Mattarella nel discorso di fine anno: «L'universalità e la effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza sono state grandi conquiste della Repubblica: il nostro Stato sociale, basato sui pilastri costituzionali della tutela della salute, della previdenza, dell'assistenza, della scuola rappresenta un modello positivo. Da tutelare».

«Considerato che sono in gioco i diritti civili delle persone – conclude Cartabellotta –  è inaccettabile per un Paese democratico l’assenza di un dibattito politico e civile sul tema. Ecco perché la Fondazione GIMBE ha elaborato una sintesi delle autonomie richieste dalle Regioni in sanità e invita tutti gli stakeholder (cittadini inclusi) a partecipare alla consultazione pubblica per far luce sui potenziali rischi del regionalismo differenziato sulla tutela della salute».

La consultazione pubblica è disponibile sino al 15 febbraio 2019, all’indirizzo: www.gimbe.org/regionalismo-differenziato.


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30 gennaio 2019
Demenza: un’emergenza socio-sanitaria con enormi implicazioni economiche

A FRONTE DI OLTRE UN MILIONE DI PAZIENTI AFFETTI DA DEMENZA E CON UNA PREVALENZA IN PROGRESSIVO AUMENTO, OLTRE 3 MILIONI DI PERSONE COINVOLTE NELL’ASSISTENZA AI PAZIENTI E COSTI SOCIO-SANITARI SUPERIORI AI 10 MILIARDI DI EURO ALL’ANNO, IN ITALIA MANCANO LINEE GUIDA AGGIORNATE PER LA GESTIONE DI QUESTA INVALIDANTE PATOLOGIA. PER PROFESSIONISTI SANITARI, OPERATORI SOCIALI, PAZIENTI, FAMILIARI E CAREGIVER LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI, LA TERAPIA E IL SUPPORTO DEI PAZIENTI AFFETTI DA DEMENZA.

Il termine demenza descrive una serie di sintomi cognitivi, comportamentali e psicologici che possono includere perdita di memoria, difficoltà di ragionamento e di comunicazione e cambiamenti della personalità, compromettendo le capacità di svolgere le normali attività quotidiane con conseguente perdita di autonomia. In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute, i pazienti affetti da demenza sono oltre un milione (di cui circa 600.000 con malattia di Alzheimer) ed in continuo aumento per l’invecchiamento della popolazione. Circa 3 milioni di persone sono coinvolte direttamente o indirettamente nell’assistenza dei pazienti affetti da demenza, i cui costi socio-sanitari sono stimati tra i 10 e 12 miliardi di euro all’anno.

«La demenza rappresenta una rilevante emergenza socio-sanitaria con enormi implicazioni economiche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e il suo impatto nei prossimi anni sarà condizionato, oltre che dall’invecchiamento della popolazione, anche da un’assistenza ad oggi non ottimale: infatti, se da un lato circa il 50% delle persone affette da demenza non riceve un supporto adeguato dopo la diagnosi, dall’altro 1 paziente su 3 non viene diagnosticato, impedendo alle famiglie ad accedere ai fondi per le disabilità».

Nel nostro Paese esistono numerosi riferimenti normativi e iniziative finalizzate a migliorare l’assistenza dei pazienti con demenza: dal Piano nazionale demenze (PND) al tavolo di monitoraggio della sua implementazione; dall’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità alle “Linee di indirizzo nazionali sui Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) per le demenze” e alle “Linee di indirizzo nazionali sull’uso dei Sistemi informativi per caratterizzare il fenomeno delle demenze”.

«A fronte dei vari documenti di programmazione e organizzazione sanitaria – continua il Presidente – non sono oggi disponibili per i professionisti sanitari, pazienti, familiari e caregiver linee guida nazionali aggiornate, mentre  quelle regionali risultano obsolete secondo i criteri definiti dal nuovo Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG). In altri termini, manca una base scientifica condivisa per informare la costruzione dei PDTA a livello regionale e locale». Per questo la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a giugno 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del SNLG.

Le linee guida NICE forniscono raccomandazioni relative a vari aspetti della gestione della demenza: dal coinvolgimento attivo dei pazienti alla valutazione iniziale in ambiti non specialistici e all’invio ai Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze; dal coordinamento dell’assistenza agli interventi sanitari per promuovere le funzioni cognitive, l’indipendenza e il benessere dei pazienti; dalla terapia farmacologica delle demenze da Alzheimer e non-Alzheimer ai farmaci che possono causare un deterioramento cognitivo; dal trattamento dei sintomi non cognitivi (ansia, depressione, disturbi del sonno) alla valutazione e trattamento di altre condizioni croniche (dolore, deficit sensoriali); dal supporto ai caregiver alla pianificazione anticipata dell’assistenza.

«Fondamentale per l’implementazione delle raccomandazioni – puntualizza il Presidente – è l’identificazione di un unico professionista sanitario o sociale responsabile del coordinamento assistenziale dei pazienti affetti da demenza, i cui ruoli e responsabilità sono declinati in maniera molto precisa dalle linee guida».

Numerose anche le raccomandazioni pratiche su accuratezza diagnostica dei vari test cognitivi, criteri di diagnosi differenziale tra demenza e delirium, interventi cognitivi e di formazione per i caregiver, oltre alla definizione delle priorità rilevanti per la ricerca, al fine di ampliare le conoscenze scientifiche per la gestione di questa condizione.

«In attesa della elaborazione delle linee guida nazionali sulla demenza, già incluse nell’elenco delle priorità da parte del Comitato Strategico del SNLG – conclude Cartabellotta – auspichiamo che la versione italiana di questo autorevole documento del NICE rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento di professionisti sanitari e operatori sociali sia per la corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».

Le Linee guida per la diagnosi, la terapia e il supporto dei pazienti affetti da demenza sono disponibili a: www.evidence.it/demenze.


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23 gennaio 2019
Al via indagine parlamentare sui fondi integrativi: le proposte GIMBE per un riordino normativo

LA FONDAZIONE GIMBE, AUDITA PRESSO LA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA SUI FONDI SANITARI INTEGRATIVI, ESPONE CRITICITÀ ED “EFFETTI COLLATERALI” DI UN SISTEMA IN CUI OGGI VIGE UNA TOTALE DEREGULATION. GIMBE PROPONE UN TESTO UNICO SULLA MATERIA AFFINCHÈ LA SANITÀ INTEGRATIVA POSSA SVOLGERE UNA REALE FUNZIONE DI SUPPORTO AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE PER LE PRESTAZIONI SANITARIE EXTRA-LEA. LE PRESTAZIONI SOSTITUTIVE EROGATE DAI FONDI SANITARI NON DOVREBBERO PIÙ USUFRUIRE DI DETRAZIONI FISCALI, SIA PERCHÉ ALIMENTANO BUSINESS PRIVATI E CONSUMISMO SANITARIO, SIA PERCHÉ È PIÙ EQUO ED EFFICIENTE INDIRIZZARE TALI RISORSE AL FINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA.

Si è tenuta ieri, presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, l’audizione della Fondazione GIMBE nell’ambito della “Indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale”.

«Le nostre analisi – ha affermato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – confermano che le potenzialità di questo strumento sono oggi compromesse da una normativa frammentata e incompleta, che da un lato ha permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro consente alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti no-profit, oltre che di riempire i “pacchetti ” dei fondi con prestazioni sanitarie che alimentano il consumismo e rischiano di danneggiare la salute».

Il Presidente ha esposto dati e analisi del report indipendente GIMBE sulla sanità integrativa, sottolineando come l’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi mantenuta dal Ministero della Salute continui, nonostante le numerose richieste, a rimanere pubblicamente inaccessibile e che pertanto tutte le elaborazioni provengono da una pluralità di fonti, spesso parziali o settoriali. «È dunque impossibile – ha puntualizzato Cartabellotta – soddisfare uno degli obiettivi della presente indagine parlamentare, ovvero conoscere l’impatto sulla finanza pubblica delle detrazioni fiscali concesse ai fondi sanitari».

«La Fondazione GIMBE – ha proseguito Cartabellotta – ritiene inderogabile un riordino legislativo, idealmente un Testo unico in grado di restituire alla sanità integrativa il suo ruolo, ovvero rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA. Al tempo stesso, bisogna  evitare che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, venga utilizzato per alimentare i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa, occorre tutelare cittadini e pazienti da derive consumistiche dannose per la salute e  assicurare una governance nazionale, oggi minacciata dal regionalismo differenziato, garantendo a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione».

Il Presidente ha infine proposto alla Commissione gli spunti di riforma elaborati dalla Fondazione GIMBE.

  • “Sfoltire” i LEA secondo un metodo evidence- & value-based per tre ragioni: innanzitutto, oggi in assenza di un consistente rilancio del finanziamento pubblico è impossibile garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale un “paniere” LEA così ampio; in secondo luogo, i LEA includono oggi troppe prestazioni dal value basso o addirittura negativo; infine, l’ambito d’azione della sanità integrativa è attualmente molto limitato generando improprie “invasioni di campo”.
  • Definire con appositi nomenclatori le prestazioni LEA ed extra-LEA che possono/non possono essere coperte dai fondi sanitari integrativi.
  • Rimodulare i criteri di detrazione fiscale innalzando la quota di risorse vincolate a prestazioni extra-LEA dall’attuale 20% all’80% o in alternativa consentire la detrazione fiscale solo per le prestazioni extra-LEA.
  • Rendere accessibile l’anagrafe dei fondi sanitari integrativi, con l'obiettivo di favorire il controllo diffuso sull'operato delle Istituzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
  • Disciplinare con un regolamento l’ordinamento dei fondi sanitari, espandendo ed aggiornando quanto già previsto dal comma 8 dell’art. 9 della L. 502/1992.
  • Varare un sistema di accreditamento pubblico delle compagnie assicurative che possono operare in sanità, identificando requisiti validi su tutto il territorio nazionale.
  • Regolamentare i rapporti tra compagnie assicurative (profit) e fondi sanitari integrativi (no-profit), per impedire che gli incentivi fiscali alimentino i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa.
  • il rapporto tra finanziatori privati ed erogatori privati accreditati, al fine di evitare pericolose alleanze con conseguenti derive consumistiche nell’offerta di prestazioni sanitarie e, al tempo stesso, incrementare l’erogazione di prestazioni finanziate dai terzi paganti da parte delle strutture pubbliche.
  • Regolamentare le campagne pubblicitarie di fondi sanitari e assicurazioni per evitare la diffusione di messaggi che fanno spesso leva sulle criticità di accesso del servizio pubblico o su prestazioni “preventive” che soddisfano il cittadino-consumatore, ma alimentano inappropriatezza, medicalizzazione della società, oltre a fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento.
  • Avviare una campagna istituzionale informativa per consentire ai cittadini di conoscere opportunità (e svantaggi) della sanità integrativa.
  • Escludere in maniera perentoria il trasferimento della gestione dei fondi sanitari integrativi alle Regioni, nell’ambito delle maggiori autonomie previste dal regionalismo differenziato.
  • Coinvolgere l’imprenditoria sociale, cogliendo tutte le opportunità offerte dalla riforma del terzo settore.

Il video integrale dell’audizione è disponibile a: https://youtu.be/LShw5p6AUsY


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16 gennaio 2019
Fondi sanitari: privatizzano la sanit&#224;, alimentano il consumismo e possono danneggiare la salute. Servono riforme urgenti e maggiore trasparenza

IN OCCASIONE DELL’AVVIO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA DELLA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA SUI FONDI SANITARI, LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA UN REPORT INDIPENDENTE CHE DOCUMENTA I GRAVI EFFETTI COLLATERALI PER LA SANITÀ PUBBLICA DELL’ATTUALE IMPIANTO NORMATIVO. I FONDI SANITARI INTEGRATIVI SONO DIVENTATI PREVALENTEMENTE SOSTITUTIVI, AUMENTANO LE DISEGUAGLIANZE E MEDICALIZZANO LA SOCIETÀ, SPACCIANDO PER “PACCHETTI PREVENTIVI” PRESTAZIONI INAPPROPRIATE CHE POSSONO DANNEGGIARE LA SALUTE DELLE PERSONE. NEL FRATTEMPO GLI INCENTIVI FISCALI DI CUI BENEFICIANO I FONDI ALIMENTANO I PROFITTI DELLE ASSICURAZIONI. LA FONDAZIONE GIMBE INVOCA UN RIORDINO NORMATIVO E CHIEDE AL MINISTRO GRILLO DI RENDERE PUBBLICA L’ANAGRAFE DEI FONDI SANITARI INTEGRATIVI.

Negli ultimi anni, segnati da un imponente definanziamento della sanità pubblica, si è progressivamente fatta largo l’idea che il cosiddetto “secondo pilastro” – generato da un complicato intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale – sia l’unica soluzione per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In controtendenza con questo clima di contagioso e spesso inconsapevole entusiasmo, la Fondazione GIMBE annovera invece l’espansione incontrollata del secondo pilastro tra le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

«Considerato che, dopo anni di silenzio politico la Commissione Affari Sociali della Camera ha annunciato l’avvio di un’indagine conoscitiva sulla sanità integrativa – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato un report indipendente da cui emerge l’inderogabile necessità di un riordino legislativo, in quanto i fondi sanitari sono diventati in prevalenza sostitutivi di prestazioni già offerte dal SSN. In particolare le crepe di una normativa frammentata e incompleta hanno permesso all’intermediazione finanziaria e assicurativa di cavalcare l’onda del welfare aziendale, generando profitti grazie alle detrazioni fiscali di cui beneficiano i fondi sanitari e proponendo prestazioni che alimentano il consumismo sanitario e aumentano i rischi per la salute delle persone».

Il report, dopo avere analizzato le determinanti che hanno favorito l’espansione del secondo pilastro e fornito una bussola per orientarsi nel complesso ecosistema dei terzi paganti e delle tipologie di coperture offerte, snocciola i dati relativi alla spesa sanitaria intermediata da fondi, assicurazioni e altri enti. Nel periodo 2010-2016 il numero dei fondi sanitari è aumentato da 255 a 323, con incremento sia del numero di iscritti (da 3.312.474 a 10.616.847), sia delle risorse impegnate (da € 1,61 a 2,33 miliardi). Tre i dati di particolare rilevo: innanzitutto, la percentuale delle risorse destinate a prestazioni realmente “integrative” rimane stabile intorno al 30%; in secondo luogo a fronte di un incremento medio annuo degli iscritti del 22,3%, quello delle risorse impegnate è del 6,4%: sostanzialmente i fondi incassano sempre di più, ma rimborsano sempre meno; infine, i fondi che intrattengono “relazioni” con compagnie assicurative sono passati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017.

Nel 2016 la spesa privata intermediata ammonta a € 5.600,8 milioni ed è sostenuta da varie tipologie di terzi paganti: € 3.830,8 milioni da fondi sanitari e polizze collettive, € 593 milioni da polizze assicurative individuali, € 576 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e € 601 milioni da imprese. I fondi sanitari registrati all’anagrafe ministeriale sono 323 per un totale di 10.616.847 iscritti (73% lavoratori, 22% familiari e 5% pensionati). Relativamente ai dati economici, non si conosce né l’ammontare dei contributi versati dagli iscritti, né l’entità del mancato gettito per l’erario connesso alle agevolazioni fiscali, mentre sono noti i rimborsi effettuati dai fondi sanitari, pari a € 2,33 miliardi. Di tali risorse, quelle destinate a prestazioni integrative (es. odontoiatria, assistenza a lungo termine) sono poco più del 32%, ovvero quasi il 70% delle risorse copre prestazioni già incluse nei LEA.

«Un dato inconfutabile – puntualizza Cartabellotta – invita a frenare gli entusiasmi per i fondi sanitari: il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi per gli iscritti perché erosi da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e da eventuali utili di compagnie assicurative. A fronte della crescente bramosia sindacale e imprenditoriale per le varie forme di welfare aziendale, i fondi sanitari offrono dunque ai lavoratori dipendenti solo vantaggi marginali, mentre a beneficiare dei fondi sanitari sono le imprese che risparmiano sul costo del lavoro, l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie».

Il report analizza anche tutti gli “effetti collaterali” dei fondi sanitari che favoriscono la privatizzazione, generano iniquità e diseguaglianze, minano la sostenibilità, aumentano la spesa sanitaria delle famiglie e dello Stato, alimentano il consumismo sanitario tramite il sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie che possono anche danneggiare la salute delle persone, generano frammentazione dei percorsi assistenziali e compromettono una sana competizione tra gli operatori del settore.

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – confermano che oggi le potenzialità della sanità integrativa sono compromesse da un’estrema deregulation che da un lato ha permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un contesto creato per enti no-profit». Ecco perché, nell’ambito della campagna #salviamoSSN, la Fondazione GIMBE invoca un Testo Unico della sanità integrativa in grado di:

  • restituire alla sanità integrativa il suo ruolo originale, ovvero quello di rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA;
  • evitare che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, venga utilizzato per alimentare i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa;
  • tutelare cittadini e pazienti da derive consumistiche dannose per la salute;
  • assicurare una governance nazionale, oggi minacciata dal regionalismo differenziato;
  • garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione.

Ma ancor prima, è indispensabile che il Ministero della Salute renda pubblicamente accessibile l’anagrafe dei fondi sanitari integrativi per offrire ai cittadini e agli enti di ricerca un’adeguata trasparenza.

La versione integrale del report GIMBE “La sanità integrativa” è disponibile a: www.gimbe.org/sanita-integrativa.


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8 gennaio 2019
Ripetere gli esami di laboratorio in ospedale: una pratica rischiosa e costosa

LA CONTINUA RIPETIZIONE DEI TEST DI LABORATORIO DI ROUTINE NEI PAZIENTI RICOVERATI NON SOLO RAPPRESENTA UNA RILEVANTE FONTE DI SPRECHI, QUALI TRASFUSIONI NON NECESSARIE, ULTERIORI TEST DIAGNOSTICI E ALLUNGAMENTO DEL RICOVERO, MA PUÒ DETERMINARE EFFETTI AVVERSI ANCHE GRAVI: DALL’ANEMIA ALL’AUMENTO DELLA MORTALITÀ IN PAZIENTI CON MALATTIE CARDIO-POLMONARI. DALLA FONDAZIONE GIMBE UN POSITION STATEMENT PER RIDURRE LA RIPETIZIONE DI TEST DI LABORATORIO NEI PAZIENTI RICOVERATI

La crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale ha determinato un crescente interesse per la promozione di un’assistenza sanitaria ad elevato value, in grado di ridurre gli sprechi ed aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità. In tal senso, l’eccesso di test diagnostici è una pratica dal basso value molto diffusa e, in particolare, la continua ripetizione di esami di laboratorio di routine nei pazienti ospedalizzati determina effetti avversi prevenibili, sia clinici (es. anemia da ospedalizzazione, aumento della mortalità nei pazienti con patologie cardiopolmonari) sia economici (es. esecuzione di ulteriori test diagnostici, trasfusioni inappropriate, aumento della durata della degenza). Peraltro, anche se gli esami di laboratorio rappresentano meno del 5% della spesa ospedaliera, l’impatto economico è molto più elevato perchè i loro risultati influenzano circa 2/3 delle decisioni cliniche relative ad ulteriori test diagnostici o interventi terapeutici.

«Il fenomeno è molto complesso – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – perché le prescrizioni ripetute di esami di laboratorio nei pazienti ospedalizzati conseguono alla variabile interazione di vari fattori: medicina difensiva, incertezza diagnostica, sottostima degli effetti avversi, scarsa consapevolezza dei costi, mancato feedback sulla prescrizione dei test, differente background formativo dei medici. Tuttavia, oggi consistenti evidenze scientifiche oggi documentano sia l’efficacia di vari interventi per ridurre i test di laboratorio inappropriatamente ripetuti in ospedale, sia che tale riduzione non si associa ad un aumento di eventi avversi, quali mancate diagnosi, re-ospedalizzazione o mortalità».

Per tali ragioni, previa revisione sistematica della letteratura, la Fondazione GIMBE ha realizzato un Position Statement per offrire a professionisti e ospedali un framework multidisciplinare e basato sulle evidenze per promuovere iniziative finalizzate a ridurre la ripetizione dei test di laboratorio di routine in ospedale.

Tre gli interventi efficaci per ridurre la ripetizione inappropriata di test di laboratorio di routine nei pazienti ricoverati: la formazione, l’audit & feedback ai professionisti sull’appropriatezza delle prescrizioni e la loro restrizione tramite cartella clinica informatizzata. «Nonostante l’efficacia dei singoli interventi – precisa Cartabellotta – una riduzione significativa e prolungata dei test superflui si ottiene dalla loro combinazione multifattoriale, coinvolgendo opinion leader clinici e decisori per promuovere il cambiamento nell’organizzazione ed estendendo gli interventi a tutti i professionisti sanitari e non solo ai medici prescrittori».

«In base alle evidenze scientifiche – conclude Cartabellotta – oggi possiamo affermare sia che la continua ripetizione dei test di laboratorio nei pazienti ospedalizzati genera sprechi e danni, sia che la loro riduzione non ha alcun impatto negativo sulla sicurezza dei pazienti. Auspichiamo che il Position Statement GIMBE venga utilizzato dagli ospedali e dai medici, sia per ridurre una pratica costosa e rischiosa, sia per il potenziale impatto culturale, visto che ridurre pratiche dal basso value migliora la sicurezza, l’efficacia e la costo-efficacia dell’assistenza e contribuisce alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale».

Il Position Statement GIMBE “Strategie per ridurre la ripetizione dei test di laboratorio nei pazienti ospedalizzati” è disponibile a: www.evidence.it/riduzione-test-laboratorio.


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13 dicembre 2018
Doveroso celebrare i 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale, ma per tramandarlo ai nostri figli servono investimenti e riforme di rottura

LA FONDAZIONE GIMBE RINGRAZIA PUBBLICAMENTE IL MINISTERO DELLA SALUTE PER LA CELEBRAZIONE DEL 40° COMPLEANNO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, MA INVITA TUTTI I CITTADINI A PRENDERE ATTO CHE OGGI LA NOSTRA PIÙ GRANDE CONQUISTA SOCIALE SI STA LENTAMENTE SGRETOLANDO E IL RISCHIO DI UNA SANITÀ PRIVATA PER I RICCHI ED UNA PUBBLICA RESIDUALE PER I MENO ABBIENTI È DIETRO L’ANGOLO. UN LOGO DELLA FONDAZIONE GIMBE SIA PER CELEBRARE QUELLO CHE ABBIAMO COSTRUITO, SIA PER DIFFONDERE LA CONSAPEVOLEZZA CHE RISCHIAMO DI NON AVERLO PIÙ, PERCHÉ LA SANITÀ PUBBLICA È COME LA SALUTE: TI ACCORGI CHE ESISTE SOLO QUANDO L’HAI PERDUTA.

La Ministra della Salute Giulia Grillo, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha celebrato ufficialmente il 40° compleanno del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), modello di sanità pubblica ispirato da princìpi di equità e universalismo, finanziato dalla fiscalità generale, che ha prodotto eccellenti risultati di salute e che tutto il mondo continua ad invidiarci.

Ripercorrendo la storia del SSN, la Ministra ha ribadito alcuni paletti fondamentali per il futuro: mantenere nel DNA della sanità pubblica universalismo, gratuità ed equità, garantire la periodica manutenzione della “più grande opera pubblica del nostro Paese”, non cedere alla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini. Dal canto suo il Presidente Mattarella ha ringraziato tutti i protagonisti che in 40 anni hanno scritto un pezzo di storia importante del nostro Paese.

«Purtroppo in questi 40 anni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i cittadini italiani non hanno acquisito piena consapevolezza che il nostro Paese dispone di un SSN che si prende cura della nostra salute e che, in qualità di “azionisti di maggioranza”, tutti siamo tenuti a tutelare, ciascuno secondo le proprie responsabilità siano esse pubbliche o individuali».

Purtroppo, la ricorrenza cade in un momento particolarmente difficile come dimostrato dalle analisi della Fondazione GIMBE che hanno recentemente “diagnosticato” il SSN come un quarantenne affetto da quattro “patologie”: imponente definanziamento pubblico, eccessivo ampliamento del “paniere” dei livelli essenziali di assistenza (LEA), sprechi e inefficienze, espansione incontrollata dell’intermediazione assicurativa. Inoltre, lo stato di salute del SSN è influenzato da due “fattori ambientali”: la collaborazione (non sempre leale) tra Stato e Regioni e le aspettative (spesso irrealistiche) di cittadini e pazienti.

«Se vogliamo realmente mantenere un SSN a finanziamento prevalentemente pubblico, preservando i princìpi di equità e universalismo definiti dalla Legge 833/78 – commenta il Presidente – è urgente mettere in atto un “piano terapeutico” personalizzato in grado di modificare sia la storia naturale di queste quattro malattie, sia di ridurre al minimo l’impatto dei fattori ambientali».

Le proposte della Fondazione GIMBE spaziano dal graduale e consistente rilancio del finanziamento pubblico, allo “sfoltimento” dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia; dalla costruzione di un servizio socio-sanitario nazionale ad una inderogabile riforma della sanità integrativa; dal piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi a quello di informazione scientifica di cittadini e pazienti; da maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni (nel pieno rispetto delle loro autonomie), al rilancio delle politiche del personale; dalla revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa alla sana integrazione pubblico-privato. Tutte azioni che richiedono, indipendentemente dal colore dell’Esecutivo, un preciso programma politico, adeguati investimenti e riforme di rottura, perché oggi al SSN non basta una “manutenzione ordinaria”, ma serve un radicale cambio di rotta per garantirne la sopravvivenza.

«La Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – tramite il proprio Osservatorio sta monitorando l’attuazione del programma per la sanità messo nero su bianco nel “Contratto per il Governo del Cambiamento” e confida molto nella determinazione della Ministra Grillo. Tuttavia, se vogliamo garantire alle generazioni future un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, le celebrazioni del 40° compleanno del SSN devono essere lette come ultima occasione sia per diffondere la consapevolezza che si sta silenziosamente sgretolando una grande conquista sociale, sia per rimettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, destinando adeguate risorse e mettendo in campo le riforme necessarie ad assicurare lunga vita al SSN».

Con l’obiettivo di aumentare la sensibilizzazione pubblica sull’importanza di un “servizio” di natura “nazionale” che si prende cura della salute di 60 milioni di persone, in occasione dell’evento celebrativo il Presidente Cartabellotta ha consegnato alla Ministra Grillo il logo realizzato dalla Fondazione GIMBE per i 40 anni del SSN. In questa ricorrenza è doveroso celebrare quello che abbiamo costruito, ma occorre soprattutto diffondere la consapevolezza di quello che rischiamo di non avere più, perché, di fatto, la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta.


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10 dicembre 2018
Manovra 2019. Più risorse per la sanità, ma per il personale è sempre buio pesto

LA MANOVRA SBARCA AL SENATO CON UN “PANIERE” PIÙ RICCO PER LA SANITÀ: AUMENTO DI € 200 MILIONI PER LE LISTE DI ATTESA ED ULTERIORI € 2 MILIARDI PER EDILIZIA SANITARIA E AMMODERNAMENTO TECNOLOGICO. ANCORA AL PALO IL PERSONALE: NIENTE RISORSE VINCOLATE PER I RINNOVI CONTRATTUALI, NÉ RIMOZIONE DEI VINCOLI DI SPESA PER SBLOCCARE IL TURNOVER. SVANITO ANCHE L’EMENDAMENTO PER LA RIDUZIONE DEL SUPERTICKET. LA FONDAZIONE GIMBE ESORTA IL SENATO A CONSIDERARE L’ADOZIONE DI MISURE PER IL PERSONALE E INVITA TUTTI AD UN SANO REALISMO PERCHÉ LE RISORSE CERTE SOLO QUELLE PER IL 2019, MENTRE I € 3,5 MILIARDI PREVISTI PER IL 2020-2021 RIMANGONO LEGATI AD ARDITE PREVISIONI DI CRESCITA ECONOMICA.

«Nell’impossibilità di ottenere un’audizione formale in Commissione Bilancio, che ha scelto di ascoltare esclusivamente soggetti istituzionali – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – desideriamo portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica le nostre analisi e proposte per contribuire al dibattito parlamentare conclusivo». Preme anzitutto fornire un prospetto aggiornato sulle cifre, visto che le dichiarazioni informali rilasciate tramite social, stampa e TV riportano dati parziali e incompleti, spesso utilizzati per strumentalizzazioni politiche.

LEGGE DI BILANCIO 2019
Principali misure per il finanziamento della sanità al 7-12-2018

MILIONI DI EURO

2019

2020

2021

Aumento del fabbisogno sanitario nazionale standard

1.0001

2.0002

1.5002

Riduzione tempi di attesa delle prestazioni sanitarie

150

100

100

Borse di studio corso di formazione Medicina Generale

10

10

10

Borse di studio scuole di specializzazione3

22,5

45

68,4

Programmi di edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico

4.0004

1Già assegnato dalla Legislatura precedente

2Subordinati alla stipula, entro il 31 marzo 2019, di un’Intesa Stato-Regioni per il Patto per la Salute 2019-2021 che preveda “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”.

3 Oltre a € 91,8 milioni per il 2022 e € 100 milioni l’anno dal 2023.

4Ripartiti nel periodo 2021-2032.

Ecco i principali passi in avanti compiuti dalla Manovra rispetto al finanziamento pubblico della sanità.

  • Sottoscrizione Patto per la Salute 2019-2021: come già richiesto anche dalla Fondazione GIMBE la scadenza è stata posticipata di due mesi, ovvero al 31 marzo 2019.
  • Fondi per la riduzione dei tempi di attesa: i 150 milioni di euro previsti per gli anni 2019-2021 diventano 350: 150 per il 2019 e 100/anno dal 2020. «È bene ribadire – spiega Cartabellotta – che si tratta di risorse vincolate a “implementazione e ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica”, nel rispetto delle indicazioni previste dal nuovo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa. In altri termini, le Regioni non potranno utilizzarle per assunzione di personale o e/o acquisizione di prestazioni sanitarie da soggetti privati». Possibile che per il 2020 le liste d’attesa possano beneficiare di altri € 50 milioni assegnati dal Decreto Fiscale.
  • Programmi di edilizia sanitaria e ammodernamento tecnologico: il fondo aumenta complessivamente di € 4 miliardi, «una cifra indubbiamente rilevante – commenta il Presidente – ma troppo “diluita” nel tempo, visto che saranno nella disponibilità delle Regioni solo € 100 milioni/anno per il 2021 e 2022, € 400 milioni/anno dal 2023 al 2031 e € 200 milioni nel 2032».
  • Farmaci innovativi: confermati i due fondi (€ 500 milioni ciascuno) per farmaci innovativi e innovativi oncologici, che saranno trasferiti nello stato di previsione del MEF nell’ambito del finanziamento del FSN cui concorre lo Stato.

A fronte di conferme e passi avanti, rimangono purtroppo ancora disattese inderogabili necessità per la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, in particolare quelle che riguardano il personale:

  • Rinnovi contrattuali: gli spiragli intravisti dopo lo sciopero dei medici non si sono al momento concretizzati in risorse dedicate. Infatti, per la dirigenza, a partire dal triennio 2019-2021 il trattamento economico aggiuntivo (indennità di esclusività) concorrerà alla determinazione del monte salari, ma rimarrà nel FSN indistinto; inoltre, nessun riferimento alla retribuzione individuale di anzianità.
  • Sblocco turnover: respinti gli emendamenti che proponevano di modificare il tetto di spesa per il personale, fissato all'ammontare del 2004 diminuito dell'1,3%: la Ministra Grillo sta facendo pressing con il vice-Ministro dell’Economia Garavaglia per intervenire al Senato su quello che lei stessa ha etichettato come un “anacronistico parametro non più tollerabile”.
  • Nuovi LEA: nessuna proposta per sbloccare i nomenclatori tariffari “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria, che impediscono di fatto l’esigibilità dei nuovi LEA.
  • Superticket: non ha visto la luce l’emendamento per rifinanziare il fondo per ridurre il superticket.

Auspicando che al Senato alcune di queste misure possano trovare diritto di cittadinanza nella Manovra, la Fondazione GIMBE suggerisce due ulteriori spunti per il dibattito parlamentare:

  • Distribuire equamente nel quinquennio 2019-2023 i € 327,7 milioni stanziati per le borse di studio delle scuole di specializzazione, assicurando nel 2023 ben 2.600 (invece che 900) nuovi specialisti che, peraltro, già all’ultimo anno di corso potranno essere ammessi ai concorsi per l’accesso alla dirigenza.
  • Spostare sulle Regioni i costi organizzativi del corso di formazione specifica in Medicina Generale, aumentando così il numero di borse da circa 250 a 290 l’anno.

«Indubbiamente – conclude Cartabellotta – da questo primo giro di consultazioni parlamentari la Manovra esce con un “paniere sanità” più ricco, ma al momento il personale sanitario, vero pilastro del SSN in questi anni difficili, rimane a bocca asciutta. Più in generale, è necessaria una dose di sano realismo, facendo tesoro di quanto ha insegnato la storia recente: le risorse certe sono solo quelle stanziate per il 2019, perché l’aumento del FSN e gli altri interventi previsti per gli anni successivi sono inevitabilmente legati ad ardite previsioni di crescita economica e oggi non rappresentano “liquidità” in cui confidare ciecamente».


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22 novembre 2018
Malattia di Lyme: se la conosci la curi

NONOSTANTE SI TRATTI DI UNA PATOLOGIA POCO FREQUENTE, È FONDAMENTALE CONOSCERLA PER RICONOSCERLA, PERCHÉ, ANCHE IN ASSENZA DI CONFERME DI LABORATORIO, UN ADEGUATO SOSPETTO CLINICO, LA RIMOZIONE DELLA ZECCA E L’INIZIO TEMPESTIVO DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA POSSONO PREVENIRE DANNI RILEVANTI A LIVELLO NEUROLOGICO, CARDIACO E ARTICOLARE. PER PROFESSIONISTI SANITARI, PAZIENTI E CITTADINI LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DELLA MALATTIA DI LYME.

La malattia di Lyme è causata da un gruppo specifico di batteri trasmessi all’uomo tramite puntura di una zecca infetta. La malattia determina vari problemi clinici: dal tipico rash cutaneo (eritema migrante) al coinvolgimento sistemico che può causare artriti, problemi neurologici e cardiologici.

La probabilità di essere morsi da zecche infette e contrarre la malattia di Lyme aumenta nelle aree erbose e boschive, ma anche nei parchi e nelle aree verdi urbane. In Italia i dati ufficiali sulla diffusione della malattia di Lyme sono limitati e non recenti: nel 2000 una circolare del Ministero della Salute riporta circa un migliaio di casi nel periodo 1992-1998. Le Regioni con il maggior numero di segnalazioni sono Friuli Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna e la Provincia autonoma di Trento, mentre nelle Regioni centro-meridionali e insulari i casi segnalati sono rari. Recentemente, il Gruppo Italiano di Studio sulla Malattia di Lyme ha stimato che nel nostro Paese si verificano circa 500 nuovi casi ogni anno.

«L’incidenza della malattia di Lyme – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE –  potrebbe essere ampiamente sottostimata, perché la maggior parte delle stime si basa sui casi confermati in laboratorio, senza considerare quelli diagnosticati clinicamente e quelli non diagnosticati: in particolare quelli in cui la malattia si presenta solo con sintomi aspecifici come febbre, sudorazione, malessere generale, astenia, cefalea, difficoltà di concentrazione».

Per aumentare la consapevolezza di medici, professionisti sanitari e pazienti sulla malattia di Lyme, la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate nell’ottobre 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.

Le linee guida NICE forniscono raccomandazioni relative alla diagnosi e alla terapia della malattia di Lyme: dai dati epidemiologici e clinici alla base di un adeguato sospetto clinico alle corrette modalità per la rimozione delle zecche; da un algoritmo per l’utilizzo dei test di laboratorio alla terapia antibiotica a cui la linea guida dedica particolare attenzione. Vengono infatti riportati in maniera molto dettagliata i numerosi schemi di trattamento per adulti e bambini, tenendo conto della assenza/presenza di disturbi focali: dal coinvolgimento dei nervi cranici o del sistema nervoso periferico a quello del sistema nervoso centrale, dall’interessamento articolare a quello cardiaco.

«Le numerose incertezze conseguenti alle limitate evidenze scientifiche – continua il Presidente –determinano spesso paura e frustrazione nelle persone con diagnosi o sospetto di malattia di Lyme. Per tale ragione le linee guida NICE raccomandano di fornire supporto, informazioni da fonti attendibili e una chiara comunicazione sulla diagnosi e sul trattamento, incluse le incertezze relative all’accuratezza dei test diagnostici e all’eventuale persistenza dei sintomi dopo la terapia antibiotica».

In particolare, se sospetto clinico è elevato non bisogna escludere la probabilità di malattia di Lyme sulla base di un’anamnesi negativa per esposizione a punture di zecca, peraltro non sempre visibili, o se i test di laboratorio sono negativi. Inoltre, se i sintomi persistono dopo due cicli completi di antibiotico, non bisogna prescrivere di routine ulteriori cicli.

«Nonostante si tratti di una patologia poco frequente – conclude Cartabellotta – è fondamentale “conoscerla per riconoscerla”, visto che, anche in assenza di conferme di laboratorio, un adeguato sospetto clinico, la rimozione della zecca e l’inizio tempestivo della terapia antibiotica possono prevenire danni rilevanti a livello neurologico, cardiaco e articolare».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento della malattia di Lyme” sono disponibili a: www.evidence.it/Lyme.  


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31 ottobre 2018
Manovra 2019: alla Sanità oltre 4,5 miliardi di euro in tre anni, ma solo 1 nel 2019 e niente risorse dedicate al personale

ANALISI GIMBE DELLA LEGGE DI BILANCIO: IN SANITÀ IL GOVERNO SEMBRA CALARE L’ASSO MA 3,5 MILIARDI SARANNO SUL PIATTO SOLO NEL 2020-2021 E CONDIZIONATI DALLE ARDITE PREVISIONI DI CRESCITA. BENE SU BORSE DI STUDIO PER SPECIALISTI E MEDICI DI FAMIGLIA, OLTRE CHE SULLA GOVERNANCE DELLE LISTE DI ATTESA. MA PER FESTEGGIARE DEGNAMENTE I 40 ANNI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE LA MANOVRA DOVREBBE DESTINARE INTERAMENTE IL MILIARDO GIÀ PREVISTO AI RINNOVI CONTRATTUALI ANTICIPANDO AL 2019 ALMENO 1 MILIARDO PER SDOGANARE I NUOVI LEA, ELIMINARE IL SUPERTICKET ED AVVIARE UN GRADUALE SBLOCCO DEL TURNOVER DEL PERSONALE, A RISCHIO EMORRAGIA CAUSA “QUOTA 100”.

Il testo della Legge di Bilancio 2019 inviato alle Camere per la discussione parlamentare si presenta con buone nuove per la sanità pubblica: aumento del fondo sanitario nazionale di € 3,5 miliardi che si aggiungono al miliardo già stanziato dalla precedente legislatura, fondi dedicati alla governance delle liste di attesa ed alle borse di studio per specializzandi e futuri medici di famiglia, oltre ad un incremento di € 2 miliardi destinati al programma di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico.

«Le nostre stime – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – avevano valutato in circa 4 miliardi di euro il fabbisogno per coprire le inderogabili necessità della sanità pubblica. Secondo il testo della manovra, dunque, i numeri sembrano esserci, visto che l’incremento complessivo del fondo sanitario nazionale nel triennio è di € 4,5 miliardi, oltre alle risorse finalizzate. Tuttavia, nonostante la rilevanza dei bisogni attuali (rinnovi contrattuali, sblocco del turnover, eliminazione superticket, sblocco nuovi LEA), i € 3,5 miliardi che il Governo giallo-verde mette sul piatto della sanità sono utilizzabili solo dal 2020 e inevitabilmente legati alla crescita economica attesa, proprio nel momento in cui l’ISTAT certifica lo stop del PIL nel terzo trimestre del 2018 e la Commissione europea invia un’ulteriore richiesta di chiarimenti sulla manovra 2019».

Al fine di favorire il dibattito parlamentare, oltre che il confronto tra Governo e Regioni, la Fondazione GIMBE ha realizzato un’analisi indipendente delle risorse previste per la sanità nella Legge di Bilancio 2019.

Fabbisogno sanitario nazionale standard 2019-2021. Confermato il miliardo già assegnato per il 2019 dalla precedente legislatura e previsto un aumento di € 2 miliardi nel 2020 e di € 1,5 miliardi nel 2021, per un incremento complessivo di € 4,5 miliardi nel triennio. Le risorse assegnate per il 2020 e per il 2021 sono subordinate alla stipula, entro il 31 gennaio 2019, di una Intesa Stato-Regioni per il Patto per la Salute 2019-2021 che contempli varie “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”. «Tutte le misure previste – puntualizza Cartabellotta – sono ampiamente condivisibili, ma la deadline al 31 gennaio è illusoria, visto che la stesura del nuovo Patto per la Salute difficilmente potrà essere avviata prima dell’approvazione della Legge di Bilancio e che i tempi per le consultazioni sono risicati. Ecco perché il Parlamento dovrebbe prorogare la scadenza almeno al 31 marzo».

Oltre all’incremento del fabbisogno sanitario nazionale standard 2019-2021, la Legge di Bilancio prevede risorse finalizzate a specifici obiettivi:

  • Riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie. Per l’implementazione e l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica sono stati stanziati nel triennio € 150 milioni, il cui riparto è subordinato a un decreto ministeriale previa Intesa Stato-Regioni. «È positivo – commenta il Presidente – che le risorse siano destinate alle infrastrutture tecnologiche e informatiche per migliorare il processo di governance delle liste d’attese e non all’aumento indiscriminato dell’offerta di prestazioni. Tuttavia è fondamentale che le modalità di riparto tengano conto delle attuali differenze regionali in termini di infrastrutture tecnologiche disponibili».
  • Borse di studio. Per quelle destinate al corso di formazione specifica in Medicina generale stanziati € 10 milioni a decorrere dal 2019 che garantiscono ogni anno circa 300 borse aggiuntive. Per le scuole di specializzazione previsto un graduale incremento di risorse per finanziare circa 2.700 borse di studio: € 22,5 milioni per il 2019, € 45 milioni per il 2020, € 68,4 milioni per il 2021, € 91,8 milioni per il 2022 e € 100 milioni a decorrere dall’anno 2023. «Intervento di grande rilevanza – commenta Cartabellotta – per ridurre gradualmente l’attuale imbuto formativo e ringiovanire il capitale umano; tuttavia, per recuperare preziose risorse, rimane indispensabile prendere atto del fenomeno delle “borse perdute”».
  • Rinnovo contrattuale 2019-2021. Per il personale dipendente e convenzionato gli oneri per i rinnovi contrattuali, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale, sono posti a carico dei bilanci regionali. «Traducendo il politichese – puntualizza il Presidente – il personale sanitario rimane tagliato fuori dai fondi stanziati per i rinnovi contrattuali 2019-2021 e in assenza di risorse dedicate le Regioni devono reperirle dal fondo sanitario».
  • Finanziamento dei programmi di edilizia sanitaria. Viene aumentato di € 2 miliardi l’importo destinato al programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico, seppur totalmente “a spese” del Fondo investimenti enti territoriali.

I grandi assenti. Restano fuori dalla manovra alcune indifferibili priorità per evitare il collasso della sanità.

  • Rinnovi contrattuali. Contrariamente a quanto dichiarato dal sottosegretario Garavaglia, nessuna conferma che il miliardo di aumento del fondo sanitario 2019 sarà interamente destinato ai rinnovi contrattuali.
  • Sblocco turnover. Nonostante la verosimile “emorragia” di professionisti dal SSN conseguente all’applicazione della “quota 100”, nessun riferimento alla rimozione del vincolo di spesa.
  • Nuovi LEA. Con i nomenclatori tariffari ancora in “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria, i nuovi LEA non sono ancora esigibili sulla maggior parte del territorio nazionale. Le stime oscillano tra € 800 milioni (Ragioneria Generale dello Stato) e € 1.600 milioni (Conferenza Regioni e Province autonome).
  • Residuo pay-back farmaceutico 2013-2016. Parte degli oltre € 900 milioni contabilizzati come entrate nel bilancio dello Stato sono oggetto di contenzioso e potrebbero diventare una voce di passività.

«Considerato che il testo della Legge di Bilancio 2019 – conclude Cartabellotta – approda in Parlamento con un paniere triennale per la sanità più ricco delle aspettative, e in ogni caso legato alle ardite previsioni di crescita, bisogna dare merito alla Ministra Grillo di avere sensibilizzato l’intero Esecutivo sui bisogni della sanità. Tuttavia, alcune lacune che rischiano di peggiorare lo “stato di salute” del SSN non possono essere ulteriormente rinviate: ecco perché è indispensabile destinare interamente ai rinnovi contrattuali il miliardo già previsto dalla precedente legislatura ed anticipare al 2019 almeno un miliardo per sdoganare i nuovi LEA, eliminare il superticket e avviare lo sblocco del turnover».


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22 ottobre 2018
Sani o malati? GIMBE pubblica le Linee Guida per modificare le soglie di malattia

CON L’AVVIO DEL NUOVO SISTEMA NAZIONALE LINEE GUIDA OCCORRE STANDARDIZZARE ANCHE IN ITALIA GLI STRUMENTI PER MODIFICARE I CRITERI DIAGNOSTICI DELLE MALATTIE AL FINE DI PREVENIRE I FENOMENI DI SOVRA-DIAGNOSI E SOVRA-TRATTAMENTO. BISOGNA EVITARE DI ETICHETTARE COME MALATE E QUINDI “CURARE” PERSONE NELLE QUALI GLI EFFETTI AVVERSI SONO MAGGIORI DEI BENEFICI. LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA VERSIONE ITALIANA DELLA CHECK-LIST G-I-N PER GUIDARE LA MODIFICA DELLE SOGLIE DI MALATTIA.

L’estensione delle definizioni di malattia se da un lato può determinare benefici per i pazienti che possono accedere a trattamenti efficaci, dall’altro rappresenta uno dei driver principali della sovra-diagnosi (overdiagnosis), una vera e propria epidemia del 21° secolo che in Italia gode ancora di scarsa attenzione. Infatti, la modifica delle soglie di malattia, insieme alla disponibilità e all’uso esteso e spesso inappropriato di tecnologie diagnostiche sempre più sensibili, finiscono per etichettare come malate persone il cui stadio di malattia è troppo precoce, molto lieve e/o non evolutivo. A livello di popolazione varie sono le condizioni in cui il conseguente sovra-trattamento (overtreatment) può sbilanciare il rapporto benefici/rischi in: ipertensione, embolia polmonare, insufficienza renale cronica, osteoporosi, prediabete, carcinoma della tiroide, disturbo da deficit di attenzione e iperattività, demenza.

«La letteratura scientifica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – negli ultimi anni ha ampiamente dimostrato che l’estensione delle definizioni di malattia è un fenomeno diffuso in tutte le aree specialistiche, ma che al tempo stesso mancano standard condivisi per identificare e prevenire modifiche inappropriate sono inadeguate». Oggi, infatti, i panel che elaborano linee guida per la pratica clinica modificano le soglie di malattia senza valutare rigorosamente l’impatto sulla loro prevalenza, e soprattutto dei potenziali effetti avversi delle modifiche proposte: infatti, se il beneficio terapeutico assoluto è solitamente proporzionale alla severità della malattia, la probabilità di effetti avversi è generalmente costante e indipendente, in quanto effetto fisso dell’intervento terapeutico. Di conseguenza, nei pazienti con malattia in fase precoce o lieve, gli effetti avversi sono spesso più probabili dei benefici.

«Se il nuovo Sistema Nazionale Linee Guida – continua il Presidente – ha già previsto standard internazionali per produrre linee guida valide e trasparenti, è indispensabile che i panel coinvolti in questo processo dispongano di una guida per modificare le soglie di malattia». Con questo obiettivo la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana ufficiale della checklist recentemente pubblicata dal Guidelines International Network (G-I-N) che include 8 item:

  1. Definizione di malattia: quali sono le differenze tra la nuova definizione e quelle precedenti?
  2. Impatto epidemiologico della modifica: in che misura la nuova definizione di malattia modificherà incidenza e/o prevalenza della malattia?
  3. Motivazioni: per quali ragioni viene modificata la definizione di malattia?
  4. Abilità prognostica: in che misura la nuova definizione di malattia, rispetto alla precedente, predice outcome clinicamente rilevanti?
  5. Precisione e accuratezza della definizione di malattia: qual è il grado di ripetibilità, riproducibilità e accuratezza della nuova definizione di malattia?
  6. Benefici: qual è il beneficio incrementale per i pazienti classificati con la nuova definizione di malattia rispetto alla precedente?
  7. Effetti avversi: quali sono gli effetti avversi incrementali per i pazienti classificati con la nuova definizione di malattia rispetto alla precedente?
  8. Benefici e effetti avversi netti: qual è il beneficio e il danno netto per i pazienti classificati con la nuova definizione di malattia rispetto alla precedente?

«Per evitare – conclude Cartabellotta – che i potenziali rischi di sovra-diagnosi e sovra-trattamento danneggino i “nuovi malati” occorre grande cautela nel modificare le soglie di malattia. In particolare, tali modifiche dovrebbero sempre migliorare il profilo rischio/beneficio a livello di popolazione. In tal senso auspichiamo che la checklist venga utilizzata da tutte le società scientifiche italiane impegnate nella produzione di linee guida per la pratica clinica».

Le “Linee guida per modificare le definizioni di malattia: una checklist” sono disponibili a: www.evidence.it/soglie-malattia


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17 ottobre 2018
Professionisti sanitari e industria: sì alla trasparenza, no al complottismo

LA FONDAZIONE GIMBE AUDITA PRESSO LA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ESPRIME UN GIUDIZIO POSITIVO SUL SUNSHINE ACT NOSTRANO E PROPONE ALCUNI SPUNTI DI MIGLIORAMENTO: ESTENDERE ORGANIZZAZIONI E SOGGETTI CHE OPERANO NEL SETTORE SALUTE, ESCLUDERE LA VIGILANZA SULLE RELAZIONI NON FINANZIARIE E MAGGIORE ATTENZIONE ALLE FALLE PRESENTI NEL SISTEMA NAZIONALE DI EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA

Si è tenuta ieri, presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, l’audizione della Fondazione GIMBE sulla proposta di legge n. 491 “Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie”, già noto come Sunshine Act italiano.

«Il disegno di legge – ha affermato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha un impianto molto solido, ma bisogna evitare di demonizzare i trasferimenti di denaro, che non necessariamente sono correlati a fenomeni corruttivi». In particolare il Presidente si è soffermato sul fatto che il conflitto di interessi conseguente al trasferimento di denaro, per definizione, è una condizione e non un comportamento: in caso di conflitto di interessi, infatti, se la maggior parte dei “percettori” non modificherà i propri comportamenti, una parte metterà in atto comportamenti opportunistici (da lievi a gravi) e solo alcuni si renderanno responsabili di reati e illeciti amministrativi.

Cartabellotta ha poi illustrato la “Tassonomia GIMBE di frodi e abusi in sanità” con 53 tipologie di frodi e abusi classificati in 9 categorie: policy making e governance del sistema sanitario, regolamentazione del sistema sanitario, ricerca biomedica, marketing e promozione di farmaci, dispositivi e altre tecnologie sanitarie, acquisto di beni e servizi, distribuzione e stoccaggio di prodotti, gestione delle risorse finanziarie, gestione delle risorse umane, erogazione dei servizi sanitari. «Dalle nostre analisi preliminari – ha puntualizzato Cartabellotta – il Sunshine Act potrebbe contribuire a prevenire 28 delle 53 tipologie di frodi e abusi, grazie al fatto che prende in considerazione non solo i trasferimenti di valore ai professionisti sanitari, ma anche al personale amministrativo e alle organizzazioni che operano in sanità».

«Purtroppo – ha precisato il Presidente – sia i comportamenti opportunistici più gravi che i reati e gli illeciti amministrativi sono generati da flussi di denaro o altre utilità non tracciabili. Di conseguenza, se da un lato il Sunshine Act è indispensabile per una maggiore trasparenza sui trasferimenti di valore, dall’altro la sua efficacia nel prevenire i fenomeni corruttivi in sanità è molto incerta».

Cartabellotta ha poi presentato in anteprima un’analisi preliminare dei trasferimenti di valore effettuati da 15 aziende farmaceutiche nel 2016, sulla base dei dati resi disponibili grazie al disclosure code di Farmindustria. Dall’analisi è emerso che:

  • Oltre 2/3 dei medici fornisce il consenso a pubblicare i dati personali, a dimostrazione che la cultura della trasparenza è abbastanza diffusa tra i professionisti, mentre 1 medico su 3 antepone la tutela della privacy alla trasparenza.
  • Quasi il 60% dei trasferimenti di valore individuali riguardano attività di formazione (quote di iscrizione e viaggi).
  • Rispetto ai trasferimenti in favore di organizzazioni (enti pubblici, aziende sanitarie, società scientifiche, associazioni di pazienti ed altro), il 58% dell’importo totale dei trasferimenti è in favore di società di servizi che operano nell’ambito dell’Educazione Continua in Medicina (ECM).

Il Presidente infine, sulla base dei dati e delle evidenze riportate, ha presentato alla Commissione proposte di modifiche e integrazioni del testo di legge formulate dalla Fondazione GIMBE:

  • Estendere le finalità della legge, oltre che alla prevenzione dei fenomeni corruttivi, anche a quella dei comportamenti opportunistici.
  • Includere tra gli obiettivi della legge, oltre alla ricerca, anche il sistema nazionale ECM, di fatto non preso in considerazione dal testo attuale.
  • Includere tra le “imprese produttrici” quelle che commercializzano prodotti nutrizionali (latte artificiale, prodotti senza glutine e aproteici, integratori, etc.) e l’industria alimentare, tenendo conto che consistenti evidenze dimostrano rilevanti conseguenze sulla salute pubblica dei conflitti di interesse nella scienza della nutrizione.
  • Includere tra le “organizzazioni” che possono percepire denaro sia i provider accreditati per l’ECM, sia soprattutto le società di servizi, attualmente in pole position per trasferimenti di denaro.
  • Allineare il “Registro pubblico telematico” agli standard degli Open Data, già utilizzati dal Ministero della Salute.
  • Escludere dal testo di legge il monitoraggio delle “relazioni di interesse” che non prevedono transazione finanziarie, che finirebbero per sovraccaricare il “Registro pubblico telematico” con un’enorme mole di dati irrilevanti ai fini della prevenzione di comportamenti opportunistici e illeciti,  alimentando inutilmente la cultura del sospetto.

Il video integrale dell’audizione è disponibile a: www.gimbe.org/audizione_sunshine_act


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8 ottobre 2018
Manovra. Il debito pubblico cresce, ma alla sanit&#224; non spettano nemmeno le briciole

DALL’ANALISI GIMBE DELLA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DEF 2018 EMERGONO TUTTE LE CONTRADDIZIONI DI UNA MANOVRA CHE PORTA ALLE STELLE IL DEBITO SACRIFICANDO LE TUTELE PUBBLICHE. LA SANITÀ CONTINUA INFATTI A RIMANERE FUORI DALL’AGENDA POLITICA E NONOSTANTE LE DICHIARAZIONI DI INTENTI DEL CONTRATTO DI GOVERNO NESSUN RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, POCHI INTERVENTI REALMENTE INNOVATIVI E DUBBI SULLE REALI COPERTURE. CALA IL SILENZIO SU RINNOVI CONTRATTUALI, SBLOCCO DEI NUOVI LEA ED ELIMINAZIONE DEL SUPERTICKET.

8 ottobre 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

La Nota di aggiornamento al DEF (NaDEF) 2018 conferma tutti gli impegni più “popolari” presi in campagna elettorale da M5S e Lega. Tenendo conto dell’enorme indebitamento, dell’incertezza sulle coperture e della prima “bocciatura” da parte dell’UE, è evidente che per la sanità nella prima Legge di Bilancio giallo-verde il triennio 2019-2021 è buio pesto. Unica ragionevole certezza è che il miliardo aggiuntivo stanziato dal precedente Esecutivo rimarrà indenne, con un finanziamento pubblico per il 2019 di € 114,396 miliardi.

«Dopo quasi un decennio di tagli e definanziamenti destinati al risanamento della finanza pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – da un Governo che si definisce “del Cambiamento” ci si aspettava che la sanità pubblica fosse rimessa al centro dell’agenda politica, tenendo conto del programma contenuto nel “Contratto”. Invece, nonostante l’aumento del debito pubblico, tutela della salute, ricerca e sviluppo e innovazione non hanno diritto di cittadinanza nella manovra di fine anno».

Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio, al fine di ridurre vane aspettative, la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2018 relativamente a: 1. Revisione delle stime finanziarie. 2. Problematiche rilevanti identificate.  3. Azioni previste.

  1. Revisione delle stime finanziarie
  • La NaDEF 2018 azzarda una crescita del PIL del 3,1% nel 2019 che schizza al 3,5% nel 2020 per poi tornare al 3,1% nel 2021, ma contiene l’aumento percentuale della spesa sanitaria a 0,8% nel 2019, 1,9% nel 2020 e 2% nel 2021. Questo primo dato certifica che la crescita della spesa sanitaria nel triennio 2019-2021 rimane ben al di sotto di quella stimata per il PIL nominale; inoltre, considerato che l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale dei prezzi al consumo, la restrizione in termini di spesa reale è ancora più marcata.
  • Rispetto al DEF 2018, la NaDEF 2018 aumenta dello 0,1% per anno il rapporto spesa sanitaria/PIL (6,5% nel 2019 e 6,4% nel 2020 e nel 2021), ma non conferma l’attesa inversione di tendenza annunciata dal Premier Conte in occasione del discorso per la fiducia. Parallelamente aumentano le stime della spesa sanitaria rispetto al DEF 2018: € 117,239 miliardi per il 2019 (+ € 857 milioni), € 119,452 per il 2020 (+ € 880 milioni) e € 121,803 per il 2021 (+ € 909 milioni).
  • Rimane poco comprensibile il notevole incremento (+ 2,4%) della spesa sanitaria dal 2017 al 2018 stimato in ben € 2,732 miliardi: dai € 113,6 miliardi già certificati per il 2017 ai € 116,331 stimati per il 2018. Considerato che tutte le Regioni hanno raggiunto un sostanziale pareggio di bilancio, come interpretare gli oltre € 2,9 miliardi di spesa sanitaria previsti nel 2018? È un via libera a spendere in libertà in questi ultimi due mesi? Concretizza una (inverosimile) “iniezione” straordinaria di liquidità di fine anno? Oppure si tratta di una sofisticata mossa contabile, se non di una clamorosa svista?
  1. Problematiche rilevanti identificate. In questa sezione alcune clamorose contraddizioni. Si vuole “migliorare la garanzia dell’erogazione dei LEA in modo uniforme su tutto il territorio nazionale”, ma il Governo ha già confermato il via libera al regionalismo differenziato che aumenterà le diseguaglianze. Si propone di aumentare l'attenzione per la promozione e la prevenzione della salute, senza prevedere azioni correlate né tantomeno risorse. «Infine – commenta il Presidente –  anacronistico affermare che bisogna “prepararsi ai cambiamenti derivanti dal progresso scientifico e dall’innovazione tecnologica”, ovvero si continua ad ignorare il ritardo decennale nell’adozione di tecnologie innovative per trasformare l’assistenza sanitaria».

 

  1. Azioni previste
  • Personale. Confermata la volontà di “completare i processi di assunzione e stabilizzazione del personale” e l’aumento delle borse di studio per medicina generale e specializzazioni. Il costo già stimato dalla Fondazione GIMBE è di € 1,1 miliardi per assumere 20.000 professionisti sanitari, di € 250-300 milioni per le borse di studio di specializzazione e € 40 milioni (già stanziati) per il corso di formazione specifica in medicina generale. Nessun cenno ai rinnovi contrattuali (stima € 1 miliardo).
  • Miglioramento della governance della spesa sanitaria. Azioni limitate a farmaci e dispositivi: risoluzione dei contenziosi sul payback farmaceutico, nuove modalità di calcolo di scostamenti dai vincoli della spesa farmaceutica per acquisti diretti e del tetto della farmaceutica convenzionata 2017-2018, adeguamento per il 2019 dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci, specifiche direttive per l’acquisizione delle categorie merceologiche sanitarie. Nessuna stima delle risorse potenzialmente recuperabili da tali azioni.
  • Promozione dell’innovazione e della ricerca. Oltre all’istituzione dell’Anagrafe Nazionale dei Vaccini proposte l’implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico in tutte le Regioni, la connessione dei vari sistemi informativi per tracciare il percorso del paziente e l’estensione della tracciabilità dei medicinali al settore veterinario. Non stimati gli investimenti necessari e le risorse recuperabili.
  • Attuazione, monitoraggio e aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Previste due azioni rilevanti: la definizione degli standard per l’assistenza territoriale e l’avvio del nuovo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa. Nessun cenno allo sblocco dei nomenclatori tariffari dei “nuovi” LEA per i quali manca la copertura finanziaria (stima Ministero € 800 milioni, stima Regioni € 1.600 milioni), né di effettuare un consistente “sfoltimento” delle prestazioni incluse. Subordinata alla “garanzia degli equilibri economico-finanziari del SSN” la revisione della disciplina della compartecipazione alla spesa e delle esenzioni. Nessun cenno all’eliminazione del superticket.
  • Investimenti nel patrimonio edilizio sanitario e ammodernamento tecnologico delle attrezzature. Una cabina di regia definirà le priorità per gli interventi di edilizia sanitaria relative all’adeguamento antisismico (zone I e II), all’osservanza delle norme antincendio e all’adeguato ammodernamento tecnologico. Nessuna stima delle risorse necessarie, né alcun riferimento a quelle della Corte dei Conti che ha stimato in € 32 miliardi il costo per ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico.

«La prima cartina al tornasole – conclude Cartabellotta – con cui il “Governo del Cambiamento” poteva dimostrare che il rilancio del SSN è una priorità politica, è già andata in fumo: infatti, senza invertire la tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL è impossibile un consistente rilancio del finanziamento pubblico nel prossimo triennio. Manca un approccio di sistema per salvare il SSN, le azioni innovative e rilevanti previste per la sanità sono poche, e la copertura finanziaria è al momento molto incerta. Infine, il silenzio sul rinnovo dei contratti e sul via libera ai nuovi LEA, lascia ancora più perplessi sulla volontà dell’Esecutivo di rilanciare la sanità pubblica ed aumentare le tutele pubbliche».


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2 ottobre 2018
Manovra 2019: alla Sanit&#224; pubblica servono 4 miliardi

ANALISI GIMBE: PER RINNOVI CONTRATTUALI, SBLOCCO DEL TURNOVER, EROGAZIONE DEI NUOVI LEA, ELIMINAZIONE SUPERTICKET E BORSE DI STUDIO PER SPECIALIZZANDI, IL FONDO SANITARIO NAZIONALE RICHIEDEREBBE COMPLESSIVAMENTE UN AUMENTO DI 4 MILIARDI DI EURO, DI CUI AL MOMENTO È CONFERMATO SOLO IL MILIARDO ASSEGNATO DALLA PRECEDENTE LEGISLATURA. LA NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DEF 2018 E LA LEGGE DI BILANCIO 2019-2021 CRUCIALI PER LE SORTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.

Alla vigilia della discussione sulla Legge di Bilancio 2019 numerose legittime richieste degli stakeholder della sanità rischiano di rimanere disattese. Al momento, infatti, le risorse necessarie sembrano ben lontane da quelle che il nuovo Esecutivo potrà assicurare alla sanità pubblica per la quale, dopo anni di cocenti delusioni, sono progressivamente maturate grandi aspettative visto che il “Contratto per il Governo del Cambiamento” mette nero su bianco il sospirato rilancio del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

«Anche se tutte le istanze di Regioni, professionisti sanitari, organizzazioni civiche e industria – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – mirano a soddisfare inderogabili necessità per il SSN, s’impone una dose di sano realismo perché al momento manca un’adeguata copertura finanziaria. Infatti, nonostante l’ardita scelta del Governo di fissare il deficit al 2,4% del PIL, dall’entusiasmo dei due vice-premier non è “trasudata” alcuna liquidità aggiuntiva per la sanità, per la quale è stata esclusa solo l’ipotesi di nuovi tagli».

Per facilitare il confronto tra Governo e Regioni sulle priorità che possono essere realmente finanziate dalla Legge di Bilancio 2019, la Fondazione GIMBE ha messo ordine tra le cifre in ballo, a volte sovrastimate in maniera opportunistica dai singoli stakeholder, a volte divenute oggetto di strumentalizzazione politica.

Fondo Sanitario Nazionale 2019. Rimane quello fissato dalla Legge di Bilancio 2017 così come rideterminato dal Decreto 5 giugno 2017, ovvero € 114,396 miliardi. In altri termini, l’attuale Governo al momento non ha previsto alcun aumento del fondo sanitario nazionale, visto che il miliardo di euro in più rispetto al 2018 era già stato definito dal precedente Esecutivo.

Priorità per la sanità nella Legge di Bilancio 2019:

  • Rinnovi contrattuali: € 1.000 milioni. Tale stima, riportata nel luglio 2018 dal Presidente della Commissione salute alla Conferenza Stato Regioni Saitta in audizione presso la Commissione Igiene e Sanità, è inclusiva di quanto recentemente stimato dall’ARAN per la dirigenza medica e veterinaria: € 560 milioni, di cui 500 per l'aumento del 3,48% degli stipendi pubblici e 60 per garantire l'indennità di esclusività della massa salariale. Per i fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza nel 2019 sono disponibili € 30 milioni, dei € 437 milioni totali stanziati dalla Legge di Bilancio 2018 sino al 2026.
  • Sblocco turnover: € 1.100 milioni. La stima del Presidente Saitta coprirebbe circa 20.000 assunzioni nel SSN, previa rimozione del vincolo di spesa sui valori del 2004 ridotta dell’1,4%.
  • Borse di studio per il corso di formazione specifica in medicina generale: € 40 milioni. Già assegnati dal fondo sanitario, secondo quanto dichiarato dalla Ministra Grillo, per finanziare insieme alle Regioni 840 borse aggiuntive per un totale di 2.093.
  • Borse di studio per le scuole di specializzazione: € 250-300 milioni. Il Presidente Saitta stima 2.600 borse non finanziate rispetto al fabbisogno formativo a un costo medio annuo di circa € 25.000. La stima complessiva non può tuttavia essere precisa, sia per la differente durata delle scuole di specializzazione, sia perché il numero di borse appare sovrastimato anche alla luce del poco noto fenomeno delle “borse perdute” che deve essere necessariamente arginato.
  • Nuovi LEA: € 800 / € 1.600 milioni. La prima stima è della relazione tecnica che ha dato il via libera alla “bollinatura” del testo del DPCM sui nuovi LEA da parte della Ragioneria Generale dello Stato; la seconda è della Conferenza delle Regioni e Province autonome che ritiene insufficiente tale copertura perché contabilizza potenziali risparmi. Nonostante il tema sia un po’ passato di moda, va ribadito che i nomenclatori tariffari rimangono in “ostaggio” del MEF proprio per la mancata copertura finanziaria e, di fatto, i nuovi LEA non sono esigibili sulla maggior parte del territorio nazionale.
  • Eliminazione superticket € 350 milioni: secondo quanto riportato dalla Corte dei Conti nel Rapporto sul Coordinamento della Finanza Pubblica 2018, il superticket nel 2017 ha “pesato” per € 413,7 milioni, da cui sono stati decurtati nella stima i € 60 milioni già stanziati dalla Legge di Bilancio 2018, ma non ancora utilizzati per mancato accordo sulla bozza di decreto da parte della Conferenza delle Regioni e province autonome. Peraltro, la stima potrebbe essere sovrastimata perché alcune Regioni nel corso del 2018 hanno già deliberato la sua eliminazione parziale o totale.
  • Ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico: € 32.000 milioni. La stima complessiva è riportata dalla Corte dei Conti nella Deliberazione 9 marzo 2018 “L’attuazione del programma straordinario per la ristrutturazione edilizia l’ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario”.
  • Residuo pay-back farmaceutico 2013-2016: circa € 920 milioni. Tale importo, quasi interamente contabilizzato come entrata nel bilancio dello Stato, è attualmente oggetto di contenzioso e potrebbe, seppur in parte, trasformarsi in una voce di passività per la finanza pubblica.

Escludendo i potenziali effetti del contenzioso sul pay-back, oltre che ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico che richiedono un piano pluriennale di investimenti che non possono gravare sul fondo sanitario, e stimando realisticamente in € 1.200 milioni l’impatto dei nuovi LEA per sbloccare i nomenclatori tariffari, la cifra necessaria per il fondo sanitario 2019 raggiunge i € 4 miliardi. «Una simile disponibilità di risorse nel 2019 – commenta il Presidente – è assolutamente irrealistica nonostante l’impegno della Ministra Grillo a reperire altri fondi, la sua determinazione a non farsi “commissariare dal MEF” e la possibilità di recuperare ulteriori risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze. Infatti la sanità, al momento, non rappresenta affatto una priorità per Di Maio e Salvini».

«Per verificare se il rilancio del SSN è realmente una priorità politica del Governo per il cambiamento – conclude Cartabellotta – due sono le cartine al tornasole: la Legge di Bilancio 2019 dovrà comunque destinare per il triennio 2019-2021 le risorse necessarie alle priorità sopra riportate e alla nota di aggiornamento del DEF 2018 (non ancora pervenuta!) spetterà documentare l’inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL. Se così non fosse, il 23 dicembre invece di festeggiare il 40° compleanno del SSN, prepariamoci serenamente a intonarne il requiem».


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19 settembre 2018
Sanità, GIMBE analizza le promesse del Governo: intenzioni buone, ma rilancio del Servizio Sanitario Nazionale ancora lontano

IL “CONTRATTO PER IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO” DICHIARA ESPLICITAMENTE LA VOLONTÀ DI TUTELARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, ESCLUDENDO OGNI FORMA DI PRIVATIZZAZIONE. TUTTAVIA, L’ANALISI INDIPENDENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE IDENTIFICA TRE AZIONI CRUCIALI CHE RESTANO FUORI DAL CONTRATTO: ESPLICITO RILANCIO DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, RIDEFINIZIONE DEL PERIMETRO DEI LEA, RIORDINO DELLA SANITÀ INTEGRATIVA. LA MANCATA STIMA ECONOMICA DELLE PROPOSTE E IL VIA LIBERA AL REGIONALISMO DIFFERENZIATO RAPPRESENTANO ULTERIORI OSTACOLI AL TANTO ATTESO RILANCIO DELLA SANITÀ PUBBLICA.

Il capitolo Sanità del “Contratto per il Governo del Cambiamento” si apre con una rassicurante dichiarazione di intenti che esclude in maniera assoluta ogni forma di privatizzazione del SSN e conferma la volontà di tutelare equità ed universalismo,  princìpi fondanti della L. 833/78: “È prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Tutelare il SSN significa salvaguardare lo stato di salute del Paese, garantire equità nell’accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”.

«Nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo condotto un’analisi integrale del “Contratto per il Governo del Cambiamento” per verificare la coerenza delle proposte relative a sanità e ricerca biomedica con i 12 punti del “piano di salvataggio” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) elaborato dalla Fondazione GIMBE e validato tramite consultazione pubblica».

Nelle 12 tabelle analitiche, per ciascuna proposta identificata, è stato inserito ove opportuno un commento con eventuali note bibliografiche. Successivamente, previa verifica di coerenza e completezza delle proposte per attuare ciascuno dei 12 item del “piano di salvataggio” GIMBE, è stata realizzata una tabella sinottica (allegato) che riporta la valutazione complessiva del “Contratto per il Governo del Cambiamento”. 

«La nostra analisi – puntualizza il Presidente – dimostra che il “Contratto per il Governo del Cambiamento” non getta solide basi per mettere in sicurezza la più grande conquista sociale dei cittadini italiani, già ereditata in “condizioni di salute” non ottimali».  Rispetto alla 4 macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN identificate dal 3° Rapporto GIMBE (definanziamento, “paniere LEA” troppo ampio, sprechi e inefficienze, espansione della sanità integrativa), il “Contratto per il Governo del Cambiamento” contiene sì un programma molto dettagliato e potenzialmente efficace per ridurre sprechi e inefficienze, ma:

  • non annuncia esplicitamente un aumento nominale del fondo sanitario nazionale, né un’inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL;
  • non prevede alcuna ridefinizione del perimetro dei LEA, oggi sproporzionati rispetto al finanziamento pubblico ed esigibili su tutto sul territorio nazionale solo sulla carta;
  • non fa alcun cenno all’inderogabile riordino legislativo della sanità integrativa che oggi, con le seducenti promesse del “secondo pilastro”, favorisce derive consumistiche e di privatizzazione.

Inoltre, anche se numerose proposte sono coerenti con gli item del “piano di salvataggio” GIMBE, il “Contratto per il Governo del Cambiamento” non definisce mai l’entità delle risorse necessarie per finanziarle. Infine, il “Contratto per il Governo del Cambiamento” dà il via libera al regionalismo differenziato che rappresenta una reale minaccia all’universalismo del SSN, visto che le autonomie previste in sanità non potranno che amplificare le diseguaglianze regionali.

Nonostante le buone intenzioni del “Contratto per il Governo del Cambiamento” e l’impegno della Ministra Grillo nei primi 100 giorni di mandato, è certo che il rilancio del SSN non rientra al momento tra le priorità dell’Esecutivo, già in difficoltà a soddisfare tutte le promesse elettorali più popolari (flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della legge Fornero) nel rispetto del tetto di deficit previsto dal Patto di Stabilità e Crescita europeo. «Considerato che a breve termine mancano le risorse per rifinanziare in maniera consistente il SSN – commenta Cartabellotta – il banco di prova per la sanità non può essere la Legge di Bilancio 2019 che nella migliore delle ipotesi potrà garantire il “consueto” miliardo di euro che negli ultimi anni ha coperto solo il costo dell’inflazione».

«Guardando avanti con un pizzico di ottimismo – conclude il Presidente –  per confermare le buone intenzioni del “Contratto per il Governo del Cambiamento” sul destino della sanità pubblica, il primo segnale concreto dovrebbe arrivare tra pochi giorni con la nota di aggiornamento del DEF 2018. In particolare, si attende quell’inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/PIL annunciata anche dalle parole del Premier Conte nel discorso per la fiducia. Se così non fosse, le rassicuranti dichiarazioni di intenti con cui si apre il capitolo Sanità nel “Contratto per il Governo del Cambiamento” rimarranno lettera morta, lasciando ancora una volta che sia il futuro a prendersi cura del SSN». 

Il Report “Analisi delle proposte su sanità e ricerca biomedica del “Contratto per il Governo del Cambiamento”” è disponibile all’indirizzo web: www.gimbe.org/contratto-governo.


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7 settembre 2018
Nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

SI CONCLUDE OGGI LA SUMMER SCHOOL GIMBE SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI, DESTINATA A 30 GIOVANI STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI SELEZIONATI CON UN BANDO NAZIONALE E REALIZZATA GRAZIE AL SUPPORTO NON CONDIZIONANTE DI ASSOGENERICI AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

Volge al termine la seconda edizione della “Summer School on… Metodologia dei Trial Clinici”, realizzata dalla Fondazione GIMBE nell’ambito del programma GIMBE4young, con il sostegno non condizionante di Assogenerici. Obiettivo: preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente, determinando inevitabilmente lo spreco di preziose risorse, oltre alla persistenza di numerose aree grigie».

La conferma giunge dalla comunità scientifica internazionale che, con la campagna Lancet REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità, per cui molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica; senza contare il fatto che oltre la metà dei trial vengono pianificati senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando inutili duplicazioni». Altri dati inquietanti giungono dagli studi più recenti: più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

Enrique Häusermann - presidente di Assogenerici - sottolinea: «Per il secondo anno Assogenerici ha scelto di finanziare le borse di studio destinate a giovani medici e farmacisti per la partecipazione alla Summer Schoool GIMBE sulla metodologia dei trial clinici: riteniamo che questi corsi rappresentino, oltre ad una straordinaria opportunità di crescita personale per i giovani, anche un forte e prezioso aiuto per il Servizio Sanitario Nazionale che soffre di gravi problemi di sostenibilità».

«Le aziende di Assogenerici – prosegue Häusermann – non effettuano generalmente studi clinici di base sui farmaci innovativi ma avvertono la necessità di disporre in Italia di un gruppo di giovani esperti che possano dedicarsi ai trial clinici relativi alle bioequivalenze, studi che sono generalmente appannaggio di istituzioni estere. Per questo credo che la partnership con la Fondazione GIMBE serva a costruire anche una maggiore consapevolezza dei professionisti di domani sui temi della ricerca farmacologica, dell’acceso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse”.».

Alla Summer School hanno partecipato 30 giovani studenti, medici e farmacisti selezionati con un bando nazionale fra più di 200 candidati, testimonianza indiretta del bisogno formativo sulla metodologia delle sperimentazioni cliniche.

«È per noi motivo di grande soddisfazione – conclude Cartabellotta – avere avuto la possibilità di trasferire a questi giovani le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici, e permettere loro di sviluppare 4 protocolli di studio: dalla identificazione dei gap di conoscenza, alla elaborazione del quesito di ricerca, alla definizione di tutti i requisiti elementi etici e metodologici richiesti dagli standard internazionali per i trial clinici».

L’impegno della Fondazione GIMBE per indirizzare le nuove generazioni di professionisti verso un modello di pratica clinica basata sulle evidenze, centrata sul paziente, consapevole dei costi e ad elevato value continua con numerose altre iniziative: www.gimbe4young.it


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4 settembre 2018
Lo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale a 40 anni di età: il check-up GIMBE

DALLE ANALISI DELL’OSSERVATORIO GIMBE SULLE CLASSIFICHE INTERNAZIONALI EMERGE CHE NON È PIÙ TEMPO DI ILLUDERSI CON LE PRESTIGIOSE POSIZIONI DELLA SANITÀ ITALIANA CONQUISTATE IN TEMPI REMOTI, OPPURE IN CLASSIFICHE CHE NE SOVRASTIMANO LA QUALITÀ. OGGI IL SISTEMA PIÙ COMPLETO E AGGIORNATO PER VALUTARE LE PERFORMANCE DEI SISTEMI SANITARI È QUELLO DELL’OCSE, DOVE GIMBE, IN OCCASIONE DEI 40 ANNI DEL SSN, HA IDENTIFICATO PUNTI DI FORZA E CRITICITÀ DEL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE AL FINE DI PREDISPORRE LE AZIONI DI MIGLIORAMENTO.

Le classifiche internazionali che confrontano le performance dei sistemi sanitari mantengono un grande fascino e vengono spesso utilizzate nel dibattito pubblico in maniera opportunistica. Tuttavia, misurare la qualità di un sistema sanitario nelle sue varie dimensioni è molto complesso e, di conseguenza, numerose variabili condizionano tali classifiche: tipologia di sistema sanitario, numero di paesi inclusi, numero e tipologia di indicatori, dimensioni della performance prese in considerazione, fonti dei dati e criticità relative al loro utilizzo e alle tempistiche di aggiornamento.

«Al fine di verificare dove si colloca realmente il SSN nel confronto con gli altri paesi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo innanzitutto condotto una revisione sistematica ed un’analisi metodologica degli strumenti elaborati da otto organizzazioni internazionali per valutare l’affidabilità delle varie “classifiche”, da cui emergono alcune raccomandazioni chiave per il loro utilizzo nel dibattito pubblico e, soprattutto, nelle comunicazioni istituzionali».

  • La classifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), pubblicata nel 2000 utilizzando dati del 1997, continua ad essere utilizzata per decantare il 2° posto del nostro SSN, ma oggi riveste solo un valore storico e non dovrebbe più essere citata.
  • La classifica Bloomberg misura esclusivamente l’efficienza dei sistemi sanitari, mettendo in relazione l’aspettativa di vita con la spesa pro-capite, sovrastimando la qualità del nostro SSN (3° posto), sia perché la longevità dipende soprattutto da altre determinanti della salute, sia perché la riduzione della spesa sanitaria ci ha permesso di scalare la classifica.
  • Euro Health Consumer Index, per l’aggiornamento annuale, la valutazione multidimensionale, la considerazione del punto di vista del cittadino-paziente e l’identificazione di specifiche aree di miglioramento, è una classifica molto affidabile: qui il nostro SSN si colloca al 20° posto su 35 paesi europei (nel 2006 era 11° su 26 paesi).
  • Il sistema dell’OCSE è il più completo e aggiornato per valutare le performance e individuare le aree di miglioramento: infatti non elabora alcuna classifica, ma permette di identificare la posizione del nostro SSN rispetto agli altri paesi per 76 indicatori raggruppati in 9 categorie.

«Abbiamo analizzato performance e posizione dell’Italia per tutti gli indicatori OCSE – puntualizza il Presidente – elaborando per ciascuna delle 9 categorie una tabella che riporta per ogni indicatore la posizione in classifica dell’Italia, il dato nazionale e la media OCSE». Dall’analisi GIMBE si riportano di seguito le migliori/peggiori performance del SSN:

Stato di salute. Siamo in 4a posizione per aspettativa di vita alla nascita, ma in fondo alla classifica per mortalità cerebrovascolare (25°) e tumore (26°) e per basso peso alla nascita (29°).

Fattori di rischio. L’Italia conquista la 3a posizione per consumo giornaliero di frutta negli adulti e la 4a per bassa incidenza di sovrappeso o obesità negli adulti, ma emerge in tutta la sua gravità il peggioramento degli stili di vita nelle nuove generazioni: 28° posto per attività fisica moderata/intensa quotidiana negli adolescenti e 30° per percentuale di adolescenti fumatori.

Accesso alle cure. Ai primi posti per tempi di attesa per intervento di cataratta (2°), protesi di ginocchio (3°) e d’anca (4°); al 20° posto per incidenza della spesa sanitaria out-of-pocket sui consumi totali delle famiglie.

Qualità dell’assistenza ed esiti di salute. L’Italia conquista il podio per diversi indicatori: basso numero di ricoveri per diabete negli adulti (1°), bassa percentuale di ritenzione di materiale estraneo durante interventi chirurgici (1°), bassa percentuale di traumi ostetrici (2°), basso numero di ricoveri per asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva negli adulti (2°), bassa mortalità a 30 giorni dopo ricovero per infarto del miocardio (2°), bassa percentuale di amputazione degli arti inferiori in pazienti diabetici adulti (3°). Siamo in fondo alla classifica per diverse vaccinazioni in età pediatrica [epatite B (22°), difterite, tetano e pertosse (31°) e morbillo (44°)], per mortalità per carcinoma della mammella e del colon-retto (24°), per prescrizioni di antibiotici (28°) e per leucemia in età pediatrica (32°).

Personale. Il nostro Paese si colloca sotto la media OCSE per la maggior parte degli indicatori, occupando il fondo della classifica per percentuale di medici ≥ 55 anni (30°), per numero di laureati in scienze infermieristiche (31°) e per rapporto medici/infermieri (35°).

Erogazione dell’assistenza. Siamo al 4° posto per disponibilità di apparecchiature per la risonanza magnetica (ma non rendiamo noto il numero di esami effettuati), in fondo alla classifica per tagli cesarei (27°) e per degenza media del ricovero ospedaliero dopo infarto del miocardio (30°).

Farmaceutica. Conquistiamo la 4a posizione per farmacisti occupati, ma occupiamo il fondo alla classifica (26°) per utilizzo di farmaci equivalenti.

Invecchiamento e long-term care. A fronte di posizioni eccellenti per aspetti demografici (2° posto per percentuale di popolazione ≥65 anni e ≥ 80 anni), precipitiamo al 20° posto per aspettativa di vita in buona salute a 65 anni, al 21° per limitazioni nelle attività della vita quotidiana negli adulti ≥65 anni, al 24° posto per la percentuale di adulti di età ≥65 anni che percepiscono uno stato di salute buona o ottima, al 28° per posti letto in strutture per la long term care e al 43° per elevata prevalenza della demenza.

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – dimostrano che non è più tempo di illudersi utilizzando in maniera opportunistica le prestigiose posizioni del nostro SSN riferite a classifiche obsolete (2° posto OMS), oppure che mettono in relazione l’aspettativa di vita con la spesa sanitaria pro-capite (3° posto Bloomberg). Piuttosto, grazie al completo e aggiornato sistema OCSE, occorre individuare le criticità e predisporre le azioni di miglioramento per allinearsi a standard internazionali».

Il Report “Il Servizio Sanitario Nazionale nelle classifiche internazionali” è disponibile all’indirizzo web: www.gimbe.org/classifiche_SSN


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29 agosto 2018
Malattia di Parkinson: pazienti e familiari al centro di percorsi assistenziali condivisi

NONOSTANTE UN RILEVANTE IMPATTO CLINICO, SOCIALE ED ECONOMICO, PER LA GESTIONE DELLA MALATTIA DI PARKINSON ESISTONO IN ITALIA ANCORA POCHI CENTRI SPECIALIZZATI E LA MAGGIOR PARTE DELLE REGIONI NON DISPONE DI PERCORSI ASSISTENZIALI CONDIVISI BASATI SU LINEE GUIDA AGGIORNATE E DI BUONA QUALITÀ. PER DECISORI, PROFESSIONISTI, PAZIENTI E FAMILIARI LA FONDAZIONE GIMBE HA REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER LA DIAGNOSI E LA TERAPIA DELLA MALATTIA DI PARKINSON.

In Italia sono circa 250.000 i pazienti affetti da malattia di Parkinson, numero destinato ad aumentare in maniera consistente visto che ogni anno si registrano circa 6.000 nuovi casi, con un’incidenza maggiore negli uomini rispetto alle donne. Il 70% dei malati di Parkinson ha più di 65 anni, mentre nel 5% dei casi la malattia insorge prima dei 50 anni. I pazienti con malattia di Parkinson presentano generalmente sintomi motori quali bradicinesia, rigidità, tremore a riposo e instabilità posturale che conducono ad una progressiva disabilità motoria con relativa perdita di indipendenza, isolamento sociale, rischio di cadute e traumi. Talora prevalgono sintomi non motori quali depressione, deficit cognitivi, dell’attenzione, del linguaggio e disturbi delle funzioni autonomiche.

Durante il decorso della malattia il paziente parkinsoniano, oltre al medico di medicina generale, entra in contatto con diversi specialisti (neurologo, neurofisiologo, neuroradiologo, neurochirurgo, geriatra, internista fisiatra, psichiatra, ortopedico, urologo, nutrizionista, genetista), altri professionisti sanitari (infermiere, fisioterapista, logopedista, psicologo, terapista occupazionale) e socio-sanitari (assistenti sociali, volontari) che spesso erogano singole prestazioni sanitarie in maniera autonoma e senza reciproco coordinamento.

«La malattia di Parkinson – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è una patologia neurodegenerativa dall’impatto socio-sanitario rilevante con ripercussioni sulla qualità di vita di migliaia di famiglie. In Italia la sua gestione, oltre ad essere influenzata dalla mancanza di strategie preventive e di una terapia risolutiva, è condizionata negativamente dal fatto che esistono ancora pochi centri specializzati e la maggior parte delle Regioni non dispone di specifici percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA), che dovrebbero sempre essere basati su linee guida recenti di buona qualità metodologica».

Per tale ragione, in attesa dell’aggiornamento delle linee guida nazionali pubblicate nel 2013, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana delle linea guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.

«Le linee guida NICE – continua il Presidente – sottolineano la necessità di coinvolgere paziente, familiari e caregiver in tutte le decisioni terapeutiche e di prendere in considerazione condizioni cliniche, bisogni e circostanze di vita dei pazienti, oltre che obiettivi terapeutici e preferenze sui potenziali benefici ed effetti collaterali dei diversi farmaci».

Particolare attenzione viene dedicata al disturbo del controllo degli impulsi che consiste nell’impossibilità di resistere alla tentazione di eseguire atti dannosi per sé stessi o per altri (gioco d’azzardo e shopping compulsivo, ipersessualità, alimentazione incontrollata), quali effetti collaterali della terapia dopaminergica nel 14-24% dei pazienti. Il disturbo del controllo degli impulsi, difficile da riconoscere soprattutto se i pazienti nascondono i loro comportamenti, può causare stress a pazienti, familiari e caregiver, difficoltà finanziarie, sino a condanne penali.

«Considerato che gli esiti clinici nei pazienti con malattia di Parkinson – conclude Cartabellotta – sono strettamente legati, oltre che all’appropriatezza delle prescrizioni farmacologiche, ad interventi non farmacologici (fisioterapia, terapia occupazionale, terapia cognitivo comportamentale) erogati da una rete multiprofessionale di servizi, auspichiamo che questa linea guida possa rappresentare un riferimento per la costruzione di PDTA regionali e locali».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento della malattia di Parkinson” sono disponibili a: www.evidence.it/parkinson.


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6 agosto 2018
Bagarre vaccini: il consenso politico più importante della salute dei bambini?

IL CRESCENTE DISSENSO SUI SOCIAL NEI CONFRONTI DELLA LINEA “MORBIDA” DELLA MINISTRA GRILLO, RIPETUTAMENTE SOLLECITATA AD ABOLIRE L’OBBLIGO VACCINALE, HA SPINTO LE FRANGE ESTREME DELL’ESECUTIVO A TENTARE UNO SCELLERATO “COLPO DI CODA” INCURANTE DELLE CONSEGUENZE PER LA SALUTE DEI BAMBINI. IL SILENZIO DI CONTE E I PROCLAMI DI SALVINI E DI MAIO CONTINUANO AD IGNORARE LA SCIENZA, PER CUI SOLO I TEMPI RISTRETTI PER APPROVARE IL DECRETO MILLEPROROGHE POTRANNO TUTELARE LA SALUTE DEI BAMBINI.

6 agosto 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

Nel Contratto di Governo siglato da Lega e MoVimento 5 Stelle ai vaccini è dedicato un solo paragrafo dal quale emergono tre intenzioni politiche fondamentali:

  • garantire le necessarie coperture vaccinali al fine di tutelare la salute, non solo dei singoli, ma anche della collettività;
  • affrontare la tematica del giusto equilibrio tra il diritto alla salute e quello all’istruzione;
  • tutelare i bambini a potenziale rischio di esclusione sociale.

 

«Nonostante le posizioni individuali dei parlamentari nei confronti della Legge Lorenzin – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il Contratto di Governo non contiene affatto posizioni anti-vax: sicuramente annuncia un superamento della normativa vigente, ma non garantisce affatto le rivoluzioni disinvolte e immediate richieste da una consistente frangia dell’elettorato, in primis l’abolizione dell’obbligo vaccinale».

Il 25 luglio 2018, nel corso della presentazione delle linee programmatiche del Ministero della Salute alle Commissioni Affari Sociali della Camera e Igiene e Sanità del Senato, il Ministro Giulia Grillo ha interamente riportato quanto previsto dal Contratto di Governo, esplicitando quattro azioni ben precise:

  • Disegno di legge parlamentare per superare la legge Lorenzin
  • Realizzazione dell’anagrafe nazionale vaccini
  • Insediamento di un tavolo di esperti indipendenti per affrontare il fenomeno della diffidenza e del dissenso vaccinale e per aggiornare il Piano nazionale di prevenzione vaccinale.
  • Comunicazione sulla necessità delle vaccinazioni.

 

«Tali affermazioni – commenta il Presidente – se da un lato confermano la volontà del nuovo Esecutivo di affidare al dibattito parlamentare una nuova legge sui vaccini, annunciano interventi che introdurranno elementi di discontinuità rispetto alla legge Lorenzin, ma non sarebbe scientifico affermare che saranno necessariamente peggiorativi. D’altronde, l’approvazione della legge Lorenzin sui vaccini non ha trovato un consenso unanime tra la maggioranza della passata legislatura».

Con l’imminente avvio del nuovo anno scolastico, la Ministra della Salute il 5 luglio ha provato a tamponare il crescente dissenso sui social emanando una circolare per consentire l’ingresso a scuola con un’autocertificazione di avvenuta vaccinazione. «Evidentemente – sostiene Cartabellotta – tale linea è stata ritenuta “troppo morbida” dalle frange più estreme del Parlamento, che il 2 agosto hanno forzato la mano approvando due emendamenti identici che posticipano all’anno scolastico 2019-2020 l'effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie come requisito per l'ammissione alle scuole dell'infanzia».

Di conseguenza, l’inizio di agosto è stato ulteriormente infiammato da un forte dissenso del mondo della scienza e dei sostenitori dell’obbligo vaccinale che continuano giustamente a far leva sulle evidenze scientifiche, in particolare sul rischio che le coperture vaccinali, finalmente in rialzo, possano nuovamente precipitare con danni rilevanti per la salute dei bambini, in particolare di quelli più fragili.

«Purtroppo – puntualizza il Presidente – gli strumenti che la politica sta mettendo in campo dimostrano che la scienza non riveste alcun ruolo in queste decisioni. Considerato che il Ministro della Salute non è stato consultato sulle potenziali conseguenze per la salute dei bambini e nonostante il franco dissenso espresso anche da numerosi parlamentari della maggioranza, è evidente che l’unico obiettivo degli emendamenti è quello di tenersi ben stretta una consistente frangia di elettori».

In questo contesto surreale di mancato rispetto dei ruoli istituzionali - oltre che di metafore vergognose sulle pratiche vaccinali che umiliano professionisti sanitari, mamme e bambini – all’assordante silenzio del Premier Conte fanno eco solo i convergenti proclami dei suoi vice: “Educare e non obbligare” (Salvini) e “La scuola non è il luogo per obbligare i bambini a fare i vaccini” (Di Maio).

«Per fortuna – conclude Cartabellotta – il tempo gioca nell’interesse della salute dei bambini italiani: con le imminenti ferie parlamentari il riveduto DL Milleproroghe, in scadenza il 24 settembre, potrebbe non essere approvato prima dell’inizio dell’anno scolastico, vanificando questo scellerato “colpo di coda”. Rimane, in ogni caso, l’amara consapevolezza che la ricerca spasmodica del consenso elettorale, il mancato rispetto dei ruoli istituzionali e il totale disinteresse per dati ed evidenze scientifiche rappresentano una miscela letale per la salute delle persone».


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1 agosto 2018
I “migranti” della salute spostano 4,63 miliardi di euro, ma è un fiume di denaro ancora poco trasparente

DIBATTITO POLITICO E SCENA MEDIATICA DEDICANO SCARSA ATTENZIONE ALLA MOBILITÀ SANITARIA, UN FENOMENO CON ENORMI IMPLICAZIONI ETICHE, SOCIALI ED ECONOMICHE CHE COINVOLGE OGNI ANNO QUASI UN MILIONE DI PAZIENTI, OLTRE AI FAMILIARI. ANALIZZANDO CREDITI, DEBITI E SALDI DELLE REGIONI, LA FONDAZIONE GIMBE PUÒ SOLO DOCUMENTARE CHE IL FIUME DI DENARO SCORRE PREVALENTEMENTE DA SUD A NORD E, CONSIDERATA LA NECESSITÀ DI ANALISI PIÙ DETTAGLIATE, CHIEDE AL MINISTRO GRILLO DI RENDERE DISPONIBILI TUTTI I DATI SULLA MOBILITÀ SANITARIA.

1 agosto 2018 - Fondazione GIMBE, Bologna

I cittadini italiani possono esercitare il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, alimentando il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale. Sotto questo “cappello” si collocano la mobilità attiva – che identifica l’indice di attrazione di una Regione tramite prestazioni offerte a cittadini non residenti e rappresenta una voce di credito – e la mobilità passiva – che esprime l’indice di fuga da una Regione con le prestazioni erogate ai cittadini al di fuori della Regione di residenza e rappresenta una voce di debito. Le compensazioni finanziarie tra Regioni vengono regolate secondo un Testo Unico approvato dalla Conferenza Stato-Regioni che ha individuato 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso.

«Dall’elaborazione del report sulla mobilità sanitaria – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è emerso che sono pubblicamente disponibili solo i dati economici sulla mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma non i flussi finanziari integrali che ciascuna Regione invia al Ministero della Salute. Di conseguenza, è impossibile effettuare analisi più dettagliate per chiarire numerosi aspetti della mobilità interregionale in Italia».

Nel 2017 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.635,4 milioni, cifra che include anche i conguagli relativi al 2014 (€ 218,9 milioni) e al 2016 (€ 296,3 milioni), importi tuttavia non ancora definitivamente approvati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Mobilità attiva. Le Regioni con maggiori capacità attrattive sono Lombardia (25,2%) ed Emilia Romagna (13,3%), che insieme ricevono oltre 1/3 della mobilità attiva; un ulteriore 27% viene attratto da Veneto (8,7%), Toscana (7,8%), Lazio (7,7%) e Piemonte (4,5%). Il rimanente 33% della mobilità attiva si distribuisce nelle rimanenti 15 Regioni, oltre al Bambin Gesù (€ 195,4 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (€ 43,7 milioni). In generale, esiste una forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.

Mobilità passiva. Le Regioni con maggiore indice di fuga dei propri residenti sono Lazio (13,9%) e Campania (10,1%) che insieme contribuiscono a quasi il 25% della mobilità passiva; un ulteriore 29% riguarda Lombardia (7,7%), Calabria (7,5%), Puglia (7,4%), Sicilia (6,5%) e il 46,8% si distribuisce nelle rimanenti 15 Regioni. Rispetto alla mobilità passiva, se quasi tutte le Regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in grandi Regioni del Nord, in particolare in Lombardia, ma anche in Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Toscana, un fenomeno verosimilmente attribuibile a preferenze dei pazienti e agevolato dalla facilità di spostamento tra Regioni limitrofe con elevata qualità dei servizi sanitari.

«Dalla valutazione comparativa dei saldi – puntualizza il Presidente –  emerge che le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud». In particolare:

  • Saldo positivo rilevante (oltre € 100 milioni): Lombardia (€ 808,7 milioni), Emilia Romagna (€ 357,9 milioni), Toscana (€ 148,3 milioni) e Veneto (€ 161,4 milioni)
  • Sostanziale equilibrio:
    • Saldo positivo (< € 20 milioni): Molise, Umbria, Friuli Venezia Giulia,
    • Saldo negativo (< € 6 milioni): Prov. Aut. Bolzano, Valle d'Aosta, Prov. Aut. Trento
  • Saldo negativo moderato (da € 38 milioni a € 72 milioni): Basilicata, Liguria, Piemonte, Marche, Sardegna, Abruzzo
  • Saldo negativo rilevante (oltre € 100 milioni): Puglia (-€ 181 milioni), Sicilia (-€ 239,8 milioni), Lazio (-€ 289,2 milioni), Campania (-€ 302,1 milioni), Calabria (-€ 319,5)

 

«Il report GIMBE propone un nuovo indicatore – precisa Cartabellotta –  il “saldo pro-capite di mobilità sanitaria”, che permette di analizzare e interpretare i saldi in relazione alla popolazione residente determinando una ricomposizione della classifica, da cui emergono due dati molto rilevanti: il Molise sale sul podio insieme a Lombardia ed Emilia Romagna, mentre peggiora ulteriormente la posizione della Calabria, dove ciascun cittadino residente ha un saldo pro-capite negativo di € 163, superiore alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia Romagna».

«Considerata la complessità del fenomeno della mobilità sanitaria – conclude Cartabellotta – con i dati attualmente disponibili è impossibile effettuare analisi più dettagliate. Ecco perché la Fondazione GIMBE chiede ufficialmente al Ministro della Salute di rendere pubblicamente disponibili tutti i dati sulla mobilità sanitaria che le Regioni trasmettono al Ministero. Questo permetterebbe di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione di strutture pubbliche e private accreditate e la Regione di residenza dei cittadini che scelgono di curarsi lontano da casa, al fine di identificare quali dinamiche regolano le varie tipologie di mobilità regionale, di cui alcune sono “fisiologiche” ed altre francamente “patologiche”».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “La mobilità sanitaria interregionale nel 2017” è disponibile a: www.gimbe.org/mobilita_sanitaria2017.


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24 2018
Assistenza a bambini e adolescenti in fine vita: evitare l’accanimento, promuovere la condivisione

L’ASSISTENZA DI FINE VITA, PIUTTOSTO CHE SEGUIRE RIGIDI PROTOCOLLI, DOVREBBE ESSERE BASATA SULLE MIGLIORI EVIDENZE E PERSONALIZZATA SULLE PREFERENZE E I BISOGNI DEL PAZIENTE ELABORANDO IN ANTICIPO PIANI ASSISTENZIALI INDIVIDUALIZZATI. A TAL FINE FONDAZIONE GIMBE E FONDAZIONE ANT HANNO REALIZZATO LA VERSIONE ITALIANA DELLE LINEE GUIDA NICE PER L’ASSISTENZA AL FINE VITA DI NEONATI, BAMBINI E GIOVANI.

24 luglio 2018 - Fondazione GIMBE e Fondazione ANT Italia ONLUS, Bologna

Bambini e giovani possono essere affetti da patologie disabilitanti, che talora si prolungano per molti anni: per questi pazienti l’assistenza di fine vita dovrebbe essere gestita come un processo a lungo termine che inizia al momento della diagnosi (a volte prima della nascita) e rappresenta parte integrante dell’assistenza insieme ai trattamenti attivi per la patologia sottostante.

Nonostante la recente approvazione della “legge sul biotestamento”, In Italia professionisti e organizzazioni sanitarie non dispongono di linee guida recenti e affidabili per la gestione clinico-assistenziale di un momento della vita dove, indipendentemente dal setting assistenziale (ospedale, domicilio, hospice, ecc.), la cura (cure) deve lasciare il posto all’assistenza (care), nel pieno rispetto di scelte condivise con il paziente e con i suoi familiari.

«Spesso, anche a causa di pressanti richieste di familiari e caregiver poco informati – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’assistenza alle persone in fine vita, a maggior ragione se in età pediatrica, è caratterizzata da interventi diagnostico-terapeutici inappropriati non condivisi con il paziente, sconfinando nell’accanimento terapeutico che non rispetta preferenze e aspettative della persona, peggiora la qualità di vita e consuma preziose risorse».

«Per bambini o giovani affetti da patologie disabilitanti – continua il Presidente –  è indispensabile sviluppare in anticipo, nel momento più appropriato, un piano per l’assistenza attuale e futura: il piano assistenziale, che può anche essere definito prima della nascita, deve essere condiviso con il paziente e con i suoi genitori o caregiver, prevedendo la designazione di un medico specialista con il ruolo di case manager, oltre alle figure professionali e i servizi da coinvolgere».

Fondazione ANT ha da tempo avviato un servizio gratuito dedicato ai piccoli pazienti malati gestito da medici, infermieri e psicologi specializzati. «Il progetto “Bimbi in ANT” ci permette ogni giorno di essere vicini alle famiglie che si trovano ad affrontare la malattia di un figlio – commenta Raffaella Pannuti, Presidente ANT – perché in momenti così drammatici è fondamentale poter contare su un’assistenza multiprofessionale che permetta al bambino di essere curato tra le pareti di casa, in un’atmosfera il più possibile familiare».

Le linea guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), disponibili in italiano grazie alla traduzione realizzata congiuntamente da Fondazione GIMBE e Fondazione ANT Italia ONLUS, offrono un approccio sistematico e integrato alla gestione del fine vita di neonati, bambini e giovani: dalla pianificazione dell’assistenza da parte del team multidisciplinare alle componenti del piano assistenziale anticipato, dalle raccomandazioni per erogare varie tipologie di supporto (emotivo, psicologico, pratico e sociale), a quelle per affrontare il fine vita.

«Medici, infermieri, psicologi e tutti i professionisti sanitari che assistono neonati, bambini e giovani in fine vita – concludono Cartabellotta e Pannuti – dovrebbero utilizzare queste linee guida per implementare percorsi assistenziali basati sulle evidenze, condivisi e personalizzati sulle preferenze e aspettative del paziente, tenendo conto anche della sostenibilità del servizio sanitario».

Le “Linee guida per l’assistenza al fine vita di neonati, bambini e giovani con patologie disabilitanti” sono disponibili a: www.evidence.it/finevita-bambini.

 


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18 2018
Paradosso ticket: 2,9 miliardi nel 2017, ma oltre un terzo è pagato per scelta dai cittadini

SOTTO LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE I DATI 2017 SU TICKET PER FARMACI E PRESTAZIONI SPECIALISTICHE. QUASI 50 EURO PRO-CAPITE CON RILEVANTI DIFFERENZE REGIONALI CHE RICHIEDONO LA REVISIONE DEI CRITERI DI COMPARTECIPAZIONE ALLA SPESA, IL SUPERAMENTO DEL SUPERTICKET E CONCRETE POLITICHE PER INCENTIVARE L’USO DEI FARMACI EQUIVALENTI, IL CUI MANCATO UTILIZZO “PESA” SUI TICKET PER OLTRE 1 MILIARDO.

Tutte le Regioni hanno introdotto sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia tale da generare negli anni una vera e propria “giungla dei ticket”, visto che le differenze regionali riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia gli importi che i cittadini devono corrispondere, sia le regole per le esenzioni. 

Il 12 luglio 2018, mentre la Corte dei Conti pubblicava il Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica, l’Agenzia Italiana del Farmaco rendeva noto il Rapporto 2017 sull’utilizzo dei farmaci in Italia. Grazie alla disponibilità dei dati definitivi sulla compartecipazione alla spesa dei cittadini nel 2017, l’Osservatorio GIMBE ha realizzato un report che analizza in dettaglio composizione e differenze regionali della compartecipazione alla spesa che nel 2017 sfiora i 2.900 milioni di euro.

«La compartecipazione alla spesa dei cittadini – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – introdotta come moderatore dei consumi si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrate per le Regioni, in un periodo caratterizzato dal definanziamento pubblico del SSN». Nel 2017 le Regioni hanno incassato per i ticket quasi € 2.900 milioni che corrispondono ad una quota pro-capite di € 47,6:  in particolare, € 1.549 milioni (€ 25,5 pro-capite) sono relativi ai farmaci e € 1.336,6 milioni (€ 22,1 pro-capite) alle prestazioni di specialistica ambulatoriale, incluse quelle di pronto soccorso.  L’entità della compartecipazione alla spesa nel periodo 2014-2017 si è mantenuto costante ma, se nel 2014 la spesa per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, negli anni successivi si è ridotta la spesa per i ticket sulle prestazioni (-7,7%) ed è aumentata quella per i ticket sui farmaci (+7,9%).

«Dalle nostre analisi emergono notevoli differenze regionali – puntualizza il Presidente –  rispetto sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche». In particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 97,7 in Valle d’Aosta a € 30,4 in Sardegna, per i farmaci varia da € 34,3 in Campania a € 15,6 in Friuli Venezia Giulia, mentre per le prestazioni specialistiche si va da € 66,2 della Valle d’Aosta a € 8,6 della Sicilia.

«Un dato estremamente interessante – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che preferiscono il farmaco di marca rispetto all’equivalente». Infatti, nel periodo 2013-2017, a fronte di una riduzione della quota fissa da € 558 milioni a € 498 milioni (-11%), la quota differenziale per acquistare il farmaco di marca è aumentata da € 878 milioni a € 1.050 milioni (+20%).

In dettaglio, dei € 1.549 milioni sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, meno di un terzo sono relativi alla quota fissa per ricetta (€ 498,4 milioni pari a € 8,2 pro-capite), mentre i rimanenti € 1.049,6 milioni (€ 17,3 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come documentato dall’OCSE che ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore, sia per volume del consumo degli equivalenti. Rispetto alla quota fissa per ricetta, non prevista da Marche, Sardegna e Friuli Venezia Giulia, il range varia da € 18,3 pro-capite della Valle d’Aosta a € 0,5 del Piemonte. La quota differenziale per la scelta del farmaco di marca oscilla invece da € 22,9 pro-capite del Lazio a € 10,5 della Provincia di Bolzano. Interessante rilevare che tutte le Regioni sopra la media nazionale sono del centro-sud: , oltre al già citato Lazio, Sicilia (€ 22,1 pro-capite), Calabria (€ 21,2) Basilicata (€ 21,2), Campania (€ 20,9), Puglia (€ 20,7), Molise (€ 20,3), Abruzzo(€ 19,5), Umbria (€ 19,5) e Marche (€ 18,2).

«Durante la scorsa legislatura – precisa il Presidente – non è stata effettuata la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa prevista dall’art. 8 del Patto per la Salute per evitare uno spostamento verso strutture private a causa di ticket troppo elevati per la specialistica». Solo con la Legge di Bilancio 2018 sono stati stanziati 60 milioni di euro destinati ad avviare una seppur parziale riduzione del superticket per la specialistica ambulatoriale. Tuttavia, lo schema di decreto per il loro riparto non ha ancora acquisito l’intesa della Conferenza Stato-Regioni e, nel frattempo, Emilia Romagna, Lombardia e Abruzzo si sono mosse in autonomia per ridurre il superticket.

«Considerato che la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa – conclude Cartabellotta –  rappresenta una priorità per il nuovo Esecutivo, le nostre analisi dimostrano che le eterogeneità regionali e quelle relative alla tipologia di ticket (farmaci vs prestazioni) richiedono azioni differenti. Innanzitutto, è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione alla spesa e le regole per definire le esenzioni; in secondo luogo, anche al fine di ridurre le “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket; infine, sono indispensabili azioni concrete per aumentare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, visto che la preferenza per i farmaci brand oggi “pesa” per oltre 1/3 della cifra totale sborsata dai cittadini per i ticket e per più di 2/3 della compartecipazione per i farmaci».

Il report dell’Osservatorio GIMBE “Ticket 2017” è disponibile a: www.gimbe.org/ticket2017


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10 2018
Vaccinazione anti-HPV: avanzano le evidenze scientifiche, precipitano le coperture vaccinali

AL RIACCENDERSI DELLE POLEMICHE SULLE VERIFICHE DELL’OBBLIGO VACCINALE, LA FONDAZIONE GIMBE SINTETIZZA LE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE SUI VACCINI PER IL PAPILLOMAVIRUS E METTE IN LUCE UN INACCETTABILE PARADOSSO. MENTRE LA RICERCA DOCUMENTA UN ECCELLENTE PROFILO DI SICUREZZA DEI VACCINI E PROVE DI EFFICACIA DEFINITIVE PER PREVENIRE I TUMORI HPV-CORRELATI, LE COPERTURE VACCINALI IN ITALIA PRECIPITANO IN MANIERA DISASTROSA.

Il virus del papilloma umano (HPV) è un agente a trasmissione sessuale che causa malattie genitali, anali e orofaringee sia nelle donne che negli uomini. In particolare l’infezione da HPV causa oltre il 90% dei carcinomi della cervice uterina, ma anche il 90% circa dei carcinomi dell’ano, oltre ad una percentuale rilevante di tumori orofaringei, della vulva, della vagina e del pene; inoltre alcuni genotipi del virus causano circa il 90% circa delle verruche anogenitali.

«Se negli ultimi vent’anni  – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i programmi di screening hanno drasticamente ridotto l’incidenza del carcinoma della cervice uterina, oggi è possibile diminuirla ulteriormente grazie ad una strategia preventiva non utilizzabile per nessun altro tumore, ovvero la vaccinazione anti-HPV».

In Italia sono disponibili tre vaccini anti-Hpv: il bivalente, che protegge dai tipi 16 e 18, il quadrivalente che amplia la protezione anche contro i tipi 6 e 11 e il 9-valente che oltre ai tipi di HPV del vaccino quadrivalente protegge anche dai tipi 31, 33, 45, 52, e 58. Secondo quanto previsto dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019, la vaccinazione anti-HPV – che non rientra tra quelle obbligatorie del “Decreto vaccini” – è offerta gratuitamente a maschi e femmine intorno agli 11-12 anni di età con l’obiettivo di raggiungere una copertura vaccinale del  ciclo completo in almeno il 95% sia delle femmine che dei maschi, seppur in maniera più graduale: almeno il 60% nel 2017, il 75% nel 2018 e il 95% nel 2019.

«La vaccinazione anti-HPV – puntualizza il Presidente – oggi rappresenta un clamoroso esempio di sotto-utilizzo di una prestazione dal value  elevato: infatti, se negli ultimi anni, le prove di efficacia si sono progressivamente consolidate e il monitoraggio degli eventi avversi ha dimostrato che i vaccini anti-HPV hanno un adeguato profilo di sicurezza, la copertura vaccinale in Italia si è progressivamente ridotta, determinando sia un aumento della morbilità per le patologie HPV-correlate, sia  dei costi dell’assistenza».

I dati del Ministero della Salute relativi al 2016 dimostrano che le coperture per la vaccinazione anti-HPV nelle ragazze sono in picchiata: in particolare, a fronte di una copertura intorno al 70% nelle coorti di nascita dal 1997 al 2000, i tassi di copertura vaccinale anti-HPV sono progressivamente diminuiti nelle coorti 2002 (65,4%) e 2003 (62,1%), per poi precipitare al 53% nella coorte 2004. Immancabili, le variabilità regionali: ad esempio nella coorte di nascita 2004 la copertura per ciclo completo oscilla dal 24,8% della provincia di Bolzano al 72,5% della Valle d’Aosta. Inoltre, quasi il 12% delle ragazze ha ricevuto almeno una dose di vaccino ma non ha completato il ciclo, con notevoli variabilità regionali del gap: dallo 0,1% della PA di Trento al 21,4% della Sardegna. Nei maschi, la vaccinazione anti-HPV è ancora un lontano miraggio: relativamente alle coorti di nascita 2003-2004 6 Regioni non rendono disponibili i dati, altre 7 hanno una copertura dello 0% e solo per 8 Regioni sono disponibili i dati di copertura vaccinale: dal 3% della Sardegna al 53% del Veneto.

«Con questi livelli di copertura – puntualizza il Presidente – e con i trend in progressiva diminuzione, i target definiti dal Piano Nazionale appaiono del tutto illusori, a dispetto di evidenze sempre più robuste sull’efficacia dei vaccini anti-HPV, in particolare nel prevenire lesioni pre-cancerose del collo dell’utero nelle adolescenti e nelle giovani donne tra 15 e 26 anni. Tutto ciò configura un caso paradigmatico di analfabetismo funzionale: mentre si diffondono innumerevoli terapie inefficaci e inappropriate per i tumori, utilizziamo sempre meno l’unico vaccino disponibile per la loro prevenzione».

Il Position Statement GIMBE sintetizza le migliori evidenze scientifiche sull’efficacia della vaccinazione anti-HPV per tutte le patologie HPV-correlate e in particolare per i tumori del collo dell’utero; dettaglia gli aspetti relativi alla somministrazione (indicazioni, fasce di età, timing, sottogruppi specifici); descrive le evidenze sulla immunogenicità del vaccino; riporta i dati sugli effetti avversi sia internazionali, sia raccolti dal sistema nazionale di vaccinovigilanza. Infine analizza in dettaglio i dati sulle coperture vaccinali in Italia e le possibili strategie per aumentarle.

«La vaccinazione anti-HPV – conclude Cartabellotta – rappresenta un emblematico esempio dei gap tra ricerca scientifica e sanità pubblica: infatti, nonostante il consolidamento progressivo delle prove di efficacia e del profilo di sicurezza dei vaccini anti-HPV, la copertura vaccinale diminuisce, testimoniando che il processo di trasferimento delle migliori evidenze alla pratica clinica, all’organizzazione dei servizi sanitari, alle decisioni professionali e alle scelte di cittadini e pazienti è un percorso a ostacoli, spesso imprevedibile e non sempre adeguatamente gestito a livello istituzionale».

Il Position Statement GIMBE “Vaccinazione anti-HPV: prove di efficacia, profilo di sicurezza e coperture vaccinali” è disponibile a: www.evidence.it/HPV


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4 2018
Liste di attesa: trasparenza delle regioni tra luci e ombre

MENTRE LA NEO-MINISTRA GIULIA GRILLO PORTA ALLA RIBALTA LA SPINOSA QUESTIONE DELLE LISTE D’ATTESA CHIEDENDO ALLE REGIONI INFORMAZIONI DETTAGLIATE, LA FONDAZIONE GIMBE RENDE NOTI I RISULTATI PRELIMINARI DEL MONITORAGGIO INDIPENDENTE SULLA RENDICONTAZIONE PUBBLICA DEI TEMPI DI ATTESA DA PARTE DI REGIONI E PROVINCE AUTONOME CHE FOTOGRAFA UN’ITALIA A MACCHIA DI LEOPARDO. SUL PODIO BASILICATA, EMILIA ROMAGNA E LAZIO SEGUITE DA VALLE D’AOSTA E PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO. MAGLIA NERA PER CAMPANIA, MOLISE E TOSCANA.

Il Piano Nazionale di Governo delle Liste d'attesa (PNGLA) 2010-2012, approvato con l’Intesa Stato-Regioni del 28 ottobre 2010, ha definito 58 prestazioni tra visite specialistiche, esami diagnostici e interventi chirurgici per cui ASL ed ospedali devono garantire i tempi massimi di attesa. A seguito del recepimento del PNGLA, a Regioni e Province Autonome spettava di pubblicare il loro Piano regionale di governo delle liste d’attesa ed, entro 60 giorni, ogni Azienda sanitaria era tenuta ad adottare il proprio programma attuativo, garantendone adeguata diffusione ai cittadini.

«Le analisi dell’Osservatorio GIMBE – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che, a parte la rilevazione effettuata da Agenas nel 2010, non è disponibile alcun monitoraggio nazionale aggiornato sui recepimenti regionali del PNGLA e sulla redazione dei piani aziendali, né tantomeno sulla rendicontazione pubblica dei tempi di attesa, oggetto solo di indagini a campione effettuati da varie organizzazioni: CREA Sanità, Censis, Cittadinanzattiva, Eurispes. Per tale ragione abbiamo deciso di finanziare con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta” lo studio “Governance delle liste d’attesa: analisi recepimenti regionali del PNGLA e valutazione dei piani attuativi aziendali».

Lo scorso 14 giugno, in vista della predisposizione del nuovo PNGLA, la neo Ministra Giulia Grillo ha inviato a Regioni e Province autonome una circolare mirata a raccogliere informazioni capillari sulle modalità di gestione delle liste di attesa e dell’attività libero-professionale intramuraria. «Considerato l’interesse del nuovo Esecutivo per la spinosa questione dei tempi di attesa – puntualizza il Presidente –  la Fondazione GIMBE ha deciso di rendere noti i risultati preliminari del monitoraggio indipendente sugli adempimenti di Regioni e Province autonome». Preme sottolineare chetali informazioni, secondo quanto previsto dal cosiddetto “decreto trasparenza” (Dlgs 14 marzo 2013, n. 33), dovrebbero essere rese pubblicamente disponibili a tutti i cittadini con l'obiettivo di favorire il controllo diffuso sull'operato delle Istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

In questa prima fase dello studio, la ricerca dei documenti è stata effettuata sia tramite la consultazione diretta dei siti web istituzionali di Regioni e Province autonome sia tramite ricerche Google utilizzando varie parole chiave: “liste di attesa”, “liste d’attesa”, “tempi di attesa”, “tempi d’attesa”.

Piani Regionali. Tutte le Regioni e Province autonome rendono disponibili sia le delibere di recepimento del PNGLA 2010-2012 sia i Piani Regionali per il governo delle liste di attesa. Dopo la pubblicazione della prima versione, tali piani sono stati variamente aggiornati e/o integrati dal dal 2010 al 2018.

Rendicontazione pubblica dei tempi di attesa. Dai siti istituzionali emerge un quadro molto eterogeneo:

  • Campania, Molise e Toscana non rendono disponibile alcun report.
  • Calabria, Lombardia e Umbria rimandano ai siti web delle aziende sanitarie, senza effettuare alcuna aggregazione dei dati a livello regionale.
  • 9 Regioni e una Provincia autonoma rendono disponibile solo l’archivio storico sui tempi di attesa con range temporali e frequenza degli aggiornamenti molto variabili: Provincia autonoma di Trento dal 2013 al 2017, Abruzzo dal 2013 al 2014, Friuli-Venezia Giulia dal 2009 al 2014, Liguria dal 2017 a marzo 2018, Marche da settembre 2014 a maggio 2018, Piemonte dal 2009 al 2017, Puglia da aprile 2012 a ottobre 2017, Sardegna da ottobre 2014 ad aprile 2018, Sicilia solo ottobre 2013, Veneto da gennaio 2017 ad aprile 2018.
  • Solo 5 Regioni offrono sistemi avanzati di rendicontazione pubblica sui tempi di attesa:
    • La Provincia autonoma di Bolzano riporta per le 58 prestazioni i tempi di attesa nelle aziende sanitarie riferiti ad un preciso giorno di riferimento del mese precedente (30 maggio 2018).
    • La Valle d'Aosta riporta i tempi di attesa nelle aziende sanitarie per oltre 100 prestazioni riferite al mese precedente (giugno 2018).
    • L’Emilia-Romagna, tramite un portale ad hoc, permette di conoscere per 50 prestazioni il numero e la percentuale di prenotazioni erogate dalle aziende sanitarie entro i tempi massimi previsti. I report sono elaborati a cadenza settimanale dal gennaio 2016 e sono disponibili anche report storici dal gennaio 2015. Il sistema permette anche di confrontare le performance per singola prestazione tra differenti aziende sanitarie.
    • Il portale della Regione Lazio offre per 44 prestazioni le stesse modalità di rendicontazione dell’Emilia Romagna, ma non permette di confrontare le performance per singola prestazione tra differenti aziende sanitarie. I dati sono elaborati a cadenza settimanale a partire dal 21 maggio 2018, ma non è disponibile alcun archivio storico.
    • La Basilicata, tramite un portale ad hoc, permette di conoscere in tempo reale i tempi di attesa per le prestazioni erogate da ciascuna azienda sanitaria e di consultare l’archivio storico 2014-2018 dei tempi medi di attesa per tutte le prestazioni in tutte le strutture sanitarie. Non consente, invece, di confrontare in tempo reale i tempi di attesa per singola prestazione tra differenti strutture.

 

I risultati preliminari dello studio GIMBE dimostrano pertanto che la trasparenza sui tempi di attesa, di fatto prevista per legge, rimane in larga parte disattesa da Regioni e Province autonome: accanto ad alcuni sistemi avanzati di rendicontazione che permettono di conoscere in tempo reale i tempi di attesa per ciascuna prestazione in tutte le aziende sanitarie, vi sono addirittura Regioni che non rendono disponibile alcun dato, nonostante qualcuna sia in pole position nella “classifica” degli adempimenti LEA.

«Al fine di contrastare questo inaccettabile livello di mancata trasparenza – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE auspica che il nuovo Piano Nazionale per il Governo delle Liste di Attesa definisca criteri univoci per rendicontare pubblicamente i tempi di attesa, per consentire ai cittadini di partecipare attivamente al miglioramento dei servizi sanitari e per fornire a Istituzioni e ricercatori una base univoca di dati per confrontare le performance regionali, anche ai fini di un inserimento di tale indicatore nel monitoraggio degli adempimenti LEA».


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19 giugno 2018
Medicina basata sulle evidenze: nelle università italiane la formazione è solo sulla carta

PRESENTATI A OXFORD I RISULTATI DELLO STUDIO CONDOTTO DALLA FONDAZIONE GIMBE IN COLLABORAZIONE CON IL SEGRETARIATO ITALIANO STUDENTI IN MEDICINA. NONOSTANTE L’INSEGNAMENTO DELL’EVIDENCE-BASED MEDICINE SIA PREVISTO DAL CORE CURRICULUM DELLA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DEI CORSI DI LAUREA DI MEDICINA E CHIRURGIA, DI FATTO È ANCORA POCO DIFFUSO, OLTRE CHE PREVALEMENTE ESPRESSIONE DI INIZIATIVE LOCALI PIUTTOSTO CHE DELL’INTRODUZIONE SISTEMATICA NELLA FORMAZIONE UNIVERSITARIA DEL MEDICO.

Sul palcoscenico di Evidence Live 2018 – evento internazionale che raduna a Oxford i massimi esperti nella produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze scientifiche – è stata presentata oggi la ricerca condotta in collaborazione con il Segretariato Italiano Studenti in Medicina (SISM) e finanziata dalla Fondazione GIMBE con la borsa di studio “Gioacchino Cartabellotta”.

«Negli ultimi 25 anni le Scuole di Medicina di tutto il mondo – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – hanno integrato nei curricula formativi l’Evidence-based Medicine (EBM) core curriculum, set standardizzato di conoscenze e competenze che permette al medico di essere indipendente nella ricerca, valutazione critica e applicazione delle migliori evidenze. Considerato che la loro integrazione nella pratica clinica migliora la qualità dell’assistenza e riduce gli sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di farmaci, test diagnostici, interventi chirurgici e altri interventi sanitari abbiamo finanziato questo studio per valutare il grado di penetrazione dell’EBM nella formazione universitaria del medico in Italia, dove non esistono dati sistematici in merito».

L’analisi ha riguardato 43 Corsi di Laurea (CdL) in Medicina e Chirurgia attivati in 37 Atenei, previa esclusione di quelli esclusivamente in lingua inglese (n.1) e quelli dove non è presente una sede SISM (n.3). Per identificare i contenuti EBM è stata è stata condotta una ricerca ad elevata sensibilità su vari documenti:

  • Core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei CdL Magistrale di Medicina e Chirurgia
  • Core curriculum di Ateneo
  • Scheda Unica Annuale (SUA)
  • Programmi dei corsi con elevata probabilità di contenuti EBM: Igiene e Medicina Preventiva/Sanità Pubblica, Statistica Medica, Epidemiologia, Metodologia Clinica

Dalle analisi effettuate risulta che:

  • Il core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei CdL include tutte le componenti dell’EBM core curriculum, seppur non strutturati secondo standard internazionali. Infatti, la sezione 2 (Metodologie e Scienze Precliniche) riporta tra gli obiettivi formativi la capacità di valutare efficacia e appropriatezza degli interventi sanitari secondo i criteri dell’EBM e di applicare l’EBM per la soluzione di problemi clinici attraverso la formulazione dei quesiti clinici, la ricerca e la valutazione critica delle evidenze.
  • I core curriculum di Ateneo sono stati esclusi dall’analisi, in quanto identificati solo per 4 corsi di laurea.
  • L’analisi delle SUA dimostra che solo il 19% dei CdL (8/43) prevedono insegnamenti specifici sull’EBM con variabile presenza delle parole chiave: media 3,9 (± DS 2,7), range 1-11. In particolare il 58% delle SUA riporta 1-3 parole chiave, il 30% 4-6 e il 12% 9-11.
  • Su 128 programmi dei singoli corsi analizzati, solo 47 (37%) contengono parole chiave: 17 di Metodologia Clinica, 11 di Igiene e Medicina Preventiva/Sanità Pubblica, 10 di Statistica Medica/Epidemiologia e 7 insegnamenti erano specificamente denominati “Evidence-based Medicine”. I corsi sono distribuiti in meno del 50% dei CdL (21/43) con una prevalenza molto variabile: 8 corsi in 2 CdL, 3 corsi in 4 CdL, 2 corsi in 4 CdL  e 1 corso in 11 CdL.

«Lo studio GIMBE-SISM – conclude Cartabellotta – dimostra che nonostante l’EBM sia formalmente prevista dal core curriculum della Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea, solo il 18% delle SUA e il 37% dei programmi analizzati, distribuiti in meno del 50% dei CdL, riportano contenuti relativi all’EBM. Per la loro frequenza e distribuzione, gli 8 insegnamenti identificati nelle SUA e i 47 programmi sembrano risultare più da iniziative locali che dall’introduzione sistematica dell’EBM core curriculum nella formazione universitaria del medico».


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11 giugno 2018
Spesa sanitaria delle famiglie a 40 miliardi: il dato è reale, ma le previsioni catastrofiche del Censis sono un falso allarme

LA SOFISTICATA CAMPAGNA DI PERSUASIONE SOCIALE DI RBM SALUTE, SOSTENUTA DA UN DISCUTIBILE STUDIO DEL CENSIS, CONTINUA A SEMINARE IL PANICO NELLA POPOLAZIONE E A “PROCURARE ALLARME” NELLE ISTITUZIONI CON L’OBIETTIVO DI LEGITTIMARE UNA OPPORTUNISTICA SOLUZIONE GIÀ DEFINITA: POTENZIARE IL “SECONDO PILASTRO” GESTITO DALL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVO-FINANZIARIA, PROPRIO NEL MOMENTO IN CUI IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO DICHIARA DI VOLER RILANCIARE IL FINANZIAMENTO PUBBLICO.

Puntuale come un orologio svizzero anche nel 2018 con il Welfare Day il rapporto RBM Salute-Censis ripropone dati sempre più catastrofici. Nell’impossibilità di aumentare i 12 milioni di italiani che rinunciano alle cure e il 25% della popolazione che subisce danni economici per pagare le spese sanitarie, quest’anno è allarme indebitamento: nell'ultimo anno 7 milioni di italiani “si sarebbero indebitati” per pagare le spese per la salute e 2,8 milioni “avrebbero dovuto usare” il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi.

«Il sodalizio RBM Salute-Censis – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – si configura come un collaudato team di pallavolo: il prestigioso istituto di ricerca alza la palla, producendo ogni anno dati sempre più allarmanti e la compagnia assicurativa schiaccia sempre nella stessa direzione: la necessità di un “secondo pilastro” intermediato da fondi e assicurazioni è ormai inderogabile per ridurre la spesa delle famiglie e garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale».

Gli inquietanti dati del Censis anche quest’anno proiettano su oltre 60 milioni di persone i risultati di un’indagine commissionata da RBM Salute e realizzata tramite un questionario strutturato somministrato ad un campione rappresentativo di 1.000 adulti maggiorenni residenti in Italia. Numerose le criticità metodologiche: innanzitutto, non si conoscono le domande del questionario; in secondo luogo, le tecniche per selezionare gli intervistati non permettono di escludere un “campionamento di convenienza”; ancora, non vengono riportati margini di variabilità sulle stime ottenute; infine, il margine di errore del ± 3,1%, riferito all’intero campione, risulta di gran lunga più elevato per ciascuno dei sottogruppi ottenuti all’interno delle variabili di stratificazione (classe di età, genere, area geografica di residenza, ampiezza demografica del comune di residenza). Lo scorso anno, per le stesse ragioni, puntualizza il Presidente «il Ministero della Salute, con il comunicato stampa n. 75 del 31 luglio, aveva smentito i dati del Censis sulla rinuncia alle cure, sottolineando i limiti dello studio – identici a quelli del 2018 – che riportava risultati di gran lunga più catastrofici di quelli dell’ISTAT e dell’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie».

Rispetto all’entità della spesa sanitaria out-of-pocket, dato di partenza di questa raffinata strategia di marketing, precisa Cartabellotta, «il 3° Rapporto GIMBE conferma sì che la spesa delle famiglie nel 2016 sfiora i € 40 miliardi, ma non rileva nessun allarme sul suo incremento, che rimane stabile intorno al 18% sia nel periodo della crisi (2009-2016) sia nel periodo pre-crisi (2000-2008)». Inoltre, l’analisi dettagliata della spesa out-of-pocket permette di mitigare ampiamente l’entità del fenomeno perché dei € 40 miliardi:

  • € 3.362 milioni vengono “restituiti” dallo Stato sotto forma di detrazioni fiscali
  • € 1.310 milioni sono relativi all’acquisto di farmaci di fascia A, virtualmente a carico del SSN, ma che i cittadini acquistano in autonomia per loro volontà
  • € 1,5 miliardi sono destinati alla compartecipazione della spesa per i farmaci, ma di questi € 1 miliardo viene sborsato per acquistare farmaci brand al posto degli equivalenti
  • € 5.900 milioni sono destinati a prodotti omeopatici, erboristici, integratori, nutrizionali, parafarmaci, etc., voce di spesa peraltro esclusa dai nuovi conti della sanità dell’ISTAT
  • € 5.215 milioni vengono spesi per farmaci di fascia C e di automedicazione, buona parte dei quali sono di efficacia non dimostrata
  • € 11.000 milioni (che includono € 1.300 milioni di ticket) sono destinati a visite specialistiche ed esami diagnostici di laboratorio e strumentali, di cui una variabile percentuale del 30-50% secondo stime internazionali è inappropriata
  • € 8.500 milioni vanno per le cure odontoiatriche (mai incluse nei livelli essenziali di assistenza)
  • € 5.255 milioni per l’assistenza ospedaliera, di cui oltre € 3.000 milioni per la long-term-care
  • € 1.000 milioni per protesi e ausili

«Lo “spacchettamento” della spesa delle famiglie – precisa Cartabellotta – confuta di fatto l’ipotesi che gli esborsi dei cittadini siano destinati esclusivamente a fronteggiare le minori tutele pubbliche: infatti, almeno il 40% non viene speso per beni e servizi indispensabili a migliorare lo stato di salute, bensì soddisfa bisogni indotti dal benessere e dalla medicalizzazione della società e condizionati da consumismo, pseudo-diagnosi e preferenze individuali». La controprova viene fornita dal fatto che nelle diverse Regioni la spesa out-of-pocket è proporzionale al reddito pro-capite e alla qualità dell’offerta pubblica: in altre parole, le famiglie spendono di più nelle Regioni del nord dove l’offerta dei servizi sanitari pubblici è adeguata, mentre quelle del sud si attestano tutte sotto la media, nonostante una qualità peggiore dei servizi.

Infine, la strategia di persuasione collettiva che punta dritta al “secondo pilastro” prova a sensibilizzare il nuovo Esecutivo “personalizzando” i risultati dell’indagine Censis, da cui emergerebbe un “maggior rancore degli elettori di 5 Stelle e Lega nei confronti della sanità”, considerata il “cantiere con cui gli italiani metteranno alla prova il passaggio dal rancore alla speranza del cambiamento”. Peccato (per loro) che il contratto del Governo del cambiamento afferma senza indugi che “È prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale”, per cui la vera “prova di esame”, conclude Cartabellotta, «non è affatto rappresentata dall’espansione del secondo pilastro, quanto invece dal rilancio del finanziamento pubblico, peraltro annunciato anche dal Premier Conte nel discorso per la fiducia al Senato».

Se così non fosse, il Governo del cambiamento, oltre ai propri “rancorosi elettori”, avrà tradito anche il contratto che oggi riguarda tutto l’intero popolo italiano.


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5 giugno 2018
3° Rapporto GIMBE. Nuovo Esecutivo di fronte a un bivio per la sanità pubblica: rilanciare o smantellare?

DEFINANZIAMENTO PROGRESSIVO, TROPPE PRESTAZIONI NEI NUOVI LEA, SPRECHI E INEFFICIENZE ED ESPANSIONE DELL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA RAPPRESENTANO UNA MISCELA LETALE PER LA SANITÀ PUBBLICA. LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA LO STATO DI SALUTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, NE RIVALUTA LA PROGNOSI AL 2025 E PROPONE UN PRECISO “PIANO TERAPEUTICO”. PROGRAMMA E AZIONI DEL NUOVO ESECUTIVO DETERMINANTI PER IL FUTURO DELLA SANITÀ PUBBLICA E PER GARANTIRE IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE.

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 3° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale: «La Fondazione GIMBE – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – ribadisce che non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, ma continua a mancare un piano preciso di salvataggio. Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta con una prospettiva di medio termine il tema della sostenibilità del SSN, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone».

Il Rapporto si apre con i risultati di una revisione sistematica delle “classifiche” internazionali che valutano le performance dei sistemi sanitari. «Occorre fermare le strumentalizzazioni nel dibattito pubblico e nelle comunicazioni istituzionali – puntualizza il Presidente – che decantano prestigiose posizioni del nostro SSN in classifiche ormai obsolete (2° posto nella classifica OMS del 2000 con dati 1997), oppure che mettono in relazione l’aspettativa di vita con la spesa sanitaria pro-capite (3° posto nella classifica Bloomberg) per cui meno spendiamo più scaliamo la classifica, visto che la longevità dipende soprattutto da altre ragioni». Il sistema più completo e aggiornato per individuare le aree di miglioramento è quello dell’OCSE, che non stila tuttavia nessuna classifica: al fine di condividere le criticità e valutare le azioni necessarie per allinearsi a standard internazionali, il Rapporto ha analizzato 194 indicatori riportando per 151 di essi la posizione in classifica del nostro SSN, il dato nazionale e la media OCSE.

Il Rapporto analizza poi la spesa sanitaria 2016 che, secondo le stime effettuate, ammonta a € 157,613 miliardi di cui: € 112,182 miliardi di spesa pubblica; € 45,431 miliardi di spesa privata di cui € 5,601 miliardi di spesa intermediata (€ 3,831 miliardi da fondi sanitari, € 0,593 miliardi da polizze individuali, € 1,177 miliardi da altri enti) e € 39,830 miliardi di spesa a carico delle famiglie (out-of-pocket). «Al di là di rivalutare cifre assolute e composizione percentuale della spesa sanitaria- spiega Cartabellotta - la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite (value for money): le nostre stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out-of-pocket ed il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute».

La terza sezione approfondisce le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

  • Definanziamento pubblico. Nel periodo 2013-2018 a fronte di quasi € 7 miliardi di aumento nominale del finanziamento, ne sono “sopravvissuti” meno di € 6; nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha sottratto, rispetto ai livelli programmati, € 12,11 miliardi. «Con tale definanziamento progressivo – precisa Cartabellotta – l’Italia continua inesorabilmente a perdere terreno nel confronto con gli altri paesi, con una % di PIL e una spesa pro-capite inferiori alla media OCSE e che si avvicinano sempre di più ai paesi dell’Europa Orientale». Nessuna luce in fondo al tunnel visto che il DEF 2018, a fronte di una prevista crescita annua del PIL nominale del 3% nel triennio 2018-2020, riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021.
  • Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. Il Rapporto analizza le criticità metodologiche per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni e quelle che condizionano erogazione ed  esigibilità dei nuovi LEA in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale: «Nell’impossibilità di aumentare il finanziamento pubblico – sottolinea il Presidente –  è indispensabile rivalutare complessivamente tutte le prestazioni inserite nei LEA  al fine di attuare un “consistente sfoltimento” e mettere fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il “paniere LEA” più ricco (sulla carta) ed un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa».
  • Spechi e inefficienze. Vengono aggiornate le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017: € 21,59 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), complessità amministrative (€ 2,37 mld), inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld). Rispetto alle stime 2016, si riconosce un recupero complessivo di oltre € 1,3 miliardi, grazie ai numerosi interventi messi in atto.
  • Espansione del secondo pilastro. «La proposta di affidarsi al “secondo pilastro” per garantire la sostenibilità del SSN – spiega il Presidente – si è progressivamente affermata per l’interazione di vari fattori: in particolare, nelle crepe di una normativa frammentata e incompleta che ha permesso alla sanità integrativa di diventare sostitutiva si è insinuata una raffinata strategia di marketing  alimentata da catastrofici, ma inverosimili, risultati sulla rinuncia alle cure». Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei “terzi paganti” in sanità, le coperture offerte, l’impatto di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e tutti i potenziali “effetti collaterali” del secondo pilastro: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.

Rispetto alla rivalutazione della “prognosi” del SSN al 2025 secondo le stime del Rapporto GIMBE il fabbisogno del SSN sarà di € 220 miliardi: un incremento stimato della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 di € 27 miliardi (€ 9 miliardi pubblica e € 18 miliardi privata) permetterebbe di raggiungere nel 2025 una cifra di poco superiore ai € 184 miliardi. A questi si aggiungerebbero circa € 15 miliardi dal recupero graduale di risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze (per complessivi € 70 miliardi complessivi nel periodo 2017-2025).  «Nonostante la stima della spesa totale sia conservativa - precisa Cartabellotta - e il disinvestimento estremamente impegnativo, per raggiungere il fabbisogno stimato mancherebbero comunque ancora € 20,5 miliardi, una cifra che impone scelte politiche ben precise». In altri termini secondo il Presidente «visto che la soluzione non è sicuramente rappresentata dal “secondo pilastro”, senza un consistente rilancio del finanziamento pubblico sarà impossibile mantenere un servizio sanitario pubblico equo e universalistico».

Il Rapporto si chiude con il “piano di salvataggio” del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE: «Visto che le azioni del prossimo Esecutivo saranno cruciali per il futuro del SSN – conclude Cartabellotta –  i 12 punti programmatici del “piano di salvataggio” costituiranno il riferimento dell’Osservatorio GIMBE per monitorare il programma di Governo per la sanità perché il diritto alla tutela della salute degli italiani è oggi più che mai condizionato da scelte politiche. Se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, oltre ad aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico. In alternativa, occorrerà governare adeguatamente la transizione ad un sistema misto, al fine di evitare una lenta involuzione del SSN che finirebbe per creare una sanità a doppio binario, sgretolando i princìpi di universalismo ed equità che da 40 anni costituiscono il DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale».

La versione integrale del 3° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it

 

3° RAPPORTO GIMBE SULLA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.
Executive Summary

 

Il Rapporto si apre con il CAPITOLO 1 dedicato ai benchmark internazionali del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN): la revisione sistematica e l’analisi metodologica degli strumenti elaborati da diverse organizzazioni per confrontare la performance dei sistemi sanitari hanno permesso di trarre alcune raccomandazioni chiave per l’utilizzo dei risultati di queste classifiche nel dibattito pubblico e, in particolare, nelle comunicazioni istituzionali. In particolare, il sistema più completo e aggiornato per la valutazione delle performance e l’individuazione delle aree di miglioramento è quello dell’OCSE, che non stila alcuna classifica ma permette solo di valutare la posizione dell’Italia rispetto ad altri paesi e alla media OSCE. Per tale ragione, la Fondazione GIMBE ha analizzato 194 indicatori riportando per 151 di essi la posizione in classifica del nostro SSN, il dato nazionale e la media OCSE, con l’obiettivo di condividere le criticità e valutare le azioni necessarie per allinearsi a standard internazionali. Dalla revisione emergono due raccomandazioni chiave: la classifica dell’OMS del 2000, che collocava l’Italia al 2° posto dopo la Francia, ha un mero valore storico e non dovrebbe più essere citata; la classifica Bloomberg, che posizione l’Italia al 3° posto, valuta solo l’efficienza del SSN sovrastimandone di conseguenza la qualità.

Il CAPITOLO 2 è dedicato alla spesa sanitaria 2016, ultimo anno per il quale sono disponibili tutti i consuntivi relativi alla spesa pubblica e privata. Secondo le stime effettuate dal Rapporto la spesa sanitaria 2016 ammonta a € 157,613 miliardi di cui: € 112,182 miliardi di spesa pubblica; € 45,431 miliardi di spesa privata di cui € 5,601 miliardi di spesa intermediata (€ 3,831 miliardi da fondi sanitari, € 0,593 miliardi da polizze individuali, € 1,177 miliardi da altri enti) e € 39,830 miliardi di spesa a carico delle famiglie (out-of-pocket). In altri termini, nel 2016 il 28,8% della spesa sanitaria è privata e di questa quasil’88% è sostenuta direttamente dalle famiglie.

Per la spesa pubblica si è fatto riferimento al nuovo sistema dei conti della sanità ISTAT-SHA, allineato alle regole contabili dal sistema europeo dei conti. Secondo i dati ISTAT-SHA, l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione assorbe € 82,032 miliardi, i prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici € 31,106 miliardi, la long-term care € 15.067 miliardi, i servizi ausiliari € 12,342 miliardi, i servizi per la prevenzione delle malattie € 6,057 miliardi, mentre € 2,896 miliardi sono destinati a governance e amministrazione del SSN. Considerato che il sistema ISTAT-SHA presenta ancora alcuni limiti, in relazione a specifici obiettivi di analisi il Rapporto integra altre fonti, segnalando le eventuali discrepanze. In particolare, per valutare i trend 2000-2016 sono stati utilizzati i dati della Ragioneria Generale dello Stato che dimostrano la progressiva riduzione della spesa sanitaria: a fronte di un tasso di crescita medio annuo del 7,4% nel periodo 2001-2005, il tasso nel quinquennio 2006-2010 scende al 3,1%, quindi diventa negativo nel periodo 2011-2016 (-0,1%). Questa sensibile riduzione della spesa sanitaria ha permesso di ridurre il gap con i valori del finanziamento corrente del SSN, determinando negli ultimi tre anni un sostanziale allineamento e, di fatto, il pareggio di bilancio. Tuttavia, il contenimento complessivo della spesa sanitaria nel periodo 2000-2016 non riflette trend omogenei tra i differenti aggregati di spesa, determinando una significativa ricomposizione della loro incidenza rispetto alla spesa sanitaria totale: da segnalare che per i redditi da lavoro dipendente l’incidenza è scesa dal 39,8% del 2000 al 31% del 2016.

Considerato che le stime sulla spesa sanitaria privata (che include quella sostenuta dalle famiglie e quella intermediata da “terzi paganti”) effettuate da diverse Istituzioni e organizzazioni riportano rilevanti differenze, il Rapporto analizza le discordanze e ove possibile ne identifica le motivazioni. Per stimare la spesa out-of-pocket si è fatto riferimento al dato ISTAT-SHA integrato con alcune voci di spesa escluse, per un totale di € 39,8 miliardi, comprensivi di € 2,9 miliardi di ticket. Tuttavia, a fronte dell’entità della spesa delle famiglie, di fatto “alleggerita” da € 3,4 miliardi di rimborsi IRPEF, il Rapporto dimostra che almeno il 40% di tale spesa non compensa le minori tutele conseguenti al ridotto finanziamento pubblico, ma consegue a fenomeni di consumismo sanitario o a scelte individuali. Inoltre nel medio periodo non si registra alcun allarme sull’incremento della spesa delle famiglie, che nel periodo 2009-2016 ha subìto lo stesso incremento percentuale rispetto al periodo 2000-2008 (18% circa). Ancora più complessa l’analisi della spesa privata intermediata per variabili e criticità che condizionano la tracciabilità dei flussi economici. Seppure con i limiti relativi ad affidabilità di fonti e dati e alla possibile sovrapposizione di alcune cifre, per l’anno 2016 si stima una spesa intermediata di € 5,6 miliardi (12,3% della spesa privata), sostenuta da varie tipologie di “terzi paganti: € 3.830,8 milioni da fondi sanitari e polizze collettive, € 593 milioni da polizze assicurative individuali, € 576 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e € 601 milioni da imprese.

Il CAPITOLO 3 è dedicato alle macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze ed espansione incontrollata del “secondo pilastro”.

Definanziamento pubblico. Sintetizzando l’enorme quantità di numeri tra finanziamenti programmati dai Documenti di Economia e Finanza (DEF), fondi assegnati dalle Leggi di Bilancio, tagli e contributi alla finanza pubblica a carico delle Regioni, emergono poche inquietanti certezze sulle risorse destinate al SSN. Nel periodo 2013-2018 il finanziamento nominale è aumentato di quasi € 7 mld, dai € 107,01 mld del 2013 ai € 114 mld del 2018, di cui sono “sopravvissuti” nei fatti solo € 5,968 mld; nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato, rispetto ai livelli programmati, una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 12,11 mld; il DEF 2018, a fronte di una prevista crescita annua del PIL nominale del 3% nel triennio 2018-2020, riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021. A seguito del costante definanziamento, le analisi effettuate sul database OECD Health Statistics dimostrano che la spesa sanitaria in Italia continua inesorabilmente a perdere terreno con progressivo avvicinamento ai livelli di spesa dei paesi dell’Europa Orientale. La regressione riguarda anzitutto la percentuale del PIL destinato alla spesa sanitaria totale, che nel 2016 è di poco inferiore alla media OCSE (8,9% vs 9%) e in Europa vede l’Italia fanalino di coda insieme al Portogallo tra i paesi dell’Europa occidentale. L’arretramento è attestato tuttavia soprattutto perla spesa pro-capite totale, inferiore alla media OCSE ($ 3.391 vs $ 3.978), che colloca l’Italia in prima posizione tra i paesi più poveri dell’Europa: Spagna, Slovenia, Portogallo, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Polonia e Lettonia.

Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. A 14 mesi dal grande traguardo politico raggiunto con la pubblicazione del decreto sui “nuovi LEA” il Rapporto GIMBE analizza le criticità metodologiche per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni, quelle relative al monitoraggio dei LEA e quelle che condizionano l’erogazione e l’esigibilità dei nuovi LEA in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale: dai recepimenti regionali dei nuovi LEA, al ritardo nella pubblicazione dei nomenclatori tariffari, dall’individuazione di limiti e modalità di erogazione delle prestazioni, agli aggiornamenti degli elenchi delle prestazioni. Il Rapporto sottolinea inoltre l’inderogabile necessità di rivalutare complessivamente tutte le prestazioni inserite nei LEA, facendo esplicito riferimento a un metodo rigoroso basato sulle evidenze e sul value al fine di effettuare un “consistente sfoltimento”, mettendo fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il “paniere LEA” più ricco (almeno sulla carta) ed un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa.

Sprechi e inefficienze. Per l’anno 2017 sul consuntivo di € 113,599 miliardi di spesa sanitaria pubblica la stima di sprechi e inefficienze è di € 21,59 miliardi, con un margine di variabilità (±20%) e un range variabile tra € 17,27 e € 25,91 miliardi. L’impatto complessivo degli sprechi è stato ridotto di 1 punto percentuale (dal 20% delle stime OCSE al 19%) con un recupero stimato di oltre € 1,3 miliardi nel 2017. Per ciascuna delle categorie di sprechi viene riportata una “carta di identità” che include definizione, determinanti, tassonomia, esempi, normative e iniziative nazionali ed internazionali, oltre che le stime delle risorse erose dagli sprechi: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), complessità amministrative (€2,37 mld), inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld).

Espansione del secondo pilastro. Le restrizioni finanziarie imposte alla sanità pubblica hanno indebolito il sistema di offerta di servizi e prestazioni sanitarie, aggravato le difficoltà di accesso alle cure e ampliato le diseguaglianze. In questo contesto, l’aumento della spesa out-of-pocket e la rinuncia a prestazioni sanitarie si sono accompagnati alla crescita di forme alternative di copertura sanitaria. Di conseguenza, l’idea di affidarsi al “secondo pilastro” per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata per l’interazione di alcuni fattori: dalla complessità della terminologia alla frammentazione della normativa, dalla scarsa trasparenza alla carenza di sistemi di controllo. In questo contesto si è progressivamente fatta largo una raffinata strategia di marketing basata su un assioma correlato a criticità solo in apparenza correlate (riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket, difficoltà di accesso ai servizi sanitari e rinuncia alle cure) alimentate dai risultati di studi discutibili finanziati proprio da compagnie assicurative. Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei “terzi paganti” in sanità, le tipologie di coperture offerte, l’impatto analitico di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e tutti i potenziali “effetti collaterali” del secondo pilastro, troppo spesso sottovalutati sull’onda di un entusiasmo collettivo: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.

Il CAPITOLO 4 riporta la rivalutazione delle prognosi del SSN al 2025, effettuata ispirandosi alla teoria dei “cunei di stabilizzazione” che risponde alla necessità di un piano d’intervento multifattoriale per garantire la sostenibilità del SSN. Accanto alla rivalutazione della stima del fabbisogno al 2025, sono state aggiornate tutte le stime relative al finanziamento pubblico (al ribasso), alla spesa privata (al rialzo) e al disinvestimento da sprechi e inefficienze. Il fabbisogno al 2025 è stato stimato, in maniera estremamente conservativa, in € 220 miliardi, tenendo conto di vari fattori: entità del sotto-finanziamento del SSN, benchmark con i paesi dell’Europa occidentale, sottostima dell’impatto economico dei nuovi LEA, evidenza di inadempimenti LEA in varie Regioni, inderogabile necessità di rilancio delle politiche per il personale sanitario, immissione sul mercato di costosissime innovazioni farmacologiche, necessità di ammodernamento tecnologico, invecchiamento della popolazione, rinuncia a prestazioni sanitarie (dati ISTAT). Tale stima esclude espressamente le risorse da destinare al piano straordinario di investimenti per l’edilizia sanitaria e i bisogni socio-sanitari che ammonterebbero ad oltre € 17 miliardi. L’incremento della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 è stato stimato in € 27 miliardi (€ 9 miliardi di spesa pubblica e € 18 miliardi di spesa privata), che permetterebbero di raggiungere nel 2025 una cifra di poco superiore ai € 184 miliardi, ben lontana dal fabbisogno stimato. Il potenziale recupero di risorse dal disinvestimento da sprechi e inefficienze nel periodo 2017-2025 è stato stimato in oltre € 70 miliardi, recuperabili non solo tramite azioni puntuali di spending review, ma attraverso interventi strutturali e organizzativi e, soprattutto, disegnando e attuando un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi. Nonostante la stima di € 220 miliardi sia conservativa e il disinvestimento di € 70 miliardi estremamente impegnativo, per raggiungere il fabbisogno stimato per il 2025 mancherebbero comunque ancora € 20,5 miliardi, una cifra di un’entità tale da richiedere scelte politiche ben precise. In altre parole, le valutazioni del presente Rapporto dimostrano che il disinvestimento da sprechi e inefficienze è condicio sine qua non per salvare il SSN e che al tempo stesso che la soluzione non è rappresentata sicuramente dal “secondo pilastro”: di conseguenza, in assenza di un consistente rilancio del finanziamento pubblico, sarà impossibile mantenere un servizio sanitario pubblico equo e universalistico. Visto che le azioni del prossimo Esecutivo saranno cruciali per il futuro del SSN, il Paese si trova davanti ad un bivio: se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, come da ogni parte dichiarato a parole, accanto a tutti gli interventi necessari per aumentare il value for money del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico. In alternativa, occorrerà governare adeguatamente la transizione a un sistema misto, al fine di evitare una lenta involuzione del SSN che finirebbe per creare una sanità a doppio binario, sgretolando i princìpi di universalismo ed equità che ne costituiscono il DNA.

Il CAPITOLO 5 è dedicato alla pars costruens, ovvero al “piano di salvataggio” del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE e utilizzato come strumento di partenza per il fact checking dei programmi elettorali in occasione delle ultime consultazioni politiche e già sottoposto a consultazione pubblica:

1. Salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali

2. Certezze sulle risorse per la sanità: stop alle periodiche revisioni al ribasso e rilancio del finanziamento pubblico

3. Maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel pieno rispetto delle loro autonomie

4. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali sono strettamente correlati a quelli sanitari

5. Ridisegnare il perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo- efficacia e rivalutare la detraibilità delle spese mediche secondo gli stessi criteri

6. Eliminare il superticket e definire criteri nazionali di compartecipazione alla spesa sanitaria equi e omogenei

7. Piano nazionale contro gli sprechi in sanità per recuperare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi

8. Riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione

9. Sana integrazione pubblico-privato e libera professione regolamentata secondo i reali bisogni di salute delle persone

10. Rilanciare le politiche per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari

11. Finanziare ricerca clinica e organizzativa: almeno l’1% del fondo sanitario nazionale per rispondere a quesiti rilevanti per il SSN

12. Programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake-news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate.

I 12 punti programmatici del “piano di salvataggio”, che verranno sottoposti a continua rivalutazione attraverso periodiche consultazioni pubbliche, costituiranno il riferimento per l’Osservatorio GIMBE, sia in caso di effettiva “partenza” dell’attuale legislatura per monitorare il programma di Governo per la sanità, sia in caso di ritorno alle urne per un nuovo fact checking dei programmi elettorale.

La versione integrale del 3° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it


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23 aprile 2018
Farmacia dei servizi: grande opportunità per la sostenibilità del SSN a rischio di stallo

LA FARMACIA DEI SERVIZI PUÒ OFFRIRE UN CONTRIBUTO RILEVANTE ALLA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: PER DIMOSTRARNE L’EFFICACIA IN TERMINI SANITARI ED ECONOMICI LA LEGGE DI BILANCIO 2018 HA ASSEGNATO 36 MILIONI DI EURO PER AVVIARE UNA SPERIMENTAZIONE GRADUALE IN 9 REGIONI. MA QUELLE ESCLUSE NON CI STANNO E L’AMBIZIOSO PROGETTO RISCHIA DI RIMANERE AL PALO.

In occasione della kermesse di Cosmofarma (Bologna, 21-22 aprile 2018), Federfarma e Farma7 hanno dato vita a un costruttivo dibattito sul rinnovato ruolo delle farmacie, quali presidi strategici del SSN. Al centro della scena la bozza di decreto attuativo della legge 205/2017 che ha individuato 9 Regioni dove avviare la sperimentazione della farmacia dei servizi: Piemonte, Lazio, Puglia per il 2018 a cui si aggiungeranno Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia nel 2019 e Veneto, Umbria e Campania nel 2020. Regioni scelte dal Ministero della Salute, previa consultazione di Federfarma e della Federazione Ordini Farmacisti Italiani, tenendo conto di criteri di rappresentatività geografica e di esperienze già avviate. Per il progetto pilota la Legge di Bilancio 2018 ha stanziato € 6 milioni per il 2018, € 12 milioni per il 2019 e € 18 milioni per il 2020, a valere sulle quote vincolate agli obiettivi di Piano sanitario Nazionale.

Nell’intervento di apertura, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – dopo aver condiviso le determinanti che oggi condizionano la crisi di sostenibilità del SSN, ha analizzato le grandi opportunità della farmacia dei servizi e le possibili criticità delle condizioni poste dalle Regioni sullo schema di decreto.

«Il contributo della farmacia dei servizi alla sostenibilità del SSN – ha puntualizzato il Presidente – consiste nella possibilità di ridurre sprechi e inefficienze grazie ai nuovi servizi: migliorare il sottoutilizzo di prestazioni sanitarie efficaci e appropriate, in particolare favorendo l’aderenza terapeutica nei pazienti cronici e gli interventi di prevenzione, ridurre le complessità amministrative, grazie alle facilitazioni per la prenotazione di prestazioni di specialistica ambulatoriale, ritiro referti e pagamento ticket, e al miglioramento del coordinamento dell’assistenza tra vari setting assistenziali, in particolare tra ospedale e cure primarie».

Queste attività, inizialmente definite dal DLgs 153 del 3 ottobre 2009, sono state ampiamente riprese nel “Documento integrativo dell’atto di indirizzo per il rinnovo della convenzione nazionale con le farmacie pubbliche e private” del marzo 2017, che identifica tra i nuovi ruoli della farmacia il contributo all’informazione, ai sistemi di verifica, allo sviluppo delle reti e ai programmi di prevenzione.

«Indubbiamente  – ha puntualizzato Cartabellotta  – il successo della farmacia dei servizi richiede una profonda revisione del ruolo del farmacista, che da semplice dispensatore di prodotti deve trasformarsi in un protagonista attivo della rete di servizi sanitari, sacrificando in parte l’anima commerciale e sviluppando nuove competenze che gli permettano di erogare adeguatamente le prestazioni richieste».

L’avvio della sperimentazione, tuttavia, sembra non essere immediata viste le 3 condizioni poste all’unanimità dalla Commissione Salute delle Regioni nella riunione del 18 aprile 2018:

  • La richiesta di assegnare i € 36 milioni previsti dalla legge di Bilancio nel triennio 2018-2020 alle 9 Regioni individuate sulla base del criterio della quota capitaria di accesso, indipendentemente dall’anno previsto per l’avvio delle attività, secondo Cartabellotta «stravolge il principio della bozza di DM: risorse non più destinate ad una sperimentazione graduale, ma mera spartizione di fondi tra le 9 Regioni identificate».
  • La materiale erogazione dovrà seguire il cronoprogramma delle attività sperimentali di ogni Regione, nel rispetto dello stanziamento previsto dalla norma,  «una condizione di fatto superflua - secondo il Presidente - visto che gli anni di erogazione dei fondi sono già stabiliti dalla Legge di Bilancio 2018».
  • Infine la richiesta che, oltre a quanto previsto dalla legge, analoga quota capitaria di accesso sia resa disponibile, a valere sulle risorse per gli obiettivi di piano, anche alle altre Regioni a statuto ordinario che vogliano avviare nel triennio iniziative analoghe. In contrasto con le posizioni di alcuni relatori, Cartabellotta ha dichiarato che «Le Regioni non incluse nella sperimentazione possono sicuramente attingere alle risorse già assegnate sottraendole ad altri obiettivi di piano, ma è impossibile reperire ulteriori finanziamenti prima della Legge di Bilancio 2019, come invece sembra richiedere questa terza condizione. In ogni caso, bisognerebbe riscrivere per la terza volta lo schema di DM e aggiustare le norme in materia previste dalla Legge di Bilancio 2018, che non rappresenta né un’urgenza per le funzioni dell’attuale esecutivo, né verosimilmente una priorità immediata per il nuovo Governo».

«La Legge di Bilancio 2018 – ha concluso  Cartabellotta  – ha assegnato € 36 milioni nel triennio 2018-2020 per realizzare una sperimentazione e la bozza di DM ha identificato 9 Regioni e subordinato alle “ricadute in termini sanitari ed economici” l’eventuale estensione su scala nazionale. Condizionare l’avvio della sperimentazione al coinvolgimento di tutte le Regioni, se politicamente desiderabile e socialmente equo, rischia di generare inaccettabili ritardi, se non di arenare, una sperimentazione che può dimostrare definitivamente il contributo della farmacia dei servizi alla sostenibilità del SSN».


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16 aprile 2018
Diete, cibi e integratori: troppe credenze, poche evidenze

SCARSA QUALITÀ DELLA RICERCA, MITI E PRESUNZIONI SENZA BASI SCIENTIFICHE ED ENORMI INTERESSI ECONOMICI ALIMENTANO LA DISINFORMAZIONE E FAVORISCONO IL PROLIFERARE DI FAKE NEWS IN UN AMBITO DI ESTREMA RILEVANZA PER LA SALUTE PUBBLICA. PER FARE CHIAREZZA IL POSITION STATEMENT GIMBE ANALIZZA LE CRITICITÀ DELLA RICERCA NELLA SCIENZA DELLA NUTRIZIONE, SINTETIZZA LE MIGLIORI EVIDENZE SU DIETE, CIBI E INTEGRATORI E LANCIA LE SFIDE PER MIGLIORARE COMUNICAZIONE PUBBLICA E QUALITÀ E INTEGRITÀ DELLA RICERCA.

Con l’imminente “prova costume” la primavera è la stagione migliore per promuovere best seller e articoli su diete e integratori con titoli sensazionalistici che annunciano soluzioni miracolose per dimagrire e “nuovi” risultati della “ricerca” che stravolgono anche le più robuste evidenze scientifiche. Dal canto suo l’industria alimentare non esita a promuovere prodotti poco salutari, utilizza campagne pubblicitarie ingannevoli e si rivolge a target particolarmente a rischio come i bambini. Infine, questione meno evidente per un pubblico già sedotto da ammalianti sirene, la scienza della nutrizione è ben lungi dall’essere ineccepibile, in quanto distorta da errori metodologici e conflitti di interesse.

«Considerato che tutti questi fattori alimentano la disinformazione su un tema estremamente rilevante per la salute pubblica – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato il Position Statement su alimenti, diete e integratori con tre obiettivi: identificare le criticità della scienza della nutrizione, sintetizzare le migliori evidenze scientifiche su diete, cibi e integratori e identificare le sfide future per la scienza della nutrizione al fine di migliorare sia la comunicazione pubblica, che la qualità e l’integrità della ricerca».

Numerosi fattori minano la credibilità della scienza della nutrizione: l’insistere sull’approccio riduzionista vincente nell’era delle malattie carenziali, ma oggi inefficace per prevenire le malattie croniche; i conflitti di interesse finanziari e non finanziari; l’inadeguata qualità di revisioni sistematiche e linee guida; infine le criticità metodologiche della ricerca che determinano risultati  del tutto implausibili, “troppo belli per essere veri”: «È tempo di mettere un freno – puntualizza il Presidente – agli innumerevoli studi di associazione sui singoli nutrienti continuamente sfornati dai ricercatori: se presi alla lettera basterebbe aumentare l’apporto di nutrienti protettivi in 2 porzioni/die per eradicare il cancro a livello mondiale!».

Sui regimi dietetici finalizzati alla riduzione di peso le evidenze scientifiche sono inequivocabili: a fronte di infuocati dibattiti sull’efficacia delle varie diete e di slogan pubblicitari che promettono miracoli, la ricerca dimostra che qualsiasi dieta bilanciata a ridotto contenuto di carboidrati o di grassi fa dimagrire, ma non è possibile raccomandarne nessuna in particolare, viste le esigue differenze tra i vari regimi dietetici. Inoltre, in termini di riduzione del peso e del suo mantenimento, le evidenze dimostrano il valore aggiunto della terapia cognitivo-comportamentale e dell’esercizio fisico.

Nella sezione dedicata ai singoli cibi e nutrienti emerge il numero esiguo di studi controllati su esiti clinici, che forniscono adeguate prove di efficacia solo per la dieta mediterranea; la maggior parte delle evidenze deriva infatti da studi osservazionali e da trial controllati su parametri fisiologici, quali pressione arteriosa, iperlipidemia, glicemia, resistenza all’insulina, frequenza cardiaca, infiammazione sistemica. «Sulla base delle migliori evidenze disponibili – precisa Cartabellotta – è possibile raccomandare solo una dieta ricca di frutta, verdura, cereali integrali, legumi, pesce, nocciole/noci e latticini, oltre a cibi contenenti grassi monoinsaturi, polinsaturi e omega-3. Da evitare invece carni lavorate e bevande dolcificate, oltre a cibi ricchi di sodio, amido, zuccheri raffinati, grassi insaturi, colesterolo animale».

Impietosa la valutazione dell’efficacia degli integratori alimentari: nonostante la progressiva espansione del mercato, gli studi controllati su integratori di vitamine e minerali non dimostrano evidenti benefici per la prevenzione di patologie cardiovascolari e neoplasie, evidenziando addirittura maggiori rischi per alcuni micronutrienti. Di conseguenza, precisa il Presidente «l’utilizzo di integratori multivitaminici e multimineralici non è raccomandato per la popolazione generale e nemmeno in gravidanza; al contrario, è di provata efficacia l’assunzione mirata di specifici integratori in alcune fasi della vita (gravidanza, neonati, ultracinquantenni) e in sottogruppi a rischio nei quali il fabbisogno nutrizionale non può essere soddisfatto con la sola dieta».

Il Position Statement GIMBE chiarisce infine perché nel campo dell’alimentazione bufale e fake news fioriscono continuamente e sono difficili da prevenire ed estirpare. «In questo settore – conclude Cartabellotta – esiste una dinamica interpretativa della scienza più unica che rara: da un lato l’esposizione quotidiana al cibo determina un senso di familiarità diffusa e superficiale, dall’altro i comportamenti alimentari sono influenzati da abitudini personali, familiari, culturali e religiose. Di conseguenza si generano continuamente credenze basate su congetture, aneddoti e intuizioni piuttosto che su evidenze scientifiche, peraltro poco robuste e influenzate da conflitti di interesse che, condizionando l’integrità della ricerca, minano la fiducia dei cittadini nei confronti del metodo scientifico».

Il Position Statement GIMBE “Alimenti, diete e integratori: la scienza della nutrizione tra miti, presunzioni ed evidenze” è disponibile a: www.evidence.it/diete-integratori.


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22 marzo 2018
Trial Clinici: nuove generazioni di ricercatori alla scuola GIMBE

AL VIA LA SELEZIONE NAZIONALE PER LA SECONDA EDIZIONE DELLA SUMMER SCHOOL SULLA METODOLOGIA DEI TRIAL CLINICI, DESTINATA A 30 GIOVANI STUDENTI, MEDICI E FARMACISTI E REALIZZATA GRAZIE AD UNA EROGAZIONE NON CONDIZIONANTE DI ASSOGENERICI AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

Dopo il grande successo della prima edizione, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE lancia il secondo bando nazionale per la partecipazione alla “Summer School on... Metodologia dei trial clinici” (Loiano, 3-7 settembre 2018), corso residenziale finalizzato a preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.

«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente: determinando la persistenza di numerose aree grigie, oltre che lo spreco di preziose risorse».

La campagna internazionale Lancet-REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), promossa in Italia dalla Fondazione GIMBE e già integrata nei programmi di ricerca istituzionale del Ministero della Salute, punta proprio a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità: per questo molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica, e oltre la metà delle sperimentazioni cliniche vengono pianificate senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando evitabili duplicazioni». I dati dimostrano che più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.

«Lo scorso anno Assogenerici ha scelto di sostenere la Summer School del programma GIMBE4young – dichiara Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici – convinti dell’importanza dell’attività formativa svolta dalla Fondazione GIMBE e dell’urgenza, da essa sottolineata, di riportare il tema della salute al centro dell’agenda politica nazionale. A maggior ragione confermiamo questo impegno anche per il 2018, convinti che la prossima Legislatura sarà determinante per il destino della Sanità pubblica. Alla pari di GIMBE, le aziende del comparto degli equivalenti sono convinte che la stella polare per chiunque abbia a cuore le sorti del SSN deve essere il ricorso “appropriato” agli interventi sanitari, poiché questa è l’unica strategia capace di creare un sistema economicamente sostenibile di garanzia delle cure».

«È in quest’ottica - conclude Häusermann - che i corsi indirizzati ai giovani professionisti in formazione e orientati a  garantire  una maggior consapevolezza anche sul tema dell’accesso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse, rappresentano un investimento sul futuro di un SSN rafforzato e coerente con la sua missione di origine ».

Considerato che le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici non costituiscono ancora parte integrante dei percorsi universitari e specialistici, la Fondazione GIMBE lancia un bando nazionale per selezionare 30 giovani studenti, medici e farmacisti, al fine di colmare questo gap formativo.

La scadenza del bando è fissata al 21 maggio 2018.

Per ulteriori informazioni e invio candidature: www.gimbe4young.it/trial

 


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13 marzo 2018
Sostenibilità della sanità pubblica: una nuova generazione di decisori alla scuola GIMBE

Diversi fattori oggi minano la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche, il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti. Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate: estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo  di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value, incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, sprechi che si annidano a tutti i livelli.

«Per affrontare queste sfide – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – numerosi sono gli interventi normativi messi in campo negli ultimi anni. In particolare, il DM 70/2015 ovvero il “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” ha avviato il processo di qualificazione e riorganizzazione della rete ospedaliera che, insieme a quella delle cure primarie, costituisce la fondamentale linea di programmazione sanitaria per la sostenibilità del SSN».

Il DM 70/2015 promuove standard organizzativi secondo il modello di clinical governance, i cui strumenti utilizzati con un approccio di sistema contribuiscono ad erogare un’assistenza basata sulle evidenze, ad elevato value, sostenibile e centrata sui bisogni della persona: l’utilizzo integrato di strumenti di gestione del rischio clinico, evidence-based medicine, percorsi assistenziali, health technology assessment, valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche (audit clinico, misurazione della performance clinica, degli esiti e della qualità percepita), documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente, formazione continua del personale, team work e il team training sono dunque gli ingredienti fondamentali per la sostenibilità della sanità pubblica.
«Considerato che nei programmi di formazione universitaria e specialistica – precisa Cartabellotta –questi strumenti vengono raramente trasferiti in maniera sistematica, GIMBE punta a trasmettere queste competenze alle nuove generazioni di decisori della sanità, al fine di garantire continuità assistenziale tra ospedale e territorio, migliorare l’appropriatezza organizzativa, ridurre gli sprechi ed aumentare la soddisfazione dei pazienti».

Con questi obiettivi, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE ha lanciato un bando nazionale per l’erogazione di 25 borse di studio che consentiranno a  25 specializzandi in Igiene e Medicina Preventiva di partecipare alla prima edizione del corso avanzato “Metodi e strumenti di Clinical Governance per la sostenibilità del SSN” che si terrà a Bologna da giugno 2018 a gennaio 2019.

AL VIA IL BANDO NAZIONALE PER 25 BORSE DI STUDIO DESTINATE A SPECIALIZZANDI IN IGIENE E MEDICINA PREVENTIVA PER LA PARTECIPAZIONE AL CORSO AVANZATO SU “METODI E STRUMENTI DI CLINICAL GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ DEL SERVIZIO SANITARIO”, REALIZZATO GRAZIE A UNA EROGAZIONE LIBERALE E NON CONDIZIONANTE DI MSD AL PROGRAMMA GIMBE4YOUNG

L’iniziativa verrà realizzata grazie al sostegno non condizionante di MSD al programma GIMBE4young: «Ogni azienda - sottolinea Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore Delegato di MSD – secondo un principio di sussidiarietà orizzontale deve occuparsi del bene pubblico e, poiché la formazione dei giovani è uno dei beni più importanti del nostro Paese, ci teniamo a fare la nostra parte ed essere vicini a GIMBE». «Con questo supporto – precisa Goffredo Freddi, Direttore Policy & Communication di MSD – MSD intende fornire il suo contributo per frenare la fuga dei cervelli e trattenere i giovani talenti che possono dare un brillante futuro al nostro Paese».

Le candidature possono essere inviate online entro il 23 aprile 2018.

Tutte le informazioni sul bando sono disponibili a: www.gimbe4young.it/CG


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7 marzo 2018
A Elena Cattaneo il premio Evidence 2018

LA FONDAZIONE GIMBE HA ASSEGNATO IL RICONOSCIMENTO PER IL CONTINUO IMPEGNO DELLA PROFESSORESSA NEL SOSTENERE L’INDEROGABILE NECESSITÀ DI UN "SISTEMA RICERCA ITALIA", ADEGUATAMENTE FINANZIATO, GESTITO IN MANIERA TRASPARENTE E BASATO SULLA MERITOCRAZIA.

La Fondazione GIMBE, in occasione Conferenza Nazionale, assegna ogni anno il Premio Evidence a una personalità del mondo scientifico o sanitario che si è distinta per la pubblicazione di rilevanti evidenze scientifiche, per l’integrazione delle migliori evidenze nelle decisioni professionali, manageriali o di politica sanitaria, per l’insegnamento dell'Evidence-based Practice.

Il Premio Evidence 2018 è stato conferito a Elena Cattaneo - professoressa presso l’Università degli Studi di Milano e Senatrice a vita - per il «suo continuo impegno a sostenere l’inderogabile necessità di un “Sistema Ricerca Italia”, adeguatamente finanziato, gestito in maniera trasparente e basato sulla meritocrazia».

«Oltre a riconoscere la rilevante attività scientifica di Elena Cattaneo che ha posto pietre miliari nel settore delle cellule staminali e delle malattie neurodegenerative – ha affermato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo premiato la sua continua opera di sensibilizzazione pubblica sulla necessità di contrastare l’analfabetismo scientifico e la sua ferma convinzione che per tutelare la salute delle persone bisogna educare la politica alla scienza». Tra le motivazioni anche la determinazione di Elena Cattaneo nella vicenda Stamina - da lei definito “il più ciclopico deragliamento della storia della medicina” – e il coraggioso tributo a Giulio Regeni in cui la Senatrice ha sottolineato che «non ci può essere alcun limite alla libertà degli studiosi di studiare, né alcun timore nel perseguire la conoscenza».

Sulla mancanza di una strategia organica d'investimento di medio-lungo periodo e della volontà politica di strutturarla prescindendo da interessi contingenti, pronti a mutare all'alternarsi dei Governi, la professoressa ha spesso puntato il dito verso la cronica incapacità di amministrare la ricerca. «Condividiamo la visione illuminata di Elena Cattaneo – ha puntualizzato Cartabellotta – che chiede di passare dalla politica del tesoretto discrezionale a quella dell'investimento continuativo nel tempo, trasparente, aperto e competitivo e alle procedure di assegnazione al di sopra di ogni sospetto».

Metodo e moralità, ecco gli ingredienti per fare funzionare un “Sistema Ricerca Italia”: «Il metodo – ha affermato Elena Cattaneo – garantisce l’uguaglianza dei ricercatori per un accesso competitivo alle risorse pubbliche. È solo da una sana competizione tra tutte le idee che possono venire i maggiori benefici della ricerca per i cittadini. In Italia, purtroppo, questo metodo è troppo frammentato: pochi finanziamenti per la ricerca biomedica erogati tramite numerosi canali non coordinati e con procedure di valutazioni differenti».

La Senatrice ha ricordato che «qualunque scienziato o membro di un’Istituzione chiamato a gestire finanziamenti pubblici deve attenersi a un inderogabile principio di moralità da intendersi come garanzia dell’uso corretto, efficiente e verificabile delle risorse pubbliche, seguendo procedure che non sono da inventare, ma da mutuare da esperienze internazionali. Solo così sarà possibile riavvicinare i cittadini alla scienza, evitando che bufale e fake news continuino a dilagare indisturbate».

«Per raggiungere questo obiettivo – ha concluso Elena Cattaneo – non è più accettabile che un singolo euro pubblico venga assegnato senza un bando competitivo: per questo è indifferibile l’istituzione di un’Agenzia pubblica per la ricerca, al fine di attuare meccanismi idonei a selezionare i progetti migliori».


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2 marzo 2018
Sanità pubblica: prossima legislatura, ultima chiamata

ALLA 13a CONFERENZA NAZIONALE GIMBE RIFLETTORI PUNTATI SUL GRANDE ASSENTE DEL DIBATTITO PRE-ELETTORALE: LA TUTELA DI UN SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO EQUO E UNIVERSALISTICO. SEGNALI DI INVOLUZIONE SEMPRE PIÙ EVIDENTI DIMOSTRANO CHE NON POTRÀ ESSERE IL FUTURO A PRENDERSI CURA DEL SSN: ECCO PERCHÉ LA FONDAZIONE GIMBE HA PRESENTATO UN “PIANO DI SALVATAGGIO” IN 12 PUNTI, SULLA CUI ATTUAZIONE VIGILERÀ CON IL PROPRIO OSSERVATORIO

Al cospetto di oltre 600 partecipanti del mondo della sanità e della ricerca biomedica, giunti a Bologna da tutto il territorio nazionale, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – ha fatto il punto sullo “stato di salute” del nostro servizio sanitario nazionale (SSN) e sull’indifferibile necessità di rimettere la salute dei cittadini al centro dell’agenda politica.

Secondo le stime della Fondazione GIMBE nel 2025 serviranno almeno € 210 miliardi per mantenere il SSN, pari ad una spesa pro-capite di € 3.500; stime estremamente prudenziali perché si tratta di una cifra inferiore alla media OCSE del 2013. Rispetto ai € 150 miliardi di spesa del 2016, stando alle previsioni attuali d’incremento di spesa pubblica e di spesa privata e al potenziale recupero da sprechi e inefficienze, rimane indispensabile un forte rilancio del finanziamento pubblico per raggiungere la cifra stimata.

«Questi dati – ha esordito Cartabellotta – seppure non devono essere letti come la conseguenza di un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, testimoniano indubbiamente l’assenza di un preciso programma politico per il suo salvataggio, confermata anche dalla recente analisi dei programmi elettorali condotta dalla Fondazione GIMBE».

Impressionante la quantità di numeri snocciolati dal Presidente: dal definanziamento pubblico alle diseguaglianze regionali, dalla composizione della spesa privata alla mobilità sanitaria, dai ticket alle addizionali regionali IRPEF, dalla spesa per il personale agli sprechi, che restituiscono un quadro allarmante in cui il nostro SSN si sta inesorabilmente disgregando sotto gli occhi di tutti.  

«Davanti a tinte così fosche per il futuro della sanità pubblica – ha puntualizzato Cartabellotta – dal nostro monitoraggio dei programmi elettorali emerge che nessun partito ha predisposto un piano per tutelare il SSN intervenendo sulle principali determinanti della crisi di sostenibilità: definanziamento, “paniere” LEA troppo ampio, sprechi e inefficienze, deregulation della sanità integrativa, diseguaglianze regionali e locali. Considerato che non potrà essere il futuro a prendersi cura del SSN, la Fondazione GIMBE ha dunque messo nero su bianco un dettagliato “piano di salvataggio”, la cui attuazione sarà strettamente monitorata dal nostro Osservatorio».

Ecco i 12 punti del “piano di salvataggio” proposto dalla Fondazione GIMBE:

  1. Salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali
  2. Certezze sulle risorse per la sanità: stop alle periodiche revisioni al ribasso e rilancio del finanziamento pubblico
  3. Maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel pieno rispetto delle loro autonomie
  4. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale, perché i bisogni sociali sono strettamente correlati a quelli sanitari
  5. Ridisegnare il perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia e rivalutare la detraibilità delle spese mediche secondo gli stessi criteri
  6. Eliminare il superticket e definire criteri nazionali di compartecipazione alla spesa sanitaria equi e omogenei
  7. Piano nazionale contro gli sprechi in sanità per recuperare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi
  8. Riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione
  9. Sana integrazione pubblico-privato e libera professione regolamentata secondo i reali bisogni di salute delle persone
  10. Rilanciare le politiche per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari
  11. Finanziare ricerca clinica e organizzativa: almeno l’1% del fondo sanitario nazionale per rispondere a quesiti rilevanti per il SSN
  12. Programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake-news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate

«Senza l’attuazione di un “piano di salvataggio” di tale portata – ha concluso il Presidente – la progressiva e silente trasformazione (già in atto) di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico verso un sistema misto sarà inesorabile, consegnando alla storia la più grande conquista sociale dei cittadini italiani. Ma se anche questo fosse il destino della sanità pubblica, il prossimo esecutivo non potrà esimersi dall’avviare una rigorosa governance della fase di privatizzazione, al fine di proteggere le fasce più deboli della popolazione e ridurre le diseguaglianze».

 


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23 febbraio 2018
Elezioni 2018: per sanità e ricerca comunque vada non sarà un successo

L’OSSERVATORIO GIMBE PUBBLICA I RISULTATI DEFINITIVI DEL FACT CHECKING SUI PROGRAMMI ELETTORALI, CONFERMANDO CHE NESSUNA FORZA POLITICA HA ELABORATO UN “PIANO DI SALVATAGGIO” DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. I PARTITI HANNO UN’ATTENZIONE MOLTO VARIEGATA PER SANITÀ E RICERCA: NUMEROSE PROPOSTE VALIDE MA FRAMMENTATE, ALCUNE NON SOSTENIBILI, ALTRE POCO ATTUABILI, NON SOSTENIBILI O SUPERFLUE. GRANDI ASSENTI LA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO ECONOMICO DELLE PROPOSTE E UNA VISIONE DI SISTEMA.

A 10 giorni dalle consultazioni politiche, la Fondazione GIMBE rende noti i risultati del monitoraggio indipendente delle proposte su sanità e ricerca biomedica di tutti i programmi elettorali. «Come già annunciato – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – l’analisi è stata condotta esclusivamente sui programmi ufficiali dei partiti, escludendo tutti i materiali divulgativi e le dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa, radio, TV, social media». Ecco la sintesi delle principali proposte classificate secondo le azioni del “piano di salvataggio del SSN” elaborato della Fondazione GIMBE:

  1. Salute al centro di tutte le decisioni politiche. Il M5S propone interventi precisi su varie determinanti della salute: ambiente, alimentazione, politiche del farmaco, azzardo. Civica Popolare punta a migliorare condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative, oltre che vita lavorativa, economica e sociale. Proposte di incentivi per la prevenzione (Fratelli d’Italia) e per l’adozione di sani stili di vita (10 Volte Meglio). Liberi e Uguali e Siamo puntano a ridurre i fattori di rischio nell’ambiente di vita e di lavoro. 10 Volte Meglio e Stato Moderno Solidale promuovono energia pulita e lotta all’inquinamento.
  2. Certezze sulle risorse per la sanità. 10 Volte Meglio, + Europa, Popolo della Famiglia, Partito Democratico propongono un rilancio del finanziamento pubblico senza definirne l’entità. Liberi e Uguali, accanto ad un investimento di € 5 miliardi in 5 anni per rinnovamento tecnologico ed edilizia sanitaria, propone di riallineare progressivamente la spesa sanitaria pubblica alla media dei paesi dell’Europa occidentale: ma servono quasi € 90 miliardi per colmare il gap. Sinistra Rivoluzionaria vuole il “raddoppio immediato dei fondi destinati alla sanità”, ovvero € 114 miliardi subito sul piatto.
  3. Maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle autonomie. Noi con L’Italia, Partito Democratico, Partito Repubblicano Italiano-ALA e Potere al Popolo riportano solo generiche dichiarazioni per garantire i LEA su tutto il territorio nazionale. Bisogna mettere mano alla Costituzione per le proposte di +Europa (modifica della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni), 10 Volte Meglio (revisione dell’articolo 117) e Partito Comunista (rimozione del Titolo V). + Europa propone anche di rivedere le regole su monitoraggio dei LEA e commissariamento delle Regioni. In controtendenza Forza Italia che vuole rafforzare le autonomie regionali e locali.
  4. Costruire un servizio socio-sanitario nazionale. Generiche dichiarazioni di intenti su aiuti ad anziani e disabili da Fronte Friulano, Il Popolo della Famiglia, Italia Europa Insieme e sul potenziamento dei servizi socio-sanitari dalla Lega. Ricco il programma di 10 Volte Meglio: domotica per anziani e disabili, aumento RSA, potenziamento geriatria, nuovi curricula per caregiver, promozione attività fisica e prevenzione per i disabili. Liberi e Uguali e Potere al Popolo mirano a implementare il Piano Nazionale per la non autosufficienza con l’assistenza domiciliare integrata, su cui punta anche Civica Popolare che vuole riconoscere contributi previdenziali per l’attività familiare di assistenza agli anziani, in linea con Fratelli d’Italia. Proposte d’inclusione per le persone con disabilità e i soggetti fragili da Liberi e Uguali e Potere al Popolo. Numeri solo dal Partito Democratico (€ 2 miliardi per indennità di accompagnamento) e da Fratelli d’Italia (improbabile “raddoppio” dell’assegno di invalidità che richiede oltre € 18 miliardi).
  5. Ridisegnare il perimetro dei LEA. Nessun partito affronta l’inderogabile delisting delle prestazioni incluse nei LEA: ovvio che annunciare la riduzione delle prestazioni rischia di ridurre i consensi.
  6. Eliminare il superticket e revisione normativa su ticket. Civica Popolare e Liberi e Uguali puntano ad abolire il superticket e a rivedere l’intera normativa della compartecipazione alla spesa; M5S propone di eliminare il ticket sui farmaci; Partito Comunista, Per una Sinistra Rivoluzionaria e Potere al Popolo vogliono sopprimere ogni forma di compartecipazione. Nessuna forza politica identifica come recuperare le risorse necessarie.
  7. Riduzione degli sprechi. Nessuna proposta per ridurre il sovra-utilizzo di interventi sanitari inefficaci e inappropriati. Solo il M5S propone azioni per recuperare risorse erose da fenomeni corruttivi e illeciti. Per contrastare gli sprechi da acquisti a costi eccessivi Popolo della Famiglia, Lega e M5S propongono l’applicazione dei costi standard; il Partito Democratico una nuova governance del farmaco e dei dispositivi medici tramite un ripensamento dei tetti di spesa. Numerose proposte per implementare il sotto-utilizzo di interventi sanitari efficaci e appropriati: politiche di prevenzione (Liberi e Uguali, Partito Repubblicano-ALA, Partito Valore Umano) per le quali il Partito Democratico propone sistemi premiali per le Regioni più attive, screening oncologici e nelle patologie croniche (10 Volte Meglio), promozione dei farmaci generici (Liberi e Uguali), salute mentale e della donna (10 Volte Meglio, Liberi e Uguali), assistenza ai malati terminali (Il Popolo della Famiglia). Rispetto all’incandescente dibattito mediatico sui vaccini solo due proposte nei programmi ufficiali: il Partito Democratico prevede di attuare il Piano di Prevenzione Vaccinale, il Popolo della Famiglia propone l’abrogazione dell’obbligo vaccinale. Per ridurre gli sprechi da complessità amministrative tutte le proposte si concentrano sull’informatizzazione del SSN: +Europa, Liberi e Uguali, M5S e Partito Democratico vogliono implementare fascicolo sanitario elettronico, ricette digitali, dematerializzazione di referti e cartelle cliniche, fatturazioni elettroniche, prenotazioni e pagamenti online, anagrafi vaccinali. Sull’inadeguato coordinamento dell’assistenza in pole-position la gestione delle liste d’attesa: 10 Volte Meglio e Partito Democratico puntano ad esportare l’esperienza dell’Emilia Romagna, Civica Popolare vuole inserire tra i criteri di valutazione dei direttori generali il rispetto dei tempi di attesa massimi, M5S fa leva sulla trasparenza, Potere al Popolo punta sulla regolamentazione dell’intramoenia. Rispetto all’integrazione tra ospedale e cure primarie molto ricco il programma della Lega. +Europa mira a spostare le risorse dalle cure per acuti a cronicità e disabilità. Partito Comunista e Potere al Popolo dicono stop a ridimensionamento e chiusura degli ospedali, in contrasto con il DM 70/2015 i cui obiettivi sono anche di tutelare la salute dei cittadini.
  8. Riordino legislativo della sanità integrativa. Liberi e Uguali propone “un freno alla diffusione delle polizze sanitarie nei contratti integrativi, attraverso regole più precise e/o evitando di sostenerla con la fiscalità generale”; 10 Volte Meglio suggerisce una generica regolamentazione dei € 35 miliardi di spesa privata e del secondo pilastro. Per il resto, silenzio tombale su una rilevante priorità politica.
  9. Integrazione pubblico-privato e regolamentazione libera professione. Proposte divergenti e talora poco fattibili. 10 Volte Meglio propone una “strategia di integrazione-collaborazione pubblico-privato” e sul “potenziamento dei controlli”, seppure con un improbabile allineamento retributivo degli operatori sanitari dei due comparti. Forza Italia punta su libertà di scelta e “incentivazione della competizione pubblico-privato”, antitesi della “sana integrazione” proposta da GIMBE. M5S vuole rivedere i meccanismi di accreditamento delle strutture private e quelli dell’intramoenia. Il Partito Comunista propone di vietare il doppio esercizio in strutture private e pubbliche e di abolire progressivamente le cliniche private. Per una Sinistra rivoluzionaria propone di abolire ogni finanziamento alla sanità privata e l’attività a privata all’interno delle strutture pubbliche. Potere al Popolo chiede l’uscita del privato dal business dell'assistenza sanitaria.
  10. Politiche per il personale e fabbisogno dei professionisti. Numerose proposte per la programmazione del fabbisogno (10 Volte Meglio, Lega, M5S) e su assunzioni, stabilizzazione di precari e sblocco del turnover (10 Volte Meglio, Forza Italia, Siamo, Liberi e Uguali, Partito Comunista, Potere al Popolo). Rinnovo contrattuale nelle proposte di Partito Comunista e 10 Volte Meglio. Perplessità sulle proposte del M5S su formazione specialistica del medico che nulla aggiungono a quanto già previsto dalle normative vigenti.
  11. Ricerca clinica e organizzativa. In pole position +Europa, anche se alcune proposte non riguardano solo la ricerca biomedica: 3% del PIL alla ricerca, istituzione di un’agenzia per la ricerca, bando PRIN annuale di importo ≥ al 2017, rimozione ostacoli alla ricerca scientifica su malattie rare, procreazione mediamente assistita, embrioni, biotecnologie, allineamento normativa nazionale alle direttive europee sulla sperimentazione animale. Le proposte del Partito Democratico (Technopole 2.0, credito di imposta strutturale per attività di ricerca e sviluppo), di indubbio valore per l’attrazione di fondi privati e lo sviluppo economico, hanno un ritorno incerto per la sanità pubblica.
  12. Informazione scientifica a cittadini e pazienti. Proposte solo da 10 Volte Meglio: riferimento alle evidenze scientifiche, partecipazione della popolazione alla formulazione delle politiche, lotta alla vaccine hesitancy, campagne d’informazione sulla corretta alimentazione.

«Considerato che la prossima legislatura – conclude Cartabellotta – sarà determinante per il destino della sanità pubblica, dal nostro monitoraggio emerge un quadro poco rassicurante. Per una variabile combinazione di ideologie partitiche, scarsa attenzione per la sanità e limitata di visione di sistema, nessuna forza politica è riuscita ad elaborare un “piano di salvataggio” per la sanità pubblica finalizzato a garantire a tutti i cittadini il diritto costituzionale alla tutela del nostro bene più prezioso: la salute».

Il report “Elezioni 2018: monitoraggio indipendente dei programmi elettorali su sanità e ricerca biomedica” è disponibile a: www.gimbe.org/elezioni2018


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15 febbraio 2018
Elezioni 2018: la tutela della salute continuerà a non essere uguale per tutti

PROSEGUE IL FACT CHECKING DELL’OSSERVATORIO GIMBE SULLE PROPOSTE ELETTORALI RELATIVE ALLA SANITÀ: AL DI LÀ DI GENERICHE DICHIARAZIONI DI INTENTI NESSUN PARTITO HA UN PROGRAMMA CHIARO PER RIDURRE LE DISEGUAGLIANZE REGIONALI E LOCALI CHE OGGI LEGANO IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE AL CAP DI RESIDENZA, COME DIMOSTRANO I NUMERI RIPORTATI DA GIMBE

Dal punto di vista etico, sociale ed economico è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze ed influenzano gli esiti di salute della popolazione.

«Un variegato elenco di variabilità regionali –  afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dimostra che l’universalismo, fondamento del nostro SSN, si sta inesorabilmente disgregando sotto gli occhi di tutti, anche di una politica miope che non intende restituire agli Italiani un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Ecco perché il periodo pre-elettorale è il momento giusto per condividere con i cittadini alcuni numeri inquietanti, che testimoniano come il diritto alla tutela della salute sia ormai legata al CAP di residenza da cui dipendono anche forti differenze nei “prelievi” dalle tasche dei cittadini (ticket, addizionali IRPEF)».

  • Mortalità evitabile. Nel Rapporto “Mortalità Evitabile (con intelligenza)” 2018, il Trentino Alto Adige conquista la prima posizione tra le Regioni sia per uomini che donne, mentre la Campania resta inchiodata sul fondo di entrambe le classifiche con Napoli ultima tra le province: sia per gli uomini (30 giorni pro-capite perduti, rispetto ai 18,4 di Rimini in prima posizione) che per le donne (18 giorni pro-capite perduti, rispetto ai 10,4 di Treviso in prima posizione).
  • Adempimenti livelli essenziali di assistenza (LEA). L’ultimo report del Ministero della Salute, relativo al 2015, dimostra che il punteggio massimo della Toscana (212) è esattamente il doppio di quello minimo della Campania (106). Ciò significa che a parità di risorse assegnate dallo Stato l’esigibilità dei LEA da parte dei cittadini campani è pari al 50% di quelli toscani. 
  • Programma Nazionale Esiti (PNE). Le performance ospedaliere documentate dal PNE 2017 sono un variopinto patchwork di cui è possibile cogliere anche le sfumature, perché oltre alle variabilità tra Regioni rileva quelle tra singoli ospedali. Ad esempio, la percentuale di parto cesareo primario, a fronte di una media nazionale del 24,5%, varia dal 6% al 92%; quella di interventi chirurgici entro 48 ore nei pazienti ultrasessantacinquenni con frattura di femore varia dal 3% al 97% (media nazionale 58%); la mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio oscilla da 0% al 21% (media nazionale 8,6%); gli interventi di colecistectomia laparoscopica con degenza post-operatoria inferiore ai 3 giorni, a fronte di una media nazionale del 72,7%, hanno un range tra i vari ospedali che varia addirittura da 0% a 100%.
  • Mobilità sanitaria. Nel 2016 vale ben € 4,16 miliardi “spostati” prevalentemente da Sud a Nord. In pole position per mobilità attiva la Lombardia con € 937,8 milioni, fanalino di coda per mobilità passiva il Lazio con -€ 542,2 milioni. Il saldo della mobilità vede sempre la Lombardia in testa con un “utile” di € 597,6 milioni e fanalino di coda la Campania con un “passivo” di € 282,5 milioni.
  • Spesa farmaceutica. Secondo il Rapporto OSMED 2016, pubblicato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, la spesa convenzionata lorda pro-capite per i farmaci rimborsati dal SSN oscilla da € 128,77 della PA di Bolzano ai € 219,18 della Campania (media nazionale € 175,25). Quella per i farmaci acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche da € 145,32 della Valle D’Aosta a € 240,64 della Campania (media nazionale € 195,84). La percentuale della spesa per i farmaci equivalenti, tra quelli a brevetto scaduto, varia dal 10,2% della PA di Trento al 3,9% della Calabria (media nazionale 6,2%)
  • Ticket. Le regole applicate da ciascuna Regione hanno generato una giungla inestricabile, con differenze degli importi da corrispondere per farmaci e prestazioni e delle regole per le esenzioni. Dai ticket sanitari nel 2016 le Regioni hanno incassato € 2,86 miliardi, corrispondenti a una quota pro-capite di € 47 con notevoli variabilità regionali. Per i farmaci la quota oscilla da € 33,6 della Campania a € 15 del Friuli Venezia Giulia, a fronte di una media nazionale di € 24. Per le prestazioni sanitarie, di specialistica ambulatoriale e pronto soccorso, dai € 131 della Valle D’Aosta ai € 16,7 della Campania (media nazionale € 23).
  • Addizionali regionali IRPEF. Per l’anno 2017 quelle minime oscillano dallo 0,70% del Friuli Venezia Giulia al 2,03% della Campania, mentre le addizionali massime dal 1,23% di PA di Bolzano, PA di Trento, Sardegna, Valle d'Aosta, Veneto e Friuli Venezia Giulia al 3,33% di Lazio e Campania.

Dal monitoraggio dell’Osservatorio GIMBE emerge che numerosi programmi elettorali dichiarano la volontà di risolvere le diseguaglianze regionali, richiamando l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi di universalismo ed equità; tuttavia, le proposte concrete per garantire un accesso uniforme ai LEA da parte di tutti i cittadini sono veramente irrisorie. Non mancano addirittura programmi che, al contrario, puntano su un “rafforzamento delle autonomie locali” e su “maggiori autonomie delle Regioni”. Incomprensibili, infine, le dichiarazioni pubbliche di voler rimettere mano al Titolo V, in assenza di esplicite proposte in tal senso nel programma elettorale.

«Il prossimo esecutivo – conclude Cartabellotta – senza necessariamente mettere in campo improbabili riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie. Dal monitoraggio più analitico degli adempimenti LEA ad un ripensamento dei Piani di rientro, dal collegamento tra criteri di riparto e sistemi premianti alla diffusione delle best practice regionali, dalla idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della “questione meridionale”».


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8 febbraio 2018
Elezioni 2018: per la sanità poche idee e ben confuse

DAL PRIMO FACT CHECKING DEI PROGRAMMI ELETTORALI CONDOTTO DALL’OSSERVATORIO GIMBE EMERGE UN QUADRO SCONFORTANTE, MA COERENTE CON L’ASSENZA DAL DIBATTITO PRE-ELETTORALE. NESSUNA FORZA POLITICA PREVEDE UN VERO PIANO DI SALVATAGGIO DELLA SANITÀ PUBBLICA. TROPPE PROPOSTE FRAMMENTATE A CACCIA DI CONSENSI E POCA ATTENZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA. NON MANCANO INTENZIONI NOCIVE E PROPOSTE GROTTESCHE PER LA SANITÀ PUBBLICA.

Gli evidenti segni di involuzione della sanità pubblica, confermate dalle stime del 2° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), lasciano intuire che la prossima legislatura sarà determinante per il destino del SSN. Per questo, in occasione delle imminenti consultazioni elettorali, tutte le forze politiche devono essere consapevoli che è indispensabile rimettere la sanità al centro dall’agenda di Governo perché il diritto costituzionale alla tutela della salute non può essere ostaggio di ideologie partitiche.

«A 5 anni dal lancio del programma #salviamoSSN – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo esortato tutte le forze politiche a mettere nero su bianco proposte convergenti per la sanità pubblica ed avviato il monitoraggio comparativo dei programmi elettorali, nella ferma convinzione che se è vero che non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, è altrettanto certo che continua a mancare un preciso programma politico per il suo salvataggio».

Dal monitoraggio iniziale da parte dell’Osservatorio GIMBE emergono i primi dati, tanto significativi quanto inquietanti:

  • Quasi tutte le forze politiche affermano che la salute è un diritto fondamentale da tutelare, ma poche prendono atto della crisi di sostenibilità del SSN, che continua ad essere semplicisticamente osannato come uno dei migliori al mondo.
  • Quasi nessuno si sbilancia sulla necessità di rilanciare il finanziamento pubblico della sanità.
  • Pochi programmi enfatizzano il concetto di salvaguardare la “salute in tutte le politiche”, in particolare quelle ambientali e alimentari.
  • La sostenibilità economica delle proposte è un optional, visto che solo in rarissimi casi vengono dettagliate le relative modalità di finanziamento.
  • Nella maggior parte dei programmi echeggia la volontà di risolvere le diseguaglianze regionali, ma emergono poche strategie concrete su come garantire l’accesso uniforme ai LEA da parte di tutti i cittadini.
  • Numerosissime proposte non tengono conto delle attuali distribuzioni di responsabilità e poteri tra Stato e Regioni, rischiando di rimanere così lettera morta.
  • Nessun programma fa esplicito riferimento alla sostenibilità dei nuovi LEA, né tanto meno alla necessità – visto l’imponente definanziamento pubblico del SSN –- di ridisegnarne il perimetro attraverso un consistente sfoltimento basato sulle evidenze scientifiche. Evidentemente annunciare la riduzione delle prestazioni rimane politicamente scomodo.
  • Alcuni programmi puntano, giustamente, a prevenire comportamenti opportunistici e conflitti di interesse che, tuttavia, non configurando reato o illecito amministrativo rimangono difficilmente “governabili”.
  • Poche le proposte concrete sull’assistenza socio-sanitaria e, soprattutto, sulla non autosufficienza.
  • La programmazione del fabbisogno di medici e altri professionisti della salute è, di fatto, presa in considerazione solo da due programmi elettorali.
  • Pochi programmi identificano la riduzione degli sprechi e il riordino normativo della sanità integrativa tra le azioni prioritarie per garantire la sostenibilità del SSN.
  • Tra le proposte più gettonate: compartecipazione alla spesa (eliminazione superticket, rimodulazione/eliminazione ticket), riduzione delle liste d’attesa, nuova governance del farmaco, informatizzazione, assunzione del personale, eliminazione del precariato. Inoltre, troppi programmi sono farciti di proposte di piccolo cabotaggio, facendo sorgere il ragionevole sospetto di puntare solo a raccogliere consensi.
  • Numerosi programmi contengono proposte potenzialmente “tossiche” che minano i princìpi di universalismo ed equità del SSN: dalla “incentivazione alla competizione pubblico-privato” alla “difesa dei piccoli presidi ospedalieri”, dal “rafforzamento delle autonomie locali” alle maggiori autonomie delle Regioni.
  • Non mancano infine proposte bizzarre che sconfinano nel grottesco: da chi promette “un milione di posti di lavoro in sanità e assistenza sociale e domiciliare” a chi il “raddoppio immediato dei fondi destinati alla sanità” o la “nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori dell’industria farmaceutica”; da chi invoca “l’abolizione di ogni finanziamento alla sanità privata” sino addirittura a “l’uscita del privato dalla sanità”.

Da questo primo carotaggio sui programmi elettorali emerge che nessun partito intende rimettere la sanità al centro dell’agenda politica, visto che non si intravede alcun “piano di salvataggio” del SSN coerente con le principali determinanti della crisi di sostenibilità: definanziamento, “paniere” LEA troppo ampio, sprechi e inefficienze, deregulation della sanità integrativa, diseguaglianze regionali e locali.

«Al di là delle dichiarazioni di intenti – conclude Cartabellotta – dalla nostra analisi emerge per l’elettore un amletico dubbio: coloro che aspirano a governare il nostro Paese hanno una conoscenza davvero così limitata dello “stato di salute” della sanità pubblica? Oppure ne hanno piena consapevolezza, ma preferiscono utilizzare armi di distrazioni di massa sperando che sia il futuro a prendersi cura del SSN?».


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29 gennaio 2018
Tutela della salute, stop alle contrapposizioni: alla sanità servono più stato e più regioni

UNA RINNOVATA GOVERNANCE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE NON PUÒ CONTINUARE AD AVVITARSI SULLA CONTRAPPOSIZIONE TRA CENTRALISMO E REGIONALISMO SCARICANDO SUI CITTADINI IL CONFLITTO ISTITUZIONALE TRA POLI SEMPRE PIÙ INDEBOLITI. SERVE UN NUOVO PATTO TRA GOVERNO E REGIONI CHE ABBIA REALMENTE AL CENTRO LA SALUTE DELLE PERSONE.

La Winter School 2018 di Motore Sanità (Como, 24-26 gennaio) ha offerto il palcoscenico ad un costruttivo dibattito su un tema di estrema rilevanza sociale, etica, politica ed economica, ovvero la riorganizzazione del servizio sanitario nazionale tra centralismo e regionalismo, in un contesto caratterizzato da un cocktail potenzialmente letale per la sanità pubblica:  imponente definanziamento pubblico contestuale alla revisione “al rialzo” dei nuovi LEA, boom della spesa privata complice una sanità integrativa ipotrofica e poco regolamentata, sprechi e consumismo sanitario alimentato da aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti scarsamente alfabetizzati.

«Dal un punto di vista etico, sociale ed economico ha affermato Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE e coordinatore della sessione insieme ad Angelo Lino del Favero, Direttore Generale dell’Istituto Superiore di Sanità – è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato ad una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze e, soprattutto, influenzano gli esiti di salute della popolazione».

Cartabellotta ha snocciolato un inquietante elenco di variabilità regionali dimostrando che l’universalismo, pilastro fondante del nostro servizio sanitario nazionale, si sta inesorabilmente disgregando: dagli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza alle performance ospedaliere secondo il programma nazionale esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia.

«Siamo di fronte a 21 sistemi sanitari regionali – ha puntualizzato il Presidente  – liberi di declinare in maniera eterogenea l’offerta di servizi e prestazioni davanti ad uno Stato che si limita ad assegnare le risorse e verifica l’adempimento dei LEA con una “griglia” capace di catturare solo macro-diseguaglianze. E i Piani di rientro per le Regioni inadempienti, guidati più da esigenze finanziarie che dalla necessità di riorganizzare i servizi, hanno scaricato sui cittadini servizi sanitari peggiori con nefaste conseguenze sull’aspettativa di vita, addizionali IRPEF più elevate per risanare i conti regionali  e necessità di curarsi altrove».

Nel 2016 la mobilità sanitaria ha spostato oltre 4,15 miliardi di euro, prevalentemente dal Sud al Nord: ma se le spese sono a carico del SSN, i costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il Paese sono enormemente più elevati. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei LEA territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana e non alla occasionalità di un intervento chirurgico.

Il Prof. Renato Balduzzi – membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già Ministro della Salute – nella sua lectio magistralis ha sapientemente smontato la teoria che vede le diseguaglianze regionali esclusivamente figlie della Riforma del Titolo V del 2001 , dichiarando con fermezza che oggi «il servizio sanitario nazionale ha bisogno di più Stato e di più Regioni». Dopo la bocciatura del referendum costituzionale, nessun passo in avanti è stato fatto per migliorare la governance di 21 differenti sistemi sanitari, anzi si sono moltiplicate le richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni che, a giudizio di Balduzzi «difficilmente potranno essere legittimate dalla Corte Costituzionale».

Dal palco numerosi direttori generali di aziende sanitarie, rappresentanti del mondo professionale e cittadini hanno convenuto sulla necessità di soluzioni politiche e organizzative per rendere più omogenea l’esigibilità dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, valorizzando le migliori esperienze regionali, in particolare le reti per patologie e i sistemi informativi in grado di valutare in tempo reale i bisogni di salute della popolazione.

«Una rinnovata governance del servizio sanitario nazionale – ha concluso Cartabellotta – non può continuare ad avvitarsi sulla contrapposizione tra centralismo e regionalismo scaricando sui cittadini il conflitto istituzionale tra poli sempre più indeboliti. Ecco perché il prossimo esecutivo, senza necessariamente passare attraverso riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie: dal monitoraggio più analitico degli adempimenti LEA ad una riforma dei Piani di rientro, dalla revisione dei criteri di riparto collegati a sistemi premianti a cascata alla diffusione virtuosa delle best practice regionali, dalla idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della “questione meridionale”».


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17 gennaio 2018
Ospedale, non sempre il posto migliore dove curarsi

CON L’EPIDEMIA INFLUENZALE TORNA ALLA RIBALTA LA SPINOSA QUESTIONE DEL SOVRAFFOLAMENTO DEL PRONTO SOCCORSO E DEI RICOVERI OSPEDALIERI INAPPROPRIATI. DAL POSITION STATEMENT DELLA FONDAZIONE GIMBE LE MIGLIORI EVIDENZE SCIENTIFICHE SULLE ALTERNATIVE PER GESTIRE MALATTIE ACUTE A BASSO RISCHIO FUORI DALL’OSPEDALE IN MANIERA EFFICACE, SICURA E A COSTI MINORI

In Italia, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud, la mancanza di un’adeguata rete di servizi sul territorio e una cultura centrata sull’ospedale portano molti cittadini a recarsi in ospedale anche per condizioni acute non gravi, aumentando il numero di accessi inappropriati e contribuendo al collasso dei pronto soccorso, come sta accadendo proprio in questi giorni in occasione del picco dell’epidemia influenzale. La stessa riorganizzazione della rete ospedaliera, secondo le regole definite dal DM 70/2015, sta avvenendo in maniera molto disomogenea e frammentata, perché in alcune aree del paese esiste una vera e propria desertificazione nell’offerta di servizi territoriali: strutture intermedie, assistenza domiciliare, lungodegenza e riabilitazione, hospice.

«Una moderna assistenza sanitaria – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbe essere riorganizzata secondo il principio dell’intensità di cura, offrendo una rete integrata di servizi costruita sui reali bisogni del paziente. In altre parole, per migliorare l’appropriatezza organizzativa, il paziente deve essere assistito “nel posto giusto” per risolvere in maniera efficace e sicura i suoi problemi di salute, ma al tempo stesso il sistema sanitario deve investire la “giusta” quantità di risorse economiche».

«Oggi numerose patologie acute a basso rischio – continua il Presidente – continuano ad essere gestite in ospedale, a dispetto dei progressi in ambito biotecnologico e di modelli innovativi di erogazione dell’assistenza che stanno modificando i percorsi diagnostico-terapeutici. Considerato che la letteratura sulle strategie alternative all’ospedalizzazione è molto frammentata e gli studi si limitano a singole patologie, abbiamo analizzato tutte le revisioni sistematiche rilevanti per fornire a decisori, professionisti e pazienti una mappa aggiornata delle evidenze scientifiche, riportando i risultati in termini di mortalità, morbilità, esperienza di pazienti e caregiver e costi».

Secondo le evidenze sintetizzate nel Position Statement GIMBE per varie patologie acute a basso rischio, convenzionalmente trattate in ospedale, l’assistenza può essere erogata in maniera altrettanto efficace e sicura in setting meno costosi con un impatto favorevole, o invariato, sulla soddisfazione dei pazienti. In particolare:

  • La gestione ambulatoriale, più o meno intensiva, dopo avvio del percorso in ospedale non presenta differenze statisticamente significative in termini di mortalità, morbilità e soddisfazione del paziente per embolia polmonare, trombosi venosa profonda, polmonite, pneumotorace, diverticolite, colica renale.
  • Per le unità di diagnosi rapida, finalizzate ad effettuare rapidamente la diagnosi di alcune malattie (es. neoplasie, anemia di origine sconosciuta) evidenze più limitate dimostrano una riduzione della mortalità e un’elevata soddisfazione dei pazienti.
  • Per l’ospedale a domicilio, in cui l’assistenza ospedaliera viene erogata a livello domiciliare, numerose condizioni acute (riacutizzazione di scompenso cardiaco e BPCO, polmonite, urosepsi, cellulite, embolia polmonare, fibrillazione atriale, asma) presentano mortalità, morbilità e soddisfazione di pazienti e caregiver migliori o uguali.
  • Nelle unità di osservazione breve intensiva (OBI), dove il paziente viene gestito in spazi dedicati generalmente all’interno del dipartimento di emergenza, nessuna differenza di mortalità per dolore toracico, asma, BPCO, pielonefrite, a fronte di una riduzione della durata della degenza e un’aumentata soddisfazione del paziente.
  • I dati relativi ai costi sono eterogenei ma, quando valutati, hanno rilevato un risparmio nella quasi totalità dei casi, per tutte le strategie alternative al ricovero ospedaliero.

«Auspichiamo – conclude Cartabellotta – che le politiche sanitarie tengano in considerazione le raccomandazioni del Position Statement GIMBE, sia per l’aggiornamento periodico degli elenchi dei DRG inappropriati in regime di ricovero ordinario, sia per guidare la riorganizzazione dei servizi sanitari regionali, sia per avviare studi finalizzati a monitorare efficacia e sicurezza delle strategie alternative al ricovero nelle patologie dove mancano robuste evidenze».

Il Position Statement “Modelli organizzativi alternativi al ricovero ospedaliero per i pazienti con malattie acute” è disponibile a: www.evidence.it/alternative-ricovero.


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9 gennaio 2018
Elezioni 2018: la salute delle persone al centro dei programmi politici

IL DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA TUTELA DELLA SALUTE NON PUÒ ESSERE CONDIZIONATO DA IDEOLOGIE PARTITICHE, MA DEVE ESSERE GARANTITO A TUTTE LE PERSONE SIA PER IL LORO BENESSERE, SIA PER LA RIPRESA ECONOMICA DEL PAESE. TUTTI I PROGRAMMI DELLE FORZE POLITICHE PROTAGONISTE DELLE IMMINENTI CONSULTAZIONI ELETTORALI SOTTO LA LENTE DELL’OSSERVATORIO GIMBE PER UN’ANALISI DELLE PROPOSTE RELATIVE A SANITÀ, WELFARE E RICERCA. I RISULTATI SARANNO RESI PUBBLICI ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI IN OCCASIONE DELLA 13a CONFERENZA NAZIONALE GIMBE.

Lo scioglimento delle Camere da parte del Presidente Mattarella ha segnato la fine della XVII legislatura, che per la sanità è stata caratterizzata da un insolito paradosso. Da un lato, un’intensa attività legislativa e programmatoria ha posto numerose pietre miliari: dal decreto sui nuovi LEA alla legge sulla responsabilità professionale, dal decreto sull’obbligo vaccinale all’albo nazionale per i direttori generali, dal patto per la sanità digitale ai fondi per i farmaci innovativi, dal Piano Nazionale della Cronicità a quelli della Prevenzione e della Prevenzione vaccinale, dagli standard ospedalieri al decreto sui piani di rientro degli ospedali, dal biotestamento all’approvazione al fotofinish del DDL Lorenzin. Dall’altro, la legislatura è trascorsa sotto il segno di un imponente definanziamento che, oltre a determinare una progressiva retrocessione rispetto ad altri paesi Europei, sta mettendo seriamente a rischio l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ma soprattutto testimonia uno scollamento tra le esigenze di finanza pubblica e la programmazione sanitaria. Inoltre, dopo la bocciatura del referendum costituzionale, nessun passo in avanti è stato fatto per migliorare la governance di 21 differenti sistemi sanitari, anzi si sono moltiplicate le richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni.

«L’entusiasmo per i numerosi traguardi raggiunti – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rischia di appannare i sempre più evidenti segnali d’involuzione della sanità pubblica e del sistema di welfare, in particolare in alcune aree del Paese e per le fasce socio-economiche più deboli. Considerato che la prossima legislatura sarà determinante per il destino del servizio sanitario nazionale, tutte le forze politiche devono essere consapevoli che estromettere la sanità dall’agenda di Governo non compromette solo la salute, ma soprattutto la dignità e la capacità dei cittadini di realizzare ambizioni e obiettivi che la stessa politica dovrebbe identificare come il ritorno degli investimenti in sanità».

Ecco perché, a 5 anni dal lancio del programma #salviamoSSN, la Fondazione GIMBE esorta tutte le forze politiche impegnate nelle imminenti consultazioni elettorali a mettere nero su bianco proposte convergenti per la sanità pubblica «perché – precisa Cartabellotta – se è vero che non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, è certo che non esiste un preciso programma politico per il suo salvataggio».

Dal Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN e dalla successiva consultazione pubblica, ecco alcune proposte utili a tutte le forze politiche perché, indipendentemente dall’esito delle consultazioni, il prossimo esecutivo  ha il dovere di avviare un concreto “piano di salvataggio” del SSN:

  • mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni politiche (health in all policies)
  • offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate alla sanità, mettendo fine alle periodiche revisioni al ribasso e rilanciando in maniera graduale e costante il finanziamento pubblico
  • rimodulare il perimetro dei LEA al fine di garantire a tutte le persone servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinare quelle dal basso value alla spesa privata e impedire l’erogazione di prestazioni dal value negativo
  • ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria e gli oneri detraibili a fini IRPEF, tenendo conto del value delle prestazioni sanitarie
  • avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, per disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi
  • attuare un riordino legislativo della sanità integrativa
  • potenziare le capacità di indirizzo e verifica del Ministero della Salute sulle Regioni
  • rilanciare le politiche per il personale: rinnovi contrattuali, assunzioni, stabilizzazioni
  • destinare almeno l’1% del fondo sanitario nazionale alla ricerca comparativa indipendente

In assenza di un programma politico di tale portata, la progressiva e silente trasformazione (già in atto) di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico verso un sistema misto sarà inesorabile, consegnando alla storia la più grande conquista sociale dei cittadini italiani. «Ma se anche questo fosse il destino già segnato per il SSN – continua il Presidente – il prossimo esecutivo non potrà esimersi dall’avviare una rigorosa governance della fase di privatizzazione, al fine di proteggere le fasce più deboli della popolazione e ridurre le diseguaglianze».

«Come Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – abbiamo il mandato etico di analizzare in maniera indipendente le criticità del servizio sanitario e di proporre soluzioni per la sua sostenibilità: ecco perché nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE, i programmi elettorali di tutte le forze politiche saranno oggetto di analisi comparativa sulle proposte relative a sanità, welfare e ricerca, perché riteniamo che il nostro slogan “salute prima di tutto, sanità per tutti” sia condicio sine qua non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del Paese».

I risultati del monitoraggio saranno resi pubblici il 2 marzo 2018 a Bologna, in occasione della 13a Conferenza Nazionale GIMBE.


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18 dicembre 2017
Endometriosi: un rebus diagnostico dall’enorme impatto clinico, sociale ed economico

RITARDO NELLA DIAGNOSI, INFORMAZIONI TERAPEUTICHE NON SEMPRE ADEGUATE E ASSISTENZA FRAMMENTATA PER UNA MALATTIA SPESSO INVALIDANTE CHE INTERESSA IN ITALIA CIRCA 3 MILIONI DI DONNE E GENERA RILEVANTI COSTI SANITARI E SOCIALI. LA FONDAZIONE GIMBE PUBBLICA LA SINTESI ITALIANA DELLE LINEE GUIDA DEL NATIONAL INSTITUTE FOR HEALTH AND CARE EXCELLENCE PER GUIDARE LA PRATICA CLINICA, RIORGANIZZARE I PERCORSI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI-ASSISTENZIALI E INFORMARE CORRETTAMENTE LE DONNE

Anche se l’assenza di un registro nazionale per l’endometriosi non permette stime precise, in Italia le donne affette da questa patologia potrebbero raggiungere i 3 milioni, circa il 10% di quelle in età fertile. L’endometriosi si manifesta con dolore pelvico, mestruazioni molto dolorose, disturbi gastrointestinali o urinari durante il ciclo mestruale e riduzione della fertilità: infatti, circa il 30-40% di donne affette da endometriosi è sterile. L’assistenza alle donne con endometriosi è molto frammentata: in assenza di percorsi multidisciplinari standardizzati in grado di integrare cure primarie e assistenza specialistica, la variabilità degli approcci diagnostico-terapeutici non garantisce esiti ottimali e genera sprechi da sovra e sotto-utilizzo di test diagnostici e trattamenti.

Recentemente, i nuovi livelli essenziali di assistenza hanno inserito l’endometriosi nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti: questo garantisce alle donne con gli stadi più avanzati di malattia l’esenzione per alcune prestazioni diagnostiche, mentre le terapie efficaci per ridurre la sintomatologia dolorosa (trattamenti ormonali, analgesici) rimangono a carico delle pazienti.

«Troppe donne – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – rimangono ancora senza diagnosi per molti anni, con peggioramento della qualità di vita, progressione della malattia e peregrinazioni tra consulti specialistici e indagini diagnostiche non sempre appropriate. Ecco perché la prima grande sfida è diagnosticare una malattia spesso non “sospettata”, identificando precocemente segni e sintomi sin dai primi consulti, in particolare nelle adolescenti».

Le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) – disponibili in italiano grazie alla traduzione della Fondazione GIMBE – forniscono raccomandazioni cliniche sia per la diagnosi, sia per il trattamento dell’endometriosi: dai segni e sintomi che generano il sospetto di malattia ai criteri di appropriatezza di test diagnostici (ecografia, risonanza magnetica, laparoscopia), dalle consulenze specialistiche ai trattamenti (analgesici, terapia ormonale, chirurgia).

L’endometriosi è una malattia dove i dati clinici sono molto più rilevanti e significativi dei risultati dei test diagnostici: ad esempio, anche la risonanza magnetica è spesso negativa ed è raccomandata solo per valutare l’estensione dell’endometriosi profonda dell’intestino; analogamente il marker CA-125 è poco accurato per i numerosi risultati falsi positivi e falsi negativi.

«Le donne con diagnosi di endometriosi – continua il Presidente – spesso non ricevono informazioni adeguate sulla loro malattia, mentre per loro è fondamentale conoscere l’impatto clinico, sessuale, psicologico e sociale della malattia, al fine di effettuare scelte terapeutiche informate. Di conseguenza, la seconda grande sfida per i medici è quella di fornire informazioni personalizzate sulla base di aspettative e preferenze individuali e flessibili al tempo stesso».

Le linee guida NICE definiscono anche precisi requisiti tecnologici e professionali per l’erogazione dei percorsi diagnostico-terapeutici, sottolineando la necessità di offrire cure integrate e coordinate sotto il segno dell’approccio multiprofessionale e multidisciplinare: dal medico di medicina generale ai consultori, dai servizi di ginecologia sino ai centri specializzati per l’endometriosi, in Italia purtroppo ancora un lontano miraggio.

«L’approccio diagnostico-terapeutico dell’endometriosi – conclude Cartabellotta – presenta ampi margini di miglioramento: in particolare, riconoscere la presentazione clinica ai fini di una diagnosi precoce, informare adeguatamente le donne sulle possibili opzioni terapeutiche e costruire una rete integrata di servizi rappresentano obiettivi irrinunciabili per migliorare gli esiti clinici e il benessere delle donne, oltre che per ridurre i costi diretti e indiretti della malattia».

Le “Linee guida per la diagnosi e il trattamento dell’endometriosi” sono disponibili a: www.evidence.it/endometriosi


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30 novembre 2017
Sanità pubblica sull'orlo del baratro: fuori le proposte politiche per salvare il SSN

DAL PALCO DEL FORUM RISK MANAGEMENT DI FIRENZE, LA FONDAZIONE GIMBE ANALIZZA L’IMPONENTE DEFINANZIAMENTO DEL LUSTRO 2014-2018, METTE IN FILA LE CRITICITÀ CHE STANNO AFFONDANDO LA SANITÀ PUBBLICA E RICHIAMA TUTTE LE FORZE POLITICHE A INSERIRE NEI PROGRAMMI ELETTORALI PROPOSTE CONCRETE SU SANITÀ, WELFARE E RICERCA PERCHÉ LA PROSSIMA LEGISLATURA È DAVVERO L’ULTIMA SPIAGGIA PER SALVARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

30 novembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Nell’ambito della 12a edizione del Forum Risk Management, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – ha aperto la sessione “Crisi dell’universalismo e sostenibilità del sistema sanitario nazionale: i cambiamenti e le riforme possibili”, insieme a Federico Spandonaro  (Università Tor Vergata) e Federico Lega (Università Bocconi).

Durissimi i toni sulla Legge di Bilancio 2018: «Nessuno si aspettava miracoli per la sanità, ma il rinnovo di contratti e convenzioni e l’eliminazione del superticket rappresentavano il segnale minimo che la sanità, seppur ai margini, ha ancora diritto di cittadinanza nell’agenda politica». Invece, l’ultimo atto prima dello scioglimento delle Camere chiude un annus horribilis, in cui la sanità ha collezionato solo “segni meno”: dal DEF che ha previsto una riduzione del rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,7% del 2017 al 6,4% nel 2019 al DM 5 giugno 2017 che ha ridotto il fabbisogno sanitario nazionale di € 423 milioni per il 2017 e di € 604 milioni per l’anno 2018 e successivi; dalla nota di aggiornamento al DEF che nel 2020 fa precipitare al 6,3% il rapporto tra spesa sanitaria e PIL alla Legge di Bilancio 2018 che il Governo ha varato senza alcuna misura rilevante per la sanità e, verosimilmente, con € 300 milioni in meno perché l’ennesimo contributo delle Regioni alla finanza pubblica finirà per gravare sulle spalle del SSN.

«Volge al termine l’era in cui il Ministro Lorenzin ha combattuto con grande entusiasmo per il SSN – ha sottolineato il Presidente – ma a dispetto della  sua determinazione i numeri documentano senza appello che per la sanità pubblica la legislatura ha portato con sé un definanziamento senza precedenti. Questo dimostra che l’impegno del Ministro della Salute non basta quando la programmazione sanitaria è subordinata a quella finanziaria e le Regioni non remano sempre in maniera sincrona». Ripercorrendo l’enorme mole di numeri di 5 anni di legislatura tra finanziamenti programmati dai DEF, fondi assegnati dalle Leggi di Bilancio, tagli e contributi alla finanza pubblica a carico delle Regioni, Cartabellotta ha ribadito poche inquietanti certezze per il futuro del SSN:

  • Il finanziamento pubblico formalmente è aumentato di quasi € 7 miliardi: dai 107,01 miliardi del 2013 ai 114 del 2018, ma quelli sopravvissuti sono  5,968 che rischiano di scendere a 5,668.
  • Nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato, rispetto ai livelli programmati, una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 11,54 miliardi.
  • La spesa sanitaria dal 2010 al 2016 è diminuita in media dello 0,1% annuo.
  • L’anno 2018 è l’esempio perfetto per comprendere il concetto di definanziamento progressivo: la spesa sanitaria stimata per il 2018 dal DEF 2014 in € 121,3 miliardi precipita a € 117,7 miliardi nel DEF 2015 per poi essere ulteriormente ridotta a € 116,2 miliardi nel DEF 2016 e a € 115,1 miliardi nel DEF 2017; il finanziamento nominale per il 2018 dai € 115 miliardi fissati dall’Intesa 11 febbraio 2016 viene ridotto a € 114 miliardi dalla Legge di Bilancio 2017 ai € 113,39 miliardi dal DM 5 giugno 2017 e rischia di lasciare per strada altri € 300 milioni con la Legge di Bilancio 2018.
  • Le previsioni a medio termine non lasciano intravedere alcuna luce alla fine del tunnel: infatti, la nota di aggiornamento del DEF 2017, nonostante certifichi una crescita del PIL del 1,5% per gli anni 2017-2019, riduce progressivamente il rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,6% del 2017 al 6,5% del 2018, al 6,4% nel 2019, sino al 6,3% nel 2020.

«Considerato che la prossima legislatura è l’ultima spiaggia per salvare il SSN – ha precisato Cartabellotta – la Fondazione GIMBE esorta tutte le forze politiche a mettere nero su bianco proposte concrete per la sanità pubblica, perché se è vero che non esiste un piano esplicito di smantellamento e privatizzazione del SSN, è altrettanto certo che manca un piano esplicito per il suo salvataggio». Come già riportato nel 2° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, questo piano deve prevedere alcune azioni fondamentali:

  • offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate alla sanità, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni e soprattutto con un graduale rilancio del finanziamento pubblico;
  • rimodulare i LEA sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinando quelle dal basso value alla spesa privata e impedendo l’erogazione di prestazioni dal value negativo;
  • ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria e gli oneri detraibili a fini IRPEF, tenendo conto anche del value delle prestazioni sanitarie;
  • attuare un riordino legislativo della sanità integrativa;
  • avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, al fine di disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi;
  • mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies).

«Se la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – ha il mandato istituzionale ed etico di analizzare le criticità del SSN e proporre soluzioni per la sua sostenibilità, deve necessariamente passare al setaccio posizioni e intenzioni di tutte le forze politiche. Ecco perché nell’ambito delle attività dell’Osservatorio GIMBE per la sostenibilità del SSN, tutti i programmi elettorali saranno oggetto di analisi scrupolosa rispetto alle proposte relative a sanità, welfare e ricerca, perché, indipendentemente dalle ideologie partitiche, il diritto costituzionale alla tutela della salute deve essere garantito a tutti cittadini ed è condicio sine-qua-non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del Paese».


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20 novembre 2017
Cannabis per il dolore cronico: tante speranze, poche evidenze

CON IL DDL S.2947 IN DIRITTURA DI ARRIVO, LA FONDAZIONE GIMBE RACCOGLIE E SINTETIZZA LE EVIDENZE SCIENTIFICHE SU BENEFICI E RISCHI DELLA CANNABIS, IDENTIFICA LE AREE PER LA RICERCA FUTURA E INVITA A NON ALIMENTARE IN MANIERA IRREALISTICA LE ASPETTATIVE DEI PAZIENTI. OGGI SOLO LIMITATE EVIDENZE DIMOSTRANO CHE LA CANNABIS RIDUCE IL DOLORE NEUROPATICO, MA SU ALTRI TIPI DI DOLORE PROVE DI EFFICACIA INSUFFICIENTI. POCHE CERTEZZE ANCHE SUI RISCHI: VEROSIMILE AUMENTO DI EFFETTI AVVERSI SU FUNZIONI COGNITIVE, SALUTE MENTALE E RISCHIO DI INCIDENTI, MA EVIDENZE INSUFFICIENTI SUL RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DI TUMORI.

Dal 14 dicembre 2016 è disponibile in Italia, per la prescrizione di preparazioni magistrali, la cannabis FM2 prodotta dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e contenente tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD). Lo scorso 22 febbraio il Ministero della Salute ha emanato una circolare con le informazioni necessarie a medici e farmacisti per la preparazione e l’utilizzo della cannabis FM2. Tra le indicazioni, “l’analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali” e “l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace”. La circolare sottolinea che “la cannabis […] è un trattamento sintomatico di supporto a quelli standard, quando questi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno provocato effetti secondari non tollerabili o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare effetti collaterali”.

«Diverse motivazioni – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ci hanno indotto a realizzare il Position Statement “Uso terapeutico della cannabis nel dolore cronico: efficacia ed effetti avversi”. Innanzitutto, il dolore cronico è l’indicazione che dal punto di vista epidemiologico ha il maggior impatto sulle necessità terapeutiche e, di conseguenza, sulla produzione di cannabis; in secondo luogo, i medici saranno sempre più spesso chiamati a discutere di benefici e rischi della cannabis con i loro pazienti, tenuti a rilasciare un consenso informato scritto; infine, le evidenze scientifiche sono estremamente frammentate e non disponiamo di una mappa delle conoscenze per guidare decisioni dei medici e scelte dei pazienti, orientare la conduzione di ulteriori studi e fornire alle Istituzioni elementi oggettivi per stimare il fabbisogno nazionale di cannabis».

A seguito di un rigoroso processo di ricerca e selezione della letteratura, che ha incluso 13 revisioni sistematiche e 62 studi, il Position Statement GIMBE ha concluso che negli adulti con dolore cronico le evidenze sui potenziali benefici e rischi della cannabis terapeutica sono ancora esigue.

«Limitate evidenze scientifiche – puntualizza il Presidente – dimostrano che i preparati a base di cannabis con contenuto standardizzato di THC-CBD possono alleviare il dolore neuropatico, ma le prove di efficacia sono insufficienti nei pazienti con altri tipi di dolore. Peraltro, la maggior parte degli studi sono di piccole dimensioni, spesso con rilevanti limiti metodologici e non conosciamo gli effetti a lungo termine perché la durata del follow-up è limitata».

Rispetto ai rischi, nei pazienti con dolore cronico la cannabis si associa al rischio di eventi avversi a breve termine: sia frequenti e lievi (es. vertigini, senso di stordimento), sia rari e severi (es. tentato suicidio, paranoia, agitazione). Tuttavia, le evidenze sui rischi della cannabis derivano soprattutto da studi condotti nella popolazione generale. Nei giovani adulti il fumo occasionale di cannabis non influenza negativamente la funzionalità polmonare sino a 20 anni di follow-up ma le evidenze sono insufficienti sul rischio di eventi cardiovascolari e di tumori. Meglio documentati, invece, i rischi per la salute mentale: l’uso di cannabis si associa allo sviluppo di sintomi psicotici e di esacerbazioni di sintomi maniacali nel disturbo bipolare; l’intossicazione acuta aumenta il rischio di incidenti con veicoli a motore e  l’utilizzo a lungo termine influenza negativamente le funzioni cognitive e si associa con una grave forma di vomito ciclico.  

«È una grande conquista sociale – conclude Cartabellotta – che l’iter del DdL S.2947 sia in dirittura di arrivo con l’obiettivo di disciplinare l’utilizzo della cannabis per uso terapeutico. Tuttavia, considerato che gli oneri della cannabis ad uso terapeutico saranno a carico del Servizio Sanitario Nazionale, non si può ignorare che nei pazienti con dolore cronico non esistono dati definitivi sulla sua efficacia  e che le informazioni sui potenziali rischi sono ancora limitate. Ecco perché, al fine di utilizzare meglio il denaro pubblico, è indispensabile sia non alimentare aspettative irrealistiche nei pazienti, sia condurre ulteriori studi nelle aree suggerite dal Position Statement GIMBE».

Il Position Statement GIMBE “Uso terapeutico della cannabis nel dolore cronico: efficacia ed effetti avversi” è disponibile a: www.evidence.it/cannabis.


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8 novembre 2017
Niente risorse alla Sanità nella Legge di Bilancio 2018: al Parlamento l’ultima occasione per rilanciare il Servizio Sanitario

IN OCCASIONE DELL’AUDIZIONE PRESSO LA 12A COMMISSIONE IGIENE E SANITÀ DEL SENATO, LA FONDAZIONE GIMBE HA IMPIETOSAMENTE SNOCCIOLATO I NUMERI DEL DEFINANZIAMENTO DELLA SANITÀ PUBBLICA, FATTO LUCE SU RESPONSABILITÀ DI GOVERNO E REGIONI PER I RINNOVI DI CONTRATTI E CONVENZIONI, FORMULATO UNA CORAGGIOSA PROPOSTA PER L’ELIMINAZIONE DEL SUPERTICKET E “LASCIATO UNA TRACCIA” PER IL RIORDINO NORMATIVO DELLA SANITÀ INTEGRATIVA.

8 novembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

Si è svolta ieri l’audizione della Fondazione GIMBE presso la 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica, in vista dell’esame del Disegno di Legge di Bilancio 2018. Tenendo conto che il testo inviato al Parlamento - ad eccezione di € 21,5 milioni “assegnati” dall’art. 18 - non prevede alcuna misura per la sanità, il Presidente Nino Cartabellotta è intervenuto per rilevare l’inaccettabile entità del definanziamento pubblico, fare chiarezza sugli impegni di Stato e Regioni sulle risorse destinate ai rinnovi di contratti e convenzioni del personale sanitario, proporre l’eliminazione del superticket attraverso la rimodulazione delle detrazioni IRPEF per le spese mediche e “lasciare una traccia” per il prossimo esecutivo sull’inderogabile necessità di un riordino normativo della sanità integrativa.

Definanziamento. I dati riportati dal Presidente hanno documentato che nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di € 11,537 miliardi rispetto ai livelli programmati dai Documenti di Economia e Finanza (DEF). Cartabellotta ha riportato l’esempio paradigmatico del 2018, per il quale la spesa sanitaria stimata dal DEF 2014 in € 121,3 miliardi è precipitata a € 117,7 miliardi nel DEF 2015 per poi essere ulteriormente ridotta a € 116,2 miliardi nel DEF 2016 e a € 115,1 nel DEF 2017. Il finanziamento nominale per il 2018, invece, dai € 115 miliardi fissati dell’Intesa 11 febbraio 2016, è stato ridotto a € 114 dalla Legge di Bilancio 2017 ai € 113,39 dal DM 5 giugno 2017 sulla rideterminazione del fabbisogno del SSN e rischia di lasciare per strada altri 300 milioni con la Legge di Bilancio 2018. «Peraltro– ha precisato Cartabellotta – le previsioni a medio termine non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico: infatti, se la nota di aggiornamento del DEF 2017 da un lato certifica la crescita del PIL del 1,5% per gli anni 2017-2019, dall’altro riduce progressivamente il rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,6% del 2017 al 6,5% del 2018, al 6,4% nel 2019 e addirittura al 6,3% nel 2020».

Rinnovo contratti e convenzioni. Il Presidente ha fatto chiarezza su posizioni e responsabilità di Governo e Regioni che hanno infiammato le legittime richieste sindacali in un momento storico per il rinnovo di contratti e convenzioni. Vero è che la Legge di Bilancio 2017 ha formalmente vincolato (comma 412) le somme per i rinnovi di contratti e convenzioni, ma oltre a non averle quantificate, non le ha nemmeno incluse nel comma 393 che ha vincolato un miliardo di euro a farmaci oncologici innovativi, farmaci innovativi, vaccini, assunzioni e stabilizzazioni. «Purtroppo – ha spiegato Cartabellotta – solo alcune Regioni hanno effettuato l’accantonamento previsto e oggi, di fatto, mancano all’appello sia le risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2017 per i rinnovi contrattuali relativi agli anni 2016 e 2017, sia quelle che la nuova Legge di Bilancio dovrebbe destinare alla quota 2018, sostanzialmente erose dal contributo di cui si sono fatte carico le Regioni a statuto ordinario: € 423 milioni nel 2017 e € 604 nel 2018». Secondo le stime riportate dal Presidente, sono necessari € 802 milioni per il rinnovo del contratto del personale dipendente relativo al triennio 2016-2018, oltre ai fondi necessari per il rinnovo del personale in regime di convenzione, il cui metodo di calcolo non è riportato dal DPCM 27 febbraio 2017.

Eliminazione superticket. Cartabellotta ha illustrato i dettagli della proposta già annunciata dalla Fondazione GIMBE per eliminare l’iniquo balzello tramite una rimodulazione delle detrazioni IRPEF per le spese mediche. «La proposta GIMBE – ha precisato Cartabellotta –  permetterebbe di recuperare circa un miliardo di euro, garantendo al tempo stesso maggiore equità sociale grazie ad una redistribuzione delle agevolazioni fiscali in relazione al reddito, trasformando la frammentata governance regionale di superticket mal disegnati in minori agevolazioni fiscali gestite a livello nazionale e favorendo l’emersione del sommerso».

Riordino sanità integrativa. In presenza di un definanziamento pubblico di tale portata, per arginare il continuo aumento della spesa out-of-pocket, che oggi ha raggiunto il 90% della spesa privata e contenere l’espansione selvaggia del mercato assicurativo, il Presidente ha suggerito due azioni integrate: ridefinire il perimetro dei LEA attraverso quel delisting programmato e mai attuato e destinare le risorse della sanità integrativa esclusivamente a prestazioni extra-LEA. Tuttavia, per non compromettere il modello universalistico, Cartabellotta ha indicato come indifferibile un riordino della normativa, oggi estremamente frammentata e iniqua. «Con la presente audizione – ha precisato Cartabellotta – intendiamo lasciare una “traccia ufficiale” per la prossima legislatura sulla necessità di un testo unico per tutte le forme di sanità integrativa al fine di pervenire a un impianto regolatorio capace di assicurare una governance nazionale, di garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione, ma soprattutto di tutelare i cittadini, evitando derive consumistiche e di privatizzazione».

«Nel 2013 – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE ha lanciato la campagna #salviamoSSN nella consapevolezza che il servizio sanitario nazionale rappresenta la più grande conquista sociale dei cittadini italiani. Constatare in questo scorcio di fine legislatura che sanità e welfare non rappresentano  una priorità politica è motivo di grande delusione, ma al tempo stesso un grande stimolo per continuare la nostra battaglia perché la salute sia al centro di tutte le politiche e si possano degnamente festeggiare i 40 anni del servizio sanitario nazionale».


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2 novembre 2017
Ecosistema delle Evidenze Scientifiche: il rivoluzionario approccio della Fondazione GIMBE

LA FONDAZIONE GIMBE HA RIUNITO IN ITALIA I MASSIMI ESPERTI MONDIALI E PRESENTATO UN APPROCCIO INNOVATIVO PER LA PRODUZIONE, SINTESI E TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE: PRODURRE MENO PUBBLICAZIONI E PIÙ EVIDENZE SCIENTIFICHE DI ELEVATA QUALITÀ, RENDERE PIÙ EFFICIENTE LA PRODUZIONE DI REVISIONI SISTEMATICHE E DI LINEE GUIDA, MIGLIORARE IL TRASFERIMENTO DELLE EVIDENZE AL FINE DI MIGLIORARE GLI ESITI DI SALUTE E RIDURRE GLI SPRECHI DA SOVRA- E SOTTO-UTILIZZO DI PRESTAZIONI

2 novembre 2017 - Fondazione GIMBE, Bologna

L’incantevole cornice di Taormina ha ospitato l’ottava edizione della International Conference for Evidence-based Health Care Teachers and Developers, organizzata dalla Fondazione GIMBE che ha messo a confronto oltre 150 tra i massimi esperti mondiali da 24 paesi di tutti i continenti sull’innovativo concetto di “ecosistema delle evidenze scientifiche”.

«25 anni dopo la nascita dell’Evidence-based Medicine (EBM) – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – le continue critiche nei confronti del movimento testimoniano il prezzo del successo dell’EBM, spesso manipolata e sfruttata per obiettivi meno nobili con conseguente perdita della sua reputazione».

Fortunatamente il dibattito oggi si orienta verso le reali problematiche che condizionano produzione, sintesi e trasferimento delle evidenze alla pratica dei singoli professionisti sanitari e alle decisioni relative a gruppi di pazienti o intere popolazioni.

«Accanto alla inutile e costosa duplicazione di studi sia primari che secondari (revisioni sistematiche, linee guida) – puntualizza il Presidente – persistono ampie zone grigie (assenza di evidenze) che impediscono di formulare raccomandazioni a favore o contro un intervento sanitario. Al tempo stesso, consistenti gap tra ricerca e pratica determinano esiti di salute sub-ottimali e sprechi da sovra- e sotto-utilizzo di farmaci, dispositivi, test diagnostici e altri interventi sanitari».

L’approccio proposto dalla Fondazione GIMBE è quello dell’ecosistema delle evidenze scientifiche:  «Analogamente a quanto accade negli ecosistemi naturali – spiega Cartabellotta – l’ecosistema delle evidenze è influenzato dagli esseri viventi, ovvero gli innumerevoli stakeholders che popolano il mondo della sanità e della ricerca con le loro competizioni, collaborazioni e conflitti di interesse, dall’ambiente, ovvero le determinanti sociali, culturali economiche e politiche che caratterizzano i vari contesti e dalla componente non vivente, ovvero le evidenze scientifiche attraverso i processi di produzione, sintesi e loro integrazione nelle decisioni professionali, manageriali e di politica sanitaria, oltre che nelle scelte di cittadini e pazienti».

Per ciascuno dei processi di generazione, sintesi e implementazione delle evidenze scientifiche la Fondazione GIMBE ha analizzato punti di forza e di debolezza, elaborando specifiche proposte di fronte alla platea di esperti riuniti a Taormina. La rivoluzionaria proposta della Fondazione GIMBE invita a passare dall’ approccio unidirezionale a quello bidirezionale, dove la sintesi delle evidenze, attraverso le revisioni sistematiche, deve sempre informare la decisione di condurre nuovi studi primari, oltre che interpretarli alla luce delle conoscenze già disponibili. Ma ancor di più, il trasferimento delle evidenze deve sempre informare la loro produzione e sintesi, attraverso virtuosi programmi di ricerca e sviluppo.

«Per la Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta - è motivo di enorme soddisfazione avere condiviso con i massimi esperti la nostra proposta: in un momento storico caratterizzato dalla crisi di sostenibilità di tutti i sistemi sanitari, è tempo di finanziare la ricerca comparativa indipendente in grado di fornire adeguate evidenze e di smetterla di rimborsare, con il denaro pubblico, interventi sanitari di efficacia non documentata.».

Il report integrale della conferenza è disponibile a: www.ebhc.org


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