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Conoscere l'EBM > Ambiti di applicazione |
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Page last update:
29/09/2012 |
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Adattato da: Cartabellotta A. Facciamo luce sull'EBM. Sanità & Management 2003
La definizione sackettiana di EBM ha posto l'accento sulla necessità che il medico, nell'assistenza al paziente individuale, faccia riferimento "esplicito" e non occasionale alle evidenze scientifiche. Nel corso degli anni, questo concetto si è continuamente evoluto ed oggi, è possibile riconoscere nell’EBM tre componenti, ciascuna delle quali richiede strumenti e competenze (tecniche, logiche ed umanistiche), che raramente fanno parte dei tradizionali curricula formativi.
Anche se le zone grigie, la limitata generalizzabilità dei trial e la scarsa attenzione per la diagnosi, sono additati tra i limiti principali dell’EBM, esistono numerose difficoltà: alcune legate a problemi logistici (scarsa conoscenza della lingua inglese, limitata disponibilità di riviste, sistemi informatici inadeguati), altre percepite direttamente dai clinici. In particolare, Ely e coll, ne raccolgono ben cinquantanove, di cui sei particolarmente rilevanti: la mancanza di tempo, le difficoltà a convertire il bisogno d’informazione – spesso vago e generico – in quesiti adeguati, le difficoltà ad elaborare una strategia di ricerca ottimale, l’incapacità a selezionare le risorse bibliografiche appropriate, l’incertezza sulla sistematicità della ricerca, l’inadeguata sintesi di “multiple bits of evidence” in uno statement utile clinicamente.
Se aggiungiamo la limitata conoscenza del linguaggio EBM, ci rendiamo conto del perché gli stessi promotori dell’EBM, progressivamente consapevoli della “scarsa praticabilità quotidiana dell’EBM”, riconoscono due categorie di clinici:
La stessa “revisione sostanziale” dell’EBM ha ispirato gli editori del “testo sacro” sull’approccio critico alla letteratura, di cui esistono due versioni: una pocket, destinata agli EBM users, l’altra integrale, per gli EBM practitioner. Nonostante il pragmatismo del messaggio, è forte la paura che l'autorevolezza dell'opinion leader - tanto additata dall'EBM - sia sostituita dall'accettazione acritica di pur autorevoli fonti d'informazione. Possiamo identificare la pratica dell’EBM con l’utilizzo di tali fonti? Oppure il processo di manipolazione dell’informazione scientifica, creando nuove gerarchie di potere, rischia di “sterilizzare” il giudizio del medico e di produrre un devastante effetto boomerang sull’EBM stessa?
La teoria dell'apprendimento nei soggetti adulti ha dimostrato che le conoscenze acquisite nella ricerca di soluzioni a problemi reali sono meglio integrate nei processi cognitivi rispetto a quelle ottenute dallo studio non finalizzato. Considerato che i problemi del paziente costituiscono lo stimolo principale alla ricerca di conoscenze, l’EBM integra, in maniera inscindibile, pratica clinica e formazione permanente. Tuttavia, affinché l’EBM possa esercitare il suo potere educazionale, il medico, oltre ad "avvertire" il bisogno d'informazione e formulare adeguati quesiti clinici, non deve limitarsi a ricevere passivamente indicazioni operazionali, ma deve espandere e collegare le conoscenze acquisite in una rete sempre più ricca (semantic network), che gli permetterà di “trasformare l’informazione in conoscenza”. Pertanto, la pratica dell’EBM non può limitarsi ad un impiego "usa e getta" dell'informazione acquisita, che finirebbe per sterilizzare l'evento formativo costituito dall'incontro con il paziente, impedendo al medico di sviluppare il senso critico necessario per migliorare continuamente la qualità del proprio giudizio clinico. Considerate le evidenze disponibili sulla modifica della pratica professionale, i risvolti educazionali dell'EBM sono strettamente legati alla sua “consacrazione” di metodo ideale per integrare pratica clinica e formazione permanente attraverso il processo di lifelong and self-directed learning che richiede una rivoluzione dei metodi didattici, sia nella formazione universitaria-specialistica, sia in quella permanente.
L’EBM, nata come metodologia per applicare i risultati della ricerca al paziente individuale, viene presto estesa alla pianificazione della politica sanitaria: l’Evidence-based Health Care (EBHC) prevede, infatti, la descrizione esplicita delle fonti su cui programmare l'assistenza sanitaria. In altre parole è necessario ricercare sistematicamente, valutare criticamente e rendere disponibili le migliori evidenze scientifiche, quali prove d'efficacia degli interventi sanitari per pianificare le decisioni - e di conseguenza l'impiego di risorse - che riguardano la salute di una popolazione (o di gruppi di pazienti). Ovviamente esiste stretta sinergia tra promozione dell’EBHC a livello istituzionale e pratica individuale dell’EBM, poiché "l'organizzazione facilita lo sviluppo dei professionisti che, a loro volta, modellano l'organizzazione". In realtà, esistono nei confronti dell’EBM diverse aspettative da parte di clinici ed amministratori sanitari: i primi (intra)vedono un'importante risorsa di autonomia professionale, i secondi uno strumento (potenzialmente) utile per contenere i costi. Queste due posizioni estreme devono necessariamente essere riviste: i clinici non possono trasformarsi in autonomi "viandanti telematici" alla ricerca disperata dell'evidence che giustifichi le proprie scelte; gli amministratori, dal loro canto, devono accettare che la variabile complessità della pratica clinica non può essere standardizzata attraverso linee guida (LG). Un accettabile compromesso deriva dalle considerazioni di Eddy, che distingue decisioni assistenziali generiche - che possono essere gestite attraverso LG - e decisioni complesse, tipiche del paziente individuale, che richiedono al medico sia capacità di gestire direttamente le conoscenze scientifiche (knowledge management), sia di applicarle alla variabile individualità del singolo paziente. Infine, deve essere chiaro che l’EBHC non è un metodo per contenere i costi, ma solo per distribuire adeguatamente le risorse in relazione all'efficacia degli interventi sanitari. Sul modello di Paesi quali Regno Unito, Australia, Canada, Olanda, sin dal 1998, anche in Italia numerosi eventi legislativi - dal Piano Sanitario Nazionale (PSN) 1998-2000 al PSN 2003-2005, attraverso il DL 229/99 e la normativa sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – hanno affidato all’EBHC (almeno sulla carta) un ruolo fondamentale nella programmazione della politica sanitaria. Tuttavia, nonostante la consistente apparenza di queste “buone intenzioni”, l’applicazione dell’EBHC nelle politiche sanitarie del nostro Paese è stata disordinata e frammentaria. A testimonianza di quest’affermazione alcuni esempi concreti:
Solo a livello regionale, inizia a diffondersi in Italia, quale strategia di politica sanitaria, la clinical governance, che rappresenta la contestualizzazione all’interno delle organizzazioni sanitarie degli strumenti metodologici proposti dall’EBM/EBHC.
E’ innegabile che, nel caotico mercato della salute, le evidenze scientifiche possono riflettersi adeguatamente sulla salute di una popolazione solo se esiste un’adeguata informazione scientifica degli utenti . Volgendo lo sguardo oltre i confini nazionali, l'entità delle iniziative - oltre che delle risorse - destinate all’Evidence-based Patient Information, fanno ragionevolmente affermare che questo in Italia è uno dei punti a maggiore criticità: infatti, l'informazione degli utenti è sganciata da qualsiasi controllo scientifico e l'efficacia dei media nell'influenzare le scelte dei cittadini - oltre che da una revisione della Cochrane Collaboration - è documentata dall'incremento nella richiesta di prestazioni diagnostico-terapeutiche indotte da Elisir (Rai 3). Se aggiungiamo che l’industria farmaceutica intrattiene “relazioni di varia natura” con le associazioni dei pazienti e che avrà la possibilità – per decisione della Commissione Europea (!) - d’informare direttamente i cittadini (periodo prova di 5 anni nelle aree di AIDS/HIV, diabete ed asma), è legittimo chiedersi quali siano le contromisure del SSN per contrastare i potenziali effetti devastanti di tali eventi sul mercato dei farmaci. Secondo Richard Smith, già editor del BMJ, uno dei primi obiettivi di qualunque sistema sanitario dovrebbe essere quello di diminuire le aspettative dei cittadini nei confronti di una medicina mitica:
L'agenda della ricerca" è definita in larga parte dall'industria farmaceutica e tecnologica (“gap di commissionamento”); di conseguenza, la base scientifica delle decisioni cliniche e di politica sanitaria è minata da vari fenomeni (bias di pubblicazione, inutile duplicazione della ricerca, numerose e consistenti aree grigie, conflitti d’interesse, etc) che rischiano di trasformare l’EBM in Evidence-b(i)ased Medicine . Considerato che il primo criterio etico della ricerca è "la necessità di aumentare le conoscenze scientifiche, senza sovrapporsi a quanto è già documentato", i sistemi sanitari e la comunità scientifica stanno in proposito prendendo adeguate contromisure:
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